Episodio 36, le nature di Cristo (431-451)

Nello scorso episodio uno dei grandi imperi della tarda antichità è crollato, ma invece di quello romano abbiamo visto dissolversi l’impero degli Unni, che non ha resistito alla perdita del suo grande leader, Attila.

Questo episodio è, come annunciato, differente. La grande storia militare e politica vi faranno spesso capolino ma la storia dell’umanità non è fatto solo di conflitti per un territorio, o per l’oro, o per diventare imperatore. Questa volta  per la maggior parte del tempo parleremo di dispute all’interno della chiesa imperiale Romana, con il caveat che il qui presente è ancora meno teologo di quanto sia storico, quindi questa è una sintesi di argomenti che sono assai complessi e che mi sono sforzato di riassumere, semplificare e rendere comprensibili ai non iniziati, tra i quali ci sono certamente anche io.

In questo episodio vedremo una lotta all’interno della chiesa nicena: certo i barbari credono ancora negli insegnamenti di Ario e di Ulfilas (se non vi ricordate di loro li trovate nell’episodio 14, qui) ma la Chiesa Imperiale ha felicemente risolto la disputa tra ariani e niceni, in favore di questi ultimi. Ora però la Chiesa dell’Impero Romano è sull’orlo di un conflitto che la spaccherà irrimediabilmente e per sempre: la disputa sulla natura di Cristo.

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Un problema di identità

La questione di cui parleremo in questo episodio ha una influenza fondamentale nella storia in particolar modo della tarda antichità, ma i suoi effetti sono visibili ancora oggi. Intere chiese sono nate dalle controversie che girano attorno alla natura di Cristo. Sangue, molto sangue, è scorso in nome della più corretta interpretazione teologica della natura di Cristo, una questione che per i Romani divenne una questione di salvezza e dannazione, di identità, di appartenenza politica ed etnica.

Potreste chiedervi come mai, anche se credo che dai tempi della disputa tra ariani e niceni sappiate già la risposta. Il mondo romano è un mondo dove la coscienza religiosa e il potere politico non sono separati ma indissolubilmente legati, e questo anche al tempo di Giove Ottimo Massimo. Le questioni sulla natura di Gesù possono sembrare arcane sottigliezze di teologia che dovrebbero interessare al più alcuni uomini di chiesa e non essere il materiale di un misto tra tifo da stadio e guerra civile. Vedendolo con occhi moderni è spesso difficile comprendere la ragione di tanta importanza data a questioni teologiche. Quello che occorre comprendere è che per i Romani del quinto secolo il cristianesimo è oramai una parte preponderante della loro identità: chi insegna la versione errata della parola di Dio sta condannando i suoi seguaci alla dannazione eterna, sta insultando non solo Dio, ma il suo rappresentante in terra, l’imperatore. Le sue idee rischiano di dividere l’impero unico e universale e attrarre l’ira di Dio sul suo popolo, Dio che si rifiuta di proteggere gli eretici. In definitiva, non si può essere Romani se non si crede nella vera parola. Il problema è che ognuno in questa lotta senza quartiere sarà convinto, ovviamente, di possedere la vera parola, accusando l’altro di eresia.

Anche oggi l’identità religiosa è una parte importante dell’identità di ognuno, forse la più importante. Ma non ha la valenza universale e totalizzante che aveva nella tarda antichità, o se è per questo per buona parte della nostra storia. Per secoli il concetto di cristianità è stato molto più importante di qualunque concetto di identità culturale, nazionale, etnica, tutti concetti per lo più inesistenti fin ben dentro l’evo moderno. Solo nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo l’identità etnico-nazionale è diventata per certi versi preponderante: oggi se chiediamo ad un residente di un paesino dell’Appennino quale sia la sua identità potrebbe dire italiano, se è localista magari Umbro o Abruzzese, qualche cosmopolita dirà di essere un europeo. È raro che chicchessia si identifichi in prima battuta come cristiano. Credo che questa recente tendenza non aiuti a comprendere il modo di pensare dei Romani della tarda antichità, per i quali l’identità religiosa era la più importante di tutte. Per cercare di comprendere quanto potesse scaldare gli animi una controversia religiosa dobbiamo fare esempi molto diversi: ad esempio immaginate che una persona vi avvicini e vi dica che, per essere italiani, occorre parlare Francese. La cosa vi sembrerebbe probabilmente oltraggiosa, persino offensiva: immaginate ora che questa persona provi ad imporvi, come condizione per mantenere la cittadinanza italiana, di dimostrare di scrivere e parlare correntemente il Francese, in contemporanea chiudendo le scuole in italiano, costringendo il vostro sindaco a dimettersi, proibendovi di parlare in pubblico in italiano e in caso di resistenza, costringendovi ad umilianti abiure in pubblico. Magari questo sarebbe accettabile per alcuni, ma immagino che una buona parte di voi si sentirebbe offesa, qualcuno penserebbe persino ad una resistenza violenta.

Eppure neanche questo esempio può catturare del tutto l’essenza del conflitto in questione: il potere imperiale non pretendeva solamente di imporre una lingua a tutti, chiedeva l’abiura di convinzioni religiose, costringendo persone credenti ad accettare una versione della parola del signore che loro consideravano errata e, ancor peggio, conducente direttamente alla dannazione.

Un problema legale

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Dal punto di vista del governo l’unità della chiesa era una questione di ordine pubblico e di sicurezza nazionale: solo mantenendo ben salda l’alleanza tra Dio e il potere Imperiale l’Impero dei Romani poteva continuare a sopravvivere e prosperare. Le deliberazioni conciliari avevano valore di legge per gli imperatori, erano la verità che andava seguita alla lettera, chi rompeva con la chiesa apostolica romana rompeva con l’imperatore, diventava un ribelle in casa, un potenziale fonte di conflitto tra Dio e lo stato.

E se i concili avevano valore legale e costituente della verità, va da sé che vincere al concilio voleva dire vincere nella battaglia delle idee dentro la chiesa, per sempre. Gli ariani erano stati espulsi dalla chiesa imperiale romana dopo la loro sconfitta al concilio di Costantinopoli e ora sopravvivevano solamente al seguito di popoli barbari, popoli condannati alle fiamme eterne per i Romani.

Nel breve volgere di un ventennio la chiesa Romana si dilanierà in tre concili, fino a giungere ad un grande scisma, grande e oramai dimenticato.

Dalla trinità alla cristologia

Durante il quarto secolo la controversia principale era stata quella tra Niceni e Ariani, ovvero tra i credenti nella trinità e i credenti della subordinazione del Figlio a Dio Padre. Questa controversia, nel quinto secolo, era stata risolta, per quanto riguarda almeno la chiesa imperiale romana: Dio era una trinità, esistente sin da prima della creazione, composta da tre componenti della stessa sostanza: Dio Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Tutto questo era stato deciso nel concilio di Nicea, all’inizio di questo podcast: per ripassare cosa accadde potete leggere qui.

Ma, e questo è un punto fondamentale, tutti sapevano che Gesù non era il Figlio: il Figlio è la parte divina di Gesù, ma Gesù è chiaramente descritto dalle scritture come anche un uomo. La cristologia si avventurerà quindi nel cercare di comprendere la natura di Gesù: si era trattato di una parte della divinità semplicemente incarnata in un corpo umano, o era stato pienamente un uomo con una parte divina?

Olio e aceto o zucchero nell’acqua?

Va sgombrato subito il campo rispetto ad un pregiudizio: gli uomini di chiesa e i teologi che dibatteranno queste questioni non erano meno colti o meno preparati dei filosofi pagani, anzi utilizzarono proprio tutto l’armamentario logico della filosofia pagana per dimostrare una tesi rispetto ad un’altra. Questa controversia si giocherà quindi su un territorio paradossalmente razionale e non di pura fede, basato sull’analisi attenta e logica delle scritture e delle tesi dei grandi teologi della chiesa dei secoli precedenti. Anche se farà uso, come vedremo, anche della forza bruta.

Le due scuole principali nell’interpretazione cristologica erano quelle di Alessandria e di Antiochia, i due grandi patriarcati orientali originali. Da notare come Roma non ebbe mai una sua posizione teologica predefinita ma, come vedremo, appoggerà ora l’una ora l’altra posizione fino a che Papa Leone il grande non farà pesare tutto il suo carisma e il suo prestigio nella contesa.

La posizione teologica della scuola di Antiochia si era sviluppata in diretta opposizione all’arianesimo e prevedeva in sostanza l’esistenza, in Gesù, di due nature ben distinte: una natura divina e una natura umana. Per gli Antiocheni Gesù era chiaramente e dimostrabilmente anche un uomo: nella bibbia si arrabbia, festeggia, si emoziona e ovviamente nasce. Gli Antiocheni non negavano in alcun modo la divinità di Gesù, sostenevano solamente che questi doveva aver avuto una intelligenza ed emozioni umane unite ovviamente ad una parte divina derivante dal Figlio incarnato. Sono un grande fan del podcast “a history of the papacy” di Steve Guerra, se parlate inglese ve lo consiglio, in particolare la serie dedicata a “east meets west”, che parla proprio di questo periodo. Steve menziona, per spiegare questa cristologia, un esempio molto terreno: immaginate il tipico condimento dell’insalata, olio e aceto. Per condire l’insalata utilizzerete entrambi e li mescolerete ma questi non si confonderanno né uniranno mai, restando chiaramente distinti all’interno dell’insalata. Questa posizione è anche detta diofisismo.

La posizione della scuola di Alessandria era più filosofica e se si vuole più ieratica, meno basata su un’interpretazione letterale delle scritture. Secondo questa scuola in Gesù esisteva una sola natura, non due nature come per la scuola antiochena. C’erano diverse varianti in questa cristologia, la più estrema era il monofisismo che ammettevano l’esistenza della sola natura divina del Figlio, incapsulata nel corpo umano di Gesù che ne era solo un involucro: in questa versione Gesù non era capace di peccare, perché sostanzialmente aveva una sola natura, divina. Una versione più moderata era quella miafisita. È questa la corrente principale della cristologia alessandrina, sposata dai grandi Papi di Alessandria: Cirillo e Dioscoro. Secondo il miafisismo Gesù era perfettamente uomo e perfettamente divino, ma tutto questo avveniva in una sola natura che era una perfetta fusione di entrambi. Un esempio di questa teologia è la dissoluzione dello zucchero nell’acqua: lo zuccherò è l’umanità, l’acqua è la divinità. Quello che ne risulta è (almeno filosoficamente, non fisicamente) un composto unico, nel quale la natura umana – lo zucchero – si scioglie nella natura divina – l’acqua – e quello che resta è una sola natura.

Spero di avervi confuso abbastanza, ma quello che dovete ricordarvi è: Antiochia, due nature divise e non confuse tra loro, Alessandria una natura fusione di una parte divina e una umana. E ora vediamo come queste fini discussioni teologiche, che apparentemente spaccano capelli in due, arrivarono a spaccare un impero in due.

Lo spettro di opinioni nel dibattito cristologico: la posizione “calcedoniana” che poi diverrà l’ortodossia delle chiese cattolico-ortodosse è a cavallo delle due grandi scuole, quella Alessandrina e quella Antiochea. Nestorio è all’estremo a sinistra, prevedendo una massima separazione tra la natura umana e divina di Gesù, in due nature. a destra abbiamo la posizione Miafisita (unanatura incarnata della parola di Dio, ma da due nature diverse in origine) e quella più propiamente Monofisita di Eutiche (Gesù ha una sola natura, non della stessa sostanza degli esseri umani ma propriamente divina). Tra Miafisiti e Calcedoniani c’è l’Henotikon, l’editto dell’imperatore Zenone che cercherà di evitare l’intera questione sulla natura e che causerà a fine quinto secolo lo scisma cosiddetto acaciano con Roma. Complicato? lo so. Continuate a leggere e sarà forse più chiaro.

Madre di Dio o madre di Gesù?

Incoronazione della Vergine, S. Maria Maggiore, a Roma

Nel 428 un monaco siriano, imbevuto di cristologia antiochena, fu scelto come patriarca di Costantinopoli e, come Giovanni Crisostomo qualche decennio prima, si mise in marcia per raggiungere la grande capitale. Il suo nome era Nestorio e un giorno il suo sarà il nome di una delle confessioni cristiane meno conosciute.

Costantinopoli era un giovane patriarcato, assurto a preminenza solo dopo il concilio di Costantinopoli grazie al potere e al prestigio raggiunto da Nuova Roma. Non aveva forse i galloni e il prestigio di Roma, Antiochia e Alessandria ma aveva tutto il potere della chiesa imperiale Romana derivante dalla vicinanza all’Imperatore. Costantinopoli era il centro del mondo romano.

Una delle conseguenze della cristologia antiochena era una particolare idiosincrasia per quanto riguarda la nomenclatura di Maria: Maria era molto amata e rispettata anche dagli antiocheni ma questi avevano un problema non l’appellativo di “theotokos”, utilizzato normalmente in Greco per Maria e che si traduce in italiano come “madre di Dio”. Secondo la cristologia antiochena un appellativo più corretto sarebbe stato “cristotokos”, visto che Maria era la madre di Gesù, il verbo incarnato con due nature, divina e umana. Chiamarla “madre di Dio” era un po’ come sostenere che fosse la madre del Figlio, che invece è una delle tre parti della trinità. Il figlio, era stato stabilito al concilio di Costantinopoli, era generato e non creato, della stessa sostanza del padre. Maria poteva essere considerata invece la genitrice di Gesù e in particolare della natura umana di Gesù.

Questo non andava molto a genio però degli abitanti della capitale e Nestorio riuscì ad inimicarsi molti animi con la sua insistenza a chiamare Maria con l’appellativo “madre di Gesù” e non “madre di Dio”. Maria, in questi anni, non era ancora assurta al ruolo che ha oggi e il culto mariano non era stato in alcun modo codificato, ma la vergine Maria, madre di Dio, era già venerata da molti, in particolare dalle donne e in particolare da una donna, la più potente dell’impero, l’augusta Aelia Pulcheria, vera imperatrice di Costantinopoli. Nestorio, da misogino come tutti i maschietti del tempo, pensò che tutto sommato l’inimicizia di una donna per quanto potente fosse poca cosa, come il suo predecessore Giovanni Crisostomo presto avrebbe scoperto che non era affatto così.

Alessandria: cane da guardia dell’ortodossia

Ad Alessandria il patriarca Cirillo venne a sapere degli insegnamenti di Nestorio: questo ignorante siriano osava sostenere una tale follia! Cirillo tuonò contro Nestorio: «Siccome la Vergine generò Dio unito alla carne, diciamo che ella è madre di Dio, non nel senso che la natura divina iniziò la sua esistenza con la nascita carnale ma nel senso che il Verbo accettò di essere generato dal seno di Maria». Papa Cirillo non era un uomo da mezze misure: anni prima aveva fatto assassinare in modo brutale la filosofa pagana Ipazia e non avrebbe permesso a questo Antiocheno di inquinare la dottrina cristiana per come la vedeva lui. E poi Costantinopoli, questa parvenu tra i patriarcati, andava rimessa al suo posto: erano Alessandria e Roma che avevano mantenuto la barra dritta dell’ortodossia nicena durante il secolo precedente, mentre sia Costantinopoli che Antiochia cadevano nelle mani degli Ariani. Erano Alessandria e Roma che erano riuscite infine a rovesciare i trionfi dell’arianesimo. Era tempo di rinnovare l’antica alleanza: Cirillo scrisse al vescovo di Roma Celestino e gli spiegò gli insegnamenti eretici di Nestorio. Nestorio fece lo stesso ma Celestino non ne fu affatto convinto: scrisse a Cirillo dicendo che se Nestorio non avesse rinnegato la sua teologia mariana entro dieci giorni dalla notifica di un ultimatum da parte di entrambi allora Cirillo avrebbe avuto il supporto del Papa di Roma per scomunicare Nestorio.

Nestorio non si arrende

Nestorio

Nestorio, una volta informato della lettera, non si fece però scomunicare facilmente: si recò a corte, da quella che probabilmente era la sua principale sostenitrice, vale a dire Aelia Eudocia, un tempo Atenaide e oggi moglie dell’imperatore Teodosio. Molta della storia di questo periodo si spiega con la rivalità tra queste due terribili donne, Aelia Eudocia e Aelia Pulcheria, una donna libera e di corte, ex filosofa e vicina a Nestorio, l’altra accorta politica ma anche cristiana ascetica e certamente molto vicina alla figura di Maria.

Nestorio ed Eudocia riuscirono ad ottenere che l’imperatore Teodosio II indicesse un concilio per dirimere la questione, un giorno prima che scadesse l’ultimatum di Alessandria e Roma: il concilio si sarebbe tenuto ad Efeso, in Asia minore.

Il concilio di Efeso

Icona con il concilio di Efeso, in basso a destra Nestorio viene cacciato dalla chiesa grazie a Cirillo (al centro)

Ad Efeso si sarebbero dovute confrontare le due tesi in contrapposizione ma in realtà Cirillo presiedette e pilotò il concilio con grande abilità politica, con intimidazioni e corruzioni. Alle porte della chiesa stazionavano i monaci parabalani, in teoria dei monaci ma di fatto la guardia del corpo del vescovo alessandrino. Si trattava dei picchiatori che avevano ucciso Ipazia e che esercitavano una minaccia costante contro gli oppositori di Cirillo. Cirillo fece aprire a forza il concilio anche se i vescovi antiocheni non erano ancora giunti ad Efeso. Il giorno successivo all’apertura, il 22 giugno del 431, Cirillo lesse le lettere concordate con Papa Celestino per mostrare che Roma ed Alessandria erano solidali nell’azione contro Nestorio. Alla fine della giornata Nestorio fu condannato e deposto, con un atto sottoscritto da 197 vescovi, per “aver profferito blasfemia contro il Signor nostro Gesù Cristo”. Il giorno dopo gli fu recapitata una notifica nella quale veniva apostrofato “nuovo Giuda”.

Nestorio non si arrese e continuò a combattere, ma uno ad uno i suoi sostenitori furono o intimiditi o corrotti da Cirillo con larghi donativi d’oro, o comunque convinti dalla sua verve e dai suoi ragionamenti. Alla fine il concilio dichiarerà dogma l’appellativo “madre di Dio” di Maria e ne affermerà con forza il culto. A rafforzare il nuovo dogma fu riedificata dal nuovo Papa di Roma, Sisto III, una basilica al posto di una precedente costruita da Liberio: si tratta dell’attuale Santa Maria Maggiore, la principale chiesa cattolica dedicata al culto mariano e l’unica delle grandi basiliche Romane ad aver mantenuto la conformazione originaria del quinto secolo dopo cristo.

Mosaici di S. Maria Maggiore, a Roma, originali del quinto secolo e seguenti al concilio di Efeso, che stabilì il dogma di Maria “Madre di Dio” in opposizione a Nestorio.

Lo scisma nestoriano

Il concilio di Efeso fu un disastro per Nestorio – che fu poi deposto nel 435 e inviato in esilio proprio in Egitto – e per Aelia Eudocia, che perse molto potere a corte e fu costretta ad una lunga vacanza a Gerusalemme, come ho narrato in diversi post a lei dedicati sui miei canali social. Aelia Pulcheria e Cirillo avevano vinto, ma i due non erano alleati naturale, come vedremo presto.

L’altra grande conseguenza del concilio fu un nuovo scisma nella chiesa: la maggior parte dei seguaci di Nestorio si riunirono alla corrente ortodossa nicena ma alcuni rimasero sulle loro posizioni e furono deposti dalle autorità civili e nella maggior parte dei casi esiliati. La chiesa cristiana in Persia aveva dichiarato la sua indipendenza già nel 424, stabilendo un nuovo patriarcato a Seleucia-Ctesifonte nella capitale dell’Impero Persiano, con sommo piacere dei Re dei Re, che preferivano avere i cristiani divisi dalla chiesa madre romana. Con gli anni la chiesa persiana prese una connotazione sempre più nestoriana, visto che molti nestoriani si rifugiarono in oriente. Questa chiesa, esclusa dall’Impero Romano, inizierà a fare proseliti lungo le grandi rotte commerciali verso l’estremo oriente: si tratterà di una vera chiesa in perenne movimento.

Sta di fatto che la trasformazione della chiesa persiana in chiesa nestoriana tagliò gli ultimi legami di fedeltà dei cristiani in Persia con la chiesa imperiale romana, agevolando di molto il controllo dell’impero persiano sulle sue comunità cristiane e rafforzandone la solidità: ora i sovrani persiani non avrebbero più dovuto temere rivolte in Mesopotamia – dove erano numerosi i cristiani – in caso di guerra con Costantinopoli.

La chiesa Nestoriana ha una storia assolutamente affascinante visto che riuscì a convertire al cristianesimo – durante il sesto e il settimo secolo – un gran numero di fedeli in Cina, Tibet, Mongolia, Indonesia e perfino in Giappone. Dopo secoli di declino oggi la chiesa d’oriente è confinata in gran parte all’interno dell’Iraq settentrionale e più precisamente del Kurdistan Iracheno, ed è anche per questo chiamata chiesa Assira d’oriente. Ancora oggi gli assiri non riconoscono il titolo di “madre di Dio” a Maria ma nel 1994 Papa Giovanni II e il patriarca assiro  Dinkha IV ebbero uno storico incontro nel quale firmarono una dichiarazione congiunta sulla cristologia, affermando che la divisione sul titolo da dare a Maria era stata una incomprensione e che entrambe le chiese con il termine madre di Dio e madre di Gesù intendevano la stessa cosa. La chiesa assira ha molto sofferto durante la guerra in Iraq e più recentemente quando le sue terre ancestrali sono state messe sotto attacco da ISIS: molti tra i suoi fedeli sono emigrati in occidente.

Espansione della chiesa Nestoriana durante il sesto secolo, in rosa le aree dove era attiva, di solito era comunque una minoranza. In rosso i primi vescovadi della chiesa, in verde la sua espansione in Persia, in blu la grande espansione verso l’estremo oriente, dove il cristianesimo arrivò con i Nestoriani 1000 anni prima dell’arrivo dei missionari occidentali.
Struttura organizzativa delle chiesa nestoriana al suo apogeo.
Iscrizione cristiana nestoriana in cinese

L’ascesa di Eutiche e Crisafio

Ma torniamo al quinto secolo. Nel 441, a qualche anno dal trionfo di Cirillo e Pulcheria, ci fu la prima guerra tra Unni e Romani: Costantinopoli fu severamente battuta e la stella di Pulcheria iniziò a declinare, fino a che fu esclusa dal potere dall’eunuco Crisafio, come ho già narrato nell’episodio 33, il flagello di Dio . Crisafio riuscì anche ad esiliare Aelia Eudocia a Gerusalemme, dopo averla utilizzata per sconfiggere Pulcheria, rimanendo la forza principale a corte. Quello che non vi ho ancora detto è che Crisafio era un seguace di Eutiche, un monaco della capitale che aveva un largo seguito a Costantinopoli e che era anche il padrino di Crisafio: pare che Eutiche e Crisafio fossero legati da un legame molto forte, cosa che rese il monaco Eutiche una vera potenza a corte.

La cristologia di Eutiche era quanto di più monofisita possibile, credendo lui che la parte umana di Gesù fosse solo una piccola goccia di miele che cade nel mare della natura divina di Cristo. Alleato di Eutiche era il nuovo Papa di Alessandria, Dioscoro, che era succeduto a Cirillo: ricordo che anche i patriarchi di Alessandria avevano il titolo di Papa.

Questo trio, Crisafio, Eutiche e Dioscoro, decise che era arrivato il momento di consolidare la posizione di dominanza raggiunta dalla scuola Alessandrina dopo la caduta di Nestorio ad Efeso diciotto anni prima. Sul loro cammino c’era però il patriarca di Costantinopoli, Flaviano, che accusava Eutiche di eresia. Dopo una lunga serie di tira e molla tra i due Eutiche fu scomunicato da Flaviano ma il trio dei potenti monofisiti decise di utilizzare i muscoli dell’autorità imperiale, convincendo Teodosio II ad indire nel 449 un nuovo concilio ad Efeso. L’idea di questo concilio era quella di consolidare la teologia monofisita come la teologia ufficiale della chiesa romana. Eutiche e Dioscoro provarono ad arruolare anche Papa Leone il grande: Dioscoro era probabilmente convinto che la solita alleanza tra Roma e Alessandria avrebbe trionfato su Flaviano e Costantinopoli, come anni prima ad Efeso.

Interviene Papa Leone I, uno dei grandi della chiesa romana

Ma se la dottrina di Nestorio era stata considerata eretica da Roma lo stesso poteva dirsi del monofisismo. Ad intervenire fu Papa Leone, che abbiamo già incontrato durante l’invasione di Attila dell’Italia, descritta nell’episodio 35 che potete leggere qui. Papa Leone scrisse una lettera-trattato a Flaviano ponendosi a capo della teologia cristiana come forse nessun vescovo di Roma prima di lui. Questa lettera è passata alla storia come il Tomo di Leone, ed è una dei più importanti scritti mai redatti da un Papa romano. Leggiamone un piccolo pezzo. Qui Leone si rivolge a Flaviano a riguardo di Eutiche e della cristologia:

“Avendo letta la tua lettera – e ci meravigliamo che l’abbiate scritta così tardi – finalmente abbiamo potuto renderci conto dello scandalo sorto fra voi ed Eutiche a riguardo dell’integrità della nostra fede. Quello che prima sembrava oscuro, ci appare in tutta la sua chiarezza. Eutiche, che pareva degno di onore per la sua dignità di sacerdote, ora ne balza fuori come molto imprudente ed incapace. A quanto riferite, Eutiche vi ha detto: “Confesso che Nostro Signore avesse due nature prima della loro unione; ma che ne avesse una sola dopo l’unione”. Mi meraviglio come una professione di fede così assurda e perversa non abbia trovato nei giudici una severa riprensione; e che un discorso così sciocco sia potuto passare come se non contenesse nulla di offensivo.” Papa Leone passa poi a descrivere quella che sarà la cristologia ufficiale della chiesa Romana: “Ognuna delle due nature, umana e divina, opera insieme con l’altra ciò che le è proprio: e cioè il Verbo, quello che è del Verbo e la carne quello che è della carne. L’uno brilla per i suoi miracoli, l’altra sottostà alle ingiurie tipiche di ogni uomo. E come al Verbo non viene meno l’uguaglianza nella gloria paterna, così la carne non abbandona la natura umana. In cristo la stessa e identica persona è vero figlio di Dio e vero figlio dell’uomo”.

Citazione dal Tomo di Leone

Il latrocinium

Ma tanta eloquenza fu completamente inutile: il secondo concilio di Efeso non era stato indetto con l’obiettivo di avere un confronto franco e onesto tra i vescovi su quale posizione adottare a riguardo della natura di Cristo: Dioscoro, papa di Alessandria, aveva appreso quel che c’era da apprendere dal suo predecessore, Cirillo. Al concilio di Efeso i vescovi che potevano essere scomodi per la posizione monofisita non furono invitati, altri furono intimiditi, altri corrotti. Flaviano, il patriarca di Costantinopoli, non poteva essere né comprato, né intimidito e pertanto ebbe un destino assai peggiore: i monaci parabolani di Dioscoro lo sorpresero in una pausa del concilio e lo aggredirono, maltrattandolo al punto che fu per lui impossibile continuare a seguire il concilio, durante il quale fu scomunicato, deposto ed esiliato in Lidia, in una località dove morirà poco dopo per i maltrattamenti.

Con i suoi metodi da picchiatore mafioso Dioscoro aveva trionfato e reso il monofisismo la posizione ufficiale della chiesa Romana, almeno agli occhi della legge imperiale. A Roma Leone però non volle saperne: denunciò il concilio e si rifiutò di obbedirne i canoni, denunciando che non si fosse trattato di un concilio o concilium, in latino, ma di un latrocinium, un ladrocinio bello e buono.

Le conseguenze di una cavalcata in campagna

Teodosio II

C’erano tutti gli ingredienti per un vero, primo grande scisma tra la chiesa orientale e quella occidentale, con 600 anni di anticipo sul grande scisma del 1054. Ma il destino volle diversamente: l’intera copertura legale dei monofisiti era stata data dall’appoggio di Crisafio e attraverso di lui di Teodosio II, l’imperatore. Teodosio II, il debole e imbelle Teodosio II che regnava da più di 42 anni, decise però che fosse venuto il tempo di farsi una bella passeggiata a cavallo, nella quale inaspettatamente morì, in quello che tutti considerarono un incidente. Eppure la coincidenza tra la tensione religiosa a Roma e l’incidente è per me quanto meno sospetta.

Sta di fatto che sappiamo cosa accadde dopo: Pulcheria, la terribile implacabile Pulcheria, fuoriuscì dal suo esilio monastico, pronta a riprendere tutto quello che era stato suo, per dirla come Savastano di Gomorra. In un’abile e rapida mossa Pulcheria prese le redini del governo orientale, con tanta decisione che i suoi molti oppositori non seppero reagire. Questo includeva Crisafio, il grande sponsor dei monofisiti.

Ricostruzione del volto di Aelia Pulcheria (basato sulla monetazione)

L’impero dei Romani aveva subito un rovescio dopo l’altro ultimamente, venendo sconfitto due volte dagli Unni e finendo costretto a pagare un tributo ad Attila. Come tre quarti di secoli prima, nei giorni bui del dopo Adrianopoli, i Romani erano convinti che Dio fosse irritato con il suo popolo e solo per quello avesse permesso che dei barbari pagani sconfiggessero gli eserciti del suo Impero in terra. Occorreva ristabilire l’ortodossia se Roma voleva avere una speranza di battere gli Unni. E cosa poteva aver adirato Dio se non una eresia impostasi sulla sua chiesa? Pulcheria, dopo aver sposato Marciano elevandolo al trono, aveva una priorità che era anche una questione di sicurezza dello stato: rettificare il risultato del Latrocinium, il concilio di Efeso.

Showdown a Calcedonia

Il concilio di Calcedonia, presieduto da Marciano e Aelia Pulcheria

È così che nell’ottobre del 451, ad appena due anni dal concilio di Efeso, i grandi della chiesa furono chiamati nuovamente a concilio, proprio nello stesso anno nel quale Attila aveva invaso la Gallia finendo per scontrarsi con Ezio sui campi Catalaunici. La situazione militare era così difficile che Marciano chiese di spostare la sede del concilio da Nicea, ad un giorno di viaggio da Costantinopoli, a Calcedonia. Calcedonia, forse lo ricorderete, era una città giusto sull’altro lato del bosforo rispetto a Nuova Roma: anche per Marciano l’alleanza religiosa con Dio era una questione di sicurezza pubblica e desiderava partecipare al concilio, ma non al costo di allontanarsi dalla frontiera danubiana sulla quale incombeva il pericolo degli Unni. Durante l’inverno del 451 Marciano e Pulcheria rifiutarono infatti di pagare il tributo agli Unni: Marciano si aspettava una rappresaglia in qualunque istante.

Il concilio di Calcedonia è il più frequentato e meglio documentato concilio tra i concili ecumenici della chiesa antica: più di 500 vescovi, soprattutto orientali, parteciparono all’assise e tutti gli atti ci sono pervenuti, così che ancora oggi è possibile leggerne le discussioni e le deliberazioni. Nonostante questo non si trattò di una pacifica e democratica discussione sulla natura di cristo: il patriarca Flaviano fu disseppellito e portato a Calcedonia come un martire della fede; al papa di Alessandria, Dioscoro, fu proibito di sedere e votare con gli altri vescovi. Indubbiamente il nuovo potere civile e militare di Costantinopoli fece pesare tutta la sua autorità per influenzarne le deliberazioni. Eppure il vero protagonista del concilio fu una persona del tutto assente: Papa Leone.

Roma conquista il suo posto al sole

Papa Leone II

Ho evidenziato come nei precedenti concili il ruolo del papato di Roma fu molto limitato, ma questo non si può dire di Calcedonia: Antiochia era stata screditata come sede dal nestorianesimo, Alessandria era sotto accusa di eresia, fu quindi Roma a prendere la guida della cristianità, forse per la prima volta. E non fu necessario per Leone di essere presente al concilio: seguendo il precedente stabilito dei suoi predecessori Leone non si recò al concilio, anche perché la situazione in occidente era gravissima e ci si attendeva una nuova invasione di Attila in primavera. Eppure i legati di Leone fecero piombare sul concilio un vero macigno: il tomo di Leone, la lettera che Leone aveva inviato a Flaviano, e che fu finalmente letto al concilio di Calcedonia, per la prima volta. I monofisiti provarono a difendere la loro posizione ma i vescovi in assemblea acclamarono il testo, in quella che era una tipica cerimonia imperiale romana di solito riservata al senato. La gran parte dei vescovi sostenne all’unisono – in quella che deve essere stata un’azione concordata in precedenza – che il tomo di Leone fosse davvero la loro fede, la fede dei loro antenati. Una commissione fu incaricata di confermarne l’ortodossia e l’aderenza con i principi stabiliti da Cirillo a Efeso. Nonostante i suoi metodi brutali, infatti, Cirillo era venerato da tutti come uno dei padri della chiesa.

Alla fine dei lavori – e con l’esclusione di 13 vescovi egiziani – il concilio approvò definitivamente la definizione di Calcedonia, ovvero la definizione cristologica che è ancora oggi quella considerata ortodossa dalla chiesa cattolica, dalle chiese protestanti e dalla chiesa greco-ortodossa. Eccone un passo “Noi tutti di unico accordo insegniamo agli uomini di conoscere nostro signore Gesù Cristo, completo nella divinità e null’umanità allo stesso tempo, autenticamente Dio e autenticamente Uomo, essendo completo di un’anima razionale e di un corpo, della stessa sostanza del Padre per la sua parte divina e allo stesso tempo della stessa sostanza con noi per quanto riguarda la sua umanità. Quanto alla sua divinità generato dal Padre prima del tempo ma per quanto riguarda la sua umanità è stato generato per noi uomini e per la nostra salvezza da Maria la vergine, la portatrice di Dio.  Uno e lo stesso Cristo, figlio, Signore, Unigenito, riconosciuto in due nature, senza confusione, senza cambiamento, senza divisione, senza una separazione”.

Dioscoro avrebbe potuto sottoscrivere l’intera dichiarazione di cui sopra, ad eccezione delle due nature: e su queste quattro parole – riconosciuto in due nature – si consumerà uno dei più grandi scismi della storia della Chiesa.

Lo scisma tra Monofisiti e Calcedoniani

Prevalenza delle chiese monofisite oggi: le principali sono la chiesa armena, copta (Egitto) ed Etiope

Infatti ad Alessandria la sconfitta del loro Papa – che fu deposto e mandato in esilio – non fu presa affatto bene. E qui iniziamo a vedere all’opera anche un sentimento di nascente nazionalismo egiziano che darà vita alla chiesa Copta, ovvero la chiesa egiziana che utilizza ancora oggi la lingua che si è evoluta nel tempo dall’egiziano antico, oggi una lingua esclusivamente liturgica come era il latino per la chiesa cattolica. L’Egitto era sempre stato diviso tra la sua popolazione nilotica e Alessandria, una metropoli in gran parte greca, ma l’opposizione a Calcedonia solidificò la chiesa e l’intera provincia. Altri vescovi, in particolare nell’area siriana, si opposero a Calcedonia rifiutando di sottoscriverne la definizione cristologica. Inizialmente le conseguenze di questa divisione non furono catastrofiche ma vedremo come continueranno a montare nei decenni e nei secoli a venire, al punto che all’arrivo delle armate dell’Islam molti in Egitto e in Siria accolsero i conquistatori come liberatori dall’oppressione del regime calcedoniano imperiale.

Ancora oggi la chiesa Copta – la più importante chiesa cristiana araba – è indipendente dalle altre chiese. Tecnicamente si dice che non è in comunione, ovvero i sacramenti non sono mutualmente accettati sia con sia le chiese greco-ortodosse che le chiese occidentali, cattolica e protestanti. La comunione delle chiese ortodosse orientali include anche la chiesa Etiope, varie chiese minori mediorientali, la chiesa Armena e quella indiana del Kerala. Quindi se un giorno in un quiz vi chiederanno che differenza c’è tra la chiesa copta e la chiesa ortodossa sappiate che si tratta di una diatriba di 1600 anni fa sulla natura di Cristo.

Diagramma in inglese adattato da me per spiegare i vari scismi della chiesa universale romana, nell’antichità e in seguito alla riforma.

L’importanza del potere temporale

Ora, gli argomenti teologici hanno avuto una importanza chiave in tutto questo episodio, ma non sarei corretto se non menzionassi che in tutte queste controversie di fine teologia si può intravedere una tipica lotta di potere tra i grandi patriarcati orientali. Inizialmente Antiochia contro Alessandria, poi alla vittoria di Alessandria la lotta si spostò tra Costantinopoli e Roma da un lato e Alessandria dall’altro. Alessandria aveva accumulato un prestigio immenso, grazie all’energia e al prestigio dei suoi Papi: Attanasio era stato il vero cane da guardia dell’ortodossia contro gli ariani, e li aveva sconfitti. Cirillo aveva distrutto Nestorio e il diofisismo, ora Dioscoro pensava di fare lo stesso con quello che restava dei suoi nemici, affermando la scuola di Alessandria come la scuola principale della teologia cristiana e Alessandria come il principale patriarcato della cristianità: ci andò più vicino di quanto si possa credere dal punto di vista di noi moderni, abituati a secoli di preminenza di Roma e Costantinopoli. In Leone però Dioscoro trovò un avversario al suo stesso livello, senza contare che ebbe una bella sfortuna: senza la caduta da cavallo di Teodosio II, Dioscoro avrebbe potuto avere ancora anni per solidificare la sua presa almeno sulle chiese orientali, rimuovendo e bandendo i vescovi a lui opposti, come aveva iniziato a fare.

E’ in arrivo la grande tempesta

Questo episodio ovviamente può solo scalfire la superficie di queste questioni: vi consiglio di studiare l’argomento, sia leggendo libri su questo argomento che consultando le pagine in inglese di wikipedia sulla cristologia, che sono sorprendentemente ben fatte.

Nel prossimo episodio torneremo alle faccende più mondane della politica imperiale, ma pensavo fosse indispensabile spiegare chi sono i nestoriani, i monofisiti e i calcedoniani perché questi termini faranno spesso capolino nella narrazione dei prossimi secoli. Ora allacciate però le cinture perché, nonostante la caduta dell’impero degli Unni, o forse proprio grazie alla rimozione del grande spauracchio, l’occidente sta per avvitarsi in una crisi dalla quale non uscirà vivo. L’occidente ha avuto molte disgrazie fino ad oggi: invasioni, perdite di mezzi finanziari, rovesci militari, guerre civili. Eppure ha evitato un problema, almeno in larga parte: la crisi dinastica. La dinastia teodosiano-valentiniana ha avuto i suoi problemi in occidente, basti pensare all’assassinio di Graziano, poi di Valentiniano II e la crisi seguita alla morte di Onorio, ma è riuscita a rimanere salda al potere con il fondamentale contributo della corte orientale. Eppure i giorni delle dinastie, avvolte nell’aurea e nella legittimità concessa da decenni di governo, sono contati. E quando si esauriranno, per l’occidente si spalancheranno davvero le porte dell’inferno.

Se volete ascoltare l’episodio seguente lo potete ascoltare in basso, altrimenti tra poche settimane posterò l’episodio 37 anche qui!

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Un pensiero riguardo “Episodio 36, le nature di Cristo (431-451)

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