Episodio 18, la guerra gotica (378-382) – testo completo

Nello scorso episodio abbiamo assistito alla mattanza del Comitatus orientale ad Adrianopoli: i Goti, sfruttando appieno i vantaggi fornitigli dal fato, dall’avventatezza dei Romani e dalla hybris di Valente hanno inflitto ai Romani una sconfitta che non vedevano, in queste proporzioni, dai tempi di Canne. Sui campi di Adrianopoli i corpi sparsi dei migliori soldati dell’impero d’oriente, i loro generali e l’imperatore in persona fanno da cibo per i corvi. Nessun generale superstite ha agli ordini un esercito capace di fermarli. Ma qualcuno dovrà. E qualcuno proverà a farlo.

Il dilemma di Graziano

Unico busto (assai rovinato) dell’imperatore Graziano ad essere sopravissuto

Quando i Goti, il giorno dopo dell’immensa e credo anche da loro totalmente inaspettata vittoria, sorvegliarono il campo di battaglia non poterono credere ai loro occhi e a quello che avevano fatto. Vennero presto a sapere che l’intera immensa ricchezza che l’imperatore si era portato dietro giaceva a poca distanza, ad Adrianopoli, sorvegliata da un pugno di soldati e milizie cittadine.

In quello che sarà un trailer del film dei prossimi anni i Goti si impadronirono facilmente del territorio della città ma non riuscirono a prendere una grande città romana fortificata: non avevano semplicemente i mezzi, l’artiglieria e le capacità necessarie, neanche in una situazione in cui avevano uno schiacciante vantaggio numerico. Nei prossimi anni la stessa dinamica si svolgerà ovunque nei Balcani, con le città romane in grado di resistere alla marea Gotica ma i soldati di Roma incapaci di concentrarsi di nuovo sul terreno per una battaglia campale, l’unica cosa che avrebbe potuto vendicare Adrianopoli e porre fine alla guerra.

Lo spazio che questa guerra popolerà sarà inoltre uno spazio ampio, ma con dei limiti ben precisi: l’invitto esercito d’occidente riuscì a bloccare i passi balcanici che portavano verso l’Illirico e l’occidente, pur senza mai avere l’ardire di giocarsi ai dadi l’ultimo esercito da campo dei Romani in uno scontro con i Goti. L’imprendibile fortezza di Costantinopoli e il mare proteggeranno tutte le province orientali dagli invasori: l’Asia Minore, la Siria, l’Egitto non vedranno mai un Goto ribelle in faccia. Tutte le terre in mezzo tra questi due poli furono però sostanzialmente abbandonate alla mercé degli invasori, o almeno lo furono le loro campagne, mentre le città resistevano dietro le loro forti mura.

Il devastante passaggio dei Goti ha lasciato tracce archeologiche: gli archeologi hanno trovato che la maggior parte delle costruzioni agricole e ville di campagna romane dei Balcani furono saccheggiate e bruciate sul finire del quarto secolo e non furono mai più ricostruite. Gli abitanti dei Balcani avevano capito infatti che la vita idillica nella pacifica campagna romana era terminata: i proprietari terrieri e tutti quelli con oggetti di valore da proteggere si trasferirono dietro la protezione delle mura, un effetto questo di lungo periodo e che, si lo avete indovinato, anticipa l’evoluzione della vita civile nel medioevo.

Graziano ricevette la notizia del disastro mentre era in Illirico, a pochi giorni di marcia da Adrianopoli. Non abbiamo idea cosa pensò, o cosa pensarono i suoi generali, ma credo che non sia un volo pindarico immaginarsi il nostro adolescente imperatore lanciare un bel po’ di improperi coloriti: erano arrivati a pochi giorni di marcia da Valente, quell’inetto di suo zio aveva condannato sé stesso, l’impero e il regno del suo stesso nipote.

Penso che Graziano in cuor suo sapesse di non avere l’energia e le qualità per metter capo alla situazione in oriente: era più prudente restare nell’occidente, la parte dell’impero che aveva imparato a conoscere. Era altrettanto se non più assurdo pensare di governare l’impero da solo: era oramai chiaro che l’impero aveva bisogno di due imperatori anche nei periodi più calmi della sua storia. E questo non era certo un periodo calmo: si era nel bel mezzo della peggiore crisi per Roma dai tempi bui di Gallieno, durante la crisi del terzo secolo.

Graziano, Merobaude e gli altri generali decisero allora che era arrivato il momento di promuovere qualcuno. E qui inizia a mancarmi il nostro Ammiano, che ci avrebbe sicuramente donato dettagli e gossip su come fu scelto il successore di Valente. Ahimè, Zosimo e Orosio – le due fonti principali del periodo – non ci dicono quasi nulla a riguardo. L’unica cosa che sappiamo con certezza è che il 19 Gennaio del 379, ad alcuni mesi dalla battaglia di Adrianopoli, di fronte alle truppe schierate a Sirmio – la capitale militare dell’Illirico – fu incoronato e rivestito della porpora imperiale il capace figlio del conte Teodosio, Teodosio il giovane che da oggi chiameremo semplicemente l’imperatore Teodosio.

Nuovo sangue nella dinastia: Teodosio

Solidus di Teodosio I

Teodosio era nato in Spagna a Coca nel 347 e aveva quindi poco più di 30 anni alla sua elevazione al rango di Augusto. Non è chiaro dove si trovasse davvero prima di Adrianopoli, alcuni storici pensano che avesse già riacquisito nel 378 il ruolo di Dux della Moesia, una delle regioni dei Balcani Romani. Non sappiamo neanche davvero perché gli fu affidato un ruolo talmente delicato: forse perché si sperava avesse ereditato le capacità paterne o forse perché gestire la situazione in oriente pareva una missione suicida: non c’era infatti nei Balcani alcuna forza militare romana capace di affrontare i Goti sul campo di battaglia e in Siria c’era sempre il rischio di una invasione persiana. A Teodosio inoltre non furono dati particolari mezzi e risorse: l’unico supporto fu che gli fu affidato oltre l’oriente anche il comando dell’Illirico, ovvero la regione che corrisponde alla ex Iugoslavia e che era di solito associata alla corte di Milano, in quanto a guardia dei passi che conducono in Italia. La situazione dei Balcani richiedeva però un comando unificato delle forze in Illiria e in Tracia, in più l’esercito d’Illiria aveva il vantaggio di esistere, a differenza di quello di Tracia che faceva da cibo per carogne ad Adrianopoli.

Teodosio iniziò la seconda fase della guerra gotica nel 379 nella consapevolezza che ci sarebbe voluto un po’ per avere un vero esercito da opporre ai Goti: le città Romane dei Balcani furono lasciate a loro stesse ma – testimonianza sia dell’incapacità nelle tecniche di assedio dei Goti sia della forza delle mura romane – nessuna città fu conquistata. Certo le città romane passarono dei duri anni, spesso senza la possibilità di coltivare i campi e dipendendo dai rifornimenti intermittenti dello stato per sopravvivere. Ma le testimonianze archeologiche ci dicono che sopravvissero, a differenza dei centri isolati.

Questo perché i Goti, non riuscendo a conquistarsi una base, furono condannati loro stessi a vagare senza meta in tutti i Balcani, saccheggiando quello che potevano per sopravvivere. Si era ad una impasse: i Romani non potevano sconfiggere i Goti sul campo di battaglia e i Goti non avevano le capacità per conquistarsi un pezzo di impero da eleggere come nuova casa.

Teodosio, al fine di controllare meglio la situazione militare, stabilì la sua base a Thessalonika (Salonicco in italiano) in Macedonia. Da lì inizio a prendere delle dure decisioni per rimettere in sesto lo stato e l’esercito.

Reagire al disastro

I movimenti delle truppe gotiche prima della battaglia di Adrianopoli (mia mappa)

Adrianopoli era stato un disastro militare eppure a prima vista può sembrare tutto sommato una perdita limitata: se accettiamo la media delle stime degli storici ad Adrianopoli morirono circa 20.000 soldati, ovvero il 5% degli effettivi dei due imperi riuniti e una frazione infinitesimale della popolazione dell’impero che aveva ancora almeno 70 milioni di abitanti e probabilmente di più. Eppure i numeri nascondono le vere dimensioni del disastro: ad Adrianopoli non morirono soltanto dei soldati ma i migliori soldati dell’impero, eredi di una tradizione secolare. Con loro morirono i loro ufficiali, quelli che avrebbero avuto il compito di istruire le nuove reclute in un esercito, quello romano, che faceva del suo impeccabile training il principale differenziale con i barbari, assieme all’insuperabile equipaggiamento che era però caduto nelle mani dei Goti in quantità più che sufficiente a ricoprirli tutti di ottimo acciaio romano.

La priorità era quindi ricostituire il nerbo dell’esercito. Eppure Teodosio ebbe notevoli difficoltà nel reclutamento: i romani erano decine di milioni ma molto pochi di loro erano attratti dalla vita militare, fatta di privazioni e rischi molto superiori a quella dei civili. Fare il soldato era un mestiere terribile – d’altronde lo è perfino oggi – e Adrianopoli non era proprio una campagna pubblicitaria a favore del reclutamento. Da secoli i romani preferivano evitare la leva comprando il diritto di non militare nell’esercito con il pagamento in moneta sonante – oltre alle normali tasse – del costo del reclutamento di ausiliari e mercenari barbari. Lo stato aveva ovviamente il potere di coscrivere reclute ma questo potere era comunque teorico: le reclute sarebbero state comunque dei combattenti recalcitranti e di bassa qualità visto che i migliori e più forti tra i contadini erano sempre protetti e nascosti dai loro padroni.

In più c’era un problema politico: lo stato aveva bisogno purtroppo di tassare i suoi cittadini per le inevitabili, colossali spese di armamento, reclutamento e addestramento di un nuovo esercito. La necessità di moneta sonante era tanta che si ricorse alla odiosa politica di vendere le cariche più importanti dell’amministrazione: i compratori erano ben consci di potere recuperare le spese di acquisto attraverso la corruzione per far avanzare qualunque pratica. I civili, già irritati per le nuove tasse e per l’atteggiamento famelico dei nuovi amministratori avrebbero ricevuto la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso se fossero anche stati costretti ad una dura politica di coscrizione: Teodosio coscrisse ovviamente quanto ritenne possibile, ma cercò di andarci con mano leggera. Nonostante tutto questo ribellioni e diserzioni di massa scoppiarono lo stesso.

Fossero stati poi questi coscritti dei buoni soldati! Le nuove reclute avrebbero avuto bisogno di anni di addestramento per giungere al livello delle truppe comitatensi che erano state annientate ad Adrianopoli. Era ovvio che occorrevano altre soluzioni, più rapide e meno problematiche

Come prima cosa Teodosio richiamò in servizio i veterani, cosa che era nel suo diritto di fare. Neanche questo poteva però bastare e quindi Teodosio fece ricorso all’unica altra fonte di reclutamento possibile: reclutò tra i barbari, spesso tra gli stessi Goti che erano rimasti a nord del Danubio. Teodosio fece un ottimo colpo da subito, reclutando uno dei più nobili tra i Goti che si chiamava Modares. Questi era un membro della famiglia dei Balthi, la stessa a cui apparteneva anche Athanaric, il vecchio giudice dei Goti che lottava per sopravvivere nei monti Carpazi. Athanaric e Modares erano della fazione dei Tervingi che più era stata opposta ai Romani, mentre Fritigern era il membro della fazione filoromana. Nel mondo capovolto del dopo Adrianopoli il nemico mortale era ora Fritigern e Modares decise che era arrivato il tempo di vendicarsi di colui che aveva sottratto alla sua famiglia il dominio sui Tervingi. Modares, al comando di truppe romane e gotiche, vinse uno scontro minore contro Fritigern e persino una piccola vittoria come questa fu massicciamente lodata dai propagandisti imperiali: Teodosio aveva bisogno di vittorie e doveva essere visto dall’opinione pubblica come un imperatore in grado di controllare la crisi gotica.

I Goti che erano entrati al servizio di Roma – pur nemici giurati di Fritigern – non potevano considerarsi del tutto affidabili, così Teodosio decise di scambiare le truppe tra l’Egitto e i Balcani, inviando nel lontano paese del Nilo i Goti e portando la guarnigione romana d’Egitto nei Balcani. In una rappresentazione esemplare del clima teso tra romani e Goti quando queste truppe si incrociarono in Asia Minore, Goti e Romani vennero alle mani e si combatté una assurda battaglia tra truppe alleate.

Per tutto il 379 Teodosio, dalla sua base a Thessalonika, continuò ad assemblare e addestrare il suo esercito. Ebbe il buonsenso di non testare le sue truppe di dilettanti contro i ben armati veterani Goti che ebbero quindi mano libera nei Balcani. Questi erano sì liberi di vagabondare nelle terre dei Romani ma non riuscivano a trovare una terra dove stabilirsi ed erano troppi per potersi fermare in un solo luogo. Non sappiamo cosa accadde di preciso – e qui inizia davvero a mancarmi il nostro Ammiano Marcellino – ma è chiaro che nel 380 i Goti si divisero, o per litigi nella leadership o appunto per l’impossibilità di rifornirsi in modo efficace se riuniti in una unica schiera. I Tervingi si diressero verso sud: verso la Macedonia e la Tessaglia mentre i Greutungi virarono verso nord, ovvero in direzione dell’Illirico e dell’impero d’occidente.

I Tervingi mi pare che fecero la scelta più oculata: il Comitatus d’occidente era infatti invitto e ancora capace di mordere. Di nuovo, non abbiamo informazioni veramente chiare ma sembra evidente che i Greutungi furono sconfitti almeno tatticamente, anche se non al punto di annichilire la tribù: Alatheus e Saphrax scompaiono dalla nostra storia e sembra che i Greutungi, che tanto male avevano fatto alle armi romane ad Adrianopoli, furono installati in Pannonia in qualità di foederati: più avanti vedremo a riguardo dei Tervingi cosa volesse dire questo status, visto che abbiamo un po’ più di informazioni sull’accordo tra Romani e Tervingi ed è facile assumere che il trattato con loro fosse simile a quello raggiunto con i Greutungi nel 380.  

I Tervingi vincono ancora

I balcani romani nel sesto secolo, ma le infrastrutture viarie, le città e le provincie sono molto simili al quarto secolo

Quanto ai Tervingi di Fritigern questi affrontarono in qualche luogo in Macedonia il nuovo esercito di Teodosio, forse ottimista di poter affrontare almeno i Tervingi da soli. L’esercito di Teodosio era formato in gran parte di connazionali gotici e di reclute riottose o quantomeno inesperte, inquadrate in unità senza la storia, la tradizione e gli ufficiali esperti del vecchio Comitatus di Adrianopoli: il risultato fu quello che ci si potrebbe aspettare in casi del genere. L’esercito di Teodosio fu respinto dai Goti anche se Teodosio evitò al suo esercito il destino di quello di Valente: al primo segnale di cedimento riuscì ad estrarre una parvenza di esercito dal campo di battaglia.

A questo punto i Goti ebbero di nuovo mano libera per saccheggiare e poi taglieggiare le città della Macedonia: in cambio di una buona somma di denaro sonante offrivano la loro protezione, Vito Corleone style. Fu allora che l’Impero Romano d’Occidente finalmente offrì un po’ d’aiuto a Teodosio: terminata l’invasione gotica della Pannonia Graziano incontrò Teodosio a Sirmio e diede l’assenso ad inviare i suoi generali Flavio Bauto e Arbogast: ricordatevi di quest’ultimo, sarà importante. Nel 381 I due generali, con le loro truppe, riuscirono a scacciare i Goti dalla Macedonia e riportarli in Tracia, nella morsa tra esercito di occidente e d’oriente, entrambi comunque decisi a non rischiare di nuovo una battaglia campale: i Goti furono tormentati da azioni di guerriglia in modo da rendergli la vita impossibile e spingerli ad arrendersi, cosa che comunque testardamente rifiutarono di fare. Teodosio nel frattempo decise di celebrare la “aperte virgolette” vittoria “chiuse virgolette” con un ingresso trionfale a Costantinopoli, città nella quale non aveva ancora messo piede: la macchina della propaganda imperiale funzionava a pieni giri e riuscì per un po’ a far credere che Teodosio avesse ottenuto un grande successo.

Perdere le battaglie, vincere la guerra

Obelisco di Teodosio, base. L’obelisco si trovava al centro dell’ippodromo di Costantinopoli e qui vediamo Teodosio pronto ad incoronare il vincitore. La base è ancora al suo posto originale, ad Istambul.

La vittoria non arrivava sul campo di battaglia ma Teodosio iniziò a vincere la guerra su un altro piano: quello politico. Nel 381 arrivò a Costantinopoli un ospite inatteso: Athanaric aveva finalmente rotto la sua promessa di non mettere mai piede in territorio romano, probabilmente stanco di vagare nelle terre inospitali del nord sempre in fuga dagli Unni. Si era presentato esausto con un piccolo seguito al confine danubiano e aveva chiesto l’ingresso nell’impero. Un politico meno accorto avrebbe impedito l’immigrazione di questo illustre nemico di Roma ma Teodosio era un politico accorto: voleva inviare un messaggio ai Goti Tervingi e fargli capire che c’era ancora un posto nell’impero per loro, se solo avessero deposto le armi. Athanaric fu accolto da Teodosio in persona all’ingresso della capitale imperiale e fatto sfilare per le vie della città con tutta la pompa di cui era capace Costantinopoli: le cerimonie di Bisanzio saranno per secoli ancora una delle sue principali attrattive diplomatiche, neanche il più scafato e cinico degli ambasciatori nemici riuscirà a resistere all’attrattiva di un ingresso trionfale a Nuova Roma. Athanaric fu trattato come un grande Re degno della dignità imperiale.

Athanaric, poche settimane dopo il suo regale arrivo a Costantinopoli, morì. Con lui sembrò anche morire un’epoca e Teodosio di nuovo utilizzò l’occasione per mandare un messaggio politico: il vecchio giudice dei Goti ricevette un funerale con un rito simile a quello degli imperatori Romani, qualcosa di impensabile prima di Adrianopoli. Il messaggio fu recepito dai Goti che volevano ascoltare: Teodosio era pronto a trattare ed era uno che rispettava anche i vecchi nemici. I capi dei Goti intavolarono trattative di pace: intorno a questo tempo scompare dalla nostra storia, per non riapparire mai più, il nostro terribile Fritigern. Non sappiamo cosa gli avvenne ma di nuovo non è un volo pindarico pensare che la testa del grande vincitore di Adrianopoli fu uno dei prerequisiti di Teodosio per trattare.

Una pace rivoluzionaria

Finalmente, il 3 Ottobre del 382 dopo cristo, fu firmato il trattato di pace e l’accordo di Foedus tra i Goti Tervingi e l’Impero, probabilmente il più importante trattato mai firmato dall’Impero. Con esso si apre una nuova pagina della storia imperiale e forse di tutto l’occidente. Ahimè non conosciamo tutte le clausole del trattato ma possiamo delinearne a grandi linee le caratteristiche: i Goti divenivano soggetti dell’impero ma rimanevano barbari e pertanto non avevano la cittadinanza Romana. Ai Goti venivano assegnate tra i Balcani e il Danubio terre da coltivare e con le quali sostentarsi: in proprietà, non come gli altri barbari che l’avevano ricevuta come coloni sotto il giogo di un padrone romano. Non solo, si trattava di terre da questo momento in poi esenti da tasse: una delle differenze fondamentali tra Romani e Barbari era proprio che quest’ultimi non conoscevano il concetto di tassazione e di economia monetaria, questa caratteristica della loro civiltà sarebbe quindi stata mantenuta su territorio romano. I goti, nelle loro nuove terre, rimanevano autonomi anche se sottoposti alla almeno teorica sovranità dello stato romano: non riuscivano quindi a raggiungere il loro obiettivo ultimo, quello di crearsi un nuovo stato tutto loro. In più i Goti si impegnavano a fornire reclute allo stato romano sia in forma individuale, su base volontaria, sia in quanto nazione foederata: in quest’ultimo caso la militanza dei Goti nell’esercito Romano andava contrattata ad hoc con la leadership gotica. L’esercito dei Goti sarebbe andato in guerra comandato dai suoi capi anche se sottoposto all’autorità ultima dei Magister Militum dell’impero, grado dal quale i Goti erano esclusi. Questa presto sembrò una ingiustizia all’occhio dei più ambiziosi tra i Goti che vedevano Franchi, Burgundi e Vandali raggiungere questo grado senza che loro potessero mai ambirvi: vedremo che sarà un punto molto controverso nei decenni a seguire. Quel che è peggio, almeno per il futuro, è che i Goti mantennero la libertà di negoziare con lo stato romano in quanto esercito unito: nei prossimi anni utilizzeranno la loro forza a volte a favore a volte contro lo stato romano e sempre, ovviamente, nei loro interessi. 

Con questo accordo di foedus l’antica politica imperiale di divide et impera e di romanizzazione dei barbari, due politiche vecchie quanto Roma, venivano buttate via di fronte alla Realpolitik di Teodosio: i Goti si erano conquistati con le armi la loro indipendenza. Inoltre credo che l’Impero percepisse già che c’erano altri nemici giusto dietro l’orizzonte, nemici così terribili da aver scacciato entrambe le coalizioni Gotiche e impresso un terrore sacro nei loro occhi. I Tervingi erano i più romanizzati di tutti i popoli barbari: combattevano oramai come Romani, molti erano cristiani anche se di rito Ariano, tanti parlavano latino: erano dei barbari troppo utili per farne a meno. L’Impero Romano non poteva più permettersi di trattarli con sufficienza e aspettare il momento opportuno per distruggerli, occorreva venirci a patti. L’imperatore non poteva più trattarli con l’augusta alterigia di un Valentiniano I, che chiedeva che i barbari si prostrassero umilmente di fronte a lui ed era capace di fare una sfuriata se solo percepiva una mancanza di rispetto.

Vendere la “vittoria”

Statua di uomo del tardo quarto secolo

Il nostro propagandista capo dell’Impero al servizio di una mezza dozzina di imperatori, l’indefaticabile Temistio, si diede da fare per vendere al pubblico dei senatori Romani questo accordo senza precedenti con un popolo barbarico. Lo fece nel 383 con una delle sue orazioni propagandistiche più riuscite: “Supponiamo che distruggere i Goti fosse una questione facile e che possedessimo i mezzi per realizzarla senza subire conseguenze, sebbene dalle esperienze passate questa non fosse né una conclusione certa né probabile. Tuttavia supponiamo che questa soluzione fosse in nostro potere. Era forse meglio riempire la Tracia di cadaveri oppure di contadini? Cospargerla di tombe o di uomini viventi? Meglio attraversare un deserto o una terra coltivata? Sento dire da quanti sono tornati di là che i Goti stanno riforgiando il metallo delle loro spade e corazze per farne zappe e roncole”. Si sente tutto lo sforzo che mette Temistio nel convincere il suo pubblico di possidenti romani che questa fosse davvero l’unica strada percorribile. Ovviamente passa poi ad esaltare l’artefice del nuovo corso, Teodosio: non avrà questi vinto la guerra con le armi ma lo ha fatto con la sua intelligenza “Tutto l’ingegno militare dei romani è risultato inutile: solo il tuo consiglio e il tuo giudizio ci hanno fatto prevalere e la vittoria che hai vinto attraverso queste tue risorse interiori è stata più bella di quanto sarebbe stata se tu avessi prevalso con le armi. Perché non hai distrutto quelli che ci hanno fatto torto, ma li abbiamo portati dalla nostra parte. Non li hai puniti prendendo la loro terra, ma acquisendo più agricoltori per noi. Non li hai massacrati come bestie feroci, ma hai ammaestrato la loro ferocia come se qualcuno, dopo aver intrappolato un leone o un leopardo nelle reti, non lo uccidesse, ma lo trasformasse in un animale da soma. Questi terribili arsonisti, più duri con i romani di quanto lo fosse stato Annibale, sono ora venuti dalla nostra parte. Addomesticati e sottomessi, affidano a noi le loro persone e le loro armi, sia che l’imperatore voglia assumerli come agricoltori che come soldati”.

Temistio esagerava, d’altronde era il suo ruolo. Eppure c’era un po’ di verità in quello che diceva: se Goti e Romani avessero trovato un modo di vivere assieme e poi di diventare con il tempo e le generazioni uno stesso popolo non c’è dubbio che questo sarebbe stato un vantaggio per lo stato romano che dopo aver affidato la sua difesa a generazioni di illirici aveva decisamente bisogno di forze fresche sul campo militare. In parte ciò avvenne: molti Goti si arruolarono spontaneamente nell’esercito imperiale, da ausiliari e poi cittadini romani, e servirono con distinzione e fedeltà. I Tervingi della Moesia e i Greutungi della Pannonia fornirono un cuscinetto militare importante negli anni a venire.

Il fallimento di un’integrazione

Eppure sappiamo che in definitiva, come vedremo, questa integrazione fallì. Cercare di capire perché è una delle questioni più importanti che affronteremo in questo podcast nelle prossime settimane. Non è il tempo di svelare tutte le carte ma si può dire che il fallimento dell’integrazione era forse già scritto nell’accordo raggiunto nel 382. È infatti in questo accordo e nelle sue conseguenze che abbiamo il primo, vero effetto dirompente di Adrianopoli, ben al di là della sua importanza militare: perché cambia completamente il modo di approcciarsi di Roma a questi barbari, i barbari che da oggi in avanti vivranno dentro l’impero costruendosi una unità politica che non si scioglierà mai nel milieu e nel melting pot imperiale. I Goti manterranno la loro identità nell’impero come una goccia d’olio nell’acqua, una nazione nella nazione, sempre altra e sempre riconoscibile.

Questo spettacolare e inedito fallimento del melting pot imperiale sarà dovuto a mio avviso a due fattori: innanzitutto i Goti – a differenza di qualunque altro popolo barbaro accolto nell’impero – non erano dei supplicanti o dei barbari sconfitti: avevano battuto i Romani e mantennero quindi un certo livello di certezza e sicurezza nei propri mezzi, non si sentirono in sostanza mai inferiori ai Romani come gli immigrati di altri tempi.

Eppure credo che il fattore principale della mancata integrazione fu un nuovo fenomeno per la società romana che si svilupperà nei prossimi anni: la xenofobia. Ora a Roma c’era sempre stato un livello endemico di razzismo verso gli stranieri ma fintantoché i Romani si percepivano come superiori, anzi decisamente superiori ai barbari, era facile accettarli nell’impero nella certezza che prima o poi anche loro sarebbero diventati Romani, come lo erano diventati gli italici, i galli, gli spagnoli, i greci e perfino i siriani, gli illirici e gli egiziani. Perché essere Romani era la quintessenza della civiltà e il pinnacolo dello sviluppo umano.

Con i Goti però sarà diverso: nonostante tutti i voli pindarici di Temistio i Romani capirono presto che erano stati sconfitti e che i Goti presenti in misura sempre più massiccia nell’impero non erano supplicanti ospiti a cui l’Augusto Imperatore aveva concesso di vivere tra loro ma un popolo che si era conquistato con le armi il diritto di vivere nell’impero. Se i Romani avessero voluto cambiare le carte in tavola e riportarli sotto controllo avrebbero senza dubbio dovuto combattere contro questo elemento esogeno accolto nell’impero. In definitiva i Goti non si comportavano come aspiranti romani ma, agli occhi dei più paranoici o forse più chiaroveggenti tra i Romani, come i loro potenziali futuri padroni. Il risentimento contro questi barbari non assoggettati alle leggi dell’impero crebbe negli anni ed ebbe conseguenze catastrofiche. La xenofobia fu spesso nutrita anche dalla mala pianta dell’intolleranza religiosa: i Goti “imperiali” abbandonarono in fretta i loro idoli pagani ma abbracciarono la fede ariana del loro evangelizzatore Ulfila in diretta e inevitabile contrapposizione, seppur tollerata, con il cattolicissimo Teodosio.

Prossimante: il nuovo vescovo di Milano

Teodosio infatti era un fervente credente della dottrina trinitaria nicena e dall’inizio del suo regno impose la sua politica anche su quest’aspetto fondamentale della vita del tardo Impero Romano. Teodosio sarà a capo della riscossa nicena contro il secolo degli Ariani. Come il suo accordo del 382 permise ad una nazione altra di creare uno stato nello stato la sua politica religiosa rinforzò la differenza tra romani e barbari. In questo sarà aiutato in occidente dalla figura più carismatica degli ultimi decenni del quarto secolo, una figura tra il politico e il religioso. Eh sì, gli abitanti della capitale imperiale hanno da qualche anno eletto un nuovo vescovo, e che vescovo. Nel prossimo episodio andremo a Milano a fare conoscenza con l’uomo che darà alla chiesa una nuova autorità e una nuova missione.

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