Fonti

Lista totalmente non esaustiva delle fonti primarie e secondarie da me utilizzate per il podcast! Considerate che utilizzo anche altri podcast e sopratutto paper universitari trovati online, leggendo spesso le bibliografie dei libri qui in basso.

Se volete potete acquistare alcuni libri cliccando il link direttamente per Amazon: se lo farete, riceverò una piccola percentuale a supporto del podcast.

La caduta dell’Impero romano , Peter Heather

La caduta dell’Impero Romano, una nuova storia, è un libro magistrale che ha guidato sin dai tempi di Valentiniano i passi del mio podcast. E’ un libro che narra gli eventi, anche se piuttosto stringati, ma riesce anche a fornire il quadro di insieme ed una possibile interpretazione storiografica della caduta dell’Impero. Imperdibile.

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Le storie, Ammiano Marcellino

Come detto più volte durante il podcast, le storie di Ammiano Marcellino sono una fonte primaria imprescindibile per il periodo che va dal regno di Costanzo II alla battaglia di Adrianopoli. Scritte con verve e passione, ricolme di appunti geografici ed etnografici, a volte è possibile leggere le storie quasi come un romanzo di avventura, quando Ammiano descrive alcuni eventi in prima persona. Ammiano dimostra però anche acume da storico, forse non l’acume di uno studioso come Tucidide, ma pur sempre eccezionale.

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The mediterranean world in Late Antiquity, Averil Cameron

Averil Cameron è una delle più importanti storiche della tarda antichità, ogni suo libro è ottimo. Questo è utile sopratutto ad inquadrare il contesto socio-politico-culturale del periodo che va dal regno di Teodosio alla grande guerra tra Persiani e Romani che sarà la causa del disfacimento del medio-oriente. Focalizzato più sull’oriente che sull’occidente.

428, Giusto Traina

428 è un libro di storia completamente diverso dal solito: invece di narrare eventi, o un periodo, o un tema, narra la storia di un solo anno del tardo impero, facendo un veloce giro del mondo. Il 428 è scelto non come anno topico in cui successe qualcosa di particolarmente importante (anche se di eventi ce ne furono) ma come uno spaccato di quel mondo ancora Romano alle porte di una grande trasformazione. Interessantissimo ed originale!

The world of the Huns, Otto J. Maenchen-Helfen

Semplicemente l’autore di riferimento su tutto quello che ha a che fare con gli Unni. Interessante la sua ricostruzione delle loro campagne militari e il lavoro certosino nel ricostruirne la cultura

Storia dei Goti (Herwig Wolfram)

La bibbia sui Goti come Maenche-Helfen è la bibbia sugli Unni. Ricostruisce l’intero percorso della storia Gotica, dalle origini mitiche ai regni storici da loro costituiti. Preziosissimo per comprendere il mondo dal punto di vista dei Goti e della loro cultura, per capire l’origine dei Visigoti e degli Ostrogoti e per capire in che modo si relazionarono con l’Impero Romano. In generale è un ottimo complemento ad Heather per comprendere tutta la storia del tardo impero.

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Claudian, Poetry and Propaganda at the court of Honorius (Alan Cameron)

Un libro che consiglio solo ai veri studiosi di tarda antichità, perchè chiaramente un libro per studiosi al massimo livello (le citazioni in latino, greco, francese, tedesco non sono neanche tradotte, dando per scontato che il lettore conosca queste lingue). Importante però per ricostruire nei minimi dettagli la carriere di Stilicone attraverso il suo propagandista di fiducia, Claudiano, un poeta pagano venuto dall’Egitto

Orosio: le storie contro i pagani

Orosio è la principale fonte che abbiamo per il periodo seguente a quello coperto da Ammiano Marcellino. Fu incitato a scrivere la sua storia da Sant’Agostino, come risposta alle accuse dei pagani ai cristiani di aver causato il sacco di Roma. E’ ovviamente una storia molto di parte ma è fondamentale per alcuni eventi e anche per comprendere la mentalità cristiana del tempo.

Zosimo: storia nuova

Zosimo sta ai pagani come Orosio sta ai Cristiani: questo autore dell’inizio del sesto secolo era un pagano veementemente anti-cristiano. La sua storia ne è inevitabilmente influenzata, come quella di Orosio. E’ infatti interessante leggere i due autori per formarsi una opinione sugli eventi

Ian Hughes: Patricians and Emperors

Libro imperdibile per ricostruire il periodo che va dal secondo sacco di Roma (455) alla deposizione di Odoacre (493). Molto dettagliato nella narrazione anno per anno, è utilissimo per me per ricostruire il periodo. Molto interessanti le analisi sulle azioni di Maggiorano, Antemio, Avito, Ricimer e tanti altri.

Yann Le Boec: Armi e guerrieri di Roma antica

Libro interessantissimo per comprendere l’evoluzione dell’esercito imperiale durante il quarto e il quinto secolo. Mette a sistema quello che sappiamo da Ammiano Marcellino e la Notitia Dignitatum per creare un affresco realistico dei gradi, dell’armamento, delle tecnologie, delle strategie e tattiche dell’esercito del tardo impero. Trovo non sempre condivisibile la ricostruzione degli eventi storici, ma non è il forte del libro.

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Giordane: Getica

La “Getica” di Iordanes o Giordane è una delle fonti primarie più interessanti – e più complesse da decifrare – della tarda antichità. Scritto da un monaco ortodosso di etnia Gotica che aveva studiato al monastero calabrese fondato da Cassiodoro – importante ministro della corte di Teoderico – Giordane riassume qui la perduta opera sulla storia dei Goti di Cassiodoro, che aveva messo su carta molte delle leggende del popolo Gotico, unite a vere e proprie fonti scritte contemporanee come Prisco. Le storie sui Goti non possono essere prese alla lettera ma sono l’unica vera fonte che abbiamo su molti eventi del mondo extradanubiano, come la battaglia di Nedao (454). Fornisce anche il resoconto più completo della battaglia dei Campi Catalaunici.

Filippo Carlà e Arnaldo Marcone: Economia e Finanza a Roma

Libro che riscostruisce nel dettaglio l’economia dell’Impero Romano, dal commercio alla moneta, dal sistema finanziario alla tassazione. L’analisi è molto dettagliata e argomentata e ricostruisce un quadro di soprendente modernità e allo stesso tempo arretratezza dell’economia Romana.

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Jonathan J. Arnold: Theoderic and the Roman imperial restoration

Questo interessantissimo saggio di uno dei più grandi storici dei Goti porta avanti una tesi che è diventata sempre più popolare negli ultimi anni, mano a mano che il punto di vista degli italo-romani viene evidenziato allo stesso modo dei Romno-orientali. Ovvero la tesi che gli italiani e buona parte degli occidentali videro in Teoderico qualcosa che per loro era molto familiare: un Imperatore Romano d’Occidente.

Tommaso Indelli: Odoacre

Breve libro ma molto ben ricercato su una delle figure più sconosciute tra i governanti dell’Italia della tarda antichità. Prezioso sopratutto grazie al quadro di insieme della situazione politico-istituzionale ed economica dell’Italia della seconda metà del quinto secolo. Interessanti le note (quasi più del testo).

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Biografia approfondita di un Re che ebbe un regno disastroso ma che è una figura interessante: già nella loro seconda generazione in terra romana, gli ostrogoti produrranno un Re che si atteggia a “filosofo platonico”, un Re più interessato ad ammassare un patrimonio di terre personali che a rompere crani. La biografia si basa in gran parte sulle Varie di Cassiodoro e le Guerre di Procopio, con una rilettura attenta delle fonti e dei pochi altri dettagli ricavabili dall’archeologia per ricostruire la vita di un Re dimenticato. Consigliato solo ai veri esperti però.

Il libro del grande antropologo culturale Jared Diamon (consigliatissimo anche “guns, germs and steel”) è la risposta ad una semplice domanda: perchè alcune culture “scelgono” di morire? Come mai, pur di fronte all’avvicinarsi dell’abisso, non prendono le misure necessarie alla sopravvivenza? I capitoli sull’Isola di Pasqua e sulla colonia vichinga della Groenlandia sono assolutamente stupendi, come è utilissimo il concetto qui sviluppato per la prima volta della “creeping normality”, la nuova normalità del declino a cui gli essere umani finiscono per abituarsi. Non riguarda direttamente la caduta dell’Impero Romano, ma mi ha dato diversi spunti a riguardo

Belisarius è un altro libro straordinario di Ian Hughes (vedere in alto patricians). Nello stile chiaro, diretto dell’autore, che non si sottrae a giudizi sulle personalità e le azioni, documentandole però sulle fonti e una analisi dettagliata delle possibili spiegazioni. Ben documentato, il suo valore è che si tratta di un libro di uno storico militare, quindi ad esempio va nei singoli dettagli della guerra greco-gotica, spesso riassunta per sommi capi dagli altri autori. Una eccellente biografia.

Non potevo farmi mancare il nuovo libro (scritto nel 2018) di Peter Heather, dedicato questa volta al sesto secolo e alle riconquiste di Giustiniano. Come ogni opera di Peter Heather, il libro si legge quasi come un romanzo pur essendo un lavoro decisamente approfondito dal punto di vista storiografico. Come sempre Heather ha delle opinioni molto diverse dal “mainstream” storiografico: la riconquista dell’occidente non è un “sogno romantico” per Giustiniano ma una cinica politica per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dal disastro della guerra persiana e della rivolta di Nika, che ha trasformato il centro di Costantinopoli in rovine fumanti. Si tratta di uno straordinario affresco, molto vivido. Come sempre, vale la pena compararlo con altre opinioni differenti ad Heather per farsi un quadro completo. Consigliatissimo.

Questo corposo libro raccoglie gli interventi di una dozzina di autori ed è una fonte inesauribile di dettagli sull’epoca di Giustiniano e in generale sul sesto secolo: gli argomenti spaziano dall’ideologia di governo di Giustiniano alla sua attività legislativa, dalle vicende militari alla posizione delle donne e delle minoranze nell’Impero Romano del sesto secolo. C’è anche una introduzione al dibattio sull’origine dell’Islam.
Solo per lettori con già una solidissima preparazione accademica sul periodo, in inglese

Le Variae sono una fonte inesauribile di dettagli sui regni di Teodorico, Amalasunta, Teodato e Vitige. Scritte e raccolte da Cassiodoro, uno dei grandi letterati dell’epoca, sono uno spaccato sull’epoca con una infinita lista di dettagli interessantissimi. Al link in basso è possibile leggerne una sintesi in inglese con una utile guida alla loro interpretazione.

http://www.gutenberg.org/files/18590/18590-h/18590-h.htm#Page_85

Un libro semplicemente straordinario e rivoluzionario, assolutamente consigliato per tutti.
William Rosen vi racconta la storia della prima pandemia della storia: una piaga sette secoli prima della Morte Nera che uccise decine di milioni di persone, devastò gli imperi Persiano e Romano e aprì la strada per gli eserciti dell’Islam. La caratteristica principale dell’autore è come riesce ad intrecciare la microbiologia evolutiva, l’economia, la strategia militare, l’ecologia e la medicina antica e moderna in una narrazione che è anche molto piacevole da leggere. Rosen offre una chiave di lettura innovativa sulla fine del mondo antico avventurandosi anche su domande molto controverse e complesse a riguardo dell’Islam e del differente destino di Cina e mondo mediterraneo. Imperdibile.

Il primo libro di storia in lingua inglese dedicato ai Longobardi (disponibile anche in italiano), combina il meglio della storiografia e della ricerca archeologica sui Longobardi, con una vera messe di immagini, mappe, descrizioni di rilievi archeologici, analisi delle fonti: Paolo Diacono in primis, ma ovviamente anche l’editto di Rotari e altre fonti nordeuropee.
Proprio la combinazione di ricerca storica e archeologica è apprezzabile, perchè rara nella produzione italiana, che di solito coprono o uno o l’altro aspetto. Christie traccia la storia dei Longobardi dalle loro origini mitiche allo stabilimento in Pannonia, usando appunto la potente combinazione di storia e archeologia per ricostruirne i movimenti. Segue poi lo stabilimento in Italia, seguendone l’evoluzione istituzionale del regno con lunghi capitoli dedicati ai loro costumi, agli insediamenti militari e civili, all’economia e alla società. Infine getta uno sguardo alla loro storia dopo la caduta del Regno nel 774, in particolare nel mezzogiorno. Molto completo e consigliabile, anche di piacevole lettura.
Disponibile anche in traduzione con il titolo: I longobardi. Storia e archeologia di un popolo (Italiano).

Siamo abituati a pensare all’Italia medievale come un’italia di mille particolarismi, priva di un potere centrale, divisa nei suoi campanili.

Eppure la storia dell’Italia nel primo medioevo, in particolare in periodo che va dalla conquista dei Longobardi fino alla dissoluzione del regno d’Italia nei primi anni dopo il mille, è la storia di un paese diviso tra sfera Longobarda e Bizantina ma nel quale permane uno stato centrale, il regno Longobardo poi ereditato dai Carolingi. Un regno con sistemi di governo, leggi, consuetudini, istituzioni decisamente più centralizzate e meno “personali” dell’altro grande regno coevo, quello dei Franchi.

Chris Wickam analizza l’evoluzione dello stato utilizzando (poco) l’archeologia ma basandosi sopratutto sui documenti scritti che si fanno via via più numerosi a partire dall’ottavo secolo. Gli archivi dei Longobardi e dei Franchi permettono di ricostruire la società italiana e l’evoluzione del potere tra gli ufficiali dello stato – gastaldi e conti – la chiesa e i grandi proprietari terrieri come i duchi. Ne risulta un affresco affascinante e credo per la maggior parte dei lettori inedito. Il libro non è sempre facile da leggere, richiede una certa conoscenza dei concetti di base sulla società alto-medievale ed è un libro accademico, eppure rimane un’ottima lettura e uno studio citato praticamente da tutti gli storici dell’Italia alto-medievale.

Un saggio agile, leggibile ma comunque molto approfondito e profondo nell’analisi, che narra la storia dei Longobardi dalle origini mitiche in Scandinavia fino al regno in Italia. Molto interessante e ben argomentato il rapporto con l’Italia bizantina: ad esempio ci sono dettagli sulla disposizione delle truppe bizantine che ho trovato solo qui. Si vede che l’autore è molto a suo agio anche nell’Italia bizantina.

Il libro è molto dettagliato anche nell’analisi degli eventi di ogni singolo Re dei Longobardi, senza tralasciare comunque la parte militare, istituzione, legislativa e culturale. Direi che è imperdibile per chi vuole approfondire i secoli del regno longobardo, in particolare il periodo spesso meno analizzato, quello del VI e VII secolo.

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Questo libro non è saggio, ma un romanzo storico dedicato alla figura di Totila, aka Baduila. Totila è il Re dei Goti che fece prendere un bello spavento a Giustiniano, una figura che necessiterebbe di una biografia più approfondita.Questo romanzo visto dal punto di vista di una “lancia spezzata” di Totila è una buona alternativa. Si basa in larga parte ovviamente sulla narrazione di Procopio, l’autore non romanza molto la storia e si limita a riempire alcuni buchi e presentarci il punto di vista dei Goti nella seconda fase della guerra italiana.

La ritengo una lettura interessante, oltre che piacevole: va detto ovviamente che il romanzo non ha l’ambizione di essere “imparziale” ma di presentare il punto di vista di un soldato Goto, e questo è un caveat importante. Detto questo, penso che possa essere utile a bilanciare il punto di vista della guerra in Italia, spesso nota sopratutto dal punto di vista imperiale.

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Questo libro non è propriamente una fonte ma un romanzo storico, molto bello, scritto da un giovane autore appassionato della tarda antichità.

L’ambientazione durante la guerra greco-gotica è decisamente azzeccata: siamo negli anni di Totila e Belisario, in un’Italia devastata dalla guerra e dalla peste, con un cielo plumbeo e un sole freddo, schermato dall’invisibile polvere di eruzioni lontane. I protagonisti sono un latino di umili origini e di cervello rapido e due Unni, professionisti della guerra arruolati nell’esercito di Belisario ma che finiscono per accompagnare Servio – il latino – in una complicata avventura in giro per l’Italia.

Il libro colpisce per tre aspetti: l’ambientazione, il punto di vista e il tono. Le città e la situazione politico-culturale sono ricostruite nei minimi dettagli, dalle controversie teologiche alla situazione materiale degli italiani. Una Roma resa spettrale dall’abbandono degli abitanti, Milano che lentamente cerca di riprendersi dal saccheggio di Uraias, Aquileia e le paludi che daranno vita a Venezia. Il punto di vista è originale, perchè vede la storia dal punto di vista sopratutto dei Goti e degli italiani pro-gotici, l’intera storia è pervasa dal senso di devastazione e di perdita di una civiltà e di un regno, quello di Teodorico. Il tono è spesso leggero, con parti che sono davvero divertenti.

Gli aspetti non ottimali ci sono: qualche imprecisione storica – di per sè inevitabile – e a volte uno stile di scrittura che può sembrare confuso, credo però creato ad arte perchè a volte confusi sono dei passaggi e credo l’autore volesse ricreare un senso di smarrimento. I personaggi femminili non sono particolarmente realistici.

Ma questo non detrae da un romanzo che nel complesso permette davvero di immergersi nel sesto secolo, come nessuna opera di fantasia che conosco.

Procopio: le guerre





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Procopio di Cesarea e la sua monumentale opera “Le Guerre” non hanno bisogno di presentazioni. Si tratta di una formidabile fonte per il periodo di Giustiniano ma spaziano su tantissimi argomenti, dalla geografia alla storia più antica, dalla politica all’economia. Narrano di grandi catastrofi naturali, della pandemia di Giustiniano, della rivolta di Nika e sopratutto delle guerre di Giustiniano in Oriente, in Africa e in Italia.

La struttura dell’opera è divisa in otto libri, che non rendono del tutto facile la comprensione perchè Procopio non segue un criterio strettamente cronologico, ma in base al teatro di guerra. Il libro I copre la prima guerra persiana, con la battaglia di Dara e Callinicum (526-532 circa), il Libro II le seguenti guerre contro Khosrau, dal 540 al 549 e include la celebre descrizione della peste a Costantinopoli. I libri I e II della “Guerra vandalica” coprono le vicende in Africa della facile riconquista di Belisario (533-534) e poi la lunga guerra d’attrito per mantenere il controllo della provincia africana (534-548).

Il libro I della “Guerra gotica” offre un prezioso riassunto delle vicende italiane dal 476 al 534, poi la versione “imperiale” delle negoziazioni con Amalasunta e Teodato, lo scoppio della guerra d’Italia e la missione di Belisario, fino alla conquista di Roma a fine 536 e all’inizio dell’assedio, nel 537. Il II parla della guerra fino alla resa di Witigis (540), il terzo arriva fino al periodo di maggior successo di Totila, intorno al 550.

Il quarto libro della “Guerra Gotica” è diverso dagli altri: scritto chiaramente in seguito alla pubblicazione degli altri sette libri, qualche anno più tardi, serve a narrare le vicende principlamente della guerra persiana e gotica, dal 550 al 553.

L’opera di Procopio è semplicemente monumentale ed offre uno spaccato vivissimo e interessante dell’intero periodo. Procopio è un ottimo scrittore, che sa tenere alta l’attenzione del lettore, scrive in uno stile ricercato ma non prolisso. Procopio è un testimone diretto di una buona parte degli eventi, che risultano quindi arricchiti di una moltitudine di dettagli. Quello che interessa è anche il punto di vista dello scrittore: non attribuisce – come molti storici antichi e medievali – alla volontà di Dio o alla virtù degli uomini il successo o le sconfitte, ma si sforza di mettere alla luce l’apparente irrazionalità della storia e delle vicende umane. Ovviamente, come un uomo dei suoi tempi, i suoi scritti vanno interpretati e non sempre presi alla lettera: sono il punto di vista di un uomo ricco dell’Impero, molto acculturato, misogino e tradizionalista. Però Procopio cerca anche di immedesimarsi nell’altro, di vedere il punto di vista dei nemici dell’Impero, nella migliore tradizione storiografica romana e greca.

Infine Procopio va lodato per il suo coraggio: a differenza di Tacito, Ammiano Marcellino e tanti altri storici, non scrive solo di passati imperatori, un tema più sicuro per la carriera, ma scrive del regime in corso, sul quale è visibile nel testo il cambiamento di approccio: esaltato all’inizio per i grandi successi militari, poi via via più disilluso e malinconico. Nonostante l’animosità nei confronti di Giustiniano, Procopio mantiene però uno stile e un contenuto il più possibile imparziale, anche se è evidente nel testo l’orrore che prova per la devastazione inflitta all’Impero e ai territori conquistati dall’ambizione di Giustiniano.

Una nota infine sull’edizione: consiglio assolutamente di leggere la versione con tutte le guerre, anche la persiana e vandalica, e non solo perchè alcuni dei passaggi più belli sono lì (Nika, la peste, la conquista di Cartagine) ma perchè ho la sensazione che molti lettori, perfino molti storici, si siano concentrati sopratutto sulla guerra d’Italia perdendosi però il quadro completo: leggendo delle altre guerre in corso, è evidente per esempio come le continue lamentele di Procopio a riguardo del supposto disinteresse di Giustiniano nella guerra d’Italia sono malriposte.

Un libro che consiglio a tutti, se ci si vuole immergere davvero nell’Impero Romano del VI secolo. Nell’edizione in alto, anche belle mappe, note, introduzioni e una utilissima legenda. Sono anche segnati gli anni di fianco al testo, per facilitare la lettura e comprensione: a volte può convenire leggere un anno (per esempio, il 543) nelle varie guerre per comprendere cosa accade in contemporanea. Le note ai margini aiutano molto.

Venezia bizantina

Il volume copre la storia di Venezia dalle sue origini fino al 1082. Si analizzano le origini mitiche di Venezia – che nulla hanno a che fare con la distruzione di Aquileia da parte di Attila e molto più con l’invasione longobarda. Si traccia, in base ai documenti disponibili, una storia delle comunità lagunari che vanno mano a mano ad espandersi o insediarsi in seguito alla progressiva conquista da parte dei Longobardi delle principali città in terraferma: Padova, Aquileia, Concordia, Oderzo, Altino. A queste città corrispondono delle comunità lagunari che crescono intorno ad una serie di piccole cittadine: Grado, Caorle, Eraclea, Equilio, Metamauco, Chioggia, Torcello e anche una certa Rivoalto, quella che si svilupperà come la Venezia che conosciamo.
L’autore analizza l’evoluzione di questo distretto militare romano (aka bizantino) dall’invasione longobarda in poi: la Venetia marittimia si restringe sempre più verso la laguna nel corso del VI secolo, spostando la capitale da Oderzo a Eraclea, per poi acquisire via via più autonomia durante l’ottavo secolo, quando vengono eletti i primi “duchi” (più tardi dogi). Eppure la tesi centrale del libro è che la Venetia Marittima rimase comunque nell’orbita del commonwealth bizantino – la basileia cristiana imperiale – molto più a lungo di quanto voglia la vulgata. Ancora dopo l’invasione dei carolingi del 810 Venezia – oramai con la capitale nelle isole centrali della laguna – è pienamente inserita nel sistema imperiale.
Si tratta di un ottimo libro, di facile e comoda lettura, di 180 pagine, ben documentato. Immancabile per chi vuole sapere di più a riguardo delle solidissime radici romane e imperiali di Venezia. Lascia solo la voglia di sapere un pò di più a riguardo delle ricerche archeologiche su questo argomento.

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Gregory the Great, and his world (R.A. Markus)

R.A.Markus è stato un filosofo e storico britannico di origine ungherese, vissuto tra il 1924 e il 2010: la sua specializzazione era l’evoluzione del cristianesimo nei suoi primi secoli.

In questo libro del 1997, Markus affronta una delle figure più importanti della storia della Chiesa – Gregorio Magno – ma va ben oltre il dato biografico, ricostruendo l’intero mondo di Gregorio: dagli Anglo-sassoni del Nord alla sua relazione con l’Impero, con un particolare focus sull’Italia, Roma, Ravenna e i territori conquistati dai Longobardi.

Si tratta di un ottimo libro, estremamente bene documentato e argomentato, costruito in sezioni che analizzano prima la personalità di Gregorio, il suo lavoro di interprete della fede cristiana, la comunità cristiana nel suo complesso, il ruolo di Gregorio in Italia, nell’occidente romano-barbarico e nei confronti dell’Impero. Interessantissima la ricostruzione sulle macchinazioni di Gregorio per affermare la sua autorità su Milano, Aquileia, Cartagine, la Gallia e spingere il cristianesimo in Inghilterra.

E’ un libro accademico, scritto in inglese. Nonostante le qualità di scrittore di R.A.Markus, è da considerarsi di difficile lettura perchè richiede una vasta conoscenza degli argomenti trattati e del contesto. Per chi vuole approfondire il mondo di fine VI e inizio VII secolo è però – a mio avviso – imperdibile.

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L’eredità di Roma (Chris Wickam)

Come tutti i libri di Chris Wickam, di gran lunga uno dei miei storici preferiti, anche questo è imperdibile. Forse il suo più bello.

L’ambizione dell’opera è di riannodare tutti i fili sparsi delle civiltà eredi di Roma: l’Europa occidentale, l’Impero bizantino, l’Islam.

Nella prima parte, lo storico analizza gli elementi di crisi e continuità nella parte finale della tarda antichità (tra il V e il VI secolo). Questo tema serve da base sulla quale sviluppare gli andamenti poi contrastanti e differenziati della civiltà mediterranea, che prenderà diverse strade a seconda dei luoghi.

Nella seconda parte, si analizza il mondo occidentale post-romano (550-750): interessantissime le parti che mettono a paragone l’Italia longobarda con l’iberia visigota e la Gallia/Germania dei Franchi. Non sono dimenticate neanche le isole britanniche. Nella terza parte, Wickam analizza gli altri percorsi di civiltà, quelli orientali: l’Impero Romano di Costantinopoli, ma anche l’Islam espansionista della sua prima fase (dal 630 al 750 circa). La quarta parte torna ad Ovest, per parlare di Europa carolingia e post-carolingia, fino all’anno mille.

Non si tratta però di una narrazione di eventi, per quanto scritti bene: Chris Wickam dedica interi capitoli alla cultura “post-romana”, ai concetti di ricchezza e di povertà, ai legami economici che legavano gli uomini dell’alto medioevo. Un’intera sezione è dedicata all’arte e alla cultura materiale. Per quanto possibile, la voce anche dei più umili viene ascoltata.

Se dovete acquistare un libro per decifrare l’alto medioevo, che sia questo. Non ve ne pentirete.

Paolo Diacono: Storia dei Longobardi

Mi sono reso conto di non aver ancora recensito la più importante delle fonti primarie per l’alto medioevo italiano: Paolo Diacono e la sua “storia dei Longobardi”.

Due parole sull’autore: un nobile longobardo di fede cattolica vissuto durante la caduta del regno longobardo e che ha servito Carlomagno, Paolo è uno dei grandi rappresentanti di quella che a mio avviso è mal descritta come la “rinascita carolingia” ma che in realtà inizia già sotto i Longobardi. Il suo latino è limpido e chiaro, da chi ha letto e studiato Cicerone e i classici dell’antichità. Quando cita Gregorio Magno – vissuto assai più vicino “alla fonte” della cultura classica – si permette di correggere l’originale latino di Gregorio, perchè il suo è più corretto. In questa edizione, con il testo latino a fronte, è facile saltare rapidamente dalla versione italiana a quella latina.

L’opera di Paolo Diacono è una storia nazionale, sulla falsariga di quanto realizzato da Giordane per i Goti. Giordane, o forse la sua fonte Cassiodoro, è chiaramente l’ispirazione di Paolo, che inizia a narrare i miti e le leggende dei Longobardi, per poi passare alla loro storia conosciuta. Purtroppo scrive di fatti spesso lontani dalla sua esperienza personale (eventi di due secoli prima) ma sembra usare le fonti con accortezza, più di quanto sia solito per le opere altomedievali. La storia (perduta) di Secondo di Non, la storia dei Franchi di Gregorio di Tours, le lettere di Gregorio Magno sono alcune delle fonti da lui utilizzate e spesso combaciano con quanto sappiamo da altre fonti. Paolo sa essere critico: quando riporta le leggende del suo popolo, ammette lui stesso che sono probabilmente favole, non c’è questa consapevolezza in Giordane. Non è Tucidide, nè Ammiano Marcellino, nè Procopio: i dettagli sono pochi, la comprensione dei meccanismi politici non è il forte di Paolo.

Anche da un punto di vista letterario, si tratta di un’opera interessante: più passaggi sono lirici ed emozionanti, quasi romanzati. La storia d’amore di Alboino e Teodolinda, o quella del suo antenato portato prigioniero in Pannonia e determinato a tornare in Italia, sono passaggi che non possono non emozionare il lettore. Perchè Paolo ha il dono di essere un buon scrittore, a differenza di tanti storici dell’antichità e del medioevo.

Il rapporto di Paolo con la storia nazionale dei longobardi è chiaramente complicato e ambivalente: da una parte si immedesima nei suoi antenati, venuti dalla Pannonia in Italia per costruire un grande regno, del quale canta la scomparsa, con la tristezza di chi rimpiange qualcosa che sa che non tornerà. Allo stesso tempo Paolo è un buon cattolico, e sa che la Chiesa romana è stata a lungo rivale dei Longobardi. La narrazione sembra quindi in costante tensione tra queste due corde, che spingono in direzioni differenti: non a caso, Paolo esalta i Re tra i Longobardi, e i Papi, che hanno cercato di trovare un accomodamento, utile per tutti. Velatamente, critica invece i Papi della sua epoca, che hanno voluto l’intervento dei Franchi in Italia.

Un’ultima parola su questa edizione: la trovo molto ben fatta, con una introduzione che è utile e colta (ma non indispensabile per la comprensione del testo), un’ottima cronologia e una mappa prima del testo. Ognuno dei sei libri della “Storia dei Longobardi” è preceduto da una breve introduzione degli autori, che spiega il contenuto del libro in questione. Le note sono numerose, e ottime. La traduzione è in un italiano moderno, altrettanto limpido dell’originale latino (a differenza di traduzioni più antiquate che ho letto in passato). Consigliato per chi vuole approfondire la storia dell’alto medioevo in Italia!

The Storm before the storm (Mike Duncan)

Questo libro è una fonte non tanto del mio podcast principale, quanto di “Guerre incivili”, il mio podcast realizzato per Storytel che potete ascoltare andando qui.

Ma sopratutto è un atto d’amore dovuto a colui che ha davvero iniziato l’intero movimento dei podcast storici. Mike Duncan, host del podcast “History of Rome” dal 2007 e poi dal 2012 di “Revolutions” è il papà di tutti noi. Il suo podcast sulla storia romana ha creato l’intero genere di podcast a cui appartiene anche “Storia d’Italia”. Il suo inconfondibile stile, fatto di rapide analisi politiche, una vena satirica pungente ma mai troppo invasiva e la capacità di sintetizzare anche gli eventi più complessi lo ha portato presto anche alla scrittura di libri di divulgazione storica.

La sua prima opera è proprio dedicata al periodo che va dai Gracchi alla guerra tra Mario e Silla: Mike riesce, con il suo inconfondibile stile, a pennellare un quadro molto vivido, di un sistema politico vivo e in movimento o non la solita immagine stantia della Repubblica. Duncan è più interessato a narrare i cambiamenti sociali e politici della Repubblica che la portano verso il suo progressivo degrado costituzionale, verso un sistema sempre più autoritario.

La cosa interessante, che ho ripreso anche io (senza saperlo! ho letto il libro solo dopo aver deciso di produrre “Guerre incivili”) è che anche Mike Duncan si interessa alla “tempesta prima della tempesta”: correttamente, a mio avviso, ritiene che la grande tempesta delle guerre civili tra Cesare e Pompeo (e poi seguenti) siano in realtà dopo il punto di non ritorno della Repubblica. Già da decenni questa era diventata ingovernabile, o comunque svuotata di legittimità. In questo libro, l’autore cerca di spiegare come i Romani passarono da un venerabile sistema politico che era riuscito a riformarsi per secoli, cambiando costantemente, ad uno dove nulla può cambiare senza il ricorso alla violenza.

Come si conviene ad un americano sensibile alle potenziali evoluzioni autoritarie della propria Repubblica, Mike Duncan cerca di spiegare anche a che punto “evolutivo” ritiene che sia la sua democrazia: a suo avviso, gli USA si trovano proprio sull’orlo del periodo della “tempesta prima della tempesta”. Saranno i futuri decenni a decidere se la Repubblica americana seguirà il percorso di quella romana, dai Gracchi in poi, o saprà trovare un modo di riformarsi.

Il libro è scritto in modo splendido e scorrevole, ben documentato. La parte sulla guerra sociale è per me un pò scarna, ma l’ho integrata con un altro libro in modo da riempire i vuoti. (in basso) In compenso le varie fasi evolutive del sistema politico repubblicano sono splendidamente analizzate, come si conviene ad uno studente di scienze politiche.

Non so come mai non sia mai stato tradotto in italiano! Ci sono versioni in molte lingue, ma non in italiano.

The social War (C.J.Dart)

La mia principale fonte per il podcast “Guerre incivili”, l’opera di Christopher J. Dart è davvero encomiabile ed è un vero peccato che non sia tradotta in italiano: è, per quanto ne sappia io, l’unica opera storica contemporanea dedicata alla guerra Sociale, un evento che merita a mio avviso molta più attenzione da parte degli storici italiani, e in generale del grande pubblico, in quanto è il vero punto “di non ritorno” dell’evoluzione della penisola italiana: da una collezione di città-stato confederate con Roma ad uno stato unitario (quasi proto-nazionale), da un sistema politico repubblicano piuttosto stabile, ad uno nel quale la violenza politica è ormai endemica.

Si tratta di un saggio agevole e documentatissimo: è di appena 250 pagine, ma racchiude davvero tutto quello che è necessario conoscere sulla guerra sociale.

La prima parte (la più ostica) rivede la storia della storiografia sulla guerra sociale. Il secondo capitolo è una disanima delle varie fonti antiche sulla guerra sociale (per me fondamentale per poi andare a leggerle tutte!). Molto interessante il passagio sui vari nomi della guerra sociale.

E’ un pò data per scontata una conoscenza della struttura politica della Roma repubblicana (che ho narrato nell’episodio “La Repubblica” del podcast), quindi vale la pena rinfrescare la memoria a riguardo prima di leggere il libro.

Il resto del libro segue la struttura che ho voluto dare anche a “Guerre incivili”: prima un’analisi degli eventi del II secolo a.C., poi una disanima degli eventi immediatamente precedenti allo scoppio della guerra (centrati su Livio Druso). Nei seguenti capitoli, Dart ricostruisce sapientemente il complicato puzzle militare della guerra, dal 91 all’88, senza mai abbandonare lo sguardo sull’evoluzione politica a Roma e il passaggio delle varie leggi che estendono la cittadinanza alle comunità italiane.

L’ultimo capitolo analizza invece l’importanza delle questione rimaste aperte della guerra sociale nei decenni seguenti (dall’88 al 70) relative sopratutto al suffragio, la possibilità per gli italiani di votare nelle elezioni romane.

In generale, è uno sguardo molto innovativo e dettagliato sulla guerra sociale, sui suoi antefatti e sulle sue conseguenze. Un’ottima lettura, che però necessita di una buona conoscenza del contesto di base. Strepitosa bibliografia.

Teodolinda, la longobarda (A. Magnani, Y. Godoy)

Il principale merito di questo libro sintetico (140 pagine) ma allo stesso tempo miracolosamente completo è di avere raccolto in un solo posto le disparate informazioni disponibili sul regno di Teodolinda, Autari e Agilulfo. Nessun dettaglio è passato sotto silenzio e c’è perfino una piccola ma utile sezione con le poche fonti primarie a disposizione sulla vita della grande regina dei Longobardi: sopratutto le lettere di Gregorio Magno e Colombano (si da per scontato che chi legge legga anche la storia di Paolo Diacono).

La struttura del libro è divisa in una prima parte sull’origine di Teodolinda e il matrimonio con Autari, una seconda dedicata al complicato passaggio che la porterà a sposare Agilulfo (elevandolo al trono), una terza sugli anni di regno fino alla nascita dei figli, una quarta dedicata al rapporto con Gregorio Magno e Colombano e una quinta sulla sua reggenza e su quanto (poco) si sa sulla sua fine.

Il libro è scritto in un linguaggio accessibile – anche se non brillante – ma il principale limite è l’interpretazione piuttosto stantia e tradizionale delle vicende del regno longobardo, tutto centrato sulle questioni religiose, quando si intravede dalle nostre fonti (di professione più interessate alla religione) che le questioni sul tavolo della regina fossero principalmente politiche.

Un libro molto utile per conoscere le vicende, insomma, ma la loro interpretazione meriterebbe un lavoro a mio avviso più acuto. Comunque resta un’opera lodevole.

Come gli irlandesi salvarono la civiltà (T.Cahill)

Questo è un libro davvero unico, che è stato una delle mie fonti principali per informarmi sulla storia dell’antica irlanda, sul cristianesimo celtico e sulle figure di Colum Cille (Columba) e Colombano.

Thomas Cahill è uno scrittore dotato: il libro si legge rapidamente, come un romanzo della storia irlandese. I personaggi sono tratteggiati come da un pittore rinascimentale: indimenticabili Agostino e San Patrizio, che spesso sono accostati e compararati.

Il libro non è solo utile per comprendere la storia dell’Irlanda, ma in generale del passaggio della società tardoantica dal paganesimo al cristianesimo: analizza come questo avvenne nell’Impero romano e nella civiltà classica e quali furono le differenze invece per un’isola che non fu romanizzata prima di essere cristianizzata, come è il caso dell’Irlanda.

Interessantissima la disanima delle caratteristiche del primo cristianesimo irlandese, come si adeguò alla cultura dei clan barbarici dell’isola e come allo stesso tempo ne modificò in profondità la storia. Ottime le descrizioni delle fondazioni monastiche e dei tanti viaggi dei monaci irlandesi più arditi, tra i quali il nostro Colombano, che terminò la sua vita a Bobbio, nelle colline piacentine della val Trebbia.

La parte finale del libro affronta un tema controverso ed importante: il ruolo che ebbero i monaci irlandesi nella trasmissione della grande cultura latina (l’autore concede che quella greca fu sopratutto salvata dal naufragio grazie alle biblioteche bizantine ed arabe). Il ruolo di monasteri come Iona, Lindisfarne, Luxeil, San Gallo e Bobbio è sottolineato con dovizia di particolari.

Il libro è consigliabile anche ad un lettore occasionale di storia, non richiede strumenti e studi precedenti per la comprensione, visto che Cahill fa tutto il duro lavoro di mettere nel giusto quadro storico gli avvenimenti, chiarendo la differenza tra le mentalità tardoantiche e quelle moderne e offrendo quindi al lettore gli strumenti per comprendere questa storia remota.

Se ho un appunto da fare, questo è in un certo sensazionalismo: a volte Cahill, per chiarire dei concetti, tende a renderli più assoluti, più netti, più definiti di quanto in realtà siano. Questo richiede una dose di scetticismo durante la lettura: non sempre le affermazioni dette in modo più categorico sono sostenuto da altrettanto inattacabili prove.

Questo non detrae troppo dalla lettura: semmai, credo che stimoli ad approfondire oltre, per avere la possibilità di smussare le affermazioni più forti.

“Come gli irlandesi salvarono la civiltà” è disponible anche in italiano, ma non è facile procurarselo. In basso i link che ho trovato. Io ho letto il libro nell’originale inglese, non conosco quindi la qualità della traduzione italiana.

The last great war of Antiquity (J.Howard-Johnston)

James Howard-Johnston è una delle mie due fonti principali a riguardo dell’ultima grande guerra dell’antichità (titolo perfetto!), ovvero il cataclismatico conflitto tra il 602 e il 630 che ridefinì il modo di far guerra nel vicino e medio oriente e aprì le porte al più importante e sconvolgente riallineamento geopolitico del primo millennio.

Si tratta di un libro con pregi e difetti speculari all’altra mia fonte principale (Heraclius, Emperor of Byzantium, di Kaegi): è un libro ben scritto e quindi facile da leggere, con una chiara e discernibile sequenza degli avvenimenti e interpretazioni facili da identificare riguardo ad uno dei più oscuri periodi della storia medievale. Il piglio è quello dello storico militare. Spesso il libro si legge come un romanzo: è l’avventurosa storia di come Eraclio (e il suo entourage politico-militare) riuscirono a ribaltare una situazione disperata, afferrando la vittoria dalle fauci della sconfitta.

La forza del libro sta nella sua chiarezza e nella profondità della sua analisi. Il libro include alcune mappe fantastiche, una densa bibliografia e immagini per figurarsi il mondo in cui è immerso. Howard-Johnston conosce intimamente tutte le fonti, comprese quelle che non sono mai state tradotte, e le usa in modo molto critico. Il libro rimane accessibile ai principianti (o ai podcaster) perchè – pur conoscendo nel dettaglio le fonti, e i problemi delle fonti – raramente si addentra in questioni storiografiche, lasciando più spazio alla storia, anche se un lettore accademico potrebbe trovare quindi il lavoro non abbastanza approfondito.

Un limite del libro è dare per scontata la storia precedente, non ricostruendo quindi le condizioni che portarono lo stato romano e quello persiano a combattersi in una guerra totale e distruttiva, che seguiva un’altra quasi altrettanto distruttiva ai tempi di Giustino II, Tiberio II e Maurizio. Si legge insomma più come una narrativa e interpretazione degli eventi (e delle singole decisioni militari) che di un contesto generale dell’epoca.

Detto questo, nel corso della guerra ci sono interessanti affreschi sulla situazione geopolitica, sociale, economica del periodo bellico, atti a comprendere l’impatto che la guerra ebbe sugli abitanti del vicino e medio oriente. Si tratta a mio avviso dei capitoli più interessanti.

Un lavoro comunque imperdibile per approfondire l’epoca!

Heraclius, Emperor of Byzantium (Walter E. Kaegi)

Si sa, non tutti i grandi storici sono anche dei grandi scrittori. Purtroppo, W.E.Kaegi è davvero un grande storico, che ha scritto quella che è considerata la biografia “definitiva” di Eraclio, dettagliata, accurata, ricercata ed estremente attenta alle fonti. Il problema è che è di difficile e ardua lettura.

Questo non solo e non tanto per lo stile: come tutti gli anglosassoni, Kaegi scrive in modo semplice e diretto. Il problema è che spesso il libro sembra un’affastellata collezione di papers mal collegati tra loro, con continue ripetizioni e ritorni a questioni già coperte. Avrebbe avuto bisogno, insomma, di una notevole redazione per asciugarne i contenuti e renderli più fluidi e fruibili.

Detto questo, se si vuole approfondire la figura di Eraclio (sulla quale non esistono biografie in italiano), il lavoro di Kaegi è indispensabile: ancor di più perchè prende Eraclio dall’infanzia e porta la sua storia – attraverso i terribili anni della guerra persiana (narrata anche in “The last war of Antiquity”, che ho già recensito) fino all’ultimo decennio al potere, diviso in due parti nette: i primi anni di tranquilla e vigile ricostruzione del mondo romano, e gli ultimi anni di cedimento di fronte all’avanzata degli Arabi.

Del libro, apprezzo in modo particolare le ricostruzioni del possibile modo di pensare di Eraclio: ogni biografia di una figura antica ha pochi dettagli sui quali fare affidamento, ma Kaegi allinea tutti gli indizi per ricostruire un quadro il più possibile realistico di questo ultimo grande imperatore di un impero universale, esteso sui quattro angoli del mondo mediterraneo.

Il coraggioso lettore che voglia accingersi alla lettura di questo arduo libro, ne uscirà penso apprezzando il duro lavoro del biografo moderno. In attesa di un’opera italiana, più agevole, che possa magari colmare questo inspiegabile vuoto di interesse per una delle più affascinanti figure del VII secolo.

In God’s Path (R. G. Hoyland)

Per chi cerca una rapida, approfondita narrazione degli eventi che portarono all’iniziale conquista araba, questo libro è semplicemente perfetto: saltando le innumerevoli controversie a riguardo della figura di Mohammad e dell’iniziale “comunità” politico-religiosa a Yathrib-Medina, Hoyland ci fionda – dopo aver illustrato brevemente la situazione geopolitica del vicino oriente nel 630 – nel cuore dell’azione.

La prima parte è dedicato al primo, travolgente decennio della conquista araba, che portò alla ripida sconfitta di Romani e Persiani in una serie di battaglie fondamentali, come quelle dello Yarmuk. Hoyland divide in modo logico i teatri di guerra tra Siria, Mesopotamia settentrionale e Iraq. Analizza le ragioni della conquista, cosa spinse gli arabi e anche la questione se fossero eterodiretti o se si avviarono verso la conquista in modo indipendente.

Nel seguente capitolo (eastwards and westwards: 640-652) c’è la seconda fase della conquista, dove iniziano a delinearsi i contorni di una nuova organizzazione politica del grande spazio conquistato, che viene allargato verso l’Egitto e verso gli altipiani iranici. Nella quarta parte (652-685) si affronta la prima guerra civile araba (Fitna) che porterà con il tempo allo scisma tra sunniti e sciiti e al lungo dominio di Muawiya, il comandante dei “credenti” che, dalla sua sede a Damasco, più di tutti sognò di prendere Costantinopoli e trasferirsi nella grande città dei Cesari.

“The great leap forward” (685-715) affronta l’ultima grande fase di espansione dell’Impero arabo, dopo aver risolto la successione a Muawiya durante la seconda guerra civile. Il Califfo Abd-al-Malik diviene il vero “fondatore” dell’Islam, il Costantino degli Arabi, i suoi successori portano l’a tensione verso Costantinopoli al massimo, fino al grande l’Impero arabo al masismo della sua estensione: dall’Asia centrale fino alla Spagna. La società dell’Impero inizia il processo di vera fusione tra conquistati e conquistatori, in una nuova identità araba e islamica più cosmopolita di quella dell’iniziale conquista. L’espansione viene bloccata nel seguente periodo, sopratutto a causa della sconfitta dell’assedio di Costantinopoli (717-718) e al trasferimento del potere dagli Omayyadi agli Abbasidi.

Un libro che accompagna il lettore in più di un secolo di storia araba e in generale del Mediterraneo e del Medio oriente, esplorando alcuni dei passaggi più importanti della storia degli ultimi 2000 anni. Nel farlo, l’autore ha una grande onestà intellettuale: non sposa la causa di nessuna delle popolazioni antiche coinvolte, elimina qualunque residuo di messianico determinismo e non cerca nè di demonizzare nè di giustificare la conquista araba. Il libro è accompagnato da molte e interessanti mappe, che rendono la lettura un piacere. Se cercate la risposta alla domanda: come fecero gli Arabi a conquistare rapidamente un impero così grande, questo libro fa per voi.

Muhammad and the believers (ITA: Mamometto e l’origine dell’Islam).

“Muhammad and the Believers” è un importante e seminale lavoro sull’origine dell’Islam che – nello spettro tra tradizionalisti e revisionisti, si collaca nel campo del “revisionismo moderato”. A differenza di Crone e altri, Donner accetta che la tradizione religiosa islamica sia iniziata a Mecca e Medina del VII secolo sotto la guida di un uomo di nome Muhammad e che il Corano sia un documento prodotto da questo movimento nella stessa regione e periodo. Non è questo il caso per tutti: notoriamente, i revisionisti più accesi negano che Mecca sia posizionata dove è ora, o che Muhammad provenisse dallo Hijaz, o perfino che fosse così importante nelle prime fasi dell’Islam.
Donner sostiene, tuttavia, che la tradizione religiosa islamica non è iniziata come una religione distinta, ma come un movimento di rinnovamento del monoteismo, dai confini labili e piuttosto ecumenici che includeva ebrei, cristiani (non trinitari) e nuovi convertiti al monoteismo.
Donner sottolinea come il Quran si riferisce circa 1000 volte ai “credenti” (sing. mu’min) ma solo 75 volte ai musulmani o all’Islam. I primi successori di Muhammad non erano inoltre chiamati Califfi, ma Comandanti dei Credenti (amir al-mu’minin).
A sua volta, dalla “Costituzione di Medina”) sappiamo che i non musulmani erano considerati parte della “umma” (la comunità dei credenti). La costituzione fa riferento al termine “credente” per indicare un appartenente alla Umma, mentre i musulmani sono “solo” coloro che hanno seguito Muhammad dalla Mecca a Medina.

Questo movimento era molto pio e ascetico, oltre che apocalittico. Secondo Donner, il Movimento dei Credenti mantenne il suo carattere ecumenico durante le prime conquiste e divenne una religione distinta solo a partire dal sovrano omayyade ‘Abd al-Malik alla fine del VII secolo.

Si tratta di una tesi molto solida e solidamente dibattuta, sritto in modo fluido: mi lascia perplessa solo la parte sui cristiani, visto che non è attestata una loro presenza nello Hijaz. Ottima lettura comunque, consigliata a tutti!

Libro disponibile anche in italiano al link seguente:

Roma all’Inizio del Medioevo (P. Delogu)

Raramente ho occasione di leggere una grande novità, ma questo è il caso di questo libro di Paolo Delogu, appena uscito (ottobre 2022) ed edito da Carocci editore.

Si tratta di un libro che fa in parte categoria a sé: Paolo Delogu è infatti uno dei più stimati storici italiani della tarda antichità e dell’Alto Medioevo, citato da tutti gli storici contemporanei. Da qualche tempo ha sviluppato un forte interesse per la storia dell’arte e questo libro nasce quindi dalle sue grandi passioni, in una sorta di matrimonio tra la storia dell’epoca e le sue testimonianze artistiche.

La storia della città di Roma tra il VI e il IX secolo è molto complessa e per lo più sconosciuta: pochissimi conoscono qualcosa del cosiddetto “papato bizantino”, l’epoca in cui Roma tornò parte dell’Impero romano medievale, dopo la sconfitta del regno d’Italia degli Ostrogoti. E’ proprio qui che “Roma all’inizio del Medioevo” prende avvio, descrivendo la città di fine VI secolo. La politica cittadina viene sviscerata, sospesa tra Papi, milizie imperiali e la costante minaccia longobarda.

Fin qui, nulla che non si possa trovare altrove, anche se questo libro ha il pregio di riassumere senza semplificare e di descrivere gli avvenimenti nel dettaglio, integrandoli con informazioni sull’economia, gli scambi, l’organizzazione istituzionale della Chiesa, la società della città di Roma. Dove l’opera invece è decisamente unica è, come accennavo, sui suoi riferimenti di storia dell’arte.

Perchè d’arte altomedievale a Roma ce ne è rimasta davvero molta e rilevante: se la si analizza nel dettaglio, si trovano anche molti indizi per dipanare gli avvenimenti di un periodo complesso. A partire da S.Lorenzo, voluta da Papa Pelagio, passando per Santa Maria antiqua al Foro e per Sant’Agnese, nonchè per una miriade di chiese ed edifici vari, Delogu ricostruisce la storia della città, restituendo quel senso di continuo divenire, di costante occupazione, che fa di Roma davvero la città eterna. Una città dove la storia non si ferma certo al volgere dei secoli, o alla caduta del più grande impero dell’antichità.

Delogu ci accompagna attraverso la rivoluzione politica dell’Ottavo secolo – che porta il Papato dalla fedeltà all’Impero di Costantinopoli alla fondazione dell’Impero di Carlomagno: interessantissima la descrizione di come il Papato riorganizzò l’economia del Lazio e della struttura della Chiesa per far fronte alla perdita delle rendite siciliane, sottratte dall’Impero romano al Papa a causa della sua infedeltà all’Impero. Si giunge infine al IX secolo, molto fecondo di costruzioni e fervore culturale: la cosiddetta rinascita carolingia. Eppure, a fine secolo, i Papi e la città dovranno fare i conti con la dissoluzione anche dell’Impero carolingio: si aprirà un altro periodo oscuro, tra razzie arabe e instabilità al governo della Chiesa. Ma il X secolo, con le sue contorsioni, è al di là delle colonne d’ercole di questo libro.

In generale, trovo quest’opera recentissima pregevole: Delogu scrive anche in modo piuttosto appassionante, a mio avviso, almeno per gli standard nazionali. Le vicende possono essere oscure per i non iniziati, Delogu inoltre tradisce una certa predisposizione per le interpretazioni più tradizionali della storiografia italiana, ma forse è giusto così.

Si tratta di un libro molto ricercato, che secondo me sarà considerato a lungo come una sorta di vademecum della Roma del VI-VII-VIII e IX secolo.

Voci dai secoli oscuri (S.Gasparri)

Questo libro è una rarità nel panorama editoriale italiano, in quanto non è strettamente parlando un saggio su un periodo o su un tema, ma un’interpretata raccolta di fonti sull’alto medioevo italiano, spesso erroneamente definito “senza fonti”.

Stefano Gasparri è uno dei più importanti storici italiani del dopoguerra per quanto riguarda l’alto medioevo. Ha realizzato molte opere, in particolare sui Longobardi, contribuendo alla rinascita dell’interesse sulla storia italiana e longobarda tra i secoli VI e IX.

In questo breve trattato (circa 170 pagine) Gasparri mette a disposizione del grande pubblico una serie di fonti, reintepretate per gettare luce sull’evoluzione della società italiana in questi secoli. La prima fonte è la più classica: Paolo Diacono, riletto però alla luce della moderna ricerca storica. Il primo capitolo, dedicato all’epoca dei “duchi”, in teoria la più distruttiva della storia longobarda, è assolutamente illuminante.

Le seguenti sezioni, se si vuole, lo sono ancora di più: “Arezzo contro Siena” è la storia di una contesa secolare tra due città per definire i confini delle rispettive giurisdizioni, una vicenda legale che spiega il funzionamento della legge e delle istituzioni dell’Italia longobarda: Gasparri rivaluta l’importanza del Re e dell’apparato statale. Tutto questo ci è stato trasmesso dal celebro “rotolo n.3” dell’archivio diocesano di Arezzo.

In “Storie di schiavi, servi e contadini“, Gasparri getta luce, per quanto si può, sull’oscuro mondo delle campagne longobarde: la relazione tra liberi e servi, i contratti, i matrimoni, le successioni. In “Salvarsi l’anima” si parla delle importanti donazioni che, a partire dall’epoca di Liutprando, i Longobardi fanno alla chiesa, svelando molto sulla società dell’ottavo secolo. Si parla poi di Comacchio e del commercio sul Po, delle origini di Venezia, della nascita del patrimonio di San Pietro e dell’Italia carolingia.

Nonostante Gasparri si sforzi di essere chiaro e limpido nell’illustrazione, è comunque un’opera che richiede una certa conoscenza di base del periodo per essere apprezzata appieno. Eppure, nella sua semplicità e brevità, è quanto di meglio si possa chiedere per avere uno spaccato dell’Italia altomedievale.

L’impero che non voleva morire (J.Haldon)

Il libro di Haldon tenta di rispondere ad una domanda semplice, ma incredibilmente impegnativa: data la miriade di sfide esistenziali che l’impero bizantino doveva affrontare nel VII secolo, come riuscì a resistere? Perché non si rassegnò alla caduta, come sembrava assolutamente possibile?

Dopo la sconfitta dello Yarmuk (636) e il rapido deteriorarsi della situazione militare in Siria, Armenia, Egitto e Nordafrica, l’Impero romano (aka bizantino) si restrinse in sostanza all’Asia Minore centroccidentale e ad alcuni presidi di difficile protezione in Italia e nei Balcani. Una serie di rovesci portò la stessa capitale imperiale ad essere più volte assediata, in particolare durante il lungo assedio del 717-718, assedio il cui obiettivo era evidentemente la distruzione dell’Impero. Come mai dunque l’Impero sopravvisse alla crisi del VII secolo, agli assedi e – infine – riuscì a durare molti secoli in più del suo più grande rivale, il Califfato?

Nell’introduzione, Haldon rileva cinque serie di fattori che potrebbero aver contribuito alla sopravvivenza del sistema politico romano: 1) Il ruolo della religione e dell’identità romana 2) la natura delle élite dell’impero 3) la geografia 4) il clima e l’ambiente 5) i fattori organizzativi. Questi fattori vengono poi trattati tematicamente per i restanti capitoli del libro: la religione come collante dello stato, tanto che Chiesa e Stato finirono per fondersi in un tutt’uno coerente, che prevedeva il ruolo dell’Imperatore (ben più del Patriarca) come ultimo rappresentante di Dio in terra, destinato a guidare il suo “popolo eletto” (i Romani) al trionfo dell’Ortodossia cristiana. Le élite dell’Impero dovevano inoltre buona parte dei loro introiti non tanto e non solo dalle loro terre, ma dagli onori e dagli stipendi elargiti dalla burocrazia imperiale, saldando gli interessi della corte e quelli dei magnati provinciali. La geografia dell’Asia minore – un territorio protetto da montagne e con un clima inospitale per gli Arabi – unita alla geografia della città-fortezza di Costantinopoli permisero un “arrocco” dell’Impero su una ridotta molto difendibile. Lo stato romano mantenne anche nei secoli più bui le capacità organizzative e di tassazione dell’Impero romano tardoantico, mentre l’esercito adattò le proprie strategie alla nuova realtà, di un Impero più debole militarmente del suo potente vicino.

Si tratta di un libro estremamente ben documentato e Haldon spiega in modo esemplare anche le questioni più tecniche: per il lettore occasionale, la prima parte è un sunto molto stringato degli eventi, che può essere difficile da seguire per i non iniziati, mentre il resto del libro è diviso per temi e non va in ordine strettamente cronologico, rendendo più complessa la comprensione. Non credo nel complesso sia un difetto: rispondere alla questione iniziale (perché l’Impero romano sopravvisse) è possibile solo se si affrontano i singoli temi. Nel complesso, è un’opera affascinante e assolutamente da leggere per chiunque sia interessato alla storia dell’Impero romano nell’alto medioevo, forse il periodo più oscuro di tutti.

Le leggi dei Longobardi, Storia memoria e diritto di un popolo germanico (C. Azzara e S. Gasparri)

Questa sembra essere la sola traduzione completa delle Leggi esistente in italiano, e se questo e il caso, si tratta anche del rimedio a uno scandalo – il lungo e assurdo pregiudizio verso un periodo fondamentale della storia italiana.

Claudio Azzara e Stefano Gasparri sono tra i più importanti medievisti italiani e – con questo libro – fanno un’operazione molto lodevole da un punto di vista della divulgazione. Troppo spesso le fonti primarie medievali sono lasciate nell’originale latino senza che nessuno si premuri di tradurle in una lingua moderna. E’ comprensibile: gli addetti ai lavori debbono leggere le fonti nella lingua originale. Per chi però non ha abbastanza dimestichezza con il latino da poterlo leggere fluentemente è importante avere il testo anche in una lingua moderna.

Questo è stato compreso dagli storici anglosassoni, che realizzano ottime traduzioni commentate di quasi tutte le fonti che gli interessano, i Longobardi ahimè non sono spesso tra questi. Azzara e Gasparri hanno quindi realizzato un’opera molto importante e riempito un vero vuoto.

Non si tratta infatti di una semplice traduzione di tutte le opere legislative dei Longobardi (da Rotari a Astolfo), ma queste sono presentate con una vera messe di commenti e note per comprenderle. La presenza del testo latino a fronte aiuta a districarsi nel testo, con il suo misto di latino tardoantico e alcune, affascinanti parole longobarde.

Per quanto mi riguarda, trovo la lettura delle leggi originali del VII e VIII secolo assolutamente affascinanti: la chiarezza brutale dell’originale editto, i tanti tentativi di modificare e temperare le leggi al tempo di Liutprando (quasi un lavoro annuale!), i dettagli che si ritrovano in Astolfo, con le sue leggi che fanno trasparire un mondo molto diverso da quello del VII secolo. Più di questo, entrare nelle pratiche matrimoniali, di successione e dei contratti degli uomini medievali apre una finestra sul mondo “reale” dell’altomedioevo, sulla società dell’epoca. Un modo rinfrescante per ricordarsi che la storia non è fatta (solo) di uomini e donne potenti, di guerre e battaglie.

Ovviamente non si tratta di una lettura per tutti, ma se il doppio episodio sull’editto di Rotari vi ha incuriosito e volete conoscere i dettagli delle fonti da me utilizzate, qui troverete una messe di informazioni ben al di là di quello che sono riuscito a presentare. Per i più ambiziosi, sarà interessante cercare di ricostruire il diritto longobardo e la sua evoluzione ()questo consigliato sopratutto ad avvocati e studenti di legge).

Storia dell’Italia bizantina (Salvatore Cosentino)

Questo straordinario libro è considerato in modo unanime dalla storiografia mondiale (anche in altre lingue) come il libro indispensabile per capire l’Italia “bizantina”, da Giustiniano fino all’XI secolo (e perfino oltre!)

L’opera è divisa in modo tematico: il territorio, la società, le istituzioni, la politica, l’economia, la religione e la cultura. Può essere utile paradossalmente partire dalla sezione “politica” per inquadrare gli avvenimenti e il contesto, per poi passare ad approfondire ogni sezione, che di solito ripercorre tutti i secoli coperti (circa sei) per ogni tema. Per esempio: le istituzioni traccia tutte le evoluzioni molteplici delle istituzioni imperiali, dall’organizzazione originale di Giustiniano all’evoluzione tematica del VII secolo, fino ai Catepani dell’XI.

I temi affrontati sono tantissimi, tra questi per esempio c’è l’importantissima questione dell’evoluzione linguistica delle terre imperiali, con l’affermarsi del greco in alcuni territori imperiali. Si parla di come un nuovo ceto dirigente si formò sulle ceneri della classe senatoriale del V-VI secolo, evolvendosi dai capi militari (classe tribunizia) dell’esercito d’Italia. Di come i ducati divennero sempre più indipendenti, trasformandosi poi nel dominio dei Papi (Roma), nella repubblica di Venezia e nei ducati del sud come Napoli e Amalfi. Di come il sistema fiscale si evolse in questi secoli. Dell’importanza del monachesimo greco (basiliano) nella storia religiosa dell’Italia meridionale.

Il libro cerca anche di rispondere a diversi quesiti complessi, per esempio: perché l’Italia meridionale – in particolare – restò fedele così a lungo all’Impero, nonostante la distanza e le differenze culturali? Perchè si arrivò alla rottura con il Papato?

In generale, non è un libro divulgativo ma profondamente accademico: va approcciato in quanto tale. Ciò detto, non esiste una trattazione altrettanto approfondita e documentata di una fase importante (e lunga) della nostra storia, spesso trattata come parentesi e ignorata, sia per la distanza culturale (il Greco è indispensabile per capire l’Italia bizantina) sia per distanza grografica (coinvolge territori che la storiografia ottocentesca considerva come periferici), sia perché difficilmente si inserisce nel quadro di un’evoluzione lineare della storia patria. Per questo è importante conoscerla bene.

Barbarian Migrations and the Roman West (Guy Halsall)

Guy Halsall – come può attestare anche la sua presenza social, molto battagliera – non è un professore medievale che le manda a dire. Preparato e determinato, ha la capacità di ben scrivere e di argomentare tenacemente le più forti affermazioni. Il suo lavoro “Barbarian Migrations in the Roman West” è considerato da molti come il più importante saggio di storia su quest’epoca a cavallo tra Adrianopoli e l’arrivo dei Longobardi in Italia. La stessa scelta di inserire tutto questo periodo in un unico libro è di per sé innovativa.

Dei tanti dibattiti che perennemente ruotano attorno al tema della caduta di Roma, nessuno è più duraturo di quello tra coloro che attribuiscono la colpa a problemi interni (corruzione, decadenza) e coloro che citano pressioni esterne (invasioni barbariche). Quest’ultima opinione fu formulata in modo memorabile da André Piganiol negli anni Quaranta: “Roma non morì di morte naturale; è stata assassinata.”

Di recente, dopo un lungo predominio degli “internalisti”, è stato Peter Heather a riaffermare l’importanza delle migrazioni barbariche in Europa come causa scatenante della disolluzione dell’Occidente (vedere primo libro in lista delle mie “fonti”).

Con questo libro, Guy Halsall si schiera decisamente dalla parte degli internalisti, ma in modo diverso: niente moralismo sulla “caduta dei costumi” ma molta attenzione alle reti clientelari, alle strutture politiche e all’identità sociale dei territori provinciali, e come questi erano legati al centro imperiale. Halsall descrive la caduta come “l’effetto cumulativo di una miriade di scelte da parte di innumerevoli persone” che “spesso, se non sempre, tentavano di fare il contrario”: nessuno, nella lunga storia romana, nè tra Romani nè tra i Barbari sembra aver “voluto” la caduta, ma spesso l’ha avvicinata senza volerlo.

Altre citazioni epiche dal libro: “l’impero non morì silenziosamente: cadde calciando, squarciando e urlando”. la conclusione è stata anche ripresa nel mio libro (Il miglior nemico di Roma): “L’Impero Romano non fu assassinato e non morì di morte naturale; si è suicidato accidentalmente”.

Con tutti i suoi pregi – e questo libro ne ha tanti – ha anche dei difetti: è molto ideologico, a volte sembra disdegnare l’archeologia o l’archeogenetica, rimanendo forse troppo affezionato alle teorie storiche anche di fronte all’evidenza. Alcune sezioni che discutono di questioni di genere e del razzismo sembrano aggiunte a bella posta: non c’è ragione per non parlarne in un saggio di storia, ma sembrano essere state aggiunte posticce ex post richieste da qualcuno o da qualcosa e non integrate armonicamente nel libro. Infine la verve dell’autore è sicuramente interessante, ma si lascia spesso trascinare dall’animosità del dibattito storico sulla tarda antichità, anche se a onore del vero non manca di riconoscere meriti anche degli “avversari”. Comunque, una lettura imprescindibile sul periodo, da accompagnare ad altre.

La Repubblica di San Pietro (Thomas F.X. Noble)

La Repubblica di S.Pietro (The Repubblic of S. Peter) di Thomas F.X.Noble è una delle opere indispensabili per comprendere il delicatissimo passaggio istituzionale che portò il Papato ad una decisiva evoluzione che ne segnerà la storia: da un’istituzione dell’Impero romano medievale (L’Impero bizantino) diverrà uno stato indipendente (La Repubblica di San Pietro, nei testi contemporanei) fino alla sua progressiva incorporazione nel mondo istituzionale franco durante i regni di Carlo Magno e Ludovico il Pio.

Questa storia – nelle parole di Noble – è stata di solito raccontata da due punti di vista: uno cosiddetto “bizantino”, nega la sostanziale indipendenza dei Papi fino alla loro alleanza con i Franchi (intorno al 750) con elementi di legame con Costantinopoli che perdurano anche oltre: a tal fine, basti leggere il libro “Byzantine Rome and the Greek Popes” che sarà la prossima recensione. L’altra tesi – quella filo-franca – ritiene che la Chiesa non passò mai attraverso un periodo indipendente, ma in sostanza cambiò semplicemente padrone. Di solito la tesi franca e bizantina differiscono in sostanza solo sulla data di questo passaggio, più o meno tarda a seconda dell’ipotesi.

Secondo Noble – e l’intera scuola di pensiero da lui espressa – in realtà per quasi un secolo in Italia ci fu uno “stato” indipendente de facto: la Repubblica di San Pietro. nelle sue parole: “A partire da fine VII secolo, una lista di Papi molto risoluti agendo in concerto con la nobiltà romana emanciparono l’Italia centrale dall’Impero bizantino e trasformarono la regione in uno stato indipendente, la Repubblica di San Pietro”. Il suo obiettivo è ridare centralità alle decisioni degli abitanti dell’Italia imperiale.

Il libro presenta in modo efficace la tesi, ripercorrendo le successive fasi: lo straniamento della relazione tra Roma e Costantinopoli sotto Giustiniano II, la contesa su tasse e iconoclastia sotto Leone III, il difficile passaggio dell’alleanza con Pipino il Breve a metà VIII secolo e gli accordi conclusi con i Franchi, gli interventi in italia di Pipino e poi quello decisivo di Carlomagno. La relazione che si venne a costruire con Carlomagno nel 774 e poi all’atto della trasformazione del Regno carolingio in un Impero. La progressiva trasformazione di Roma in una parte del reame carolingio sotto Ludovico il Pio.

Il libro è prezioso anche per come ricostruisce attentamente l’organizzazione della Chiesa romana, la sua evoluzione istituzionale ed economica nel corso dell’ottavo secolo, perfino i suoi confini geografici. In questo aspetto, è assolutamente indispensabile come è importantissimo conoscere la tesi di Noble nel quadro della relazione a tre tra Franchi, Papato e Impero romano. Lettura tecnica, rimane comunque di piacevole lettura anche per i non iniziati.

Disponibile in italiano, ma la versione italiana è più difficile da trovare.

Byzantine Rome and the Greek Popes (Andrew J. Ekonomou)

Con “La Repubblica di San Pietro” di Thomas Noble e “Roma all’inizio del Medioevo” di Delogu, questa è una delle mie fonti principali per gli anni che vanno dal 680 al 750, l’epoca di transizione tra il papato cosiddetto “bizantino” (sarebbe meglio dire imperiale romano) e il papato dei Franchi.

Ekonomou scrive questo libro con una precisa idea in testa, e in gran parte è quella di controbattere alla “Repubblica di San Pietro”, per asserire il legame fortissimo tra Roma e Nuova Roma attraverso tutto il periodo, mentre Noble sostiene che Roma era in sostanza diventata indipendente già almeno dagli anni ’20 dell’ottavo secolo. In generale, Ekonomou elenca le mille ragioni che fanno di Roma a fine VII secolo una città profondamente ellenizzata: nella liturgia, nei monasteri, nei vertici militari e della chiesa. Ci sono moltissimi aneddoti e informazioni interessanti e la narrazione più o meno cronologica, con divagazioni su storia, società, economia, è sempre interessante. L’autore però sembra particolarmente intento a sostenere la sua tesi, a volte piegando i fatti quando i fatti non la sostengono del tutto.

Resta una lettura molto interessante sul periodo, e importante per confutare tesi un po’ troppo “latinocentriche” per quanto riguarda passaggi fondamentali e oscuri come la controversia monotelita. Mirabile come Ekonomou arrivi a smontare l’intera impalcatura papale a riguardo dell’infallibilità e della condanna di Papa Onorio. Impressionante il lavoro sulle note e la bibliografia, molto comprensive.

Curiosità: Ekonomou non è uno storico accademico: è un importante avvocato americano, uno dei principali avvocati del team di Trump.

A History of the Byzantine State and Society (W. Treadgold)

Warrent Treadgold è uno dei grandi bizantinisti viventi: grazie al suo lavoro si è formata una nuova generazione di studiosi dell’Impero romano medievale che ha rotto definitivamente con gli stilemi e gli assunti “illuministici” che tanto a lungo hanno influenzato la comprensione dell’Impero bizantino: i mille anni di declino, per intenderci, lo stesso conio di un termine quasi spregiativo: “bizantino”, come a rimarcarne la non-romanità.

Questo libro di più di 1000 pagine, uscito nel 1997, è in sostanza quanto di meglio si poteva avere come analisi generale sull’intera storia bizantina fino al recente “The new Roman Empire” di Anthony Kaldellis. La cosa interessante è che non si tratta di un libro di pura narrativa degli eventi – che però ci sono tutti, incredibilmente – ma di analisi anche e soprattutto dello stato e della società dell’Impero romano d’oriente, come d’altronde si capisce nel titolo. Ad ogni capitolo di narrativa segue uno di analisi di un aspetto della civiltà “bizantina”.

La prima parte (284-457) copre la formazione della società bizantina e gli eventi da Diocleziano a Leone I, la seconda parte (457-610) detta “interrupted advance” narra in sostanza l’apogeo tardoantico dell’Impero, con il regno di Giustiniano e dei suoi successori. Poi c’è la “catastrofe contenuta” del 610-780, quando l’Impero deve cambiare pelle per sopravvivere, da Eraclio a Costantino V. Nella quarta parte (il lungo revival) si analizza l’apogeo medievale dell’Impero, da Irene a Basilio II, quando l’Impero romano è di nuovo la principale potenza del Mediterraneo orientale. Segue la sesta parte “Stato debole e società ricca” che narra della lenta discesa agli inferi dell’Impero, fino al sacco della quarta crociata (1204). Infine l’ultimo capitolo (la restaurazione fallita) conduce il lettore fino al sacco di Costantinopoli (1453).

Questo libro è un lavoro eccellente che funziona benissimo su molti piani. È leggibile senza sforzarsi troppo di essere simpatico. Si concentra con il giusto equilibrio su argomenti religiosi, politici, economici e culturali: è infarcito di tabelle, grafici, mappe. È completo, non stanca mai nonostante la mole pur senza essere una lettura travolgente. La storia bizantina ha tutto quello che un lettore di storia può desiderare: gloriose conquiste, disastrose sconfitte, imboscate, mutilazioni, complotti, rivolte religiose, assassini di bulgari ed eunuchi. Se vi serve un manuale completo sulla storia bizantina, non andate oltre.

In italiano questo libro non è tradotto, ma c’è un libro più stringato di Treadgold, inserisco il link in basso