Episodio 83: l’impero dei Franchi – testo completo

L’ambasciatore dei Goti entra nella grande sala del trono di Mettis, capitale dell’Austrasia, la moderna Metz. È ancora stanco e sporco a causa del lungo viaggio, ma non sembra aver voluto ripulirsi prima di presentarsi di fronte al Re e alla sua corte: una mancanza di rispetto, anche se dovuta alla fretta.

Il giovane Re Theodebald siede sul suo trono, un diciassettenne gracile. I lunghi capelli mai tagliati dei Re merovingi gli cadono sulle spalle, ma è il Maestro del Palazzo a governare l’Austrasia in sua vece. L’ambasciatore guarda entrambi e poi parla: “Grave è l’ora del nostro incontro, maestà. Il nostro Re Teia è morto, ma in tutta Italia ci sono ancora tanti che resistono a Narsete e che non accettano di vivere sotto l’Impero. Di comune accordo, a Pavia abbiamo scelto di non nominare un Re d’Italia e chiediamo che siate voi a venire nel nostro paese ad assumere la corona”.

Le parole del messaggero rimbombano nella sala. Il maestro del Palazzo vorrebbe quasi sfregarsi le mani: pochi anni prima il regno di Teodorico era stato il loro grande spauracchio, ora poteva cadere nelle loro mani.

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Il successore di Procopio

Eccoci qui, siamo finiti oltre le colonne d’Ercole di Procopio, prima di iniziare la narrazione penso valga la pena di dire due parole su Agazia, la fonte per i prossimi anni della nostra storia. Nativo dell’Asia Minore, studiò legge ad Alessandria per poi diventare un avvocato nella capitale, la passione per la legge trabocca per esempio in un passo in cui descrive nei minimi particolari il processo intentato da Giustiniano contro i suoi generali in seguito all’assassinio di Gubazes, il Re della Lazica.

Come tante altre persone – ehm – la sua vera passione non era il suo lavoro ma la letteratura: scrisse degli epigrammi e fu convinto dai suoi amici a scrivere una continuazione della storia di Procopio, che si era fermato al 552. Ci sono giunti cinque libri delle sue storie, modellate sull’esempio del suo grande maestro Procopio: coprono gli anni dal 552 al 558, perché probabilmente la morte di Agazia, intorno al 585, pose fine all’opera. Vedremo però che un altro prenderà il suo mantello, continuando l’opera di Procopio e Agazia.

Trovare una traduzione di Agazia è stata un’impresa: non sono abbastanza proficiente in greco da leggere l’originale e, che ci crediate o meno, non mi risulta che esista una traduzione italiana, cosa che giustifica in parte la convinzione di molti che la guerra d’Italia terminò con la battaglia di Busta Gallorum, l’ultima narrata da Procopio. Per fortuna ho trovato un testo in inglese e ho potuto leggerlo. Non vi parlo spesso della mia ricerca, ma in questo caso ritengo fosse importante ed interessante.

Agazia inizia la sua narrazione con le immediate conseguenze della battaglia dei Monti Lattari: “Questa svolta degli eventi portò tutti a credere che i combattimenti in Italia si fossero positivamente conclusi per l’Impero: in realtà la guerra di Narsete era appena iniziata. Per la mia parte, sono convinto che la nostra generazione non vedrà mai il termine di queste guerre devastanti”. Come potete forse già notare, Agazia ama dare il suo parere sulle cose. Il sentimento di scoraggiamento di fronte alle eterne guerre imperiali, dopo che Giustino e Giustiniano posero fine alla lunga con la Persia, è palpabile.

La prima cosa che fece Narsete dopo la battaglia dei Monti Lattari e la resa dei Goti fu di portare l’assedio a Cuma, città tenuta da una forte guarnigione al comando di Aligern, il fratello minore di Teia: un dettaglio interessante è che il padre di entrambi si chiamava Fritigern, un nome che mi ricorda qualcosa.

Quanto agli altri Goti, quelli arresisi a Narsete, questi tornarono alla spicciolata alle loro case: alcuni si unirono a Ragnaris, il comandante Unno della guarnigione di Acerenza, sempre in rivolta contro Narsete. Altri tornarono alle loro case oltre il fiume Po. Un migliaio di irriducibili, come detto, nello scorso episodio, andarono a Pavia e qui inviarono dei messaggeri nel regno dei Franchi, a ricordare che c’era un accordo tra Goti e Franchi: credo che i Goti non elessero un loro Re proprio per dimostrare a Theodebald che intendevano finire nella sua sfera di influenza.

I Franchi secondo Agazia

La Gallia nel 511, alla morte di Clovis (Clodoveo) con la spartizione del regno tra i suoi figli. Il regno di Reims diverrà un giorno l’Austrasia, quello di Parigi la Neustria

Al tempo in cui scrive Agazia, i Franchi erano gli alleati degli imperiali nella prossima fase della guerra infinita del sesto secolo, quella che contrapporrà – spoiler alert – gli imperiali ai Longobardi. Agazia descrive i Franchi, trattati da veri Barbari dal suo predecessore Procopio, come una specie di governo illuminato di Germani cattolici, ormai decisamente romanizzati: “il loro sistema di governo, l’amministrazione e le leggi sono modellate più o meno sullo stile romano. Sono a tutti gli effetti cristiani e aderiscono alla più stretta ortodossia religiosa. Nelle loro città hanno dei magistrati e dei preti e celebrano le feste nello stesso modo in cui lo facciamo noi e, per un popolo barbarico, mi sembrano ben educati e civilizzati e praticamente uguali a noi, a parte il loro stile rozzo di vestirsi e il loro linguaggio peculiare”: a volte Agazia suona come un lord inglese dell’Ottocento che parla dei nativi.

Questa rappresentazione dei Franchi, che sono lodati anche per condividere il potere tra più regnanti senza che vi siano guerre tra parenti, è piuttosto ingenua e romanzata. Ad Agazia sfugge, per esempio, la realtà delle lotte spietate tra parenti che avvenivano in continuazione alla corte dei sovrani Merovingi. Per capire quanto avesse ragione Agazia in questa descrizione, vorrei quindi passare il resto dell’episodio a parlare del regno dei discendenti di Clovis, il vero fondatore del dominio dei Franchi. D’altronde, abbiamo lasciato la descrizione della Gallia all’inizio del sesto secolo. Credo sia venuto il tempo di parlare cosa accadde a nord delle Alpi e nel vasto regno dei Franchi durante il sesto secolo, in modo che voi vi facciate un’idea di questo importantissimo vicino dell’Italia che – come vedremo – continuerà a bussare regolarmente alle sue porte. Cerchiamo di capire cosa è cambiato, e cosa è restato simile, nelle terre a cavallo del Reno.

Innanzitutto, specifico un termine: ogni tanto farò riferimento al regno dei Franchi come Franchia, non va inteso come Francia: la moderna Nazione francese è parente alla lontana della parte occidentale della Franchia, la moderna Germania della parte orientale dello stesso regno: la Franchia antica è composta sia di componenti germaniche che latine.

I vantaggi di essere un franco

Nel 511 era morto il primo Re cristiano dei Franchi, Clovis, il vero fondatore del regno e che si era convertito al cristianesimo a Rheims. Clovis aveva sconfitto Siagrio, l’ultimo ufficiale romano della Gallia, per poi distruggere la forza del regno di Tolosa, dei Visigoti. Clovis era arrivato a dominare tutta la Gallia centro-settentrionale, ma quella mediterranea rimase nelle mani di Teodorico e dei suoi successori. Teodorico costruì una rete di alleanze per imbrigliare la potenza espansiva del regno dei Franchi: si alleò con Alemanni, Burgundi e Turingi, costruendo un cordon sanitaire attorno ai Franchi. La potenza militare dell’Italia era troppo forte per essere sfidata finché Teodorico era vivo.

La fortuna della Franchia fu il caos dinastico che afflisse l’Italia alla morte di Teodorico. I Franchi sentirono che era arrivata la loro occasione: nel 531 colpirono ad est, distruggendo il regno dei Turingi, nel 534 – l’anno in cui Amalasunta perse la vita – distrussero i Burgundi. Nel 536 acquisirono dal Regno d’Italia la Provenza, la preda più ambita che gli aprì la porta ai commerci con il mediterraneo, fino ad allora preclusi dall’Impero di Teodorico. I Franchi ottennero questo in cambio di un debole aiuto ai Goti nella loro guerra, che non si rivelò decisivo. Anzi, il Re dell’Austrasia Theodebert invase l’Italia nel 539, come abbiamo visto fu sconfitto solo dalle malattie e dalla carestia. L’epidemia di peste del 543 colpì duramente la Gallia, arrestando temporaneamente l’espansionismo franco, ma già poco tempo dopo sappiamo che l’autorità di Theodebert si era estesa sia sul Veneto, in seguito all’accordo con Totila, sia sui territori di un nuovo popolo, i Baiuvarii, gli antenati dei Bavaresi, tanto che Theodebert si vanta in una lettera a Giustiniano che i suoi territori vanno dalla Pannonia all’Oceano Atlantico. La prima volta che avevo sentito di questa vanteria mi era sembrata la tipica esagerazione di un Re barbaro, ora invece credo di aver capito cosa intendesse Theodebert. In pochi decenni, i Franchi avevano costruito un dominio imperiale che davvero si estendeva su quasi tutta la moderna Europa renana: Francia, Germania, Austria, Svizzera e Benelux.

Baiuvarii

Territori dei Baiuvarii-bavaresi, oggi corrisponde ad un vasto territorio a cavallo tra Austria, Germania e Italia

Ho nominato en passant i Bavaresi, ma questo nuovo gruppo merita un piccolo approfondimento perché, come vedremo, è importante per la storia italiana. Questo “popolo” era nato da una etnogenesi, ormai dovreste sapere di cosa si tratta: la formazione di una comunità attorno ad una memoria condivisa, una religione, un capo, un gruppo di guerrieri. Nel caso dei Baiuvarii, sembra che questi abbiano attratto pezzi e relitti galleggianti di una mezza dozzina di tribù germaniche, oltre che un buon numero di ex cittadini del norico romano, abbandonati dalle autorità imperiali, e che altro non erano che i discendenti dei Galli Boi, una tribù preromana che viveva nell’area, i Baiuvarii avrebbero preso il nome proprio da questo popolo preromano. Ad inizio sesto secolo, i bavaresi occupavano le terre tra il Danubio e le Alpi ed erano finiti nell’orbita dell’Italia di Teodorico. A metà del sesto secolo le difficoltà dell’Italia portarono l’ex Norico romano, grosso modo le moderne Baviera e Austria, nella sfera d’influenza dei Franchi. Intorno al 555, Re Theodebald – il figlio di Theodebert – nominò duca dei Baiuvarii quello che fu il capostipite accertato della dinastia che dominerà a lungo la Baviera, gli Agilolfing: il suo nome era Garibald I. La dinastia, come vedremo, avrà un’importanza chiave nella storia italiana, intrecciando i suoi destini con quelli del regno Longobardo: d’altronde, il duca Garibald, nel 555, sposerà Waldrada, la figlia del Re dei Longobardi Wacho e che per ora è felicemente sposata con il Re dei Franchi dell’Austrasia, Theodebald. Garibald e Waldrada avranno diversi figli, una di queste sarà una ragazza intelligente e capace: le daranno il nome di Teodolinda. Passeremo molto tempo assieme a lei, la Galla Placidia dei Longobardi.

Dialetti “bavaresi” del moderno tedesco, sovraimposti sui confini moderni

Impero dei Franchi

Quindi a metà del sesto secolo, i Franchi avevano costruito un grande regno che andava dalle coste dell’Atlantico alla moderna Ungheria, dal mediterraneo al cuore della Germania. Peter Heather, nel suo libro “Empires and Barbarians” definisce senza mezzi termini questo stato un “impero”. Ovviamente i Re dei Franchi non erano imperatori, anche se Theodebert sembra aver accarezzato il pensiero di farsi imperatore d’Occidente. In una lettera a Giustiniano, Theodebert si dichiara signore di molti popoli: i Visigoti, i Turingi, i Sassoni e gli Juti, oltre che signore della Francia, della Pannonia e del nord Italia. Ho inserito una mappa sul mio sito per darvi un’idea dei luoghi.

Se Theodebert non si chiamava imperatore, quello dei Franchi era comunque un vasto impero multilingue, esteso su entrambi i lati dell’antica frontiera renana dell’Impero romano. Anche il regno di Teodorico aveva un qualcosa di imperiale, ma la sua natura era molto diversa: si trattava di un Impero mediterraneo, nella geografia, nella cultura, nell’amministrazione, come d’altronde l’Impero romano. Questa nuova creatura dei Merovingi era differente: siamo di fronte al primo potere davvero imperiale nato e cresciuto nell’Europa renana e che nell’Europa renana aveva il suo cuore. Ma in cosa differivano l’antico impero dei Romani e questo nuovo impero dei Franchi?

Prima di tutto vorrei dire che ho utilizzato soprattutto due fonti contemporanee per scrivere questo episodio: la France avant la France di Genevieve Buhrer-Thierry e il già citato Empires and Barbarians del mio adorato Peter Heather.

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La prima, grande differenza era nella più importante caratteristica dello stato romano: la sua capacità di tassare la terra, in modo da permettersi un esercito professionale. Come vedremo alcuni pezzi di romanità sopravvissero alla caduta dell’Impero in Gallia, ma non questo. I Franchi non avevano l’amministrazione e probabilmente neanche la struttura sociale e l’indole per giustificare una tale impresa: sembrava assai più semplice distribuire le terre alla classe militare in cambio dei suoi servigi.

Dalle tasse alla terra

Cerchiamo di capire la differenza: nel sistema romano esisteva una differenza tra i grandi proprietari terrieri, di solito civili, e la leadership militare. I latifondisti pagavano le tasse che a loro volta servivano a finanziare i lauti stipendi dei generali, degli ufficiali e anche dei soldati semplici dell’esercito romano. La linea distintiva non era così netta ed assoluta, i vertici militari tendevano a sposarsi all’interno di famiglie nobili, o ricevevano spesso delle terre dall’imperatore in cambio dei loro servigi. Ma questo sistema poteva mantenere in vita una classe di proprietari terrieri civili, i cui diritti erano garantiti dall’autorità statale che li proteggeva, almeno in teoria, dalle vessazioni degli uomini con le spade. Questo permetteva a due classi dirigenti, civile e militare, di coesistere nella guida dell’Impero.

L’impero dei Merovingi

Il mondo dei Franchi era molto diverso: la zona d’origine del regno, il nord della Gallia, vide una forte discontinuità nel sistema economico. Probabilmente molte delle grandi ville latifondiste furono accaparrate dai vertici militari dello stato franco, con le buone o con le cattive, mentre è altrettanto probabile che una parte della classe dirigente romano-gallica si militarizzò a sua volta, seguendo le richieste e l’esempio della nobiltà franca. In definitiva, comunque, nella Franchia c’era una sola classe dirigente, e questa era militarizzata. Tutti i nobili dovevano al sovrano il loro servizio militare e avevano il compito di mobilizzare i soldati alle loro dipendenze.

L’assenza di una tassazione sistematica della terra non voleva dire che i sovrani Merovingi non avessero entrate: innanzitutto ricavano rendite dalla terra di proprietà personale del Re, che soprattutto all’inizio della loro storia era molto rilevante, probabilmente essendosi impadroniti delle terre di proprietà dell’imperatore – la cosiddetta res privata. I Merovingi tassavano anche le importazioni, in particolare sul fiume Rodano, l’autostrada d’acqua che era la principale arteria per muovere le merci dal mediterraneo al cuore della Gallia. Quando si impadronirono della Provenza, nel 536, i Merovingi poterono anche mettere le mani sui dazi di scarico nei porti provenzali, una delle ragioni principali per le quali avevano voluto un accesso al mar mediterraneo. Queste rendite erano sufficienti a mantenere un nucleo di soldati alle loro dirette dipendenze, quello che in latino si direbbe il Comitatus, un concetto che ci è familiare ma che è lui stesso derivato dalle società germaniche del periodo tardo-imperiale.

Una grande basilica di epoca merovingia, a Metz, realizzata riutilizzando delle terme romane

Il Comitatus dei Re Franchi aveva però un altro nome: si chiamava il Trustis, una parola che deriva probabilmente dalla stessa radice della parola “trust” in inglese. Si trattava delle persone di “fiducia” del sovrano, che prendevano il nome di antrustion. Tra il sovrano e i suoi antrustions si creava un legame di dipendenza basato su un rapporto di scambio: il Re li conduceva in guerra, gli forniva la sua protezione e gli assicurava vitto e alloggio, in cambio loro gli fornivano il loro supporto militare.

Degli antrustions di particolare valore e successo venivano ricompensati con donazioni monetarie, ruoli a corte e – soprattutto – con delle terre. Quando un antrustion diventava un grande proprietario terriero, questi diventava sempre di più parte della classe nobiliare franca, ai quali era richiesto di servire nell’esercito. I grandi proprietari terrieri erano quindi guerrieri, o non rimanevano a lungo grandi proprietari terrieri: gli uomini con le spade trovavano il modo di mettere le mani sulle terre degli uomini che le spade non ce le avevano. Non c’è da stupirsi che diversi grandi latifondisti romani divennero rapidamente “franchi”. Si trattava anche e soprattutto di un meccanismo di autodifesa.

Vi ho spiegato tutto questo perché gli storici fanno risalire al legame tra sovrano e trustis l’origine del sistema feudale, che di base nasce proprio come uno scambio tra un prestatore di servigi militari e il proprio sovrano. Inizialmente i benefici che ricevono gli antrustions erano dei pagamenti – vitto, alloggio, bottino, protezione – ma presto il beneficio si estese alla concessione di terre in proprietà, a volte anche in proprietà temporanea, un beneficio che decadeva alla morte del beneficiario.

Nobili e Trustis si aspettavano che il loro Re gli concedesse quello che sia Clovis che i loro discendenti gli avevano sempre dato: grandi occasioni di arricchirsi ai danni dei vicini. I Franchi, la prima potenza della Gallia, erano stati in continua espansione per settant’anni. La guerra per i Franchi era di natura principalmente predatoria e redistributiva: conquistare il regno dei Burgundi voleva dire uccidere un bel po’ di nobili Burgundi, a quel punto le loro terre sarebbero state redistribuite tra i nobili franchi vittoriosi mentre i soldati si sarebbero riempite le tasche di bottino. Questa aspettativa generava una continua spinta espansionistica verso l’esterno. I Re dei Franchi, privi di un complesso sistema di tassazione, utilizzavano la guerra nei confronti dei nemici come un semplice meccanismo per continuare a retribuire e ricompensare i loro uomini in armi, oltre che ammassare anche loro nuove terre dalle quali ricavare fondi per la propria corte. Ad un certo punto però la spinta espansionistica si esaurì: a metà del sesto secolo, i Franchi avevano conquistato tutti i vicini deboli e si trovavano con dei nemici o troppo poveri (i popoli ad est) o troppo potenti (quelli a sud).

La fine dell’espansione segnerà un passaggio fondamentale nella storia dei Franchi: i Re che succederanno a Clothar, il figlio di Clovis che riunì brevemente nelle sue mani il regno tra il 558 e il 561, non potranno più accaparrarsi nuove terre da distribuire ai loro seguaci. Di conseguenza, saranno costretti a ricompensare i servigi dei loro nobili in armi in altri modi. Non avendo consistenti entrate dalla tassazione, si compreranno i servigi della nobiltà franca cedendo loro pezzi delle grandi proprietà terriere della corona. In una società dove la terra era tutto, la fonte del prestigio e del reddito dei sovrani, quindi del loro potere, questo equivarrà a diluire il potere monarchico. Il processo continuerà per decenni finché – nel settimo secolo – l’autorità dei Re dei Merovingi verrà eclissata dai più importanti tra i loro nobili, i Maestri di Palazzo, in latino Maior domus, da dove deriva il termine di Maggiordomo. Niente a che vedere con dei servitori ottocenteschi: i maggiordomi del settimo secolo erano dinastie di nobili franchi che si misero al centro del sistema politico, finendo per relegare i Re Merovingi ad un ruolo di “presidenti della repubblica”, mentre i maggiordomi divennero i veri “presidenti del consiglio”, per fare una distinzione che abbiamo già utilizzato a riguardo della politica romana. La dinastia di maggior successo tra i Maestri di Palazzo, quella dei pipinidi, evolverà nell’ottavo secolo in quella che conosciamo come la dinastia Carolingia. Ma questa è un’evoluzione, a metà del sesto secolo, ancora molto lontana.

I re sacrali

I Re merovingi di quest’epoca, infatti, continuano ad essere potenti: riveriti come discendenti diretti di Clovis, il fondatore, caratterizzati dai loro lunghi capelli, che non vengono mai tagliati per segnare la differenza tra i sacri discendenti di Clovis e i loro sudditi: si, Tolkien ha preso da loro il look di Aragorn e degli altri Numenoreani. A differenza del regno d’Italia, o di quello dei Visigoti e ancor maggior ragione a differenza dell’Impero, per i Franchi la dinastia di Clovis ha un valore sacrale: solo i membri della famiglia dei Merovingi possono essere Re. l’Impero dei Franchi è un business della famiglia reale e nessun nobile, anche il più potente, può ambire ad usurpare il trono dei Merovingi: la competizione è esclusivamente volta a mettere questo o quello dei membri della famiglia reale in posizione di potere. Questo spiega anche la straordinaria longevità della famiglia: i merovingi furono i sovrani della Franchia dalla fine dell’Impero d’occidente – nel quinto secolo – fino alla metà dell’ottavo, tre secoli. Nessuna dinastia imperiale romana durò molto più di un secolo, questo perché fondamentalmente la base di potere del sistema romano non era dinastica e chiunque poteva diventare imperatore. Non è questo il caso del regno dei Franchi.

Il sistema politico dei Merovingi è caratterizzato infine dal caso curioso della divisione e dell’unitarietà della Franchia: Clovis divise il suo regno tra i suoi quattro figli, qualcosa di normale per le società germaniche che intendevano lo stato come patrimoniale, ovvero il patrimonio del sovrano, che poteva quindi dividerlo tra i suoi eredi. Eppure, è evidente come i Franchi continuarono a ritenere il regno come unitario, solo diviso tra più Re: alla morte di uno di loro, il territorio veniva o ereditato da uno dei suoi figli, o riassorbito da un altro Re. I passaggi sono troppo complessi da descrivere in un episodio, ma qui basti sapere che alla fine l’intero regno fu riunito nelle mani dell’ultimo dei figli di Clovis, Chlothar, nel 558. Eppure, inevitabilmente, iniziarono a svilupparsi suddivisioni del regno, raggruppate in gruppi di potenti nobili pronti a sostenere uno o l’altro dei rampolli della casata dei Merovingi. Il più importante dei regni Merovingi fu quello della già citata Austrasia, normalmente con capitale Metz, nel Nord della moderna Francia: l’Austrasia si estendeva su entrambe le sponde del Reno ed era il cuore originale della civiltà franca, comprendeva i paesi bassi, il Belgio e i territori renani di Francia e Germania. La Neustria era invece la parte nordoccidentale della Francia, con capitale Parigi. L’Aquitania e la Borgogna avevano tendenze a loro volta autonome, e forti gruppi di potere locali: si tratta ovviamente della Francia sudoccidentale e sudorientale, rispettivamente. Infine, diversi popoli erano stati integrati nello stato dei Franchi senza che la loro identità fosse particolarmente modificata: Alemanni, Turingi e Bavaresi continuarono ad avere i loro nobili e signori, anche se sotto l’autorità dei Re dei Franchi, in particolare quelli dell’Austrasia.

Un’altra differenza fondamentale tra società franca e quella tardo-imperiale era che la classe dirigente non viveva regolarmente in città: i nobili franchi, di origine germanica o latina, vivevano nei loro palazzi e ville in campagna, spesso evoluzioni di antiche ville tardoantiche. Non dovete però immaginarvi una società medievale: la parcellizzazione del potere reale in feudi non era ancora avvenuta, né l’incastellamento. I Re continuavano a possedere una gran parte delle terre e del potere militare del regno e nessuna fortificazione poteva difendere un nobile dalla potenza del potere del Re.

Parigi in epoca merovingia, con ancora molti degli edifici romani riutilizzati o in rovina

La chiesa

A completare i vertici della società franca c’era però l’ultima possibilità di carriera rimasta ai grandi latifondisti romani: la Chiesa. Conosciamo abbastanza bene i meccanismi della Chiesa merovingia grazie al più grande interessante storico occidentale che scrive all’inizio del settimo secolo: Gregorio di Tours. Alcune aree del regno ebbero una discontinuità ecclesiastica, soprattutto nel moderno Belgio, conseguenza della prima fase pagana dei Franchi, ma la chiesa in Gallia continuò a prosperare nel centro e nel sud del paese e presto tornò anche al nord e iniziò il processo di evangelizzazione dei territori germanici del regno. I sovrani merovingi hanno nei confronti della Chiesa un rapporto quasi contrattuale: in cambio dell’assoluzione dei loro normalmente terribili peccati, i Merovingi offrivano donazioni di terre, privilegi, fondi per la costruzione di istituzioni monastiche. Quando parlo di peccati, parlo di cose grosse: i Merovingi erano tendenzialmente poligami in quest’epoca, prendevano più mogli per assicurarsi la discendenza e regolarizzavano anche i figli nati fuori dal matrimonio. L’uccisione dei parenti era piuttosto comune: Childebert e Chlotar I fecero assassinare i nipoti per prendersi la loro eredità, Chlotar I fece uccidere anche suo figlio Chram che si era rivoltato contro di lui. Fin qui nulla di strano, potreste dire, ma Chlotar fece anche mettere a morte la moglie e le figlie di Chram, che erano sue nipoti: le fece rinchiudere in una capanna di legno a cui fu dato fuoco. Insomma, come detto, c’era un bel po’ di cui farsi perdonare.

La munificenza reale portò alla crescita, dal VI secolo, di grandi strutture monastiche che si diffusero in Gallia, a partire dal monastero di Lerins e Marsiglia in Provenza e S. Martino di Tours nella Loira. S. Martino fu adottato già da Clovis come il santo protettore dei Franchi, fu a Tours che Clovis ricevette da Anastasio le insegne di console nel 508 – ai tempi di Teodorico – e fu a S. Martino che furono depositati molti dei tesori sottratti ai Visigoti dopo la battaglia di Vouillè.  

Il contado

Ricostruzione di villaggio in epoca merovingia

Al di sotto però della classe nobiliare, come era strutturata la società franca? Va detto innanzitutto che – come accaduto nel corso dell’intera tarda antichità – si era andata diluendo la differenza tra liberi e schiavi. I Franchi avevano portato a strutturare la società secondo la tipica organizzazione germanica, divisa in tre classi: i liberi, i semiliberi in stato servile e gli schiavi. Si poteva essere un uomo davvero libero solo se si faceva parte dell’esercito dei Franchi, la libertà in sostanza comportava il servizio militare. I Franchi erano cittadini liberi e i cittadini liberi erano i Franchi: è evidente come nella società franca, una persona di etnia latina con obblighi militari era ritenuto un franco. D’altronde “Franchi” vuol dire probabilmente questo, gli uomini liberi. Se originariamente essere franco aveva una connotazione etnica, a metà del sesto secolo era diventata in sostanza una questione giuridica e militare. L’intero apparato dello stato, o quello che passava per apparato statale presso i Franchi, si interessava in sostanza solamente degli uomini liberi: gli altri erano un affare dei loro padroni, come vedremo.

Chi non aveva i mezzi o l’inclinazione o la fortuna di essere nato libero era in stato servile. I semiliberi possono essere ricondotti al concetto di coloni tardoantichi: degli uomini che cedono parte della loro libertà ad un padrone – qui inteso non nel senso di proprietario ma di protettore. Quando lo stato romano era vivo e vegeto, molte persone avevano scelto o erano state costrette al colonato – sottomettendosi ad un padrone – per sottrarsi alle predatorie richieste del sistema fiscale romano. Nel sesto secolo lo stato romano era venuto meno, ma non era scomparso il colonato, perché comunque i padroni – nella più violenta società franca – avevano il compito di proteggere i coloni dal violento mondo circostante. I coloni di solito avevano in usufrutto le terre padronali, in cambio di un affitto si intende, ma spesso dovevano al padrone anche dei servigi: per esempio, aiutare, nei giorni del raccolto, a mietere i campi del padrone. Questi coloni non avevano la possibilità di uscire dal loro rapporto servile, né di cambiare padrone.

Di converso la situazione degli schiavi era mutata. La più semplice società franca non aveva gli strumenti per gestire le grandi ville tardoantiche, con migliaia di schiavi: gli schiavi continuarono a coltivare la pars dominica della villa, la parte propriamente padronale delle proprietà del latifondista, ma spesso agli schiavi furono affidati lotti della villa padronale da coltivare, sui quali gli schiavi costruirono le loro semplici case. Insomma, la condizione reale economica degli schiavi non era molto diversa da quella dei servi più poveri. Ciò non vuol dire che gli schiavi non preferissero la libertà: a riprova di questo, oltre agli scavi archeologici, abbiamo un testamento del 570, miracolosamente conservato nell’originale, nel quale la ricca Ermentrude affranca 45 schiavi dopo la sua morte: evidentemente era ancora considerato un avanzamento. C’è da sottolineare che tutti gli schiavi avevano il loro terreno, dei beni per il sostentamento e una casa tutta loro.

Questa nuova realtà sociale fa nascere anche nuove forme di insediamento rurale: le campagne tardoantiche erano caratterizzate da grandi ville padronali, le aziende agricole antiche, mentre le città erano il cuore pulsante dell’economia e della cultura. In epoca Merovingia, le città perdono importanza e abitanti, mentre le ville evolvono in villaggi, come si può notare la parola ha proprio origine nel termine “villa”. Il villaggio è l’agglomerato urbano di cittadini liberi, semiliberi e schiavi che vive attorno ad una villa padronale che si trasforma sempre di più in una sorta di villa del signore del villaggio, al quale gli abitanti più poveri debbono parte del raccolto o anche dei servigi. La differenza è che i terreni attorno al villaggio, a differenza della villa tardoantica, non sono per forza tutti di proprietà del signore che vive nella villa e le abitazioni non sono costruite in modo rigidamente ordinato come nel caso della villa tardoantica, ma si distribuiscono in modo più libero attorno alla casa padronale. Questo processo assume forme diverse a seconda delle varie parti in cui è composta la Franchia: a sud della Loira, al solito, permangono di più le abitudini romane e il sistema delle ville tardoantiche, mentre a nord della Loira la situazione è più frammentata e più che un’evoluzione sembra ci sia stata una vera sostituzione del sistema economico precedente.

La cultura

Statua in onore di Gregorio di Tours, il grande letterato della Franchia merovingia

Da un punto di vista culturale, in Franchia il vecchio sistema educativo delle classi dirigenti cadde presto in disuso. Il motivo è presto detto: il sistema educativo tardoantico serviva a formare le classi dirigenti, che avrebbero poi ottenuto dei ruoli apicali nella burocrazia imperiale. Il regno dei Franchi però aveva una burocrazia striminzita e subordinata al potere militare, senza contare che la stessa classe sociale dei grandi proprietari terrieri smilitarizzati finì presto per scomparire: in Franchia, come ho detto, o si era dei validi guerrieri o non si restava a lungo latifondisti. In sostanza, non c’era più bisogno di un sistema educativo avanzato, laico e relativamente di massa che formasse amministratori e burocrati.

Questo non vuol dire che non ci fosse cultura: la chiesa continuò a formare e educare i membri del clero e le scuole ecclesiastiche rimasero presto le uniche facilmente disponibili sul mercato dell’educazione. Non è neanche corretto dire che le classi dirigenti fossero diventate analfabete: in generale i più ricchi continuavano ad insegnare le lettere ai propri rampolli. Dalle fonti è evidente che la base della civiltà merovingia restava la scrittura, sono regolari gli scambi epistolari fra regnanti e potenti: da questo punto di vista, come vedremo, l’Europa Carolingia era assai più arretrata. La lingua utilizzata per la scrittura era ancora il latino, ma non il latino letterario. Si utilizzava il latino detto volgare, ovvero popolare, diretta e continua evoluzione del latino arcaico: in sostanza non c’era ancora stato un divorzio tra la lingua letteraria e quella parlata, questo avverrà solo in epoca carolingia, quando i letterati provarono a ritornare al latino più classico e la lingua parlata continuò ad evolversi verso le lingue romanze, mentre nella parte orientale del grande regno si continuò ovviamente a parlare le lingue germaniche.

L’economia

Quanto alla moneta: i Franchi utilizzavano l’oro come base del loro sistema monetario, proprio come l’Impero e l’Italia. Le monete erano spesso battute con l’effige degli imperatori romani, come abitudine tardoimperiale, ma i Franchi producevano quasi solo tremissis, ovvero delle monete che valevano un terzo di solido. L’aderenza al gold standard imperiale certifica l’importanza del traffico mediterraneo e l’inserimento della Franchia nel sistema economico imperiale. Un altro sintomo è l’utilizzo del papiro egiziano come principale materiale di scrittura: evidentemente la Franchia aveva ancora accesso ad un florido commercio di questo prodotto. In generale, gli scavi archeologici hanno dimostrato che un porto come Marsiglia, nella prima metà del sesto secolo, visse un forte sviluppo, in linea con quanto avvenuto nell’Impero e in Italia, sintomo che i commerci e la popolazione erano in crescita. Ricordo che Marsiglia e Arles, fino al 536, facevano parte del Regno d’Italia ma da qui passava il commercio diretto in Franchia.  

Solo dopo la metà del settimo secolo i Franchi smetteranno di produrre monete d’oro e passeranno all’argento, un metallo più utilizzato nei traffici atlantici, e abbandoneranno il papiro in favore della pergamena. Per lo storico Pirenne, come per molti altri storici più contemporanei, si tratta di due sintomi della frammentazione dell’economia mediterranea seguente all’invasione degli arabi. Per molti versi, fu allora che terminò davvero il sistema economico antico e mediterraneo e iniziò a nascere un nuovo sistema economico, continentale, europeo e medievale. Ma di questo, di nuovo, parleremo in futuro!

I Franchi invadono l’Italia

Ora credo abbiate la possibilità di valutare se quello che scrisse Agazia a proposito dei Franchi sia più o meno corretto. A me pare che le differenze tra Impero e Franchia fossero enormi, eppure il regno dei merovingi, a metà del sesto secolo, mi pare l’anello di congiunzione mancante tra il passato romano tardoantico e il futuro medievale e carolingio. Si tratta di una civiltà militarizzata, a livelli decisamente superiori a quelli tardo-romani, con in nuce i primi elementi della futura civiltà feudale, come il rapporto tra nobili e Re. I Franchi non tassano la produzione agricola, ma si limitano a chiedere il servizio militare ai cittadini liberi. Eppure, lo stato dei Franchi rimane uno stato unitario e non parcellizzato, dove il potere reale è sempre considerevole. Culturalmente, economicamente e religiosamente, la Franchia è ancora legata all’Impero e alla civiltà mediterranea, pur sviluppando dei chiari segni di una nuova organizzazione della società. Si tratta inoltre di una civiltà violenta ed espansionista, che ha sempre bisogno di nuovi territori da spartire tra i seguaci dei suoi ambiziosi re. A metà del sesto secolo, oramai la Franchia ha come vicini il mare, i Visigoti, i pagani orientali e l’Italia. In sostanza, la Franchia aveva beneficiato enormemente dell’indebolimento dell’Italia dopo la morte di Teodorico: questi aveva costruito una rete di alleanze per imbrigliare la potenza dei figli di Clovis. Alla morte di Teodorico i Franchi, liberati dai ceppi gotici, avevano divorato Burgundi, Alemanni, Turingi, Bavaresi e avevano sottratto all’Italia la Provenza e il Veneto.

E fu così che, nel 550, si era infine invertito il rapporto gerarchico in occidente: l’Italia – fin dal secondo secolo avanti cristo – era sempre stata la parte più popolosa ed importante dello stato romano, o almeno della sua parte occidentale, con la Gallia in seconda posizione. Italia e Gallia condividevano, nel quinto secolo, una sorta di partnership nel governo dell’occidente: lo abbiamo visto più volte. Un secolo dopo, l’Italia aveva perso l’indipendenza, la sua ricchezza, buona parte del suo esercito e del suo vantaggio demografico. La guerra greco-gotica aveva causato il trasferimento del centro imperiale dell’occidente da Ravenna al cuore dell’Europa renana: nonostante diversi tentativi di sloggiarlo attraverso i secoli, in realtà non si è mai più mosso di lì. Ancora oggi Bruxelles, la capitale dell’Europa e la mia casa, Parigi, Amsterdam e Francoforte sono a poca distanza dalla reggia dei Re Merovingi dell’Austrasia.

Fu dunque in questa corte espansionista, militaristica e portatrice di una nuova civiltà renana che giunsero i messaggeri di Teia, chiedendo l’alleanza militare e offrendo una sostanziale sottomissione al potente vicino di quello che restava del regno d’Italia. Come erano cambiate le cose in appena un quarto di secolo!

Gli ambasciatori dei Goti fecero notare ai Franchi che anche loro occupavano terre un tempo dei Romani e che l’Impero non si sarebbe certo fermato ai Goti e avrebbe tentato di distruggere anche loro. A questo punto Agazia vorrebbe farci credere che il giovane e infermo Re dell’Austrasia – Theodebald – si sarebbe rifiutato di intervenire direttamente in Italia. Alla corte però c’erano due fratelli alemanni di nome Leutharis e Butilinus, questi, ambendo ad un regno in Italia, decisero di contravvenire all’ordine del loro Re e portare in Italia il loro esercito.

Ritengo questa versione dei fatti assai poco credibile: l’esercito che discese in Italia era chiaramente molto numeroso, forte di decine di migliaia di guerrieri. Come detto, ai tempi di Agazia – che scrive a fine sesto secolo – i Franchi erano alleati dell’Impero contro i Longobardi. È assai probabile che Agazia non volesse metterli in cattiva luce presso l’opinione pubblica imperiale, ricordando ai Romani di quella volta nella quale i Franchi avevano voluto prendere l’Italia. Perché l’esercito di invasione, comandato dal duo di cui sopra, era forte a sufficienza per minacciare l’intera macchina da guerra imperiale.

Una tale massa di uomini non si sarebbe mai mossa senza il consenso della corte dell’Austrasia. Credo che l’unica ragione per la quale non fu il Re in persona a comandare la spedizione fu che Theodebald era un gracile ragazzo, che infatti sarebbe morto di lì a poco. In Gregorio di Tours, lo storico dei Franchi, abbiamo invece la versione franca di questa vicenda: pur nella confusione della sua cronologia, per Gregorio lo scopo della missione era evidente: l’unico possibile per un’armata di tale dimensione: la conquista dell’Italia e la sua annessione al regno dei Franchi.

Grazie mille per l’ascolto! Nel prossimo episodio, il grande esercito dei Franchi discenderà in Italia e toccherà a Narsete farvi fronte con gli uomini che possiede, cercando allo stesso tempo di guardarsi dai ribelli italiani. Il tutto avrà il suo culmine in una grande e decisiva battaglia campale, la terza in quattro anni.

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