Episodio 59: Giustiniano e Teodora

Nello scorso episodio della narrazione principale abbiamo assistito con orrore al cupio dissolvi degli ultimi anni del regno di Teodorico, mentre a mano a mano non solo il grande edificio di Teodorico aveva iniziato a traballare, ma sembrava progressivamente fallire l’intera politica del grande Re: la condivisione pacifica nel reciproco rispetto di due nazioni sul suolo italiano.

Oggi non vedremo cosa accadrà in occidente, non seguiremo la tragica storia di Amalasuintha, la rimarchevole figlia di Teodorico. No: per alcuni episodi resteremo in oriente, perché è lì che uno dei più famosi imperatori romani di ogni epoca sta per salire al trono. A salire sul trono non sarà però un uomo solo, un imperatore solitario: al suo fianco avrà come de facto co-reggente forse la più famosa imperatrice romana di ogni tempo. E oggi è di loro che parleremo, della coppia che ancora oggi si guarda da un lato all’altro della cripta della chiesa di S. Vitale, a Ravenna: Giustiniano e Teodora.

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La storia che abbiamo di fronte è una delle grandi storie dell’umanità: il regno di Giustiniano non è solo straordinario per la sua lunghezza – quasi quaranta anni – ma anche per la quantità di eventi cataclismatici in ognuna di queste quattro decadi. Non solo: a differenza di altri periodi della storia romana abbiamo una vera messe di fonti primarie di vario genere, scritte da contemporanei. Agazia e Menandro Protettore scriveranno in greco degli ultimi anni di Giustiniano e dei suoi immediati successori, Corippo è una interessante fonte proveniente dal Nordafrica, abbiamo diverse fonti e cronistorie di natura ecclesiastica. Eppure c’è uno storico a cui dobbiamo l’enorme mole di dettagli disponibili sul regno di Giustiniano: Procopio di Cesarea.

Procopio di Cesarea

Procopio nacque intorno al 490 a Cesarea, in Palestina. Faceva parte della locale nobiltà di lingua greca e che doveva la sua posizione alle grandi proprietà terriere nel retroterra di Cesarea. In uno dei magnifici accidenti della storia per i quali le sono immensamente grato, Procopio fu assunto come segretario del nascente astro del firmamento militare Costantinopolitano: Belisario. Sarà presente al suo fianco in buona parte delle campagne in Mesopotamia, Africa e Italia e avrà accesso ad altre fonti di prima mano quando lui non sarà presente sul campo. Credo che Procopio comprese da subito che il periodo che stava vivendo sarebbe stato un soggetto favoloso per una storia nello stile classico di Tucidide, una storia sulle interminabili guerre di Giustiniano, combattute ai quattro angoli del mediterraneo, spesso in contemporanea, mentre altri eventi portentosi si svolgevano attorno alla narrazione principale. Procopio decise di dividere le sue storie nei tre teatri di guerra principali: l’oriente, l’africa, l’Italia. All’inizio dell’interminabile avventura militare è evidente l’entusiasmo di Procopio verso gli iniziali successi delle forze imperiali, eppure la narrazione è costretta a continuare, mentre ogni guerra sembra riaprirsi in ferite pustulenti che non vogliono rimarginarsi. L’atteggiamento di Procopio cambia con il tempo, mentre la disillusione si fa strada nel suo animo. Gli ultimi capitoli delle storie sono quasi amari, per quanto possibile senza incorrere nella censura imperiale: gli eroi oramai sono i nemici dell’Imperatore che non viene mai criticato direttamente, una scelta che sarebbe stata suicida, ma per il lettore attento è impossibile non scorgere l’orrore negli occhi di Procopio.

Eppure, dettaglio fondamentale, le guerre non sono l’unica opera di Procopio. Ce ne sono altre due, a prima vista paradossalmente di segno opposto. La prima è un panegirico, scritto nello stile adulatorio di questo genere letterario: il titolo è “sugli edifici” e come dice il nome elenca le interminabili costruzioni decise da Giustiniano nella capitale e in tutte le province dell’Impero. In quest’opera, a differenza delle ben più equilibrate guerre, Giustiano è lodato in modo servile, quasi imbarazzante. Spesso, leggendo quest’opera, i lettori del passato si sono chiesti se quell’impressione di orrore e disdegno nei confronti del governo imperiale fosse davvero possibile, sapendo che Procopio era anche in grado di lodarlo in modo talmente abbietto.

Ma è nella terza opera di Procopio che forse si intravede la chiave di lettura del puzzle. A mio avviso si tratta della più straordinaria, se non la più importante. Si tratta di un’opera che sopravvive in un solo manoscritto, disseppellito dal custode della biblioteca vaticana nel diciassettesimo secolo e poi data alle stampe, in quella che fu una scoperta che fece scandalo. Le “storie segrete”, questo il titolo dell’opera, sono un vero libello scritto da un maestro della retorica e della satira politica che non può che non essere lo stesso Procopio, quello che per secoli si è creduto lo storico ufficiale di partito di Giustiniano. Nelle storie segrete ogni dettaglio imbarazzante del governo imperiale è messo a luce, ogni storia, anche la più fantasiosa, viene riportata. Giustiniano e Teodora ricevono un trattamento che è un vero tentativo di assassinio della loro memoria, deliberato e premeditato. Procopio spera che questa sua storia segreta venga pubblicata dopo la sua morte, o quella di Giustiniano, e che con il tempo giunga a tale fama da screditare per sempre l’odiato sovrano.

Questo atteggiamento a prima vista schizofrenico ha fatto dubitare più di uno storico dell’attendibilità di Procopio: come ci si può fidare di un animo così volubile da scrivere una storia a prima vista neutrale, un panegirico e un libello? Come potersi fidare di uno storico che nelle storie segrete afferma tra tanti altri dettagli fantasiosi che Giustiniano è stato visto aggirarsi per il palazzo imperiale con la testa in mano, a simboleggiare che al cuore dell’Impero non c’è un sovrano ma un demone?

Eppure, come ho fatto accenno, in realtà Procopio segue i criteri dei generi letterari che adotta: le storie sono scritte nello stile compassato, obiettivo e neutrale di Tucidide ma, come vedremo, non è affatto difficile intendere quello che davvero passa per la mente dell’autore. Procopio non è una personalità dissociata ma un attento interprete della sua epoca, interpretazione che ci è giunta, per così dire, in diversi formati della stessa mano. Vuol dire per caso che Procopio va creduto sempre e comunque? Ovviamente no, nei prossimi episodi cercheremo di filtrare e interpretare quanto ci racconta nelle sue opere apparentemente contrastanti. Sarà quasi altrettanto appassionante della storia che ci racconta.

Teodora

Torniamo ora a Costantinopoli: è ancora imperatore Giustino ma suo nipote Giustiniano è una forza politica nel cuore del regime. È quasi certo che sarà lui l’erede al trono ma poi all’improvviso il giovane freddo e cerebrale Giustiniano prese una cotta, e per decisamente la donna sbagliata: agli occhi questo di tutti a corte che guardarono con orrore alla donna che pareva determinato a mettersi di fianco.

Teodora era una grande bellezza, nessuno poteva dubitarne. Eppure era quanto di meno appropriato possibile per un aspirante al trono. La sua origine era umilissima, il padre era a quanto pare stato il guardiano degli orsi usati per gli spettacoli all’ippodromo. Alla morte del padre la madre aveva avviato lei e le sue due sorelle – tutte molto belle – verso la carriera di attrici. A noi moderni può sembrare una professione più che dignitosa, direi prestigiosa, ma questo era quanto di più lontano possibile dalla percezione dei tempi. Innanzitutto le attrici nel mondo romano non declamavano le tragedie di Euripide ma performavano i mimi farseschi, spesso spettacoli di pornografia soft che erano molto invisi alla chiesa e che fra non molto verranno banditi. Procopio non pare credere alla sua fortuna nel poter raccontare di innumerevoli particolari salaci e scandalosi della vita pre-imperiale di Teodora: anche scontando delle inevitabili esagerazioni – e ce ne sono di alcune che è impossibile riportare in un podcast che potrebbe essere ascoltato anche da minori – è quasi certo che Teodora si avviò a giovane età verso la professione di cortigiana e prostituta. Ne abbiamo ragionevole certezza perché anche un vescovo monofisita, un uomo che aveva buone ragioni per essere dalla parte di Teodora, come vedremo, si rivolge a lei come “Teodora del postribolo” e pare intenderlo come un semplice dato di fatto, quasi un onore per l’imperatrice, elevatasi ad altezze inimmaginabili per la sua origine.

Teodora, nella sua professione di attrice e prostituta, sembra aver anche girato l’impero. In uno dei suoi viaggi finì ad Alessandria e qui avvenne il suo primo passaggio fondamentale verso il vertice dell’impero: Teodora fu profondamente colpita dalla predicazione del papa di Alessandria, Timoteo. Teodora pare aver avuto una crisi mistica e da allora sarà molto pia. C’era un solo dettaglio che avrà un’enorme influenza sul futuro della nostra storia: Timoteo era un monofisita, come la maggior parte degli Egiziani, e di chiare simpatie monofisite sarà sempre anche Teodora.

Tornata a Costantinopoli, la ex cortigiana fu notata da Giustiniano, oramai quasi quarantenne. Teodora aveva venticinque anni e doveva essere la donna più bella che avesse mai visto. A Giustiniano non interessò né l’origine, né la carriera, né perfino la fede di Teodora: i due divennero presto amanti. Giustiniano portò la donna a corte e fece capire che era decisamente intenzionato a farne sua moglie. C’erano però due ostacoli formidabili: il primo era la legge, che dai tempi di Costantino proibiva il matrimonio tra un membro della classe senatoriale e un’attrice. La seconda era ancora peggiore, l’augusta Lupicina.

Mrs. Wallis Simpson

Il palazzo imperiale a Costantinopoli

Lupicina era la moglie di Giustino, di origini ancora più umili, se possibile, dell’imperatore contadino. Lupicina era infatti di origine barbariche, ma non una delle tante famiglie nobiliari dei Goti o dei Gepidi: no, Lupicina era una ex schiava, liberata e sposata da Giustino. Diventata imperatrice aveva adottato il più imperiale nome di Eufemia, ma credo che sulla sua pelle sentisse ogni giorno gli sguardi di riprovazione, di malcelato disdegno dei nobili romani per i quali sarebbe sempre stata la barbara concubina schiava di Giustino. Forse aveva sperato un futuro diverso dal suo per il principe, per l’erede designato. Giustiniano, è utile ricordarlo, non era un nobile di sangue blu e di impeccabile pedigree: anche lui era un uomo di umili origini, anche se a differenza dello zio aveva ricevuto un’impeccabile educazione. Forse voleva perfino evitare il suo destino a Teodora: quel che è certo è che si frappose con determinazione al matrimonio di Giustiniano e Teodora.

Giustiniano non demorse però, Eufemia era anziana e verso il 524 morì. A quel punto rimaneva solo l’ostacolo legale: poco male, Giustiniano chiese allo zio di modificare la legge. Questo testo è sopravvissuto ed è interessante: inizia con una disanima delle innumerevoli ragioni per le quali la professione di attore è riprovevole. Detto questo però la legge sostiene che non sarebbe corretto proibire agli attori pentiti di poter contrarre matrimoni nella buona società. Quindi da ora in poi gli attori e le attrici pentite potranno fare richiesta all’imperatore per raggiungere lo stesso status delle donne che non hanno mai peccato, nelle parole della legge. Insomma, Giustiniano promulgò una tipica legge ad personam, allo stesso tempo riuscendo a sembrare bacchettone e intollerante.

Vale la pena sottolineare quanto straordinaria sia questa storia: se Giustiniano avesse semplicemente mantenuto Teodora come sua amante nessuno avrebbe avuto da ridire nulla. Ma il mondo romano aveva delle idee molto rigide a riguardo degli attori e la legge in questione aveva una storia di duecento anni: a corte fu un vero scandalo e l’indignazione della classe senatoriale è palpitante nella storia segreta di Procopio. Nelle parole di Peter Heather “far passare la legge senza alcuna considerazione per l’opposizione solo per permettere a Giustiniano di sposare la sua miss Simpson fu una gigantesca spesa di capitale politico da parte del regime a vantaggio di Giustiniano”. Se non sapete chi è mrs. Simpson, andate a leggervi una storia su re Edoardo VIII, non ve ne pentirete.

La legge raggiunse il risultato sperato: circa nel 525 Giustiniano e Teodora convolarono a giuste nozze: per l’ex prostituta oramai la strada verso la porpora imperiale pareva aperta.

Negli ultimi anni del regno di Giustino il potere pare essersi concentrato sempre di più nelle mani del nipote: da una parte è normale e naturale, una volta nominato un successore ed essendo l’imperatore molto anziano tutte le “cordate” di potere della corte di Costantinopoli iniziarono a manovrare per posizionarsi nella miglior luce possibile nei confronti del nuovo, entrante regime. Sempre più spesso è da Giustiniano che i burocrati andavano per le decisioni più importanti mentre ho già detto del suo ruolo nella politica estera.

Giustiniano

È vero che Giustiniano non è ancora imperatore ed è anche vero che lo ho già presentato negli scorsi episodi, ma a mio avviso il personaggio merita una presentazione più approfondita visto che passeremo in sua compagnia un numero temo spropositato di episodi.

Giustiniano è descritto dai suoi contemporanei e anche da sé stesso come uno stakanovista: non ama la vita sociale ma ama il suo studio, le sue carte e in generale il business del governo e dell’amministrazione. Soffre di insonnia e molti riportano di come le luci dello studio imperiale siano spesso accese nel cuore della notte: l’imperatore approfitta delle tenebre per portare avanti il suo instancabile lavoro di governo. Per quanto possibile dalla tecnologia del tempo, è un amante del controllo totale sui particolari: nulla deve sfuggire all’occhio attento dell’amministrazione e tutte le decisioni importanti debbono essere a lui demandate. Ha però anche la dote inusitata per chi ama il controllo di sapersi circondare di uomini validi, certamente non degli uomini pronti a contrastarlo, ma non sono neanche completamente degli yes man: sono competenti, coraggiosi, capaci e determinati come lui a imprimere la loro impronta sul governo dell’impero.

Giustiniano è descritto come un imperatore disponibile, perfino facile da approcciare: non emana l’alterigia, l’intoccabile distanza di un Costantino o un Diocleziano. Questa caratteristica, unita alle sue origini umili, potrebbero far abbassare la guardia ai cortigiani meno attenti. Chi si azzarda però a mancare di rispetto all’imperatore lo fa a suo rischio e pericolo: Giustiniano è infatti descritto dalle fonti come freddo, a suo modo spietato. Non è una persona clemente, né facile alle emozioni: un avversario non può aspettarsi da lui alcun quartiere. Non ci sono tracce nel suo carattere o in alcun resoconto dell’imperatore di caratteristiche umane come la gentilezza, l’empatia: insomma, Giustiniano sarebbe il perfetto vulcaniano, se non avesse l’abitudine anche ad essere vendicativo. Non è neanche un uomo fedele alle sue amicizie: è disposto a sfruttare chiunque per i suoi scopi, dalle fonti mi sembra che sia fedele solo a sé stesso e alla sua imperatrice, chiunque altro è visto più come una pedina su un’immensa scacchiera che una relazione importante.

Giustiniano è molto pio, come Teodorico, ma a differenza del Re dei Goti non è tollerante: è convinto che il compito del governo imperiale sia di indirizzare la chiesa e si dimostrerà in futuro sempre insofferente con chiunque metta in dubbio le sue decisioni in materia ecclesiastica. A suo modo è flessibile, è disposto a tentare varie formule per giungere alla pace religiosa nel suo impero, al sogno perennemente irraggiungibile di un impero, governato da un imperatore benedetto dall’unico Dio dei cristiani. Per raggiungere questo obiettivo perseguiterà i pagani e i monofisiti ma, dettaglio fondamentale, non si farà problemi a dimostrare una robusta attitudine al bullismo anche sulla chiesa di Roma.

A corollario di questo aspetto, Giustiniano è un assolutista: certo, direte voi, l’ideologia di fondo dell’Impero romano cristiano di Costantino è autocratica. Eppure anche l’imperatore del tardo impero ha dei limiti visibili e invisibili: è vero che può modificare le leggi, ma i Romani si aspettano che le rispetti anche. È vero che l’ideologia cristiana permea ogni aspetto della civiltà oramai, ma alcuni ambiti ristretti sono stati lasciati alla filosofia e alla ricerca scientifica, i costumi non sono stati ancora del tutto cristianizzati, ci sono ancora spettacoli lascivi a Costantinopoli, filosofi ad Atene, ebrei e samariti e varie sette cristiane in giro per tutto l’impero. La classe senatoriale chiede di aver rispettate le proprie libertà e prerogative. Innumerevoli altri interessi particolari da sempre vincolano l’iniziativa imperiale.

Giustiniano combatterà contro tutti questi interstizi di indipendenza e autonomia dal potere imperiale, perché Giustiniano ha una visione assolutistica, proto-totalitaria del potere imperiale. A tal fine sarà disposto a passare un bulldozer su qualunque consuetudine, su qualunque abitudine, su qualunque tradizione consolidata pur di affermare la sua visione di impero. Visione che lui pretenderà essere una “renovatio imperi”, un ritorno dell’Impero al suo passato glorioso: ma questa sarà per lui solo parte del suo programma, forse neanche la parte più importante. Pretenderà di ritornare ad una visione originale di impero per affermare la sua nuova visione imperiale. Parafrasando Tomasi di Lampedusa, Giustiniano pretenderà che tutto resti uguale affinché tutto cambi.

Mr and Mrs Underwood

Teodora di converso è quanto di più distante possibile da Giustiniano: ama dormire fino a tardi a differenza dell’insonne marito, si veste in modo splendido ed elegante quanto il marito è incurante di questo aspetto. Il suo passato di attrice e cortigiana le permetterà sempre di sapersi muovere in società, amando le belle feste, gli eventi mondani, quell’infinità di occasioni che creano prima di tutto il contatto tra i governanti e i governati e poi aiutano a tessere una rete di rapporti e relazioni tra i sovrani e le classi dirigenti.

Per certi versi, e fu notato dai contemporanei, Giustiniano e Teodora funzionano come coppia imperiale perché sono complementari: lei svolge quei compiti della funzione imperiale che lui non ama, e viceversa. Teodora è inoltre l’unica persona della quale Giustiniano si fidi davvero, cercando sempre il suo parere su qualunque questione. Giustiniano pretenderà da tutti che lo stesso rispetto dovuto e preteso verso la figura imperiale sia esteso all’imperatrice, nello stesso identico modo. Un’altra ragione di irritazione per la classe senatoriale, non abituata a prendere ordini direttamente da una donna, una delle regioni di maggiore scandalo per il misogino Procopio.

Ci sono due altri aspetti fondamentali nei quali Giustiniano e Teodora sembrano opposti a prima vista: il tifo e la fede. A Costantinopoli, vi ho fatto più volte allusione, la passione del circo è tutto: la squadra del circo è allo stesso tempo club, famiglia, associazione a delinquere e società di mutuo soccorso. Giustiniano è un fan e sostenitore accanito dei Blu, Teodora dei loro rivali Verdi. Nella fede a prima vista i due sono a loro volta opposti: uno dichiaratamente e ferocemente calcedoniano, l’altra apertamente monofisita. A prima vista, per questi aspetti, non sembrano una gran coppia. O è davvero così? Perché sia Procopio che altri ebbero dopo un po’ il sospetto che la coppia li stesse in parte giocando, che in realtà la vera squadra fossero loro due. Nella volatile Costantinopoli era fondamentale mantenere un ottimo rapporto con Verdi e Blu, avere nella coppia imperiale un sostenitore del Milan e uno dell’Inter – o se si vuole uno della Roma e uno della Lazio – serviva a stemperare le passioni di entrambi. Anche nella politica religiosa, come vedremo, Giustiniano alla fine sarà dichiaratamente e costantemente sposato solo all’interesse imperiale di avere una chiesa unita, a tal fine si dimostrerà molto duttile, mettendo in forte dubbio la stessa immagine di sterno difensore dell’ortodossia calcedoniana che voleva proiettare all’opinione pubblica. Quanto dunque dell’immagine religiosa di Teodora e Giustiniano era realtà e quanto finzione all’uso e consumo delle due grandi fazioni della chiesa imperiale in guerra aperta da più di un secolo?

Il fratello diverso

Negli scorsi episodi ho fatto riferimento alla politica estera di Giustino e Giustiniano, sia quella presunta verso i regni occidentali sia quella più palese di corteggiamento dei regni di confine con la Persia, i regni caucasici che da sempre fungevano da cuscinetto tra le due superpotenze della tarda antichità. Il Re della Lazica, più o meno la moderna costa della Georgia, si era convertito al cristianesimo ed era passato nella sfera d’influenza di Bisanzio. Il Re dell’Iberia aveva fatto lo stesso: l’iberia era per inciso un regno che non ha nulla a che fare con la penisola iberica, si tratta della Georgia centrale, sempre nel Caucaso. Kavad, l’imperatore persiano, non aveva però reagito in modo scomposto, mantenendo la lunga pace tra i due imperi che era stata violata finora solo per brevi e infruttuose guerre.

Kavad aveva però un problema: aveva avuto tre figli, con il maggiore aveva avuto dissapori e differenze politiche e questi non era più il suo erede designato. Kavad dei tre apprezzava su tutti il terzo, il più giovane, un ragazzo di nome Khosrau, molto giovane al tempo, forse solo tredicenne. Chi sa un po’ di storia persiana sa che Khosrau, in italiano Cosroe, sarà il più grande Re dei Re dell’Impero persiano sasanide. Tutto questo era però ignoto al 525: Kavad aveva più di una ragione di ritenere che la successione verso il figlio più giovane sarebbe stata irta di pericoli per il trono sasanide. Per risolvere questo problema Kavad decise di ricorrere ad una antica soluzione, che aveva già funzionato una volta.

Entrambi gli imperi infatti riconoscevano che la loro coesistenza tutto sommato pacifica era iniziata più di cento anni prima, quando l’imperatore Arcadio a Costantinopoli aveva chiesto al Re dei Re Yazdegard di adottare formalmente suo figlio Teodosio, quello che sarebbe diventato Teodosio II. È un evento che non ho riportato nel podcast, ma che è effettivamente importante, almeno in prospettiva. La paura della guerra con i Persiani fu uno dei motivi che permise pochi anni dopo, alla morte di Arcadio nel 408, di passare l’impero senza problemi all’infante Teodosio II: a quanto pare Yazdegard prendeva molto seriamente la sua responsabilità di padrino del giovane principe romano: è una storia che è solo presente in Procopio, e va quindi presa con le pinze, ma è assai probabile che sia vera, visto che Kavad penso di fare lo stesso, a parti invertite.

Kavad inviò un’ambasciata a Nuova Roma e chiese a Giustino se avrebbe accettato di adottare Khosrau come suo legittimo figlio: in uno scherzo del fato, i due grandi, futuri rivali – Giustiniano e Khosrau – sarebbero diventati fratelli adottivi. Procopio sostiene che Giustiniano e Giustino furono felicissimi della proposta e stavano iniziando le pratiche legali dell’adozione quando il loro consigliere giuridico Proclo si intromise: “Questo Khosrau, chiunque egli sia, potrebbe un giorno diventare imperatore romano: per natura le cose spettano ai figli, e in questo le leggi romane e persiane concordano. Se voi scegliete dunque di adottarlo dovrete lasciare che tutto il resto avvenga come logica conseguenza”. Questo quanto narrato da Procopio.

Nel frattempo sulla frontiera tra la Persia e l’Armenia Chosrau attendeva in una tenda i messaggeri imperiali romani: con lui c’era Ipazio, il nipote di Anastasio che era ora il Magister Militum per orientem, il principale generale in Siria. Un messaggero giunse da Costantinopoli: Giustino avrebbe si adottato Khosrau, ma solo con l’adozione per la spada che era concessa ai Re barbari, non una formale adozione romana. Khosrau non potè credere alle sue orecchie e guardò di malocchio i Romani. Era chiaramente furioso: si trattava di un vero e proprio insulto, paragonare l’erede al trono di Iranshar con un qualunque Re dei Goti. Procopio ci narra cosa accadde “Khosrou fece ritorno dal padre vivamente contrariato per ciò che era accaduto, giurando che si sarebbe vendicato dell’offesa infertagli dai Romani”. Suo padre Khavad ebbe una reazione perfino peggiore: si decise seduta stante alla guerra.

Svegliare il gigante

Fortezza sasanide di Derbent, nella Russia caucasica. Sullo sfondo il Mar Caspio

Tutta questa storia, come riferita da Procopio, è assai strana: Peter Heather è l’unico storico che ho letto che offre una spiegazione che trovo realistica. L’intero argomento contro l’adozione di Proclo è evidentemente fasullo. A differenza dei regni barbarici lo stato romano non è uno stato patrimoniale: l’impero non è una eredità da passare di padre in figlio ma una posizione alla quale si viene in sostanza eletti. Khosrau aveva le stesse esattamente zero probabilità non solo di diventare imperatore dei Romani ma perfino di accamparvi pretese. L’idea che mi sono fatto, stante la presenza del Re e del suo erede sulla frontiera romana, è che un accordo di massima era già stato trovato, un accordo che avrebbe garantito la pace e l’ordinata successione al trono persiano. Forse Giustino diede perfino l’iniziale beneplacito all’accordo, tanto che Ipazio si sentì in dovere di organizzare la cerimonia di adozione. All’ultimo istante qualcosa, o qualcuno, cambiò idea e impose la linea dura. Niente adozione.

Non ho molti dubbi che questo qualcuno fosse Giustiniano: era evidente a tutti che Giustino non sarebbe vissuto ancora a lungo e infatti morirà poco dopo, Giustiniano aveva invece tutto l’interesse ad avere un impero persiano indebolito da una crisi dinastica, di qui a qualche anno. Va inoltre detto che si trattò anche di screditare l’uomo tra i Romani che più si era speso per l’accordo, ovvero Ipazio: questi fu di nuovo privato del suo comando in oriente. Temo che le sue tribolazioni non siano finite. Infine questo affronto deliberato ai Persiani si inseriva nella generale politica aggressiva di Giustiniano, volta a sottrarre ai Persiani i regni caucasici e ad aggirarne il monopolio del commercio con l’oriente attraverso il controllo del Mar Rosso.

Se così fu, Giustiniano aveva appena provocato alla guerra la superpotenza persiana: restava da vedere se gli eserciti romani sarebbero stati all’altezza della sfida.

La prima mossa di Khavad fu contro l’Iberia: questo regno era troppo distante da Costantinopoli e troppo vicino a Ctesifonte perché i Romani potessero davvero difenderlo. Un ambasciatore fu inviato presso gli Unni che vivevano a nord del Caucaso, invitandoli ad invadere l’Iran. Delle guarnigioni furono inviate nella confinante Lazica ma nessun aiuto diretto giunse a Gurgenes, il Re dell’Iberia, che fu cacciato via dal suo regno mentre un’armata persiana ristabiliva il controllo dell’Iran sul paese.

I Romani pensarono invece di invadere la Persarmenia, l’Armenia sotto il controllo persiano. Al comando di questa spedizione c’era un certo Sittas e un certo Belisario, due guardie del corpo di Giustiniano appena promosse al grado di generali. Dopo aver una prima volta saccheggiato la regione indifesa, i due generali alle prime armi pensarono di replicare l’invasione. Questa volta i persiani erano lì ad attenderli: i Romani furono pesantemente battuti e costretti alla ritirata, eppure non tutto deve essere andato per il peggio visto che l’esercito fu salvato e uno dei due generali ottenne una promozione.

In contemporanea infatti l’esercito della Mesopotamia aveva invaso il territorio di Nisibis, di fronte a Dara, ma venuto a sapere della sconfitta in Armenia i Romani si erano ritirati con la coda tra le gambe. La reazione di Giustiniano fu di sostituire Il carneade a capo di questo esercito. Ma leggiamo qui Procopio “per questo motivo l’imperatore destituì Liberato dal suo grado e mandò Belisario come comandante delle forze militari a Dara. Fu allora che quale suo consigliere fu assunto Procopio, l’autore di questo libro”. Poco dopo, ci informa Procopio, venne a mancare Giustino e quindi Giustiniano e Teodora assunsero ufficialmente il loro ruolo di imperatore e imperatrice, pronti a scatenare sul mondo lo stupore di un’età che costituisce una delle grandi avventure della storia universale.

Nel prossimo episodio, prima di far iniziare il turbinio di spade, aggiorneremo al sesto secolo l’episodio 15, quello sull’esercito del tardo impero. È arrivato infatti il tempo di conoscere un po’ meglio questa armata che Belisario condurrà in giro per tutto il mediterraneo, cercando anche di carpire le differenze con i persiani che stanno per affrontare in battaglia. Prima di salutarci però, vorrei leggervi l’incipit delle guerre di Procopio, perché seppur scritte in una lunga tradizione storiografica classica, a mio avviso riecheggiano di eternità.

“Procopio di Cesarea narra qui le guerre che Giustiniano, imperatore dei Romani, condusse contro i barbari sua d’Oriente che d’Occidente, riferendo con esattezza come si sono svolti i fatti in ciascuna di esse: perché non succeda che imprese così straordinarie, passando il tempo senza che se ne faccia menzione, cadano in oblio e restino del tutto ignorate. Egli ritiene, al contrario, che il loro ricordo sia di grande interesse e utilità non solo per i suoi contemporanei, ma anche per i posteri. Se mai infatti, saranno messi dalle circostanze della vita in una situazione consimile, cioè a dover fare una guerra o comunque lottare con altri, la descrizione di un caso simile offrirà loro un sicuro ammaestramento: vedranno quale sviluppo abbiano avuto in passato le vicende di uno scontro dello stesso genere e nello stesso tempo saranno in grado di prevedere quale risultato è probabile che ottengano se sapranno sfruttare nel migliore modo le occasioni che si presenteranno loro.

L’autore è poi convinto di essere, proprio lui, la persona più indicata a scrivere questa storia, soprattutto per il fatto che, nella sua qualità di consigliere del generale Belisario, gli è accaduto di essere testimone oculare di quasi tutti gli avvenimenti narrati. Non ha mai taciuto per amore della verità nemmeno gli errori commessi anche da qualcuno dei suoi più intimi amici, ma ha riferito esattamente come ognuno li ha compiuti, nel bene o nel male.

A parte questo, chi saprà ben valutare troverà che vi è mai stato avvenimento storico più grandioso e più straordinario di queste guerre. Le imprese eroiche che in esse si svolsero superano tutte quelle di cui abbiamo sentito parlare, a meno che qualche lettore viva proprio nel culto esclusivo delle età passate e consideri i nostri tempi incapaci di gesti di valore”

Grazie mille per l’ascolto, e alla prossima puntata.

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Livello Galileo Galilei: Davide, Francesco, Jacopo Toso, Riccardo, Stefano, Roger, Anna, Pierangelo, Luigi, Antonio, Giulia, Ezra, Andrea, Paola, Daniele, Mariano, Francesca, Gabriella, Alessio, Giovanni, Alessandro, Valerio, Angelo, Alberto, Viviana, Riccardo, Giorgio, Francesco G., Francesco B., Emanuele, Giacomo, Francesco M, Giacomo, Martina, Yuri, Lorenzo, Jamie, Gianluca, Danilo, Echtelion, Matteo, Valerio P., Guglielmo, Michele, Massimo, Tommaso J, e Francesco C., Stefano, Giulio S., Davide P., Elisabetta C., Don Fabrizio, Massimo S. e Luca F.

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