Economia e finanza a Roma (III secolo a.C.-III secolo d.C.) – Ep. 50, testo completo

Oggi come annunciato episodio speciale, per festeggiare il raggiungimento dell’episodio numero 50! In realtà era da tempo che mi ronzava in testa l’idea di realizzare questo episodio. Oggi, infatti, non parleremo di battaglie, di imperatori e Re, non parleremo neanche di religione o del mondo extra danubiano. No, oggi parleremo di qualcosa di fondamentale per ogni tempo e ogni luogo, quell’invisibile rete di interessi, transazioni, commerci che tiene insieme la società, sia quella antica come quella moderna. Faremo un salto indietro di secoli e parleremo dell’economia e della finanza del mondo romano.

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Modernisti e primitivisti

Molti credono che l’economia abbia acquisito un’importanza fondamentale per la storia relativamente di recente, diciamo dalla rivoluzione industriale in poi. È una affermazione che ha delle basi nella realtà, sicuramente l’economia preindustriale si muoveva con una rapidità diversa, ma non per questo fu un elemento meno importante al successo o al tracollo di regni e imperi.

In questo episodio parleremo innanzitutto e a lungo dell’economia antimperiale. Lo faccio perché è nell’economia dei secoli della pax romana che abbiamo alcune delle informazioni più interessanti. Poi prenderemo quello che avremo appreso e lo getteremo nella fornace della crisi del terzo secolo, e vedremo poi cosa ne verrà fuori nella tarda antichità. Per una volta la parte dedicata alla tarda antichità sarà la più breve, perché già coperta da altri episodi del podcast e per dare spazio ad un periodo che non ho di solito trattato.

Sull’economia romana del suo periodo classico, diciamo dal secondo secolo avanti cristo al secondo dopo cristo, ci sono due filoni principali nella storiografia: non vi riassumo tutto il dibattito storiografico perché sarebbe troppo complesso, ma semplificando il campo si divide tra primitivisti e modernisti, entrambe etichette che nascondono ovviamente posizioni più complesse. I modernisti sostengono che l’Impero Romano aveva raggiunto un alto livello di sviluppo economico, paragonabile per certi versi con l’Europa occidentale all’alba della rivoluzione industriale. Di converso i primitivisti, che sono andati molto di moda a partire dagli anni 70’ grazie ad un monumentale studio di Moses Finley, sostengono che l’economia a base schiavistica dell’Impero Romano fosse in realtà una economia agraria piuttosto arretrata, forte nei volumi ma non nella specializzazione, dove le città erano più che altro consumatrici e non produttrici di beni e servizi, come saranno già nel basso medioevo. L’economia imperiale sarebbe stata limitata da scambi commerciali ridotti, scarso o nullo sviluppo del libero mercato e della finanza, mancanza di sviluppo tecnologico.

Questa era la tesi prevalente durante i miei studi scolastici ma come vedremo è stata per molti versi superata dalla ricerca degli ultimi venti anni, spesso basata su dati quantitativi dell’archeologia sperimentale che erano indisponibili decenni fa, anche se ovviamente molte delle obiezioni di Finley e dei primitivisti rimangono valide.

Il boom repubblicano

Innanzitutto va detto che l’economia romana del periodo classico acquisisce le sue caratteristiche a partire dal secondo secolo avanti cristo, quando la Repubblica Romana è già davvero un Impero. In questo periodo si afferma il sistema monetario romano basato sulle  monete d’oro e d’argento, un flusso enorme di schiavi viene importato nella penisola venendo a creare le prime grandi ville agricole romane ed esplode la popolazione della capitale, richiedendo l’allestimento di un immenso sistema di approvvigionamento. Già nel primo secolo A.C. la capitale ha più di 800 mila abitanti.

Sin dal secondo secolo a.C. possiamo notare lo sviluppo di un imponente traffico mediterraneo, in base al numero dei relitti mediterranei e ai ritrovamenti di anfore. L’espansione di Roma è preceduta e accompagnata dal suo commercio: le strade dove un giorno marceranno le legioni sono già state solcate da anni dalle suole dei mercanti italiani, intenti a vendere mercanzie prodotte dall’Italia e importare beni per l’insaziabile sete di prodotti di ogni tipo della sua capitale. Lo stato romano accompagna questo sviluppo fornendo due beni essenziali: le vie di comunicazione – soprattutto strade e porti – e la sicurezza, condizione indispensabile per il fiorire del commercio. I Romani pattugliano la terra e il mare, sconfiggendo via via i pirati del mediterraneo e costruendo quella sicurezza sulla quale si può basare un vero boom dei traffici mediterranei.

Non va esagerata la portata di questi traffici: il grosso della produzione rimane agricola e destinata al consumo locale, ma mai prima del periodo romano gli archeologi hanno trovato segni di un tale massiccio commercio nel mediterraneo.

A partire dal secondo secolo avanti cristo si impone inoltre la rivoluzione agricola romana, fondata sulla creazione del sistema delle ville, larghe tenute operate da manager per conto dei proprietari e che fanno largo uso di manodopera schiavile. L’agricoltura Romana, nella repubblica antica, era una agricoltura in gran parte di sussistenza o destinata ai mercati locali. Le grandi conquiste del mediterraneo misero a disposizione di una ristretta cerchia di uomini ricchissimi dell’aristocrazia italica una vasta manodopera schiavile a basso costo. L’abbondanza di schiavi permise di realizzare grandi tenute fondiarie da destinare almeno in parte a produzione a maggiore valore aggiunto, come ad esempio il vino di livello medio e alto, di solito esportato in varie zone dell’impero.

Ricostruzione di una villa romana (azienda agricola) in Britannia

Il settore primario: l’agricoltura e l’allevamento

L’espansione della produzione agricola che oggi diremmo capitalistica fu sicuramente un volano per l’accumulamento dei capitali nelle mani di una aristocrazia di proprietari terrieri – in gran parte la classe senatoria – ma andò ovviamente a discapito dei piccoli proprietari terrieri italici. Nell’impossibilità di competere con le grandi ville senatoriali e con l’onere di militare nell’esercito, a partire dalla fine del terzo secolo avanti cristo questa classe che nei primi secoli della Repubblica ne era stata la spina dorsale è destinata al declino e alla trasformazione in braccianti o proletariato urbano.

Una delle tesi di Finley era che questo sistema di ville non ebbe nei secoli grandi innovazione tecnologiche. Un tempo si credeva ad esempio che il mulino ad acqua fosse stato inventato nel medioevo, si tratta di una innovazione cruciale per migliorare la produttività agricola. Con il tempo sono stati però scoperti diversi esempi di mulini ad acqua romani, anche di dimensioni impressionanti come i sette mulini in sequenza ritrovati nei pressi di Arles, e che ho avuto il piacere di visitare. A Roma una installazione simile era presente al Gianicolo. Altre innovazioni sono presenti nella mietitura, con una sorta di mietitrice meccanica, o nei torchi utilizzati per la pressione di vino e olio. Tutte innovazioni importanti e che ebbero certamente effetti sulla produttività agricola.

La produzione artigianale dei beni fondamentali per l’agricoltura è realizzata spesso nelle stesse ville, incrementandone l’efficienza. Gli altri beni sono spesso prodotti da fabbriche private protocapitalistiche: abbiamo ad esempio lo stampiglio di veri e propri marchi di fabbrica su mattoni e ceramiche, prodotti in grandi laboratori artigianali e destinati alla rivendita e all’export, spesso a distanze considerevoli.

Questa trebbiatrice a trazione animale fu inventata dai Galli e si diffuse in buona parte dell’Impero Romano

La produzione industriale

Il panorama de Las Medulas, le più grandi miniere d’epoca romana, scavate con modalictà industriali tramite il sistema del Ruina montium

La produzione industriale è principalmente quella legata all’industria mineraria e alla trasformazione dei metalli: qui i Romani sviluppano tecniche e tecnologie di estrazione mineraria che sono state oramai definite proto-industriali. Ad esempio i romani praticavano l’estrazione mineraria idraulica, scavando condotti nelle montagne per poi farvi fluire l’acqua che andava letteralmente a frantumare intere colline. Delle macchine a funzionamento idraulico erano poi utilizzate per frantumare le rocce ed estrarre i metalli preziosi. Questa tecnica, descritta da Plinio il vecchio, era chiamata dai Romani “ruina montium” o rovina-montagne. La produzione mineraria era presente in molte regioni dell’impero, ma un ruolo particolare lo aveva la Spagna dove c’erano miniere imponenti di oro, argento, piombo, rame, stagno. Solo la penisola iberica produceva 9 tonnellate d’oro all’anno mentre i calcoli degli storici portano a ritenere che l’Impero Romano fu il più grande produttore preindustriale di stagno, rame, ferro, piombo e argento. Ad esempio per il piombo la produzione mondiale sorpasserà quella romana solo intorno al 1750. Questo è forse il campo dove i Romani erano più avanzati relativamente al loro tempo.

Produzione di piombo nei secoli: solo nel XVIII secolo la produzione di questo metallo superò le vette raggiunte durante l’epoca imperiale

La monete: la merce universale

In contemporanea al boom dei commerci del mediterraneo durante gli ultimi secoli della Repubblica si sviluppa una progressiva monetizzazione dell’economia, una condizione necessaria per agevolare i traffici e i commerci. Le monete d’oro e d’argento prodotte da Roma vengono rapidamente accettate in tutto il mondo conosciuto, raggiungendo con vari passaggi di mano perfino l’estremo oriente. Ma cos’è la moneta? E come si sviluppò la monetizzazione romana e che importanza aveva per l’economia dell’Impero? È tempo di chiarire a fondo concetti importanti che ci serviranno anche in futuro. Dobbiamo distinguere tra prezzo, merce e moneta.

La merce è un bene che intendiamo scambiare commercialmente, e il prezzo è ovviamente il valore che diamo alla merce. Questo valore può essere espresso in relazione ad altra merce, in questo caso parliamo di baratto. 1000 anfore di vino valgono 10 mucche, per esempio. Il problema di avere un sistema economico basato sul baratto è che è difficile da gestire per il commercio: non è facile per un mercante portarsi dietro delle mucche per andare a comprare del vino. Questo portò abbastanza presto ad utilizzare delle merci di particolare valore universale come merce-moneta, ovvero una merce utilizzata come valore di scambio. Fu questo il caso per esempio del sale, inizialmente, ma presto la merce-moneta più utilizzata furono i metalli preziosi, l’argento su tutti.

L’oro e l’argento sono in primis una merce, proprio come una mucca, con un valore di mercato determinato dalla legge della domanda e dell’offerta: se aumenta l’oro disponibile grazie alla scoperta di nuove grandi miniere, per esempio, il valore dell’oro scenderà. Se aumenterà la domanda dell’oro in presenza di una stabilità della sua produzione, il suo valore salirà.

Nel terzo secolo avanti cristo l’utilizzo delle monete preziose come merce di scambio convinse finalmente il governo Romano a creare le prime vere monete della Repubblica, in grande ritardo rispetto alle città della Magna Grecia che le utilizzavano da secoli. Il valore di queste monete inizialmente era il valore intrinseco del metallo ivi contenuto, ma da subito lo stato romano iniziò a imporre un valore legale alla moneta, stabilendo per esempio un tasso di cambio fisso tra le monete di argento, rame e poi d’oro. Valore che non variava al variare dei prezzi di argento, rame e oro, andando a dissociare con il tempo il valore di corso delle monete d’argento e di rame rispetto al valore del metallo ivi contenuto. L’eccezione a questa regola pare sempre essere stata la moneta d’oro, sempre più o meno vicina al valore dell’oro contenuto nella moneta. Durante tutti i 400 anni di stabilità della moneta imperiale la moneta d’oro era l’Aureus, la moneta d’argento – la più diffusa – era il Denarius e la moneta di rame era il Sextertius. Secondo Carrà e Marcone (Economia e finanza a Roma) Il denarius aveva un valore sopravvalutato di circa il 60% rispetto al valore dell’argento contenuto e in questo il suo valore legale era decisamente superiore a quello intrinseco. Un denario può essere paragonato come potere d’acquisto a circa 15 euro moderni ed equivaleva all’incirca alla paga giornaliera di un legionario. Una moneta d’oro valeva 25 monete d’argento e 100 sesterzi di Rame.

Sistema di monetazione romana classico: 4 assi fanno un 1 sesterzio (bronzo in epoca imperiale), 4 sesterzi fanno un Denario (argento), 25 denari fanno un Aureo (oro). Quindi ogni aureo include 100 sesterzi.

Non è questa la sede per analizzare tutti i cambiamenti della monetazione romana, la repubblica e l’impero variarono spesso il peso delle monete e la quantità di metallo prezioso contenuto per mantenere i rapporti stabili tra le monete, ma basti sapere che il cambio rimase sostanzialmente invariato per 400 anni, gli anni della stabilità imperiale romana tra il 200 avanti cristo e il 200 dopo cristo. Questa affidabilità della monetazione romana creò una fiducia assoluta nel sistema finanziario e monetario romano perché le monete avevano sempre più o meno lo stesso valore. Questa stabilità contribuì enormemente alla crescita economica e degli scambi commerciali, la stabilità e l’affidabilità essendo come detto la base indispensabile per il fiorire di una economia: un mercante che riceveva un pagamento in monete d’argento della Repubblica Romana sapeva che in qualunque altro posto del mondo mediterraneo quelle monete sarebbero state accettate e avrebbero avuto lo stesso valore anche a distanza di anni. Si tratta di una garanzia importante per agevolare i traffici.

Il prezzo della moneta

Ma perché il valore della moneta rimase stabile? Per cercare di comprenderlo dobbiamo spiegare concetti molto complessi, ci proverò con degli esempi. Il valore della moneta è il suo prezzo, come tutto anche il valore della moneta può cambiare, se il valore della moneta scende si dice che abbiamo inflazione. Ad esempio, poniamo che una vacca costi 100 monete d’argento: se all’improvviso occorrono 110 monete d’argento il valore della nostra moneta, ovvero la sua capacità d’acquisto, è scesa del 10%. In questo caso diciamo che c’è stata una inflazione del 10%, in caso contrario abbiamo la deflazione, più rara.

Cosa causa l’inflazione, ovvero il variare del prezzo della moneta? Il prezzo della moneta è una funzione di due fattori: la disponibilità della moneta e l’attività economica. Come ogni bene, il valore della moneta è definito dalla sua scarsità: più un bene è scarso, più è costoso. Immaginiamo di avere 1 milione di monete d’oro in giro per l’impero, questo ammontare è detto massa circolante. Ora immaginiamo di avere un PIL imperiale di 1 milione di monete d’oro, il PIL essendo la somma delle attività economiche dell’intero impero. Il rapporto tra i due sarà di 1. Se aumentiamo all’improvviso del 10% il numero delle monete d’oro, senza che il PIL cresca, il valore della moneta scende del 10%, quindi avremo un’inflazione al 10%. Più avanti vedremo dei casi pratici del funzionamento di questo rapporto.

Lingotto di piombo con il marchio del produttore

In realtà c’è un altro fattore che può influenzare il valore di una moneta, ed è la monetizzazione dell’economia. Nel quarto secolo avanti cristo l’economia romana era a bassa monetizzazione, ovvero una piccola parte degli scambi commerciali erano regolati in moneta. Se aumenta la percentuale di scambi in moneta il valore della moneta sale, perché ovviamente la nostra moneta d’oro sarà più utile, in quanto più utilizzata per gli scambi. Per cercare di comprendere questo concetto, immaginate il valore per voi di una carta di credito: l’utilità per voi della carta di credito come mezzo di pagamento è proporzionale al numero di esercenti che la accettano.

Il rapporto tra tutti questi valori può essere riassunto da una funzione matematica: il prezzo della moneta è dato dalla massa circolante delle monete nell’impero diviso per il PIL moltiplicato per la percentuale di monetizzazione dell’economia.

Nel caso di cui sopra, immaginando 1 milione di monete d’oro in circolazione, un PIL di 1 milione di monete d’oro e il 100% di transazioni regolate in moneta. Uno diviso uno per uno fa ovviamente…uno. Al modificarsi di ognuna di queste variabile potrebbe cambiare il valore della nostra moneta. Per secoli in sostanza l’espansione dell’economia fu accompagnata dall’aumento del numero di monete in circolazione, mantenendo il rapporto in equilibrio. La relativa stabilità del sistema monetario romano finì per convincere gli abitanti dell’impero che questo fosse lo stato naturale delle cose nel mondo: d’altronde, un sistema che resta stabile per 400 anni convincerebbe chiunque del suo intrinseco valore. Nel terzo secolo dopo cristo I Romani scopriranno a loro spese quanto si fossero sbagliati.

La finanza

Stime del PIL (GDP in inglese) totale e pro-capite da parte di diversi autori. Le stime sono all’incirca di 20 miliardi di sesterzi, con un PIL pro-capite di 230-380 sesterzi

La stabilità della moneta fu alla base anche della crescita del più importante settore di ogni economia, un settore che può farne la fortuna o il disastro. Ed è di questo che parleremo ora, Il settore finanziario.

Ho sempre avuto l’impressione che furono le città italiane medievali ad inventare il concetto di banca, una vera e propria rivoluzione per un sistema economico: immaginate il mio stupore nell’apprendere che nel mondo antico le banche erano non solo presenti, ma anche molto sviluppate, per certi versi almeno ai livelli dei loro successori medievali. Questo non è un dettaglio: La banca, infatti, non è una normale attività economica perché a differenza di una azienda normale la banca può creare moneta. Cerchiamo di capire come.

Se Tizio presta a Caio una parte del suo reddito, non sta creando moneta, sta solo trasferendo il suo potere d’acquisto. La banca è differente, come sosteneva una pubblicità anni fa: la banca raccoglie fondi sotto forma di depositi, in cambio di un interesse, ne lascia in cassa una minima parte e distribuisce il resto sotto forma di prestiti. Facciamo un esempio: una banca ottiene mille monete d’oro in deposito e offre il 2% di interesse, lascia 100 monete in cassa e presta le altre 900 al 5% di interesse, ovviamente a fronte di garanzie. Il suo guadagno sarà la differenza tra il 5 e il 2%, ma questo ovviamente solo su 900 monete d’oro: se vi fidate dei miei calcoli il guadagno è il 2,5% sui suoi depositi.

Con questo meccanismo la banca ha creato dal nulla 900 monete d’oro per l’economia, quasi come se si trattasse di un gioco di prestigio: il reddito disponibile dei depositanti è sempre di 1000 monete d’oro, mentre i prestatori hanno ricevuto altre 900 monete d’oro da spendere. In sostanza la banca ha incrementato la massa circolante di moneta, questo ovviamente a patto che i depositanti non si rechino tutti assieme a ritirare il loro denaro, cosa che di solito avviene se si ha anche il minimo sospetto che la banca non ottempererà ai suoi obblighi verso i depositanti. È questa la famosa corsa agli sportelli, il terrore di ogni banca. La capacità delle banche di creare moneta è la ragione che le rende allo stesso tempo uno strumento utile e pericolosissimo in una economia: utile perché le banche possono stimolare la crescita economica in un modo che la normale accumulazione di ricchezza non può, pericolosissimo perché la creazione di moneta può creare un castello di carte pronto a cadere, se non regolato e monitorato strettamente.

Lo schiavo che si fece bancario, il bancario che si fece Papa

A Roma le banche nascono assieme con la moneta e con il tempo andarono ad occupare tre lati del Foro Romano, a testimoniare l’importanza della loro attività nella macchina economica romana. Le banche nascono come cambia-moneta e semplici sportelli di prestito ma presto evolvono fino a diventare in alcuni casi delle grandi attività economiche, diffuse su tutto il mondo mediterraneo. A Roma i banchieri erano chiamati “argentarii”, a differenza di oggi non facevano parte delle élite cittadine e la loro attività imprenditoriale, per quanto necessaria ed importante, era in parte considerata disdicevole, anche se avevano la fiducia dei loro clienti, tra i quali anche l’aristocrazia senatoria. Spesso si trattava di liberti, il primo di cui ci è giunto il nome – tale Lucio Fulvio – era attivo durante le guerre puniche. Sono presenti anche le società a scopo bancario: abbiamo un testo che narra la storia della costituzione di una società danistaria, ovvero con l’obiettivo di dare denaro in prestito. Un famoso banchiere fu nel secondo secolo un tale Callisto, uno schiavo cristiano che svolgeva l’attività per conto del liberto imperiale Carpoforo. La banca però fallì a causa di alcuni prestiti non restituiti, forse a causa della crisi economica del 186-189 innescata dalle conseguenze della peste Antonina. Lo schiavo Callisto provò a fuggire, ma fu riacciuffato, tentò di prendere denaro a prestito nella comunità ebraica ma fu infine denunciato come cristiano e condannato ai lavori forzati nelle miniere della Sardegna. La sua religione fu però anche di aiuto: fu liberato grazie all’intercessione di Marcia, concubina di Commodo e simpatizzante dei cristiani. Tornato a Roma Callisto divenne diacono e organizzò il primo cimitero cristiano, le famose catacombe di Callisto. Con il tempo venne infine perfino fatto Papa. Non capisco come mai nessuno abbia pensato a realizzare un film su Callisto, altro che “il gladiatore”.

Le catacombe di San Callisto

Conto corrente e prestiti

Tornando alle banche, i depositanti avevano dei veri e proprio conti correnti che permettevano una sorta di bonifico: abbiamo testimonianze nelle quali Tizio compra da Caio un bene per diciamo cento monete d’oro e scrive a Caio una lettera di pagamento per il prezzo pattuito. Caio si reca presso la sua banca che registrerà sul conto corrente l’avvenuto pagamento. La banca poi provvederà a correggere contabilmente la transazione presso la banca di Tizio, le banche infatti tenevano aperti conti l’una con l’altra proprio per queste operazioni. In questo modo abbiamo un tipico esempio di moneta virtuale: non era necessario portarsi dietro grosse somme per le transazioni più importanti. A quanto pare in oriente erano perfino diffusi una sorta di assegni circolari.

Arco degli Argentari, a Roma, costruito dai banchieri in onore di Settimio Severo e della sua famiglia.

I prestiti delle banche erano regolati dallo stato, il tasso di interesse massimo era fissato al 12% e tutte le testimonianze documentali e archeologiche attestano che i tassi erano solitamente tra il 5 e il 12%, ovviamente a seconda del rischio del prestatore e delle condizioni economiche locali e generali. Per il commercio a lunga distanza esisteva però un prestito speciale, il faenus nauticus, ovvero il prestito marittimo, un prestito ad alto rischio per il quale erano permessi tassi più alti del massimo legale.

Facciamo un esempio: un commerciante di Cartagine prende a prestito in città 100 aurei al tasso diciamo del 20% e da come garanzia il valore della sua nave. Dopo aver comprato le mercanzie il mercante invia la nave a Roma, dove vengono vendute per 150 aurei. A questo punto gli agenti del mercante depositano 120 monete d’oro come pagamento alla filiale Romana della banca di Cartagine, riportando il guadagno di 30 aurei a Cartagine, assieme alla ricevuta della filiale romana che viene presentata alla banca di Cartagine per estinguere l’ipoteca sulla sua nave.

Si tratta di un meccanismo che agevola enormemente i traffici via nave, eliminando la necessità di anticipare il costo della mercanzia e permettendo di assicurare i mercanti contro il rischio di naufragio: in caso di perdita del carico, infatti, l’ipoteca si estingue e la banca non può rivalersi in alcun modo sul mercante. Il prestito è comunque molto interessante anche per le banche: è vero che è più rischioso, ma è l’unica forma di prestito che permette tassi alti, non regolati, spesso davvero esosi e quindi molto allettanti per le banche, a differenza dei noiosi prestiti con il massimo legale. È molto più interessante prestare 900 monete d’oro al 20% che al 5%, il guadagno netto una volta dedotti gli interessi è in questo caso il 16% contro il 2,5% del precedente esempio! Immagino che possiate vedere dove questo modo di pensare può portare, e lo vedremo all’opera nell’unica vera crisi finanziaria romana di cui abbiamo ampia documentazione: la crisi del 33 dopo cristo, sotto il regno di Tiberio.

The big short

Il Clivus Argentarius, sul Campidoglio: qui avevano sede molte banche dell’antica Roma

La crisi del 33 dopo cristo è una crisi molto diversa da altre di cui abbiamo parlato: non è una crisi dovuta a un periodo di difficoltà per l’economia romana, ma sembra dovuta proprio all’esuberanza di una bolla finanziaria, la prima documentata in questi termini. Ovviamente si tratta di ricostruire un puzzle sulla base delle testimonianze degli storici romani, in primis Svetonio, Dione Cassio e Tacito, storici che non capivano assolutamente nulla di economia se non le basi più rudimentali. Ciò nonostante, è possibile farsi un quadro della vicenda, vi propongo la versione a mio avviso più realistica precisando che ovviamente c’è molta congettura a riguardo.

Tutto iniziò con una evidente scarsità di moneta: nell’impero era diventato più difficile procurarsi monete per le transazioni, le banche iniziarono ad essere riottose nel fornire moneta ai propri depositanti. I contemporanei diedero la colpa all’avarizia di Tiberio nella spesa pubblica, alcuni se la presero con i grandi proprietari delle miniere spagnole, evidentemente non stavano producendo una quantità sufficiente di moneta. Nessuno ai tempo poteva pensare che la scarsità di moneta può essere legata al boom dei prestiti, vediamo come.

Nei primi decenni dell’impero esplosero i traffici marittimi: eliminata la pirateria e gli scombussolamenti delle guerre civili, la pax romana permise uno sviluppo di una vera e propria economia a scala mediterranea, con prodotti anche di largo consumo prodotti in aree specializzate e poi spediti in tutto l’impero. La crescita dei commerci fece crescere naturalmente il prestito marittimo fino a che i banchieri notarono che una parte crescente dei loro profitti era legata a questi prestiti e pigiarono probabilmente sull’acceleratore, concedendo i prestiti più facilmente e a prezzi più bassi con il solo obiettivo di guadagnare più dei noiosi e regolamentati prestiti tradizionali. Per farlo i banchieri iniziarono a tagliare la quantità di monete d’oro mantenute in cassa per sicurezza: invece di 100 monete d’oro su 1000, tagliarono a 50, l’ingordigia ahimè batte quasi sempre la prudenza, oggi come allora. Il problema è che l’aumento dei prestiti fece crescere l’attività economica e le transazioni senza che aumentasse in modo considerevole la quantità di moneta circolante, portando ad un certo punto le persone a notare una certa difficoltà nel procurarsi le monete necessarie per le transazioni. Cosa fareste voi allora? Ma chiaro, andreste in banca a chiedere più monete. Ma la banca ora ha solo 50 monete d’oro in pancia, all’improvviso si ritrova con necessità giornaliere di 100, 150 monete d’oro che non ha. Inizialmente prova a farsele dare da altre banche, ma quando tutte iniziano ad avere lo stesso problema i nostri banchieri si ritrovano con un bel problema. Cosa fare? Ma ovvio, quello che le banche di ogni tempo e ogni luogo hanno sempre fatto: i banchieri chiedono il rientro dei prestiti più rischiosi o il rientro dei correntisti con uno scoperto, pratica questa documentata nell’antica Roma.

La ricchezza, nel mondo antico, è legata principalmente alla terra. Se un proprietario terriero non ha i soldi che la banca chiede questi ha una sola possibilità: vendere una parte della propria proprietà. I prezzi della terra erano stabili da secoli, quindi tutti credevano di possedere un bene sicuro. Il problema è: cosa accade quando tanti cercano di vendere la loro terra allo stesso tempo? Ovvio, Il prezzo della terra scende. Per la prima volta nella storia dell’impero i prezzi della terra iniziarono a calare in modo vistoso, a questo punto tutti iniziarono a sentirsi più poveri. Nel panico molti altri provarono a vendere la terra, prima che i prezzi calassero ancora, peggiorando la situazione. Le banche a questo punto entrarono davvero nel panico: a parte i prestiti marittimi, la gran parte dei loro prestiti aveva come garanzia la terra, ora si trovavano esposti con clienti che avevano dato delle garanzie con minore valore, per rientrare dal rischio ovviamente le banche chiesero ai loro clienti più rischiosi di rientrare e ripagarle, subito. Questo innescò un altro round di vendita di terra, di prezzi in discesa, mentre l’intero sistema economico sembrava avvitarsi in una discesa a capofitto.

La crisi dei mutui sub-prime

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La risposta del governo, inizialmente, fu del tutto errata: pensando che il problema fosse il disinteresse ad investire in proprietà terriere in Italia, il governo imperiale obbligò i proprietari della penisola a investire i 2/3 del patrimonio in Italia, aggiungendo che andavano immediatamente ripagati i 2/3 dei debiti contratti, nella errata convinzione che ripagare i debiti avrebbe aiutato le banche, quando invece non fece altro che costringere a una nuova ondata di vendite di terre, per le quali era difficile trovare un compratore nonostante la grida manzoniana di obbligare i proprietari terrieri ad investire in Italia. Il prestito a questo punto divenne rischioso per le banche, visto che le garanzie immobiliari valevano molto di meno: la banche smisero di fare credito. Siamo di fronte ai tipici meccanismi dello scoppio di una bolla finanziaria con effetti sul mercato immobiliare, il parallelismo con la crisi del 2008 è più che giustificato.

Quantitative easing

Tiberio aveva sbagliato la prima risposta alla crisi, ma la seconda volta Tiberio e i suoi consiglieri trovarono la giusta medicina per far ripartire l’economia, una medicina che è stata dimenticata per duemila anni e poi riutilizzata per la prima volta proprio nel 2008. Si, l’Impero Romano decise di utilizzare il quantitative easing, o una massiccia dose di iniezione di liquidità nel sistema economico. Vediamo di capire di cosa si tratta.

Il governo comprese finalmente che il problema era che i prestiti erano oramai congelati, che le banche non riuscivano più a funzionare e che questo stava causando la crisi immobiliare. Tiberio concesse quindi un immenso ammontare di prestiti a tasso zero a privati e banche, del valore di 100 mln di sesterzi, o 1 milione di monete d’oro, probabilmente svuotando le casse imperiali. Le banche poterono ricostituire facilmente le loro scorte di sicurezza, i privati poterono ripagare i loro debiti contraendo debiti a tasso zero con il governo imperiale e senza vendere la terra. Il denaro tornò a circolare a Roma e in Italia e i prezzi della terra tornarono a salire, visto che in assenza di vendite da panico la terra restava un bene molto richiesto. Vi assicuro che quanto è accaduto nel 2008-2012 è, semplificando, molto simile: a nessuno piace dare denaro gratuitamente alle banche e alle aziende, soprattutto denaro pubblico, ma in una crisi finanziaria spesso non ci sono alternative. Purtroppo i banchieri lo sanno, spingendoli a prendere più rischi nella consapevolezza di essere salvati nel peggiore dei casi: è questo il cosiddetto azzardo morale.

In definitiva, la crisi del 33 dopo cristo è una crisi di crescita del sistema economico romano: l’esplosione dei prestiti e dei traffici portò ad una bolla finanziaria e alla sua esplosione. Vediamo ora che aspetto ha un altro tipo di crisi, quello dovuto ad una pesante decrescita dell’economia

Pandemia e finanza

Durante il regno di Marco Aurelio, Roma fu colpita da una terribile pestilenza, probabilmente il vaiolo: si trattava della prima volta che questo virus colpiva il mondo eurasiatico e la mortalità fu elevatissima, forse il 20-25% della popolazione perì in questa terribile pandemia, e so che è un argomento oggi di estrema attualità.

Un effetto secondario della pandemia fu che all’improvviso ci furono in giro tante monete per una attività ridotta. Nel nostro esempio, avremo un milione di monete in circolazione ma una attività economica di solo 800.000, portando ad un aumento dei prezzi del 20%: non è così meccanico, ma è per comprendere. L’aumento dei prezzi fu notato dal governo imperiale che rispose a suo modo: come spiegato nell’episodio 3 “il viaggio di una moneta”, il governo aveva sempre bisogno dello stesso ammontare di beni e nella difficoltà di produrre più monete decise di iniziare una strisciante svalutazione della moneta principe, il denario, riducendo progressivamente la percentuale di argento di cui era composto.

Pochi decenni dopo la situazione peggiorò notevolmente: la crisi di legittimità imperiale portò a continue guerre civili mentre una nuova peste, quella di Cipriano, colpì l’impero intorno al 249, con risultati altrettanto disastrosi della precedente ma su un corpo imperiale assai più debole. Sassanidi e Goti sentirono la debolezza dell’impero e iniziarono ad attaccarne i confini. All’improvviso Roma si ritrovava nella necessità di aumentare la spesa relativa alla difesa e una base imponibile che invece era stata falcidiata dalla peste. L’effetto furono altre riduzioni sempre più importanti della quantità d’argento nella moneta, che iniziò a perdere valore non solo per l’effetto della crisi economica ma anche per effetto della riduzione del suo valore percepito.

Ma torniamo all’inflazione. Nel nostro esempio, abbiamo quindi più moneta in circolazione ma di minore valore, diciamo 1,5 milioni di monete, in contemporanea l’economia si è contratta a 500.000 monete d’oro equivalenti, le persone inoltre si fidano molto di meno del valore della moneta, riducendo la percentuale di transazioni in moneta e ripassando spesso al baratto, cosa che riduce ancora il valore delle monete: con queste condizioni si avrebbe una triplicazione dei prezzi. E fu questo quello che accadde:  L’inflazione andò fuori controllo in un mondo che per quattrocento anni aveva vissuto una sostanziale stabilità dei prezzi, le monete antiche presto scomparvero e rimasero in giro solo i denarii svalutati degli imperatori della crisi, non accettati però da nessuno. Vari tentativi di rimediare a questa situazione naufragarono, mentre il mondo tornava al baratto per sopravvivere. Per i contemporanei dovette sembrare la fine del mondo.

I mulini di Barbegal, vicino Arles, la più grande concentrazione di energia meccanica del mondo antico

Lehman Brothers

In questo quadro non c’è da stupirsi che intorno alla metà del terzo secolo scompaiono completamente i banchieri nel mondo romano: le banche avevano prosperato grazie alla stabilità dell’economia e della moneta, erano del tutto impreparate ad un mondo di iperinflazione e gli stessi loro servigi erano meno utili in un impero che utilizzava sempre di meno la moneta ufficiale, oramai percepita come priva di valore. Uno dopo l’altro i banchieri fallirono, aggiungendo ulteriore rovina economica a chissà quanti proprietari terrieri, chissà quanti mercanti, chissà quanta gente comune il cui fato non è registrato dalla storia. L’ultima menzione di un argentario è del 251 dopo cristo, pochi anni dopo la peste di Cipriano.

Una ripresa insperata

L’Impero Romano sarebbe dovuto crollare durante questa crisi militare, politica, economica. Eppure noi sappiamo il seguito: Diocleziano passò alla tassazione e ai pagamenti in natura per i soldati, demonetizzando il circuito economico che aveva fatto grande Roma ma allo stesso tempo stabilizzando una situazione che era fuori controllo da decenni. Diocleziano statalizzò anche l’economia, creando delle importantissime fabbriche di armamenti di proprietà pubblica, di nuovo con l’obiettivo di evitare di pagare queste armi in moneta a dei privati. Diocleziano sembra aver voluto però far ripartire il settore finanziario, dal tempo dei tetrarchi compaiono a Roma dei nuovi banchieri detti nummulari o collectari, è possibile che furono riattivate le banche utilizzando capitali pubblici in un momento in cui l’attività privata era morta. Costantino riuscirà a stabilizzare la monetazione aurea, grazie al suo solidus, che però era utilizzato soprattutto dalle classi elevate. Durante tutto il quarto e il quinto secolo l’economia romana si riprenderà progressivamente, questo soprattutto in oriente che non soffrì dei disastri geopolitici dell’occidente. Nel 498 l’imperatore Anastasio abolirà finalmente l’annona militare, la tassazione in natura delle province che riforniva l’esercito, tornando a pagare i soldati in moneta sonante e chiedendogli di rifornirsi per il loro equipaggiamento presso i privati. Anastasio conierà inoltre delle nuove monete di rame, i follis, che riavranno la stabilità dei loro predecessori antimperiali. Solidus e follis avranno un grandissimo successo e saranno la base della monetazione del periodo alto-medioevale, fino alla crisi che colpirà l’Impero Romano nell’undicesimo secolo, dopo la battaglia di Manzikert, tra quello che oggi mi pare l’equivalente di circa mille episodi di Storia d’Italia.

Parlerò molto più a fondo di tutti questi argomenti all’interno del mio libro “Per un pugno di barbari” che è in uscita il 6 Maggio. Se volete prenotarlo, potete farlo al link seguente:

Spero vi sia piaciuta questa breve disanima dell’economia romana: come potete immaginare ho potuto solo scalfire la superficie di un argomento complesso che ho provato a riassumere e semplificare, se vi interessa vi invito ad approfondire. Nel prossimo episodio risponderò alle vostre domande, ce ne sono davvero di interessanti e curiose come, ad esempio, lo status degli Ebrei nel tardo impero, come contavano gli anni i Romani, la relazione con i persiani e molto altro ancora.  Se avete fretta, potete ascoltarlo qui in basso:


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Un pensiero riguardo “Economia e finanza a Roma (III secolo a.C.-III secolo d.C.) – Ep. 50, testo completo

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