
Nello scorso episodio la parte romana e la parte gotica della Gallia si sono unite per esprimere il primo vero imperatore Romano con la sua base di potere e legittimità in Gallia, per di più sostenuto in modo decisivo dai Visigoti. L’Italia ha rigettato questo mondo nuovo e una alleanza tra la leadership militare italiana e il Senato ha posto fine al regno e alla vita di Avito, l’imperatore venuto dalle Gallie. Una serie di successi militari ha portato all’elevazione al trono di Maggiorano il predestinato, sempre però in tandem con il suo partner nell’esercito d’Italia: il Magister Militum Ricimer. Costantinopoli ha finalmente donato la sua benedizione, confermando la legittimità del nuovo regime.
Il primo film di Star Wars a uscire fu quello che oggi è chiamato l’episodio IV, a cui fu dato un titolo che mi è sempre piaciuto: a new hope, una nuova speranza. E come la galassia trovò in Luke Skywalker un eroe insperato, così Roma troverà nelle pieghe della sua storia questo personaggio che pare uscito da un’altra epoca, un imperatore coraggioso, intelligente, magnanimo e dedicato ad un solo obiettivo. A differenza di Luke però il suo obiettivo non è quello di distruggere l’Impero, ma di salvarlo.
Una nuova giovinezza per un’antica istituzione

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Prima di parlare delle mirabili imprese del nostro Maggiorano, occorre parlare di un potere imperiale che in questo quinto secolo sta vivendo una nuova giovinezza. Ho parlato a lungo del Senato e del suo ruolo, e prima di proseguire nella narrazione occorre a mio avviso spendere qualche parola sull’evoluzione del ruolo di questa antichissima istituzione, vecchia quanto Roma.
Credo che quello che la maggior parte di noi ha in testa quando pensa al ruolo del Senato durante l’impero è la progressiva erosione del potere senatoriale sotto i Cesari: Augusto aveva raggiunto un accordo di condivisione del potere con il Senato a cui gli storici danno il nome di principato, ne ho parlato nell’episodio zero, ricordate? Vari imperatori avevano tentato di ridurre il potere del Senato, in particolare Nerone e Domiziano, di solito con effetti molto dannosi alla loro salute. Con i Severi il potere si era spostato verso l’esercito mentre la crisi del terzo secolo aveva esposto plasticamente l’incapacità della classe senatoriale a gestire il potere, civile e militare. Diocleziano aveva esautorato quasi completamente il ruolo dei senatori, sia nell’esercito che nelle cariche civili, privilegiando la classe equestre per le cariche civili e gli ufficiali promossi per merito nell’esercito: si può dire che con Diocleziano l’autorità del Senato raggiunse il suo nadir.
Costantino iniziò ad invertire questo trend: innanzitutto Costantino aveva creato un nuovo Senato a Nuova Roma, per la prima volta duplicando la vetusta istituzione, e ne aveva aperto le porte alla persone più in vista della classe equestre, diluendone l’esclusività ma incrementandone la presa sulle massime cariche dello stato. Il ruolo del Senato rimase importante come classe ma gli imperatori del tardo impero si guardarono bene da condividere il loro potere e le decisioni del loro governo con il senato in quanto organo deliberativo. Questo stato di cose perdurò per l’intero quarto secolo: quasi tutte le decisioni fino a Teodosio furono ristrette al consiglio del principe, il cosiddetto sacro concistorio.
Di converso il quinto secolo, in particolare in occidente, segna un curioso recupero di potere e autorità del Senato che proseguirà perfino dopo la cosiddetta caduta dell’Impero. Da secoli il senato non aveva più un ruolo fondamentale nel decidere gli imperatori e aveva più un ruolo di grande cerimoniere delle decisioni del concilio del principe. A partire da Stilicone abbiamo però i primi segni di vere decisioni prese nuovamente in Senato: con l’arrivo dei generalissimi dell’occidente, privi delle cariche formali e dell’autorità degli imperatori, diventa sempre più necessaria una conferma delle principali decisioni da parte del Senato. Ora abbiamo visto come, con la fine della legittima dinastia valentiniano-teodosiana, Il Senato sia rientrato anche nel gioco del trono. È stato il Senato a nominare Petronio Massimo, recuperando il ruolo che avevano avuto fino al terzo secolo.
Vedremo come nelle convulsioni dei prossimi decenni il Senato sarà sempre al centro dell’azione politica, rappresentando nella politica imperiale il volere dell’aristocrazia terriera italiana. Certo, i senatori non saranno gli unici attori della politica imperiale: i comandanti delle forze militari saranno altrettanto potenti, ma il loro volere non sarà mai assoluto. Come vedremo questo quadro si estenderà ben oltre la fine dell’impero d’occidente, svolgendo un ruolo fondamentale sia nel protettorato di Odoacre che nel regno Ostrogotico. L’occidente Romano si sta via via restringendo all’Italia e con la scomparsa di una dinastia di imperatori Romani legittimi, come erano stati quelli della dinastia Valentiniano-teodosiana, il Senato giocherà un ruolo sempre più importante nel conferire la legittimità a governare e l’autorità politica per prendere decisioni importanti. In definitiva, il Senato emergerà come la più importante istituzione dell’identità italiana e sopravviverà in questo alla progressiva erosione del potere imperiale, mantenendo la centralità di Roma ben oltre la fine dell’Impero occidentale.
I senatori
Visto che il Senato è tornato al centro del gioco politico vale la pena indagarne la sua composizione. Da quanto possiamo comprendere all’interno della aristocrazia senatoriale c’erano due “partiti” politici principali: una fazione voleva che le restanti risorse dell’occidente fossero concentrate nella difesa dei loro possedimenti. L’aristocrazia terriera italiana un tempo aveva avuto interessi in tutto l’impero ma dopo i disastri degli ultimi decenni le loro terre erano concentrate nel cuore dell’Impero: ovvero la penisola italiana e alcuni territori contigui, come la Provenza. Possiamo chiamare questo partito quello degli italocentrici. La seconda fazione, forse con più legami con l’aristocrazia provinciale, voleva provare nuovamente a riconquistare l’autorità su almeno larghe parti dell’occidente Romano, riallacciando i legami economici che avevano fatto grande Roma: l’import ed export con l’Africa e lo sfruttamento di grandi proprietà in Spagna e Gallia. Darò a questa fazione il nome di “imperiali”. Dall’idea che mi sono fatto, Ricimer coltivava rapporti soprattutto con la fazione italocentrica – capitanata dalla potente famiglia degli Anicii – mentre Maggiorano era vicino agli imperiali, come ad esempio la famiglia dei Decii.
Maggiorano alla fine era diventato imperatore grazie al supporto di entrambe le due fazioni: gli italocentrici volevano liberarsi dell’imperatore delle Gallie, gli imperiali volevano eliminare quello che dal loro punto di vista era stato un imperatore asservito ai Goti. Se Roma voleva riconquistare l’occidente non poteva farlo per conto dei Visigoti. Il momentaneo accordo tra le due fazioni non è ahimè destinato a durare per sempre.
L’importanza della legge

Possiamo ricostruire le prime mosse al potere di Maggiorano grazie alle sue leggi, dette Novellae. Queste sono contenute nel codice detto Breviarum, una raccolta di leggi romane promulgate dal regno dei Visigoti nel 506, quindi a trent’anni dalla caduta dell’impero e cinquanta anni dopo la nostra storia. Il Breviarum era sostanzialmente la raccolta delle leggi riservate alla popolazione romana del regno, mentre i Goti vivevano in accordo con la loro legge ancestrale, avremo modo di parlarne.
La prima Novella è in sostanza un discorso al Senato che declama il programma del nuovo Imperatore. Come si può notare da allora non molto è cambiato in Italia nella coreografia del potere: me lo immagino proprio come un Primo Ministro che declama il discorso programmatico del suo nuovo governo. Leggiamone alcuni pezzi, perché è interessante nel ricostruire il programma del nuovo Imperatore: “Sappiate, o Padri Coscritti, che sono stato fatto imperatore dalla vostra elezione e dall’acclamazione del nostro valoroso esercito. Inoltre, durante le calende consacrate a Giano, abbiamo ottenuto i fasci del consolato. Concedete ora il vostro favore all’Imperatore che avete elevato al trono e condividete con noi la responsabilità del governo. Fatelo con la certezza che nessuno avrà da temere la pratica degli informatori anonimi, nessuno sotto il nostro governo dovrà preoccuparsi delle calunnie, tranne quelle da lui stesso originate. Per quanto riguarda la cura degli affari militari, questa sarà la nostra prima preoccupazione, così come sarà la preoccupazione del Patrizio Ricimer, padre della patria”
Questo discorso è importante su vari piani: notare il richiamo alla tradizione imperiale e repubblicana romana, con l’acclamazione del Senato e dell’esercito. C’è perfino una citazione della divinità pagana di Giano, in un tipico richiamo alla classicità da parte del nuovo imperatore: nel quinto secolo l’epoca classica non è ancora morta. Maggiorano chiede inoltre la collaborazione del Senato nel governo dell’Impero: avrà bisogno presto del loro favore per un ampio programma di riforme, ma credo che pensasse soprattutto al contenuto della loro borsa. In cambio dell’appoggio del Senato, Maggiorano promette di non abusare del potere imperiale, soprattutto nelle cause di tradimento, proibendo la delazione. Infine, dettaglio importante che ha fatto discutere a lungo gli storici, segnala come sul fronte militare sarà attivo, più attivo dei suoi predecessori, ma che comunque associa al regno per tutte le questioni militari il patrizio Ricimer.
L’altro imperatore

Molti si sono domandati la vera natura della relazione tra Maggiorano e Ricimer: lo spettro delle opinioni varia da un Maggiorano come chiaro superiore del generale Goto all’esatto opposto. Credo che non ci sia dubbio che Ricimer avrebbe preferito una sistemazione come quella tipica degli ultimi decenni in occidente, un imperatore immobile nella capitale, a fare da punto focale istituzionale dell’impero, e un Magister Militum e Patrizio con il ruolo di gestire davvero l’esercito. Questo stato di cose era stato la norma a partire dal 395 e dalla morte di Teodosio, ma più che di una evoluzione naturale del sistema politico Romano era stata la risultante di una serie di imperatori decisamente non marziali e politicamente deboli come, ad esempio, Onorio e Valentiniano III, imperatori che avevano avuto il rispetto dell’esercito in quanto capi legittimi dello stato ma che era impensabile vedere come generali.
Lo stesso non si poteva però dire di Maggiorano: in quanto a uomo d’armi era un pari di Ricimer, non gli era inferiore. D’altro canto Ricimer era popolare sia nell’esercito che presso almeno una nutrita fazione del senato e non poteva essere ignorato: se Maggiorano avesse provato a relegarlo in una posizione di chiara inferiorità avrebbe rischiato di fare la fine di Avito. Pertanto Maggiorano confermò Ricimer nel suo ruolo di Patrizio e Magister Militum, la carica che avevano avuto Ezio, Flavio Costanzo e Stilicone. La differenza con i suoi predecessori fu che per Maggiorano questo non sembra avesse voluto intendere che lui si sarebbe accontentato di fare l’imperatore fantoccio a Ravenna, e infatti così non fu. Ian Hughes e Peter Heather, due grandi storici del periodo, concordano nel ritenere Maggiorano un imperatore con un inusitato controllo, per l’epoca, sulla politica imperiale. Ma questo non volle dire tornare indietro ai tempi di Teodosio, Costantino e Diocleziano: Ricimer, nel suo ruolo, era comunque quasi un partner junior di una diarchia e tutte le decisioni dell’imperatore vanno considerate come concordate tra i due. Per questa prima fase del suo regno, ogni volta che nominerò una decisione di Maggiorano fate conto che questa fu almeno avvallata anche da Ricimer.
Riforme a costo zero
Le seguenti leggi di Maggiorano sono una testimonianza di un vero programma politico: l’imperatore decise ad esempio di incrementare ancora il potere del Senato e diede il compito di restaurare i monumenti della città al Senato, togliendo questo potere al Prefetto cittadino. Il problema era che almeno dopo il sacco dei Vandali ma probabilmente già da molto tempo i cittadini ben collegati della città si stavano costruendo nuove case e magnifici edifici alle spese dei monumenti pubblici: si era sviluppato un vero commercio del diritto ad estrarre pietre e materiali preziosi dai templi antichi, con la scusa spesso che questi fossero pericolanti. Al centro di questo commercio c’era l’ufficio del Praefectus Urbis, il prefetto cittadino che da tempo era la massima autorità a Roma e che era coadiuvato da una piccola burocrazia che si stava arricchendo sulle spalle dell’immenso patrimonio edilizio pubblico romano. Ogni riferimento a fatti o cose contemporanee è puramente causale.
Leggiamo un passo della legge di Maggiorano, datata 11 luglio 2018, pardon, 458: “E’ manifesto che gli edifici pubblici che donano dignità alla città di Roma sono sotto attacco e vengono distrutti dalle raccomandazioni dell’ufficio del prefetto cittadino. Si pretende che le pietre estratte dai monumenti antichi siano necessarie per riparare edifici pubblici ma spesso con la scusa di piccole riparazioni interi edifici antichi vengono distrutti con lo scopo di costruire edifici privati, attraverso il favoritismo di un alto ufficiale della burocrazia. Ma questi edifici appartengono allo splendore della città e andrebbero preservati dallo spirito civico di tutti i cittadini”. Andrebbero è la parola chiave: anche allora gli italiani erano alla ricerca di questa creatura mitologica, almeno alle nostre latitudini: lo spirito civico.
Nella rapacità delle élite italiane c’era in un certo senso una buona notizia: evidentemente dopo il sacco del 455 i senatori erano tornati a Roma e questo è testimoniato dall’archeologia: le grandi ville romane, infatti, continuarono ad essere occupate per tutto il quinto secolo e l’inizio del sesto. Inoltre il trasferimento del controllo dell’ufficio delle riparazioni dal Prefetto del Pretorio al Senato incrementò il potere e le possibilità di patronato di quest’ultimo, continuandone l’ascesa.
Maggiorano non si preoccupò solo degli edifici ma anche di molte altre questioni: l’imperatore identificò che uno dei potenziali problemi a lungo termine per le finanze imperiali era il crescente numero di donazioni alla Chiesa. Spesso le ricche vedove lasciavano le loro terre alla Chiesa, sottraendo al fisco e all’economia civile un pezzo di economia, visto che le proprietà della Chiesa non erano tassate, un po’ come per l’IMU ancora oggi. Maggiorano proibì quindi alle giovani vedove di prendere gli ordini, cercando di incitarle a risposarsi, contando che con nuovi mariti e nuovi figli avrebbero avuto meno incentivi a donare le terre al patrimonio ecclesiastico.
Inoltre l’imperatore vedeva di malocchio l’abitudine delle famiglie aristocratiche di destinare le loro figlie al convento, al fine di ridurre la dispersione dei patrimoni: in questo modo molte ragazze di buona famiglia venivano diseredate e sottratte al matrimonio, pesando anche sulla demografia dell’Impero. Possono sembrare preoccupazioni minori, ma Maggiorano temeva che l’aristocrazia terriera italiana si stesse riducendo troppo, la natalità della popolazione italiana essendo artificialmente ridotta. O almeno la natalità delle classi elevate.
Infine Maggiorano decise di riportare in auge l’ufficio del difensore civico, il magistrato cittadino che aveva il compito di difendere gli interessi di una città nelle cause contro l’amministrazione statale: una preoccupazione molto moderna che svela l’intento dell’imperatore di riconnettere le leadership locali ai destini dell’Impero, proteggendo i cittadini nei confronti degli abusi degli ufficiali pubblici.
Tutto questo turbinio legislativo mi ricorda qualcosa molto più vicino a noi: le cosiddette riforme a costo zero. Spiego: l’Italia è da decenni afflitta da un pesante debito pubblico che rende difficile investire davvero in ambiziosi progetti legislativi che richiedano larghi investimenti, quindi la maggior parte delle riforme tendono ad essere senza grandi costi per le casse dello stato. A volte si tratta di riforme di bandiera, volte a costruire consenso verso l’amministrazione di turno. Maggiorano non aveva un debito pubblico al 130% del PIL – nell’antica Roma non esisteva neanche il concetto di debito pubblico – ma l’imperatore aveva ereditato un troncone di impero della dimensione della penisola italiana e un esercito troppo piccolo per riconquistare le province sfuggite al suo controllo ma allo stesso tempo troppo grande per essere pagato solo dalle tasse degli italiani. Era evidente anche a Maggiorano che la vera priorità era altrove ma l’Imperatore cercò disperatamente di dimostrare all’opinione pubblica che aveva a cuore il benessere dell’impero, senza poter all’inizio mettere mano al vero problema numero uno, la campagna di riconquista dei territori e degli introiti finanziari che lo avrebbero reso di nuovo solvibile e sostenibile.
La sfida militare

Nonostante la sua attività riformista Maggiorano era consapevole che la sua amministrazione alla fine sarebbe stata giudicata soprattutto sul piano militare. Maggiorano e Ricimer avevano pensato ad un piano che, se tutto fosse andato per il verso giusto, avrebbe permesso all’impero di recuperare i territori perduti, sconfiggere i ribelli, riprendere l’Africa e ristabilire la sostenibilità dell’edificio imperiale. Era un piano ambizioso e avrebbe richiesto una buona dose di leadership e anche un po’ di fortuna. Ma poteva funzionare.
Il primo passo del piano Maggiorano era di portare nelle casse esauste dell’Impero le risorse per assoldare un esercito d’Italia molto più vasto. Vista la fretta era inevitabile che si trattasse in grandissima parte di mercenari barbari, non c’erano né il tempo né le risorse per una leva dei cittadini romani, che come ho ricordato altrove richiedevano più investimenti e più tempo per la formazione di quanto costassero i foederati, di solito soldati professionisti arruolati all’occorrenza. Ma dove prendere le risorse? Maggiorano decise che l’unica via praticabile per raccogliere in breve tempo i fondi di cui aveva bisogno fosse quella del condono. E si, i governi italiani, alle strette, vi hanno sempre fatto ricorso. Va detto, a difesa di Maggiorano, che il suo era un tipico caso di una reale emergenza in cui il condono può in teoria funzionare, vediamo perché.
Per comprendere il problema di Maggiorano dobbiamo ricostruire la situazione che aveva ereditato: la Dalmazia era governata da Marcellino dai tempi dell’uccisione di Ezio. La Gallia era in rivolta e le città di Lione, Arles e Narbonne – le principali della Gallia Romana – avevano espulso i magistrati imperiali. I Visigoti e i Burgundi, con l’approvazione tacita ed esplicita delle leadership locali Romane, avevano occupato larghi pezzi della Gallia e della Spagna. Il Nordafrica era in guerra con l’Italia e, nonostante i successi del 457, per Maggiorano era ultimamente indispensabile sconfiggere Genseric e riconquistare l’Africa, se voleva riparare l’economia italiana e le prospettive militari dell’impero.
Il piano di Maggiorano

Per risolvere questa situazione disperata Maggiorano stabilì un piano logico: prima di tutto occorreva riportare la Gallia nell’alveo imperiale e l’unico modo per farlo era di sconfiggere Teoderic II e i Visigoti, oltre che i Galli orfani del loro imperatore Avito. Una volta coperto il fianco gallico, sarebbe stato possibile recuperare la penisola iberica dove l’attività di Avito e Teoderic aveva distrutto buona parte della minaccia Sveva. E l’Iberia sarebbe stata la piattaforma di lancio per la più importante ed ambiziosa missione di tutte: riconquistare l’Africa.
Ma per affrontare questo piano logico Maggiorano aveva bisogno di un esercito più grande di quello che aveva ereditato, l’esercito d’Italia non sarebbe mai stato sufficiente per l’impresa. Ancor peggio, da decenni oramai i Romani avevano trascurato la flotta: pressati dalla minaccia degli Unni e privi degli introiti dell’Africa, Ezio e Valentiniano III avevano comprensibilmente concentrato le risorse sugli eserciti di terra. Le grandi flotte di Miseno e Ravenna si erano ridotte al lumicino e questo aveva permesso ai Vandali di costruire una flotta a Cartagine che era riuscita a prendere possesso, in sostanza, del mediterraneo occidentale, riportando la situazione strategica del mediterraneo occidentale ai tempi antecedenti alla prima guerra Punica, quando Cartagine dominava il mare e Roma la terra. L’unico modo di invadere l’Africa era di costruire due nuove flotte, una per il trasporto delle truppe in Africa e una per il presidio dell’Italia.
Per rafforzare l’esercito e costruire ex novo due nuove flotte Maggiorano aveva bisogno, appunto, di molti soldi, e subito: non aveva il lusso di poter aspettare che lentamente si ricostituisse la forza dell’impero. Gli servivano i fondi per passare immediatamente all’offensiva: con un po’ di fortuna il costo futuro di questa infrastruttura militare sarebbe poi stato pagato dai territori conquistati.
A tal fine era dedicata quella che fu la più importante Novella di Maggiorano, la II, datata 11 marzo 458, vale a dire a pochi mesi dalla conferma di Maggiorano al trono e proprio all’inizio della stagione militare. Si tratta della sua più importante iniziativa domestica volta al rilancio dell’impero.
Nella girandola dei governi degli ultimi anni molti proprietari terrieri ne avevano approfittato per evitare di versare le loro tasse e si erano accumulati arretrati molto importanti, sempre teoricamente dovuti all’amministrazione imperiale. Maggiorano era consapevole che cercare di raccogliere questo denaro sarebbe stata un’impresa lunga e costosa, soprattutto in assenza della collaborazione dei proprietari terrieri. Ma a lui i soldi servivano ora, immediatamente: i latifondisti ottennero quindi un condono delle tasse dovute fino al 31 dicembre 457, con la condizione di versare in anticipo e in solido le tasse dovute al fisco per il 458.
La classe senatoriale rispose positivamente all’iniziativa dell’imperatore e i fondi arrivarono. Maggiorano si mise all’opera, reclutando tra i Germani un grande numero di soldati provenienti dal mondo Danubiano e mettendo in mare le sue due grandi flotte. Era tempo di passare al primo punto del suo piano, la Gallia.
Guerra in Gallia

Sappiamo che la Gallia era in aperta ribellione: un’iscrizione del 458 di Lione riporta il solo console orientale e ignorando il consolato di Maggiorano, segno che l’imperatore non era riconosciuto in Gallia. Inoltre un arcidiacono di Lione viaggiò verso Costantinopoli e chiese all’imperatore Leone di rimettere le tasse sulla città, un fatto che mostra un palese disprezzo della giurisdizione dell’imperatore occidentale. Sappiamo inoltre che i Galli avevano nominato un Carneade a reggere l’ufficio del prefetto pretorio della Gallia.
Maggiorano aveva già inviato il nuovo Magister Militum per Gallias attraverso le Alpi, un certo Egidio, un uomo di cui sentiremo ancora parlare perché manterrà questo ruolo fino alla morte. Egidio ebbe dei successi iniziali ma finì per essere assediato ad Arles dall’esercito Visigotico al completo al comando di Teoderic II. Sul finire del 458, per rilevare l’assedio, Maggiorano attraversò le alpi con la sua armata composta di unità dell’esercito d’Italia e delle nuove reclute germaniche. L’imperatore affidò il controllo e la difesa dell’Italia al suo collega Ricimer, con l’obiettivo in particolare di tenere a bada i Vandali: molti storici ritengono che questo isolare Ricimer in Italia fosse un insulto per Ricimer ma rimanere a capo della penisola, il cuore di quello che restava dell’impero, era invece un grande onore.
I Visigoti erano ancora impegnati nel loro ennesimo assedio di Arles quando l’armata di Maggiorano gli piombò addosso. Maggiorano affrontò in battaglia senza timore i Visigoti di Teoderic, il più forte popolo barbarico che viveva dentro i confini dell’impero: il nostro Impero Romano, incurante del fatto che tra meno di venti anni non esisterà più, inflisse una tremenda sconfitta ai Visigoti, i vincitori di Adrianopoli e dei Campi Catalaunici. Teoderic fu costretto a scappare a Tolosa a gambe levate, Arles fu liberata e l’intera Provenza tornò sotto il controllo di Maggiorano. Una ulteriore spedizione militare a Lione riportò questa città nell’alveo imperiale, città che aveva aperto le porte al re Gundioc dei Burgundi pur di non sottostare a Ravenna. La Gallia del nord, in pratica i territori intorno a Parigi, fu riunita al cuore dell’Impero ed Egidio fu inviato a presidiarla.
Maggiorano marciò dunque verso Tolosa e qui si combatté una seconda battaglia campale contro i Visigoti, con lo stesso esito della prima. Teoderic dovette arrendersi e riconsegnare ogni centimetro quadrato che aveva conquistato dalla caduta di Ezio, ivi compresi i territori della Spagna che i Visigoti avevano sottratto agli Svevi. I Visigoti tornarono inoltre allo stato di Foederati, impegnandosi a combattere per l’Impero come si confaceva a dei buoni alleati sottomessi. I Goti, dopo decenni di ascesa politica, erano tornati allo status di sempre grazie ad una campagna militare di pochi mesi. Per Maggiorano fu una apoteosi, coronata dal riconoscimento del suo governo da parte dei provinciali della Spagna, della Gallia e della Dalmazia. La prima fase del suo piano era stata coronata dal completo successo.
Vincere il cuore dei Galli

L’imperatore rimase in Gallia durante l’intero anno del 459, per consolidare il suo potere. Maggiorano usò sia il bastone che la carota: sui Gallo-Romani furono imposte tasse pesanti, anche svalutando il solidus visigotico che aveva iniziato a circolare in Gallia e che fino a questa data aveva avuto lo stesso valore di corso del solido imperiale. L’imposizione di una pesante tassazione era allo stesso tempo un modo per punire l’infedeltà al governo imperiale dei Galli – almeno dal punto di vista degli italiani – e per finanziare la seconda fase delle campagne militari di Maggiorano. La carota fu l’elevazione a ruoli di governo di diversi membri del concilio delle Gallie, con il dichiarato obiettivo di riconciliare la Gallia all’Italia, inserendola di nuovo nel sistema imperiale. Maggiorano permise ad uno dei membri dell’amministrazione di Avito, il nostro Sidonio Apollinare, di declamare un panegirico all’imperatore: nel testo ovviamente Sidonio loda Maggiorano, ma con molto tatto il poeta parla sia con entusiasmo dei preparativi della seguente campagna militare del 460, sia con delicatezza ricorda all’imperatore che le tasse sono alte e che tutti i Galli sperano che siano ben spese.
In Italia, durante tutto il 459, Ricimer continuò a reggere la penisola, forse con una punta di invidia nei confronti dei successi di quello che lui percepiva ancora come un collega, ma che oramai per l’opinione pubblica gli era decisamente superiore. Maggiorano e i suoi generali gallici avevano ottenuto un grande successo e a lui era rimasto il compito di difendere l’Italia da Genseric, un incarico prestigioso ma meno carico di gloria, visto che i Vandali non si erano fatti vivi dopo gli insuccessi degli anni precedenti.
La risposta di Genseric
Genseric aveva rivalutato infatti la sua situazione e all’improvviso comprese di essere il prossimo nella lista: i Romani erano in controllo dell’intero mediterraneo settentrionale e di nuovo aiutati dai Visigoti. Con l’indebolimento della potenza Sveva in Iberia era rimasto un solo nemico importante per Maggiorano. Genseric si rassegnò ad inviare messaggeri in Gallia, per cercare un accordo con l’impero: d’altronde aveva ancora le principesse imperiali da cedere in cambio della pace. Maggiorano però non aveva nessuna intenzione di togliere le castagne dal fuoco di Genseric: il suo obiettivo era di recuperare l’Africa, o almeno di espellere i Vandali da Cartagine e dalle province immediatamente confinanti. I messaggeri tornarono a Cartagine con un nulla di fatto.
Genseric, forse sarà oramai chiaro, non era però un generale e un politico di secondo ordine: aveva capito quale era il piano di Maggiorano e diede ordine di preparare la flotta e di distruggere i pozzi e danneggiare le strade che collegavano la Tingitana – il moderno Marocco – a Cartagine. E aveva completamente ragione: gli storici hanno infatti ricostruito che l’intento di Maggiorano era di portare la sua nuova flotta mediterranea a costeggiare la penisola iberica fino allo stretto di Gibilterra, accompagnando la marcia del suo esercito. Qui, negli stretti, la flotta sarebbe riuscita nell’intento di trasportare l’armata d’invasione attraverso le poche miglia che separavano la futura Gibilterra dall’Africa. Infine l’esercito avrebbe attraversato l’Africa settentrionale come avevano fatto decenni prima, nel 429, i Vandali al comando di Genseric.
L’ultima fase del piano
Per raggiungere questo obiettivo Maggiorano dedicò l’intero 459 al rafforzamento ulteriore della sua flotta del mediterraneo occidentale. Questa era composta da un numero piuttosto ristretto di Dromoni da combattimento – le navi che avevano sostituito le triremi antiche – e da un numero assai maggiore di trasporti. Gli storici antichi ci hanno riportato un dato che è nel complesso realistico: 300 navi, la più grande flotta messa insieme dai romani forse da un secolo. Ogni fibra dell’occidente, ogni risorsa residua fu utilizzata per allestire e rifornire di ogni bene necessario la flotta e il nuovo esercito imperiale. Spie furono inviate in Africa per mappare lo stato delle difese dei Vandali, valutarne la consistenza militare sia per terra che per mare. Quello che riferirono rasserenò l’imperatore: i Vandali non avevano una flotta della dimensione sufficiente a sconfiggere la sua nuova invincibile armata. Allo stesso tempo Maggiorano era consapevole che la sua flotta, per quanto vasta, non aveva l’esperienza di quella vandalica, impegnata a combattere nel mediterraneo da molti anni e composta oramai da marinai di indubbia esperienza. L’impero non poteva correre il rischio di giocare ai dadi di una battaglia navale il destino dell’occidente e della sua ultima speranza.
No, Maggiorano non avrebbe giocato sul campo dove il suo nemico era più forte. Nell’anno seguente, il 460, l’imperatore avrebbe guidato la sua grande flotta e il suo rinnovato esercito fino ai confini del mondo, alle colonne d’Ercole. Di lì, con un breve salto attraverso il mare, avrebbe restituito il favore a Genseric e portato finalmente la guerra in Africa.
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Nel prossimo episodio seguiremo Maggiorano nella sua campagna contro Genseric, che si dimostrerà come al solito un nemico molto più capace di quanto i Romani gli dessero credito. Ricimer e il Senato prenderanno infine una decisione drammatica, gravida di conseguenze.
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2 pensieri riguardo “Episodio 39, una nuova speranza (458-460) – testo completo”