Salute e Salve! Benvenuti alla storia d’Italia.
Nel precedente episodio abbiamo visto come Costanzo II abbia spietatamente ridotto l’immenso albero genealogico della dinastia Costantiniana a due maschi: lui stesso e suo cugino. Oggi torneremo un po’ indietro e cercheremo di conoscere meglio questo cugino, un certo Giuliano, destinato a diventare Cesare e Augusto. È una figura di imperatore davvero originale e fuori dagli schemi. Vedremo poi cosa farà della missione impossibile affidatagli da Costanzo II: rimettere ordine nelle Gallie dove i Germani hanno travolto le difese della frontiera renana e sono dilagati per le pianure, distruggendo avamposti e mettendo una delle principali regioni dell’impero a ferro e fuoco
Flavio Claudio Giuliano era nato a Costantinopoli il 6 Novembre del 331 dopo cristo. Suo padre si chiamava Giulio Costanzo ed era il figlio di seconde nozze di Costanzo Cloro, il padre di Costantino. Giulio Costanzo sposò una donna molto colta di nome Basilina. Le nozze furono benedette dal vescovo Eusebio di Cesarea, ricordate il vescovo capo del partito ariano che finì per battezzare Costantino? Dalla loro unione nacque nel 331 dopo cristo Flavio Claudio Giuliano: era stato chiamato Giuliano come il nonno materno, Flavio come tutti i membri della famiglia di Costantino, e Claudio come il preteso fondatore della dinastia costantiniana, Claudio II il Gotico.
Giuliano, come lo conoscerà la storia, aveva quindi sono 6 anni quando morì Costantino e grazie alla sua tenera età la sua vita fu risparmiata dallo spietato cugino Costanzo II che fece però giustiziare il padre, il fratellastro maggiore, uno zio e sei cugini di Giuliano. Da adulto Giuliano rintraccerà nella sete di potere di Costantino l’origine di tutti i mali dei suoi discendenti, dirà di Costantino: «ignorante com’era credeva che bastasse avere un gran numero di figli per conservare la sostanza, non preoccupandosi di fare in modo che i figli fossero educati da persone sagge così che finirono per desiderare di possedere tutto da soli a danno degli altri». Non credo occorra aggiungere una parola.
Costanzo II allontanò dalla corte i cugini superstiti: Giuliano, privato dei beni paterni, fu trasferito con il fratellastro Gallo a Nicomedia, nei cui dintorni la nonna materna possedeva una villa dove il bambino trascorreva le estati, scrive Giuliano «in quella profonda calma ci si poteva sdraiare e leggere un libro e di tanto in tanto riposare gli occhi. Quando ero un bambino, quella casa mi sembrava il luogo di villeggiatura più bello del mondo». Fu uno dei periodi più felici della sua esistenza. Fu affidato per poco tempo alle cure del vescovo Eusebio di Cesarea (sempre lui), che però nell’autunno del 337 fu promosso alla cattedra di Costantinopoli dall’ariano Costanzo II, che voleva un vescovo ariano a guidare il gregge della sua capitale. Successivamente la sua formazione fu affidata all’eunuco Mardonio, già precettore della madre: Mardonio era di origine Gotica ma perfettamente integrato nella società romana. Mardonio provava per la cultura greca un’autentica venerazione: da lui Giuliano apprese la letteratura classica e soprattutto Omero, quest’ultimo in particolare gli aprì la fantasia sul mondo favoloso dell’epica. Giuliano stesso ricorderà quegli anni di apprendistato: «il mio maestro elaborava e quasi scolpiva nel mio animo ciò che allora non era affatto di mio gusto ma che, a forza d’insistere, finì per farmi parer gradito. mi ammoniva dicendomi: – Non lasciarti trascinare dai tuoi coetanei che frequentano i teatri e si appassionano per gli spettacoli. Ami le corse dei cavalli? Ce n’è una bellissima in Omero. Prendi il libro e leggi. Ti parlano di mimi e danzatori? Lascia dire. Danzano assai meglio i giovinetti Feaci. E leggere, in Omero, certe descrizioni di alberi è più piacevole che vederli dal vero».
Nel 341, morto Costantino II, Costanzo decise di non prendere rischi con i suoi parenti e inviò Gallo e Giuliano in esilio forzato in Cappadocia, nella tenuta imperiale di Macellum. Giuliano fu mantenuto per sei anni in un lussuoso ma opprimente isolamento. Dice Giuliano: «che cosa dovrei dire dei sei anni passati in quella casa altrui, senza che nessun estraneo si avvicinasse, né fosse concesso a nessuno degli antichi conoscenti di farci visita? Vivevamo esclusi da ogni serio insegnamento, da ogni libera conversazione».
Giuliano era escluso da ogni serio insegnamento e costretto a un qualche non-serio insegnamento: si trattava probabilmente dello studio della bibbia e degli autori cristiani, una materia che Giuliano apprese senza problemi ma anche senza alcuna passione: a confronto della sapienza degli antichi gli sembrava ben poca cosa. Poco dopo Costanzo richiamo i fratelli nella capitale e a Costantinopoli Giuliano iniziò gli studi superiori sotto il grammatico pagano Nicocle di Sparta, uno degli uomini più colti dell’epoca.
Giuliano a vent’anni era oramai diventato un uomo: dal carattere introverso e timido, senza l’altezzosità tipica di un membro della casa imperiale. Giuliano era uno studioso colto e raffinato e un vero appassionato di filosofia, mitologia e cultura degli antichi. Insomma, era un vero Nerd. Presto però avrebbe fatto perfino di peggio: fu infatti in questo periodo che probabilmente avvenne la svolta religiosa di Giuliano che decise di abbandonare la religione che aveva caratterizzato la storia della sua famiglia e di riabbracciare i culti antichi.
Come scrive Libanio, un grande intellettuale pagano, Giuliano «sentì parlare degli dei e dei demoni, degli esseri che, in verità, hanno creato questo universo e lo mantengono in vita, apprese che cos’è l’anima, da dove viene, dove va, ciò che la fa cadere e ciò che la risolleva, ciò che la deprime e ciò che la esalta. Allora egli respinse le sciocchezze alle quali aveva creduto fino ad allora per insediare nel suo animo lo splendore della verità» Giuliano arriverà ad essere iniziato ai misteri di Mitra e di Sol Invictus, ricordate la religione monoteistica solare di Diocleziano? Con l’iniziazione ai misteri del Sole invitto, egli realizzò un’aspirazione cui tendeva fin da bambino, scrive Giuliano: «fin da fanciullo fu insito in me un immenso amore per i raggi del dio, e alla luce eterea indirizzavo il pensiero tanto che, non stanco di guardare sempre al Sole, se uscivo di notte con un cielo puro e senza nubi, subito, dimentico di tutto, mi volgevo alle bellezze celesti».
Ho usato il più possibile le parole di Giuliano e di altri intellettuali pagani per cercare di aprire una finestra su come percepiva la spiritualità questa fazione perdente della sfida tra religioni dell’Impero Romano. Il politeismo di Giuliano e Libanio era stato influenzato fortemente dal monoteismo e della filosofia neoplatonica, ma ciò nonostante suona penso ancora alle vostre orecchie come alieno. Cercheremo di capirlo meglio nel prosieguo della nostra storia.
Come abbiamo narrato nel frattempo il fratello di Giuliano, Gallo, fu nominato Cesare da Costanzo. La grande storia iniziava ad avvicinarsi a Giuliano: un conto era essere il distante cugino di un imperatore, tutt’altra cosa essere il fratello di un altro. Gallo, in viaggio per Antiochia con la sua amorevole moglie Costantina, si fermò a Nicomedia, dove viveva Giuliano, ed ebbe il sospetto che qualcosa non tornasse nelle convinzioni religiose del fratello: per capirne di più lo mise sotto sorveglianza di un fine teologo ariano. Giuliano in tutto questo periodo fece di tutto per nascondere le sue vere convinzioni ma il nostro teologo probabilmente comprese dove batteva veramente il cuore del giovane principe ma non tradì mai Giuliano.
Ma al di là di ogni precauzione, Giuliano in quel periodo aveva costituito un gruppo di amici con idee similari, tutti nemici dei nazareni, come Giuliano chiamava con disprezzo i cristiani. Nelle riunioni di questo piccolo gruppo non si mancava di progettare un futuro diverso se e quando Giuliano fosse diventato augusto. Scrive ancora Libanio: «lui ambiva a dare ai popoli la loro prospettiva perduta e soprattutto il culto degli dei. Ciò che più commuoveva il suo cuore erano i templi rovinati, le cerimonie proibite, gli altari rovesciati, i sacrifici soppressi, i sacerdoti esiliati, le ricchezze dei santuari distribuite a persone miserabili».
Ma questo stato di cose non era destinato a continuare: il fratello Gallo andò incontro al suo destino e Giuliano fu convocato a Milano dal sua amato cugino. Cugino che aveva sterminato la sua famiglia anni prima e ora aveva condannato a morte suo fratello. Si può immaginare con quale animo intraprese il viaggio ma nonostante tutto non si fece mancare l’opportunità di fare il turista e visitò Troia. Lì Pegasio, un vescovo che si definiva cristiano ma che segretamente «adorava il Sole», accompagnò Giuliano a visitare il tempio di Atena e la presunta tomba di Achille.
Dall’Anatolia Giuliano s’imbarcò per l’Italia: giunto a Milano, fu incarcerato e, senza poter ottenere udienza dall’imperatore, gli furono rivolte le accuse di aver tramato con Gallo ai danni di Costanzo. Le accuse erano ovviamente prive di fondamento ma molti altri avevano pagato con la vita l’esser sottoposti alle attenzioni del paranoico Costanzo. Per fortuna per Giuliano l’importante retore Temistio e l’imperatrice Eusebia evitarono il peggio. Eusebia, la moglie di Costanzo, era una donna molto colta e favorì sempre Giuliano: dopo sei mesi di prigionia fu imposto a Giuliano l’esilio, un destino certamente migliore di quello del fratello. L’esilio era poi da ritenersi dorato, visto che fu imposto a Giuliano di risiedere ad Atene, dove giunse nell’estate del 355. Giuliano non avrebbe potuto desiderare prigione migliore dell’Atene patria della filosofia, dell’arte e della cultura. In Atene fu persino introdotto ai misteri eleusini, l’antichissimo e segretissimo culto misterico dell’Attica. Giuliano sarà l’ultimo imperatore romano iniziato al più prestigioso dei culti misterici.
Giuliano si era appena sistemato che già nell’autunno di quel 355 gli giunse inaspettato l’ordine di presentarsi ancora a Milano. Mi immagino il turbamento di Giuliano: aveva evitato per un pelo la morte e ora sembrava che il suo sospettoso cugino avesse cambiato di nuovo idea. Una volta giunto a Milano, Giuliano fu fatto aspettare alle porte della città, quasi che la corte stesse decidendo in quei giorni del suo destino. In una notte passata nell’angosciosa incertezza di una sorte che probabilmente temeva segnata, si appellò agli dèi e si affidò ad essi, confidando nella loro protezione. Dai suoi stessi scritti sappiamo che Giuliano attribuì a questo suo abbandono alla volontà divina la decisione che la corte di Costanzo prese nei suoi riguardi.
All’alba del nuovo giorno Giuliano non fu infatti giustiziato dal suo terribile cugino ma fu portato di fronte alle truppe schierate. È uno dei passaggi più belli delle storie di Ammiano Marcellino, il colto militare romano dalla fede politeistica che tanto ammirava Giuliano. Scrive Ammiano: “l’augusto Costanzo, salito su una tribuna eretta su un rialzo di terreno abbastanza elevato e circondata dalle insegne militari e dalle aquile, prese giuliano con la destra e tenne questo discorso “I barbari hanno violato la pace alle frontiere e fanno scorrerie per le Gallie, convinti che noi siamo trattenuti da gravi difficoltà in regioni distanti l’una dall’altra” “per portare a compimento i miei propositi, anche con il vostro consenso desidero elevare alla carica di Cesare Giuliano, mio cugino paterno che è qui presente.” Al che Ammiano sostiene che l’adunanza dei soldati interruppe il discorso, dimostrando con forza l’approvazione delle truppe, passaggio necessario per l’elevazione di ogni imperatore. Al che Costanzo lo rivestì della porpora, il colore del manto imperiale. Al che Costanzo disse “Sii dunque Giuliano partecipe delle mie fatiche e dei miei pericoli e assumi l’incarico di difendere le Gallie per aiutare quelle regioni duramente provate. Và dunque! Affrettati! sarai accompagnato dagli augùri di tutti a difendere con vigile cura il posto di combattimento come se lo stato in persona te l’avesse assegnato”.
Ora, i discorsi riportati dagli storici antichi, lo sappiamo, sono inventati di sana pianta. Ma in questo caso non credo si discostino molto da quanto in realtà avvenne: Era il 6 novembre del 355 e anche il compleanno di Giuliano. Scrive ancora Ammiano Marcellino: «Una giusta ammirazione accolse il giovane Cesare, raggiante di splendore nella porpora imperiale. Non si cessava di contemplare quegli occhi terribili / e affascinanti al tempo stesso e quella fisionomia alla quale l’emozione dava grazia». Giuliano dopo la cerimonia prese posto sul carro di Costanzo per tornare a palazzo. Ammiano sostiene che, ricordando quanto successo al fratello Gallo, mormorò un verso di Omero: «Preda della morte purpurea e del destino inflessibile». Essere imperatore era sì un grande onore ma anche un onere terrificante.
Il nostro timido, sensibile, intelligente nerd dell’antichità era diventato dunque Cesare dell’Impero Romano. Di fronte a lui si prospettava un impegno gravoso: riportare l’ordine sulla frontiera Renana mentre il cugino Costanzo II volgeva la sua attenzione verso l’oriente. Giuliano Non poté trastullarsi e lasciò Milano già il 1° Dicembre, penso con l’obiettivo di andarsene prima che Costanzo cambiasse idea.
Giuliano, dalle pagine di Ammiano Marcellino, mi dà l’impressione di un giovane fortemente impressionato dalla enorme responsabilità affidatagli, un giovane che certamente non era nato né per fare il politico né per fare il comandante di un vasto esercito da campo. Ma Giuliano era anche testardo e con uno stoico senso del dovere. L’esempio migliore di una vita onesta e perfetta era per lui Marco Aurelio, l’imperatore stoico che nelle sue memorie dimostra più volte di non amare il mestiere d’imperatore ma di avere una titanica e incrollabile determinazione a farlo al meglio delle sue forze. Giuliano decise che lui non sarebbe stato da meno.
Dopo un breve viaggio arrivò a Vienne, città vicino Lione, tra il giubilo della popolazione locale, probabilmente felice di vedere finalmente una porpora imperiale in Gallia. Lì passò l’inverno, in attesa di poter fare qualcosa / e passando il tempo a studiare manuali militari e a esercitarsi a fare il soldato. Alla fine dell’inverno era un soldato passabile ed era arrivato al punto di non farsi ammazzare subito in caso di un improbabile corpo a corpo. Credo che smaniasse di prendere l’iniziativa ma va detto che i suoi poteri erano comunque limitati, visto che l’esercito da campo della Gallia restava sotto gli ordini del Magister Equitum della Gallia, un carneade. Costanzo aveva dato del potere al cugino, ma fino ad un certo punto. Credo vivesse con il motto “fidarsi è bene, non fidarsi è molto meglio”
Mentre era a Vienne Giuliano ricevette la terribile notizia che Colonia, la principale base militare del nord della Germania, era caduta nelle mani dei Franchi. La situazione peggiorava e in primavera Giuliano lasciò Vienne e attraversò velocemente la Gallia con un piccolo seguito in una pericolosa marcia a tappe forzate. Evitando le bande di barbari che razziavano le campagne Giuliano si ricongiunse con l’esercito delle Gallie acquartierato a Reims, nello Champagne. Da notare come l’esercito avesse abbandonato praticamente del tutto la frontiera renana ritirandosi nel cuore della Gallia e come ci fossero razziatori Alemanni e Franchi a centinaia di chilometri dal reno: la situazione era cupa, anche se come al solito le grandi città romane, dotate di cinte murarie imponenti e di macchine da assedio, erano in genere ben posizionate per resistere alle procelle.
Giuliano non aderì al copione previsto dagli alti papaveri dell’esercito: immagino che il Magister Equitum pensasse che Giuliano sarebbe stato solo il comandante di facciata dell’esercito mentre la guerra vera veniva condotta dai professionisti, cioè da lui. No, Giuliano prese immediatamente il comando dell’esercito e decise che occorreva rompere l’alleanza tra Franchi e Alemanni. Elesse di concentrarsi come prima cosa sui Franchi, che avevano conquistato Colonia e il Belgio. Riuscì nel suo intento e riprese Colonia e stipulò una pace con i franchi, dividendo in due gli invasori in modo da dedicare tutti gli sforzi contro i ben più temibili Alemanni, che vivevano nella Germania sudoccidentale, in quello che oggi è il laender del Baden-Württemberg. Per l’inverno, Giuliano decise di svernare a Sens, una città dell’interno della Gallia. Gli Alemanni non avevano però nessuna intenzione di lasciarlo tranquillo e lo assalirono lungo il tragitto, fu sconfitto e posto sotto assedio da parte di un forte esercito. Le mura e le difese tennero per un lungo mese di assedio, ma questo fu certamente il momento più buio per Giuliano in Gallia: va detto che il nostro carneade capo dell’esercito delle Gallie non alzò un dito per aiutare Giuliano, nonostante fosse lì vicino e con un esercito abbastanza forte da sollevare l’assedio. Credo fosse offeso perché Giuliano lo aveva sopravanzato nel comando dell’esercito. Durante l’inverno Carneade provò anche a tramare per estromettere Giuliano ma Costanzo confermò la fiducia nel nuovo Cesare e anzi esautorò Carneade: il comando passò a un militare più esperto e molto fedele a Giuliano.
Finito l’inverno la corte di Costanzo sviluppò un nuovo piano per risollevare la situazione in Gallia: Barbazione, il comandante dell’esercito d’Italia, sarebbe arrivato sull’alto Danubio con 25 mila uomini mentre Giuliano con 15 mila uomini avrebbe attaccato gli Alemanni dal fronte del Reno. Si trattava di una tipica manovra a tenaglia, ma solo una delle tenaglie era destinata ad essere efficace. Giuliano mosse il suo esercito sul reno e rioccupò l’Alsazia dedicandosi anche a ricostruire una importante fortezza romana che era stata distrutta dagli Alemanni. Il suo obiettivo era chiaramente di riportare Roma al confine Renano.
Nel frattempo però su lato di Barbazione avvennero a quanto pare un bel po’ di cose strane: Barbazione ricevette da Giuliano la richiesta di alcune barche e un pontone / per attraversare meglio il Reno. Barbazione però decise di dare fuoco a quanto aveva pur di non darle a Giuliano. Quando una carovana di salmerie destinate a rifornire l’esercito di Giuliano passò dalle sue parti, Barbazione le fece requisire e bruciare. Infine Barbazione fu attaccato dal leader degli Alamanni Chnodomar e – secondo Marcellino – fu messo in fuga con il suo esercito e fu costretto a ritirarsi a Milano, lasciando solo Giuliano.
Tutta questa storia è sospetta: Marcellino, la nostra fonte principale, aveva forse qualche sassolino da togliersi con Barbazione. Il comandante di Marcellino sarà infatti il successore di Barbazione. Eppure questa storia è compatibile con quello che successe poi, ovvero l’attacco di tutto l’esercito combinato degli Alemanni contro Giuliano, attacco che avrebbe dovuto spazzare via dalla terra l’esercito di Giuliano e che sarebbe stato difficile senza aver già regolato l’altro esercito romano. Ma se Barbazione davvero si comportò in modo così palesemente ostativo nei confronti di Giuliano, si può dire che Costanzo non ne fosse a conoscenza? Marcellino dice “Circolava dappertutto la voce che Giuliano fosse stato eletto Cesare non per liberare le Gallie dal loro male ma perché trovasse la morte in guerre durissime, dato che lo si riteneva inesperto di cose militari”. L’idea che mi sono fatto è che è improbabile che il comandante dell’esercito da campo dell’Italia operasse senza il diretto avvallo di Costanzo.
Comunque sia Chnodomar non aveva ancora terminata la sua stagione campale e mosse il suo esercito contro gli oramai tredici mila soldati di Giuliano, l’ultimo importante esercito romano da campo disponibile a nord delle alpi. Chnodomar non aveva lasciato nulla al caso e aveva chiamato alle armi tutte le spade disponibili e anche rinforzi da altre tribù germaniche. Probabilmente aveva al suo comando tra i 25 e i 35 mila uomini, quest’ultima è la dimensione dell’esercito di Chnodomar data da Ammiano Marcellino. Chnodomar non era un ingenuo o il tipico barbaro della propaganda romana, ma un grande stratega che aveva battuto più volte i romani ed era riuscito nell’impresa di unificare gli Alemanni. Chnodomar aveva delle chiare mire sui territori di confine dell’Alsazia e della Svizzera, riteneva anzi che fossero già sue per diritto di guerra grazie alle sue vittorie. Aveva appena sconfitto il più grande dei due eserciti da campo romani sul teatro di guerra, sarebbe bastato un altro piccolo sforzo per installare il suo popolo al di là del Reno.
Lo scontro avvenne nei pressi di Strasburgo. Prima della battaglia Chnodomar intimò al Cesare di ritirarsi e abbandonare l’Alsazia agli Alemanni. Giuliano e il suo entourage avevano una decisione difficile da prendere: affrontare la battaglia in chiara inferiorità numerica, pur con il vantaggio della superiore organizzazione e professionalità romana, o ritirarsi e sperare di ricevere maggiori aiuti nel nuovo anno dall’Italia. L’esercito però voleva combattere: i soldati aveva iniziato a riprendere la fiducia in sé stessi dopo una serie di vittorie minori al comando di Giuliano, e i generali sapevano che se non avessero dato battaglia ci sarebbe stato il rischio perfino di una sommossa. Così i comandanti decisero di dare battaglia.
L’esercito di Giuliano era sì molto più piccolo di quello degli avversari ma comprendeva alcune delle migliori unità dell’esercito romano tardo imperiale. I soldati romani erano in più professionisti della guerra a differenza degli Alemanni. Una percentuale notevole delle truppe era di origine barbarica, per lo più germanica: di questi molti erano probabilmente anche loro Alemanni o discendenti di soldati alemanni. e qui possiamo iniziare a sfatare il mito dei “barbari” non fedeli a Roma, di cui abbiamo parlato un paio di episodi fa: è questa la teoria della caduta dell’impero a causa dei barbari a guardia delle porte. La maggior parte dei soldati germanici tra le file romane mostrarono di essere estremamente leali alle proprie unità, come dimostrato dalla rapidità con cui le truppe di Giuliano ingaggiarono il nemico e dalla determinazione con la quale combatterono la battaglia: tre dei quattro tribuni caduti a Strasburgo avevano nomi barbarici. Parleremo altrove dell’esercito tardoimperiale ma iniziamo subito con il dire che i Romani, che avevano sempre preferito la fanteria, nel tardo impero avevano sviluppato anche una forte cavalleria il cui nerbo era composto da unità di catafratti, ovvero di cavalieri pesantemente armati con un’armatura di acciaio che copriva anche i cavalli. Questa era una innovazione che avevano appreso dai persiani. In questo periodo la cavalleria romana era decisamente superiore in qualità – ma non in quantità – a quella degli alemanni, una cosa che penso vi stupirà visto che non fa parte dell’immaginario comune.
Chnodomar era arrivato per primo in posizione e aveva scelto accuratamente il luogo dello scontro, posizionando la fanteria al di sopra di una collina, in modo da attaccare in discesa e proteggersi per quanto possibile dai temibili catafratti. la sua cavalleria era sul lato sinistro. Chnodomar aveva segretamente inframezzato tra i cavalieri dei fanti in modo da dare manforte ai cavalieri Alemanni contro i catafratti romani. Aveva infine nascosto parte dei suoi fanti nell’erba alta sul lato destro del suo schieramento. Da tutti questi accorgimenti spero si capisca che i germani avevano ben appreso dai romani la strategia e avevano ben chiaro come cercare di sfruttare il terreno a loro vantaggio: di nuovo, l’immagine dei selvaggi barbari a cavallo è quanto di più possibile distante dalla realtà.
Ammiano scrive “mentre splendevano già i raggi del sole, al suono delle trombe di guerra, le fanterie uscivano a lento passo dagli accampamenti ed ai loro fianchi si univano gli squadroni di cavalleria con i catafratti e gli arcieri”. La battaglia poteva avere inizio. La prima mossa fu della cavalleria romana che caricò i cavalieri germanici. lo stratagemma di Chnodomar ebbe un notevole successo: i fanti che aveva inframmezzato tagliarono le gambe ai cavalli dei Romani e uccisero i catafratti a terra. L’unità di punta dell’esercito ne fu così sconcertata che si fece cogliere dal panico e fuggì, infrangendosi con il peso dei suoi cavalli corazzati sulla fanteria romana sul fianco destro. Ecco, questa sarebbe potuta essere la fine e probabilmente lo sarebbe stata con un esercito meno professionista e un comandante meno energico: Pompeo aveva perso la guerra con Cesare in una condizione molto simile. Ma la fanteria romana resse grazie alla disciplina delle unità di élite dell’esercito e la cavalleria romana si rifugiò dietro alle linee. lì fu raggiunta di tutta fretta da Giuliano che si spostò dal centro dello schieramento appena vide cosa stesse succedendo. Quando vide i cavalieri li spronò a riformare i ranghi e tornare all’assalto. Fu questo probabilmente l’unico vero contributo, ma decisivo, di Giuliano.
A sinistra i romani non si fecero attrarre nell’imboscata dei germani e rimasero fermi, mentre al centro del fronte la fanteria alemannica caricò ripetutamente e frontalmente i ranghi serrati dei Romani, contando di romperli grazie alla loro superiorità numerica. La prima linea romana tenne la propria posizione per lungo tempo ma ad un certo punto un gruppo dei migliori guerrieri germanici caricò e con uno sforzo disperato riuscì a perforare la prima linea romana. La situazione si era fatta potenzialmente disastrosa per i Romani, per la seconda volta.
Un gran numero di Germani si riversò attraverso la breccia e caricò il centro della seconda linea romana, lì dove si trovava la legione di élite dei Primani, la quale fu in grado di bloccare l’attacco nemico e di contrattaccare, mettendo in fuga quanti erano riusciti a sfondare. La prima linea romana iniziò a respingere i Germani. A questo punto gli Alemanni erano demoralizzati dalla scarsità dei loro successi e dal gran numero di perdite subite: le ali erano metodicamente decimate, mentre le truppe al centro erano compresse al punto di non poter muoversi. Alla fine, la pressione sempre maggiore esercitata dai Romani causò il collasso della linea germanica: mentre il panico si diffondeva tra i loro ranghi, gli Alemanni ruppero la formazione e si volsero alla fuga. Fu a questo punto che iniziò il vero massacro, come sempre nelle battaglie antiche. Molti non corsero abbastanza velocemente e furono uccisi dalla cavalleria e fanteria romana mentre fuggivano verso il Reno. Un gran numero tentò di attraversare a nuoto il fiume, ma molti annegarono, colpiti dalle frecce romane o appesantiti dalle loro armature.
Ammiano racconta che 6000 Germani morirono sul campo di battaglia e nella successiva fuga. Altre migliaia di Alemanni morirono annegati nel fiume. È probabile che circa un terzo dell’esercito germanico perì nello scontro. I Romani persero solo 243 uomini e quattro tribuni, due dei quali erano comandanti dei catafratti. Chnodomar e la sua scorta di 200 uomini tentarono di fuggire ma furono circondati dai cavalieri romani e si arresero.
Chnodomar fu portato alla presenza di Giuliano, in una scena che mi ricorda la celebre resa di Vercingetorige a Giulio Cesare. Giuliano inviò Chnodomar come prigioniero e simbolo della sconfitta degli Alemanni a Milano, alla corte di Costanzo.
Si trattava di un successo spettacolare: i romani in inferiorità numerica erano riusciti a battere degli avversari che avevano sconfitto un esercito romano ben più numeroso. La potenza degli Alemanni era in pezzi. Ciliegina sulla torta, i romani avevano catturato l’unica persona in grado di tenere unito il loro popolo.
I soldati erano estatici e innamorati del loro giovane, pensoso e intellettuale comandante in capo. Lo circondarono e lo acclamarono seduta stante augusto, quindi pari a Costanzo. Ma Giuliano sapeva che questo avrebbe causato una guerra civile e rifiutò l’onore. Per ora.
La battaglia di Strasburgo è importante, sia per quello che successe sia per quello che sarebbe potuto accadere. Fossero i romani stati sconfitti, credo che parleremmo di questa data come l’inizio delle grandi invasioni barbariche perché nulla avrebbe a quel punto frenato Alemanni e Franchi dall’impadronirsi della Gallia: Strasburgo avrebbe potuto essere una Adrianopoli ante litteram, avremo modo di parlare di Adrianopoli. Ma non fu così, un esercito in inferiorità numerica, in campo aperto e posizione non ideale aveva letteralmente obliterato un esercito della più combattiva confederazione germanica, unita da un capo che sapeva il suo in fatto di strategia. Roma aveva dimostrato che era ancora, indiscutibilmente, in vantaggio militare sui suoi vicini germanici. Germani che erano riusciti a sfondare temporaneamente la frontiera solo per gli endemici problemi di governance dell’impero, vale a dire la guerra civile tra Costanzo II e Magnenzio. Scrive Peter Heather nel suo libro “la caduta dell’Impero Romano”: “questa battaglia dimostra che l’esercito riformato del tardo impero sapeva ancora essere efficace. Il dominio romano era ancora la norma di tutte le frontiere europee”. Non male per un impero che molti vogliono in declino terminale nel quarto secolo.
Infine un’altra conseguenza della battaglia fu la fedeltà quasi fanatica che dimostrarono da ora in poi i reggimenti occidentali verso Giuliano: Giuliano fu amatissimo dai suoi soldati con cui sembrò formare un curioso rapporto simbiotico. I soldati avevano adottato il loro strano imperatore, un imperatore quanto di più possibile distante dal classico soldato. E nel prossimo episodio vedremo dove quest’alleanza tra Giuliano e i suoi soldati delle Gallie porterà entrambi. Se non vi spiace, mi prenderò un paio di settimane: sto andando velocemente ma ho bisogno di un po’ di tempo per leggere e fare le ricerche del caso.
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