I passaporti: storia di un’invenzione longobarda

Pochi sanno che la prima menzione di un “passaporto” ufficiale dello stato la si trova nelle leggi longobarde, in particolare di quelle di re Ratchis, che regnò dal 744 al 749 (e si, chiedo scusa per l’immagine AI!).

Il termine “passaporto” è relativamente recente (inizialmente indicavano una licenza di sbarco: passa/porto, il primo ad utilizzare questo termine pare essere stato il sovrano francese Luigi XIV).

Ma risalgono all’antichità le lettere concesse dai sovrani o dai governi con clausole di protezione, di scorta, di esenzione, valide per recarsi all’estero. Queste erano concessioni personali del sovrano, di solito a persone importanti e ambasciatori.

Molti ritengono che il primo vero tipo di “passaporto” per turisti, pellegrini e viaggiatori sia stato il passaporto longobardo.

I Longobardi avevano la necessità di controllare attentamente il via vai di persone sul territorio del regno, in particolare tra Franchia e Roma o nei dintorni dei territori imperiali. Al tempo di Ratchis – a metà ottavo secolo – i longobardi istituirono dei veri e propri diplomi che permettevano di attraversare il regno. Leggiamo la legge numero 13 di Ratchis:

Abbiamo provveduto a stabilire questo: che i nostri confini, con la tutela di Cristo, debbano essere ordinati e custoditi in modo tale che i nostri nemici e quelli della nostra stirpe non possano mandare pattuglie o accogliere fuggiaschi che tentano di passare, ma nessun uomo possa entrare attraverso di essi senza un contrassegno o una lettera del Re. Perciò ciascun giudice deve prestare attenzione e vigilanza ai confini a lui assegnati, da sé e per mezzo dei locopositi e delle sue guardie dei valichi di confine, affinché nessun uomo possa uscire senza contrassegno o lettera del Re. Quando dei pellegrini che dispongono di andare a Roma giungono ai nostri valichi di confine, per entrare, si deve chiedere loro scrupolosamente di dove sono; se si riconosce che vengono senza malizia, il giudice o la guardia del valico di confine faccia un diploma e vi metta della cera e vi apponga il suo sigillo, in modo che essi mostrino poi quel contrassegno ai nostri ufficiali che abbiamo delegato”.

Siamo al 745 e vorrei farvi notare come già nell’ottavo secolo il regno longobardo avesse valichi di confine con guardie, diplomi di viaggio e strette regole per monitorare i viaggi interni al regno, con tanto di passaporto e visto. Si deduce inoltre che, nel resto del regno, c’erano ufficiali addetti a richiedere agli stranieri prova di questo lasciapassare ottenuto ai valichi: un controllo del territorio che era inaudito a nord delle Alpi.

Evoluzioni medievali

I connotati fisici del viaggiatore sono registrati già in un passaporto per l’Egitto rilasciato a un monaco francese dall’emiro musulmano di Bari, attorno all’867: dunque rendere il passaporto “personale” è un’esigenza antica.

Nell’Impero romano, c’era molto probabilmente una forma di passaporto già nel nono secolo. Sappiamo che nel 944, l’Impero e i Russi firmano un trattato che permette il libero passaggio di entrambi con l’accompagnamento di un antenato del passaporto: al legato russo veniva rilasciata una crisobolla imperiale e al mercante una argirobolla.

Iniziano a formalizzarsi anche delle durate: come il passaporto che scade ogni tre anni concesso ai mercanti anglosassoni nel regno longobardo-italico. Si conosce anche la presenza di pagamenti per il passaporto: nell’Impero romano medievale e nel califfato islamico ci sono menzioni di apposite tasse per il sigillum, e per l’amān.

Dopo l’anno mille, in Italia, le grandi città‑stato come Genova, Venezia e Firenze emettevano salvacondotti per mercanti, ambasciatori e pellegrini, soprattutto durante fiere internazionali o viaggi per motivi religiosi, come i pellegrinaggi a Roma, Santiago o Gerusalemme. Anche i monaci in viaggio, i mercanti della Lega Anseatica e i crociati facevano uso di simili documenti per evitare abusi o impedimenti nei territori stranieri. Questi lasciapassare riportavano spesso il nome del portatore, il motivo del viaggio e il sigillo dell’autorità emittente, elementi che anticipano alcune caratteristiche dei passaporti moderni.

Epoca moderna e contemporanea

Le nazioni europee, tra XVII e XVIII secolo, strutturano sistemi ufficiali per il rilascio di documenti di viaggio. Ma la vera rivoluzione è nel 19° secolo, dopo le guerre napoleoniche. Il Congresso di Vienna favorisce uniformità nei documenti di viaggio, con formati stampati e dettagli personali.

Più antico passaporto inglese, data a circa il 1630

Nel 1920, la Società delle Nazioni standardizza i formati; nel 1926 compare il modello a libretto in Europa .Da metà del XX secolo, i passaporti diventano multi‑destinazione, con foto.

Negli anni 2000 entra in gioco la biometria: chip elettronico, riconoscimento facciale, impronte digitali, su standard ICAO. Di recente, alcuni paesi testano il passaporto digitale, ad esempio in Finlandia, con riconoscimento facciale e archiviazione su smartphone .

Quando Venezia distrusse l’Impero romano

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