Un’azione combinata dei due imperi porterà a quella che sarà la più importante battaglia di una intera generazione, combattuta in una calda giornata di agosto nei pressi di una città della tracia: Adrianopoli.
Ci siamo lasciati nello scorso episodio con la tragica storia di una migrazione fallita: una combinazione di fattori strutturali come la forza dei Goti e la scarsa consistenza delle truppe disponibili in Tracia oltre a fattori umani come il comportamento criminale ed incompetente del conte Lupicino hanno portato alla rivolta dei Goti di Fritigern, Alatheus e Saphrax. I Tervingi sono riusciti a sconfiggere l’esercito di Tracia, saccheggiando i ricchi territori a sud dei monti Balcani per poi esserne ricacciati dall’intervento combinato di reparti provenienti dall’oriente e dall’occidente. I Goti si sono poi rifugiati nella Scizia romana, un angolo sperduto dell’impero, e qui hanno combattuto la non decisiva battaglia “ad salices”.
In seguito alla battaglia “ai salici”, combattuta nel 377, i Romani hanno deciso di inchiodare i Goti a nord dei Balcani, fortificandone i passi. Ma la rinnovata alleanza tra Tervingi e Greutungi ha permesso ai Goti di forzare le montagne e dilagare nuovamente in Tracia.
In questo episodio vedremo cosa faranno entrambi gli imperatori per risolvere, una volta per tutte, il problema dei Goti. Un’azione combinata dei due imperi porterà a quella che sarà la più importante battaglia di una intera generazione, combattuta in una calda giornata di agosto nei pressi di una città della tracia: Adrianopoli.
Radiofrontiera

Durante l’inverno del 377, mentre i Goti si rifocillavano con i proventi dei saccheggi della Tracia, una delle regioni più ricche dell’impero grazie alla sua vicinanza con la capitale Costantinopoli, gli imperi d’oriente e d’occidente studiavano febbrilmente come risolvere il problema Gotico: giunsero alla fine alla conclusione che durante la stagione di guerra del 378 i due imperi avrebbero condotto una operazione congiunta. Era oramai chiaro che Valente non avrebbe potuto iniziare la sua agognata spedizione contro l’oramai anziano Shapur, con il quale per fortuna si riuscì a contrattare una pace. Shapur era probabilmente stanco di guerreggiare contro i Romani e tutto sommato lo status quo era a suo vantaggio: spoiler alert, tra un anno Shapur II, oramai più che settantenne, morirà dopo un regno durato 70 anni. I Romani tireranno un grande sospiro di sollievo.
In occidente il giovane Graziano decise che era arrivato il tempo di finirla con le mezze misure: sarebbe intervenuto di prima persona in Tracia a capo delle sue migliori truppe comitantensi e palatine. La spedizione fu preparata nei minimi dettagli e truppe iniziarono ad affluire in Illirico, meno però di quanto l’impulsivo giovane Augusto avrebbe desiderato: Merobaude, il suo più importante generale, era conscio che non si poteva indebolire troppo la frontiera Renana. Gli avvenimenti provarono che aveva ragione da vendere: infatti Radiofrontiera informò i Germani d’oltreconfine che i Romani stavano spostando il grosso delle truppe verso l’oriente per combattere i Goti. Come al solito i primi a sfruttare l’occasione furono gli indefaticabili Alemanni. In particolare alcuni gruppi di razziatori di una delle loro tribù, i Lentiensi, attraversarono la frontiera a febbraio mentre il Reno era gelato: furono si respinti, ma questo ebbe un effetto paradossale. Gli alemanni sapevano che ad ogni razzia da parte anche di una minoranza di facinorosi corrispondeva poi una rappresaglia imperiale fatta di saccheggi, uccisioni, devastazioni e schiavizzazioni. La paura della rappresaglia spinse gli Alemanni Lentiensi ad unirsi in guerra per proteggersi dalle armi romane.
Graziano ricevette la notizia mentre era già in Pannonia – la moderna Ungheria – e si preparava a passare nel territorio dei Balcani orientali devastato dalla guerra Gotica. Merobaude e Graziano non potevano ignorare invasioni e razzie sulla frontiera Renana: la legittimità a governare degli imperatori occidentali dipendeva a stretto filo dalla loro capacità di tenere fuori i Germani da questa frontiera cruciale: i grandi contribuenti gallici erano infatti uno dei pilastri dell’impero. Graziano fu quindi costretto a fare dietrofront: i Romani avrebbero dovuto impartire una lezione ai Germani occidentali prima di portare il comitatus nei Balcani per le operazioni contro i Germani orientali. Graziano inviò però un messaggio allo zio Valente: avrebbe ritardato un po’ a causa dei problemi con gli Alemanni, ma si sarebbe trattato di un ritardo di qualche mese. Graziano consigliava allo zio di attendere sue notizie prima di muovere contro i Goti.
Il guerrigliero dei Romani
Valente nel frattempo era arrivato a Costantinopoli, la città che gli si era rivoltata contro all’inizio del suo regno – ricordate Procopio? Costantinopoli e Valente non si erano mai amati, con l’imperatore che ricambiava il sentimento dei suoi cittadini restando il più possibile lontano dalla città. L’impopolarità di Valente è spesso attribuita al suo arianesimo ma ho buone ragioni per credere che il grosso della popolazione della città fosse ariana a questo punto della storia: Costantinopoli era vissuta sotto imperatori ariani praticamente per quasi tutta la sua breve storia di capitale imperiale e i successori di Valente ebbero non poche difficoltà a far affermare il credo Niceno. Più probabile che i contribuenti della città fossero abbastanza irritati di aver visto le loro ville e proprietà in Tracia devastate dai Goti. Iniziarono ad attribuire la responsabilità del disastro a Valente, che aveva accolto i Goti nell’impero. I contribuenti della capitale si chiedevano che diavolo avesse fatto Valente negli ultimi due anni mentre le loro case bruciavano. Era una critica ingenerosa, ma comprensibile.
Valente, in seguito a moti popolari, decise di stabilirsi fuori città in una delle ville imperiali e da lì comandò le operazioni: occorreva radunare l’esercito che come d’abitudine era sparpagliato nei suoi alloggiamenti invernali. I reggimenti del comitatus orientale iniziarono ad affluire verso i Balcani o almeno lo fecero tutte le truppe che si era potuto muovere senza invogliare i persiani ad invadere. Valente non volle però lasciare alla mercé dei barbari l’intera Tracia mentre l’esercito si concentrava: Diede ordine di intervenire a uno dei suoi migliori generali, quel Sebastiano che Merobaude aveva temuto fosse fatto Augusto dalle sue truppe alla morte di Valentiniano. Sebastiano, alle notizie del caos nei Balcani, aveva infatti fatto domanda di essere trasferito in oriente. Sebastiano prese un paio di reggimenti di truppe scelte – 2 mila uomini appena – e si impegnò a rendere la vita impossibile alle bande di razziatori gotici: iniziò una strategia di guerriglia per colpire bande di razziatori gotici isolate. Una di queste, carica di immenso bottino, si affrettò a cercare di ricongiungersi con il grosso dei connazionali presso Beroea ma fu annientata da Sebastiano: il morale delle truppe orientali, iniziò a risollevarsi. Eppure forse sarebbe stato meglio se i Romani fossero rimasti depressi e un po’ umiliati dalle precedenti sconfitte: i limitati successi di Sebastiano convinsero alcuni generali che i Goti non fossero poi questi irresistibili guerrieri. Finora i Goti avevano avuto vita facile, con eserciti romani limitati e guidati da incapaci. Era arrivato il tempo di fargli vedere di cosa il comitatus imperiale era capace.
La gloria del giovane Augusto…

Nel frattempo in occidente i generali di Graziano affrontarono in battaglia gli Alemanni Lentiesi comandati dal re Priar: la battaglia fu combattuta nei pressi di Colmar, in Alsazia. Fu un affare sanguinoso e incerto fino al momento in cui gli Alemanni credettero di vedere nello spostamento di alcune unità romane l’arrivo del Comitatus di Graziano, ancora in viaggio dalla Pannonia. Volti in fuga furono massacrati e con loro morì il re Priar. Graziano arrivò dopo qualche tempo sul posto e, per battere il ferro mentre era caldo, attraversò il Reno e iniziò a devastare le terre degli Alemanni che si rifugiarono sui colli e sui monti più alti e qui furono messi sotto assedio da Graziano: dopo una serie di scontri i Lentiensi si arresero in quello che fu un indubbio, grande successo per le armi romane: i giovani Lentiensi furono arruolati a forza nell’esercito e gli altri si sottomisero a Roma: da questo momento in poi questo popolo scompare dalla storia e l’intera confederazione Alemannica viene indebolita al punto che giocherà un ruolo davvero secondario nei drammi del quinto secolo, mentre erano stati uno dei nemici principali dei Romani durante il quarto.
Il giovane Graziano si ritrovò quindi a risplendere finalmente nella gloria militare che sempre fu la sorgente della legittimità a governare nel mondo romano: la vittoria, pur realizzata in gran parte dai suoi generali, lo smarcava da Merobaude e, agli occhi di un’opinione pubblica irritata con Valente, lo proiettava come credibile alternativa a suo Zio.
Non che Graziano si curasse del tutto di questo: una volta raccolti i suoi si affrettò a ripercorrere i suoi passi e dirigersi – attraverso la moderna Svizzera e Austria – verso l’illirico, le porte di Traiano e la Tracia, dove il destino dei Goti sarebbe stato consegnato alla storia dagli irresistibili eserciti combinati d’oriente e d’occidente. In pochi giorni, a tappe forzate, il suo esercito entrò in Illirico. Per annunciare le sue vittorie e il suo arrivo mandò avanti il già citato generale Richomeres.
..e l’invidia di quello senior

Nel frattempo Valente, raccolti tutti i reggimenti del suo comitatus, si affrettò a dirigersi verso Adrianopoli dove si fermò su una forte posizione difensiva, in attesa dell’arrivo del collega occidentale. Siamo arrivati ad una giunzione chiave della nostra storia: Richomeres arrivò infatti ad Adrianopoli con una lettera di Graziano che informava lo zio dei suoi mirabili successi in Germania e del fatto che non era oramai lontano: la lettera, in modo forse un po’ irrispettoso, chiedeva con insistenza a Valente di non affrontare il rischio di ingaggiare i Goti da solo.
Qui ci toccherà fare un po’ di psicologia da salotto: Valente era sempre stato rispettoso del fratello maggiore Valentiniano, riconoscendogli il rango di Augusto “senior”: avrà avuto dei momenti nei quali desiderare qualcosa di più, ma mentre suo fratello era in vita aveva sempre accettato il suo ruolo. Ora però era arrivato il suo momento: era lui ora l’Augusto senior. Invece doveva sentirsi dettare istruzioni da questo sbarbatello di nipote, ricoperto per giunta di gloria militare. Gloria che gli era sempre sfuggita e alla quale era stato costretto a rinunciare proprio quando era stato pronto alla missione della sua vita in Persia. La sua politica di accoglienza era stata un disastro, il popolo a Costantinopoli l’odiava e per spargere sangue sulle ferite il suo nipotino aveva appena vinto una splendida battaglia in occidente. Essere subordinati al fratello maggiore poteva essere accettabile per Valente, giocare il ruolo di comparsa con suo nipote non lo era di certo.
Non si trattava solo di una questione di prestigio: l’opinione pubblica era contro di lui. Il popolo della capitale aveva appena ricevuto notizia dei successi di Graziano: molti probabilmente stavano sussurrando che forse la soluzione ai problemi degli ultimi due anni era di fronte ai loro occhi: avere un nuovo imperatore. E chi meglio di un giovane brillante, soprattutto se paragonato all’indeciso, sfortunato e debole Valente?
A rafforzare la sua determinazione, Valente ricevette delle informazioni incoraggianti sul fronte militare: Fritigern aveva riunito quanti più dei suoi fosse possibile e marciava contro Adrianopoli. Gli esploratori romani dichiararono che aveva sotto di sé non più di 10 mila uomini mentre Valente aveva portato dall’oriente un esercito ben più consistente. Ahimè non abbiamo le cifre esatte ma considerando la notitia dignitatum, la disposizione degli eserciti e la consistenza del comitatus possiamo dedurre che avesse portato nei Balcani tra i 20 e i 30 mila uomini, probabilmente più vicino alla cifra inferiore delle due. Comunque più che sufficiente per regolare i conti con i Goti di Fritigern senza bisogno dell’ingombrante aiuto dell’insolente nipote.
La decisione di Valente

Valente comunque non voleva fare solo di testa sua e convocò un celeberrimo consiglio di guerra: Sebastiano, imbaldanzito dai suoi recenti successi suggeriva di attaccare immediatamente, altri erano più prudenti, consigliando in tutti i casi di aspettare l’arrivo delle truppe di Graziano.
Eppure credo che quello che convinse Valente a far pendere l’ago della bilancia verso la battaglia fu quello che dissero diversi membri dello staff di Valente all’imperatore: questi fecero notare come sarebbe stato utile alla popolarità e al prestigio del sovrano di vincere da solo l’inevitabile vittoria contro i deboli e disperati Goti, in modo da non dover condividere la gloria con Graziano: avrebbe davvero sua maestà voluto farsi ricordare per tutto il resto della sua vita che era stato un ragazzino a toglierlo dai guai?
La decisione fu presa, il Comitatus d’oriente avrebbe dato battaglia. Da solo.
Fritigern cerca l’accordo
L’indomani la decisione di combattere sembrò essere confermata dall’atteggiamento tutto fuorché baldanzoso di Fritigern che una volta giunto nelle vicinanze di Adrianopoli inviò un prete cristiano a negoziare con l’imperatore, forse sperando che il ricordo della comune fede Ariana convincesse l’imperatore a più miti consigli: Fritigern riproponeva in sostanza l’accordo con il quale i Goti Tervingi avevano attraversato il Danubio con l’aggiunta che chiedeva per se una alta carica militare nella struttura di governo imperiale. Questo come ricompensa per fare da paciere, stile colonnello Landa in “inglorious basterds”. Ora, avere re barbari come generali era da decenni una pratica del tutto accettabile: ad esempio uno dei generali che avevano battuto gli Alemanni era in realtà anche un Re dei Franchi, oltre che Comes Domesticorum, il comandante della guardia imperiale. Fritigern insomma non aveva fatto una richiesta insolente: in più in una lettera segreta disse a Valente di schierare il suo esercito per la battaglia. L’obiettivo era dimostrare al suo popolo che non c’era speranza di battere un esercito di quelle dimensioni e capacità: questo avrebbe dato munizioni a Fritigern per convincerli ad accettare l’accordo. Può sembrare una richiesta strana, ma a me pare una cosa ragionevole: ricordiamoci che Fritigern non era certo il re dei Tervingi ma solo il loro leader militare pro tempore, un ruolo che richiedeva una certa dose di persuasione, soprattutto nelle decisioni più difficili.
Era una offerta allettante e che Ammiano è sicuro fosse fatta in malafede, per le ragioni che vedremo: eppure mi sono convinto, e della stessa cosa sono convinti molti storici, che Fritigern fosse sincero. Abbiamo già visto che il nostro Goto era un politico di razza e un leader di indubbia intelligenza. Il suo interesse personale non era certo di ridurre l’impero in un cumulo di rovine, era ben chiaro inoltre che alla lunga l’impero poteva mobilizzare risorse che avrebbero soverchiato i Goti. No, la migliore speranza per il suo popolo era un inevitabile accordo con i Romani, che sarebbe stato più vantaggioso se i Goti lo avessero raggiunto ancora invitti. Quanto a lui, meglio una vita di agi, ricchezze, influenza e onori a Costantinopoli nella corte imperiale che la vita grama di un capo barbaro in conflitto con l’impero, sempre ad una sola sconfitta dall’avere la testa infilzata su una picca. Se questo fu quello che Fritigern pensò – e non ho quasi dubbi che lo fece, visto che giunsero alle stesse conclusioni generazioni di capi gotici dopo Fritigern – il futuro provò che aveva ragione da vendere.
Valente però era oramai convinto che non fosse più il tempo delle trattative: si sarebbe potuto forse trattare dopo la sconfitta dei Goti e la trattativa si sarebbe svolta alle sue condizioni, non quelle del Goto che lo aveva tradito: il messaggero di Fritigern tornò dal suo capo con le pive nel sacco.
Marcia verso Adrianopoli

L’indomani, all’alba del fatidico 9 Agosto del 378 dopo cristo, Valente lasciò il tesoro imperiale e una piccola guarnigione in città, ad Adrianopoli. Poi abbandonò le sue posizioni difensive e iniziò una lunga marcia verso l’esercito di Fritigern che aveva occupato una collina ai bordi di una foresta, in modo da avere una buona posizione sul campo di battaglia. I Romani dovettero affrontare una lunga marcia di otto ore, sotto il torrido sole d’agosto e in pieno assetto da combattimento. I Goti, per rendere la marcia ancora più miserabile, diedero fuoco alle messi in modo da rendere l’aria irrespirabile e torrida. Romani e bestie da soma erano tormentati dalla sete e dal caldo ma il comitatus imperiale era fatto dagli uomini più duri dell’esercito, abituati anche a peggio. Verso le due del pomeriggio i soldati arrivarono in vista dei Goti e si resero conto che quanto avevano sperato era vero: i Goti erano davvero la metà del loro esercito, sarebbero stati una preda facile, nonostante la collina da scalare e la faticosa marcia a cui erano stati sottoposti.
Fritigern a questo punto davvero aveva bisogno di comprare tempo: inviò messaggeri chiedendo uno scambio di ostaggi per intavolare trattative di pace. Valente a questo punto tentennò, non so in seguito a quale istinto, e pensò di trattare. Nel campo si discusse tra i generali su chi avrebbe avuto il dubbio onore di fare da ostaggio: tutti si rifiutarono. Alla fine si fece avanti il nostro Richomeres, apostrofandoli che si comportavano da femminucce. Lui era un duro, e sarebbe andato.
La cavalcata dei Rohirrim

Si stavano prendendo le misure necessarie allo scambio quando avvenne l’imprevedibile: in una delle piccole ironie della storia la battaglia di Adrianopoli non iniziò perché uno dei due eserciti lo volesse, ma per sbaglio Come spesso accade quando i soldati, carichi di adrenalina, sono fatti aspettare con le mani sulle armi e nell’impossibilità di muoversi qualcuno decise di prendere l’iniziativa nelle proprie mani: non avevano fatta tutta quella strada da Antiochia e poi quella marcia estenuante da Adrianopoli per permettere a quel codardo di Valente di salvare la pellaccia agli stessi Goti che avevano messo a ferro e fuoco i Balcani. O almeno credo che fu quello che accadde: sta di fatto che due reggimenti romani attaccarono i Goti e, prima che si potesse richiamarli indietro, la battaglia era iniziata e Valente e lo stato maggiore furono costretti a seguire gli eventi invece che esserne gli artefici.
Si era nel tardo pomeriggio e la battaglia iniziò nel migliore dei modi per i Romani: la fanteria avanzò con efficacia contro i Goti e l’ala sinistra riuscì perfino a sfondare le linee nemiche, arrivando ad un passo dall’accampamento di carri dei Goti: accampamento che custodiva ogni cosa che ogni guerriero goto aveva più caro al mondo: mogli, figli e ricchezze. Se i Romani fossero arrivati lì la linea gotica si sarebbe probabilmente spezzata perché ogni guerriero avrebbe pensato a mettere in salvo i suoi: i Romani erano probabilmente a pochi minuti da trasformare la guerra gotica nell’abituale massacro di barbari.
Ma oggi non era destino che ciò accadesse: dal lato sinistro, nella foresta, arrivò all’improvviso il suono di corni, e poi d’altri corni e di zoccoli di cavallo e di spade sguainate e lance abbassate: era arrivata all’improvviso la cavalleria ed era iniziata la cavalcata dei Rohirrim… o meglio, dei Goti Greutungi
L’effetto sopresa, il Re di ogni battaglia
Eh sì, perché tutti i calcoli politici e militari di Valente avevano al centro un enorme, clamoroso buco nero: nessuno aveva tenuto conto che i diecimila soldati avvistati erano la fanteria dei Tervingi, ma nei dintorni c’erano anche i Greutungi e la loro formidabile cavalleria formata da Goti e nomadi Alani e Unni. Alatheus e Saphrax avevano avvistato i fuochi dei Tervingi da lontano, indubbiamente appiccati anche per avvertirli, ed erano accorsi a tutta fretta in soccorso dei cugini. Nel farlo avevano acquistato il più grande vantaggio che si può avere in guerra: l’effetto sorpresa. Non c’è nulla che riduca le ginocchia in gelatina come vedersi arrivare addosso, inaspettatamente e da una direzione non prevista forze di dimensione imprecisata e per di più a cavallo.
I Tervingi erano vicini al punto di rottura quando i Greutungi esplosero dai boschi e si avventarono dal fianco sinistro sulla cavalleria romana che fu presa talmente di sorpresa da essere respinta e messa in fuga: non parliamo dei reparti di ausiliari a cavallo di dubbia qualità dell’alto impero ma dei professionali, spietati cavalieri romani del tardo impero. L’effetto sorpresa è una brutta bestia.
Un tramonto di sangue

La fanteria era ingaggiata in una lotta senza quartiere e non poteva sganciarsi senza rischiare la rotta completa, i Romani inviarono rinforzi sui fianchi ma rapidamente i Goti circondarono i Romani che rimasero stipati in uno spazio così ristretto da non poter muovere o manovrare: una delle condizioni peggiori per ogni esercito e il caso da manuale che può portare all’impotenza perfino un esercito più numeroso dell’avversario. Era esattamente quello che era accaduto a Canne, dove i Romani si erano fatti massacrare perché stipati e circondati, avendo solo una minoranza degli effettivi capace di muovere e attaccare il nemico: così il vantaggio tattico che i Romani di solito ricavavano dalle armi, dalle armature e dall’addestramento dei soldati in quell’occasione venne meno.
Ma leggiamo Ammiano tutto d’un fiato, in quello che è uno dei passi più belli della storiografia romana: “i fanti rimasero scoperti in gruppi così stipati gli uni agli altri che difficilmente potevano sguainare le spade o tirare indietro le braccia. Risuonavano orrende urla e a causa della polvere che si era levata era impossibile vedere il cielo e proteggersi dai mortali dardi che cadevano su bersagli sicuri. I barbari, riversatisi in immense schiere, calpestarono cavalli e uomini né era possibile in mezzo alla calca trovare un po’ di spazio per ritirarsi e la ressa toglieva ogni possibilità di fuga. A causa della strage reciproca i corpi erano disseminati per terra e i campi erano coperti di cadaveri. Diffondevano un profondo terrore i gemiti dei morenti e di quanti erano stati colpiti da profonde ferite. I fanti, sfiniti dalla fatica e dai pericoli e poiché si erano spezzate la maggior parte delle lance, accontentandosi delle sole spade si gettavano contro le compatte schiere dei nemici senza curarsi più della loro vita. Nonostante che il terreno fosse sdrucciolevole, coperto come era da rivi di sangue, tentavano di vendere cara la loro pelle. Insomma, tutto era insozzato dal nero sangue e dovunque si volgesse lo sguardo s’incontravano mucchi di uccisi e corpi privi di vita.”
È una descrizione agghiacciante e credo per nulla iperbolica: al calare della sera il mattatoio era completo e più di due terzi del Comitatus d’oriente, il fior fiore delle truppe dell’impero e la maggior parte delle sue forze di reazione rapida giaceva sul campo di battaglia, morto o morente. Come dice Ammiano “a queste perdite, a cui mai si sarebbe potuto rimediare e che costarono care allo stato romano pose fine la notte non illuminata dalla luna”.
Nel caos nessuno sapeva dove si trovasse l’imperatore: Valente era stato al centro della battaglia ed era stato ferocemente difeso dai suoi. Non si sa quale fu la sua fine perché il suo corpo non fu mai ritrovato, inghiottito nella mattanza dei Romani, un soldato tra i suoi soldati e solo il secondo imperatore a morire in battaglia dopo Decio, anche lui morto per mano dei Goti ad Abritto, nel pieno della crisi del terzo secolo. Non c’era più nessuno ad opporsi ai Goti, l’Impero Romano d’oriente era alla mercé di chi volesse impadronirsene.
L’inizio della fine?
Non si può sottostimare il disastro che fu Adrianopoli: uno dei due veri eserciti da campagna dell’impero era stato spazzato via. L’imperatore che governava l’oriente da 14 anni era morto sul campo di battaglia. In occidente gli imperatori rimasti erano un ragazzino senza esperienza militare e un giovinetto di 7 anni. A guardia della frontiera con i persiani c’era solo una parte degli effettivi mentre la frontiera Danubiana era irrimediabilmente rotta e gli interi Balcani erano nelle mani dei razziatori Gotici che ora non avevano nessuno, proprio nessuno, che potesse davvero fermarli. Oltre a quello, la tigre aveva assaporato il sangue umano: il velo di invincibilità e destino che avvolgeva le forze di Roma proteggendole come uno scudo immaginario era stato squarciato e sotto si era visto che il re era nudo. Come in una tragedia greca la hybris dei Romani e di Valente, il fato, l’arroganza e la cecità avevano deciso il corso degli eventi. Molti, tanti storici ritracciano il vero inizio della caduta dell’Impero Romano a questa giornata afosa dell’agosto del 378.
Eppure fermiamo un attimo i buoi: se Adrianopoli è stata la causa della caduta dell’impero, come mai questo ci ha messo altri 100 anni per cadere? Senza contare che il danno della guerra gotica finora è stato concentrato, sarà banale dirlo, sono nell’oriente: è l’impero d’oriente che è stato saccheggiato nelle sue province balcaniche. È il Comitatus orientale che fa da banchetto ai corvi della Tracia. È l’imperatore d’oriente che è caduto sul campo di battaglia. Come può questo causare la caduta dell’Impero Romano d’occidente, il cui esercito è invitto e ha appena annientato il suo nemico principale, gli Alemanni? Evidentemente la storia non è così lineare e ci saranno ancora diverse giravolte prima di arrivare alla parola fine per l’occidente. Mentre l’impero di Costantinopoli, in una situazione talmente grave il giorno dopo di Adrianopoli, sopravviverà per più di un millennio.
Un altro commento tipico su Adrianopoli è che fosse una sconfitta inevitabile, a causa del terribile stato dell’esercito del tardo impero: spero di aver dimostrato con gli ultimi episodi che così non fu. L’esercito tardoimperiale, dopo le riforme militari iniziate con Gallieno, proseguite con Diocleziano e completate da Costantino, aveva regolarmente battuto tutti i suoi nemici, compresi i Goti. La battaglia di Adrianopoli fu vinta dai Goti per una combinazione fortunata di eventi: un imperatore geloso del collega, delle spie non attente a riportare la consistenza dei nemici, l’inizio inatteso e confuso della battaglia, l’attacco a sorpresa da parte della cavalleria dei Greutungi nel momento peggiore possibile. Basta cambiare uno solo di questi elementi e Valente è vivo e vegeto e festeggia l’ennesima vittoria sui barbari. Inoltre alcuni storici delle arti militari del passato, soprattutto nell’ottocento, hanno sostenuto che Adrianopoli sia lo spartiacque tra il regno del fante antico e quello del cavaliere medioevale: peccato che non sia affatto vero, i Romani già da decenni avevano imparato ad usare la cavalleria che era diventata l’elemento di punta del loro esercito, dopo Adrianopoli è vero che i Goti adotteranno di più la cavalleria, i Tervingi imitando i cugini Greutungi, ma entrambi verranno annichiliti dalla fanteria dei Franchi.
Una battaglia vissuta come uno spartiacque
Cosa ne pensarono i contemporanei di Adrianopoli? Negli anni dopo la battaglia, in seguito ad altri orrori che colpiranno lo stato Romano nei decenni a venire, molti di loro giungeranno alle stesse conclusioni di storici di secoli dopo: la loro fine, il declino di Roma era davvero iniziato in quella infausta giornata in Tracia. Eppure negli anni immediatamente successivi le nostre fonti sono più ottimiste: Roma non è nuova a questi rovesci. Dice Ammiano: non sono state le armi romane sconfitte a Canne, in una battaglia ancora peggiore? Non hanno i Cimbri e Teutoni invaso perfino l’Italia? Non fecero altrettanto Quadi e Marcomanni sotto Marco Aurelio? Non furono già i romani sconfitti dai Goti ad Abritto? Eppure dopo ognuno di questi disastri, magari non subito, Roma è riuscita a riprendersi e a vendicarsi con i suoi nemici. Perché non ancora una volta con i Goti di Fritigern, Alatheus e Saphrax?
È impossibile sapere se l’opinione pubblica concordasse con Ammiano ma ho la ragionevole certezza che così fu: Roma esisteva da tanti secoli e innumerevoli vite di uomini, tanto che era diventato inconcepibile che sparisse. La cosa interessante è che credo che avessero ragione: con tutti i danni che Adrianopoli causò erano danni riassorbibili con il tempo e gli anni a venire proveranno che il riallineamento era già in corso prima che nuovi disastri intervenissero ad interrompere la ripresa.
La vera importanza di Adrianopoli
Se dunque Adrianopoli non è stata la causa della fine dell’impero o l’avvento dell’era della cavalleria, perché è importante? Paradossalmente lo è a mio avviso per ragioni completamente diverse dalle ovvie e che andremo ad analizzare nei prossimi episodi: ad esempio la morte dell’imperatore Ariano, talmente spettacolare, avrà un formidabile risvolto religioso.
Ancora più importante sarà l’impatto psicologico sui Romani, che per la prima volta dubiteranno di poter battere i Goti, portandoli a rivedere politiche e abitudini radicate nei secoli. Abritto, più di 100 anni prima, aveva inaugurato un periodo nero nella storia dell’impero che aveva rischiato di scomparire nel pattume della storia. Con uno sforzo sovrumano i Romani erano riusciti a riportare in auge l’edificio imperiale, più o meno intatto. Questa volta non saranno altrettanto abili o fortunati. La necessità ultima di trovare un accomodamento con i barbari porterà l’impero a cambiare in modo fondamentale la sua politica con i popoli immigrati, con conseguenze di lungo periodo. Tutto questo è però di là da venire ed inestricabilmente legato alla prossima grande figura di imperatore che dovremo trattare.
Perché Graziano, oramai a poche centinaia di chilometri dalla mattanza di Adrianopoli, capirà in breve tempo di non avere la forza e le qualità necessarie per gestire la crisi. Nell’ora più nera farà ricorso ad una spada accantonata che ora riposa in Spagna, rimuginando sull’uccisione di suo padre. Presto per il nostro soldato sarà il tempo di riprendere la spada e andare a combattere quella che tutti chiamano oramai la guerra Gotica. Teodosio il giovane, figlio del conte Teodosio, risponderà alla chiamata del suo imperatore e del destino.
Epilogo: addio ad un amico

L’avvento di Teodosio, l’imperatore sotto il quale Ammiano Marcellino scrisse la sua storia, ha l’effetto indiretto di far posare la penna al nostro storico. Scrivere del passato recente era già pericoloso, Ammiano andò vicino diverse volte a criticare in particolare la politica religiosa di Teodosio nei suoi scritti, ma scrivere dell’imperatore regnante richiedeva o la disonestà intellettuale di scrivere un panegirico senza obiettivi di rilevanza storica o istinti di natura suicida se si voleva criticare apertamente l’imperatore. Più prudentemente il nostro poggia la penna con fare malinconico, scrivendo “ho esposto questi avvenimenti nei limiti delle mie forze, come può farlo un vecchio soldato ed un greco che scriva in latino. Né ho mai osato di affermare coscientemente il falso, almeno così credo, tacendo o mentendo in un’opera che ha per fine la verità. Scrittori più abili e colti, e nel fiore degli anni, scrivano ciò che resta”.
Prima di salutare il nostro storico voglio dire alcune parole su di lui: Ammiano è stato per me una piacevolissima scoperta: la sua opera è un’opera fresca, di un testimone spesso oculare e attento, un uomo educato senza essere lezioso, un uomo attento e sensibile a quello che avveniva nel suo tempo. Un Siriaco di nascita, madrelingua greco e Romano nello spirito fino alla punta dei capelli: per rappresentare la sintesi operata da Roma di tutto il mediterraneo in una unica civiltà non c’è persona migliore di questa figura di soldato intellettuale pagano che non odiava i cristiani, un soldato che capiva di politica e di storia. Le sue storie non avranno la raffinatezza scientifica di un Tucidide o lo stile sublime di un Livio o il mordente di un Tacito, ma hanno una buona dose di tutto questo oltre che dello spirito di avventura e scoperta di un Erodoto. Per questo motivo sono a mio avviso la più bella opera storica in latino di tutta l’antichità. Non posso suggerire più caldamente la lettura. Mi mancherai, amico mio, ora che mi toccherà utilizzare storici di assai minor pregio per gli anni a venire. In questi mesi mi pare di aver imparato a conoscerti: grazie dal profondo del mio cuore per la finestra che hai aperto sul tuo mondo.
Un pensiero riguardo “Episodio 17, orrore ad Adrianopoli (378) – testo completo”