La fine è il mio inizio (476-480) – Ep. 44

Cosa successe davvero nel 476? E’ vero che l’Impero dei Romani cadde per “colpa” di un barbaro? Cosa successe subito dopo all’Italia? E chi fu davvero l’ultimo imperatore dell’Occidente? Cerchiamo di dare risposte a queste domande!

Nello scorso episodio il turbinio di un triste walzer ha portato la nostra storia al fatale anno del 476, di solito convenzionalmente l’anno di passaggio tra l’antichità e il medioevo. Abbiamo preparato la scena, con Zenone e Illo determinati a spodestare l’inetto Basilisco, Giulio Nepote che si è rifugiato in Dalmazia dopo il colpo di stato di Oreste, mentre un ragazzino siede sull’alto trono dei discendenti di Augusto: il nostro Romolo Augustolo, per alcuni l’imperatore d’occidente, per altri un usurpatore.

In questo episodio, il balletto di improbabili imperatori di un occidente oramai ristretto alla penisola italiana avrà finalmente termine: un solo imperatore presto regnerà sull’Impero Romano e l’Italia avrà un nuovo padrone. Ogni fine è un inizio, e questa storia è l’inizio di un nuovo periodo per l’Italia.

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Come i suoi predecessori, Oreste si ritrovò di nuovo nella non invidiabile posizione di essere stretto tra due nemici, nessuno dei quali aveva davvero il potere di fermare. La rimozione di Giulio Nepote (andate qui per leggere a riguardo), con il quale aveva stretto un trattato, diede infatti ad Euric la scusa di invadere la Provenza e annetterla di nuovo al suo dominio, sacrificare Sidonio Apollinare aveva comprato all’impero appena un anno scarso di pace. Le cose si misero all’improvviso meglio invece con l’altro grande nemico, Genseric: nel corso del 476 fu stretto un trattato di pace tra l’evanescente potere imperiale e i Vandali, per la prima volta dai tempi di Maggiorano. Oramai più che ottantenne, forse Genseric comprese che il suo regno non sarebbe durato ancora a lungo e volle lasciare all’assai meno marziale figlio Huneric un regno stabilizzato e in pace con i due imperi romani. Sta di fatto che il trattato pose fine alla guerra tra i Vandali e i Romani, guerra che era stata portata avanti a più riprese fin dalla morte di Valentiniano III. Genseric ebbe riconosciute le sue conquiste nel mediterraneo e in Nordafrica e ottenne anche il dominio della Sicilia o di buona parte di essa.

Il sindacalista

C’era però un elemento all’interno della precaria politica italiana che guardava con crescente preoccupazione all’instabilità della penisola: l’esercito d’Italia. Oramai composto quasi esclusivamente di reclute del mondo danubiano-germanico che un tempo erano vissute sotto il dominio degli Unni, i foederati erano stati pagati fino a questo momento in moneta sonante, frutto delle tasse dovute al governo imperiale. L’impero era oramai privo di territori importanti come la Provenza e la Sicilia, era devastato da anni da guerre civili e continui cambi di potere. I soldati si chiesero dunque fino a quando lo stato avrebbe avuto i mezzi per pagarli. Forse ci fu già qualche ritardo nei pagamenti che li convinse che andava trovata un’altra soluzione. I soldati fecero quindi quello che farebbe ognuno di noi – perdonatemi qui l’anacronismo – ovvero elessero un rappresentante sindacale per parlare con i loro datori di lavoro. Si trattò ovviamente dell’uomo più in vista tra loro: ma il nostro principe degli Sciri, Odoacre, figlio di Edeko, a sua volta uno dei grandi magnati dell’antico impero degli Unni.

Odoacre si recò da Oreste con una semplice piattaforma di richieste sindacali: i foederati chiedevano di essere acquartierati in Italia con il meccanismo della hospitalitas, la legge emanata da Teodosio che era stata più volte utilizzata per sistemare i foederati in varie parti dell’impero, ma mai in Italia. La legge prevedeva che in un territorio in cui si fossero stabiliti i soldati dell’imperatore, un terzo di tutte le terre andassero ai soldati, in modo da sostenerli e in sostanza pagare “in natura” il prezzo della difesa da parte dell’esercito degli altri due terzi delle proprietà dei civili romani.

Questo meccanismo era stato utilizzato più volte nei Balcani, in Gallia, in Iberia, ma mai in Italia. Va detto che non si trattava quasi certamente, come molti hanno scritto, di dare ai foederati un terzo di tutte le terre in Italia, probabilmente parliamo di un terzo delle terre nelle città del nord Italia dove più spesso erano acquartierati i foederati dell’esercito d’Italia. I soldati in sostanza da mercenari volevano diventare proprietari del bene più importante del mondo antico: la terra, in questo modo garantendo per sé e i propri figli un bene con un valore stabile. C’era anche una certa logica: si trattava di quella stessa terra che difendevano con le loro spade, e il loro sangue. Insomma, i foederati volevano investire nel mattone, non fidandosi in tempi di crisi del sistema finanziario romano.

Oreste doveva però la sua precaria posizione all’acquiescenza del Senato, Senato a sua volta composto dai grandi proprietari terrieri della penisola che mai avevano dovuto condividere con i soldati le loro terre e che non avevano alcuna intenzione di iniziare a farlo adesso. Concedere le terre che chiedevano, per Oreste, voleva quasi certamente dire che lui e il suo ragazzo avrebbero fatto la fine dell’ultima dozzina di imperatori romani, visto che il Senato avrebbe o richiamato Giulio Nepote dalla Dalmazia, o proposto un nuovo candidato al trono. Oreste non ebbe altra alternativa quindi di rifiutare la richiesta del negoziatore in capo dei foederati.

Il Re dei Foederati

Il mondo mediterraneo nel 476

Odoacre se ne tornò a Ticinum, la capitale militare della penisola dove era concentrato il grosso dell’esercito d’Italia con il compito di difendere i passi alpini contro una possibile incursione di Euric. Qui parlò ai capi dei foederati e offrì di sostenerli nella loro richiesta se solo lo avessero eletto loro Re. E proprio questo avvenne, durante l’assemblea dei più importanti nobili dei foederati italiani, un amalgama assortito di Sciri, Turcilingi, Eruli e molti altri popoli dell’Europa danubiana. Il titolo che Odoacre acquisì fu quasi certamente quello germanico di Reiks, che di solito veniva associato al termine latino di Rex, ma che vuol dire più “capo della tribù” che un monarca ereditario.

Oreste era ancora all’oscuro di quanto accaduto, a quanto pare anzi fu invitato da Odoacre a parlamentare a Ticinum, la moderna Pavia. E Oreste questo fece, partendo da Ravenna e venendo a Pavia, forse convinto di poter convincere i foederati a più miti consigli. Ma non venne da solo: fu accompagnato dalla sua vasta guardia personale, i suoi bucellari. Una volta entrati a Pavia però, Oreste e i suoi furono aggrediti dagli uomini di Odoacre. Leggiamo le parole di Ennodio che descrivono quanto accaduto: “Odoacre invitò Oreste a Ticinum con la promessa di immunità ma invece radunò in quella città vaste orde di uomini che lo attaccarono. Poi si diedero a distruggere la città, infiammati dal desiderio del saccheggio. Ovunque ci fu terrore, ovunque dolore, ovunque morte.”

Al di là delle convenzioni letterarie, quello che accadde è che gli uomini di Odoacre si scontrarono con i bucellari di Oreste e nella dura battaglia buona parte della città di Pavia finì incendiata. Il suo vescovo Eufemio riuscì ad ottenere da Odoacre un’esenzione di cinque anni dai tributi proprio in virtù dei danni subiti dal suo gregge, che debbono essere stati consistenti.

Oreste non morì a Pavia ma riuscì a fuggire a Piacenza, qui fu raggiunto da Odoacre e il 28 agosto del 476 si combatté una battaglia campale nella quale Oreste fu sconfitto e poi sommariamente messo a morte. Odoacre a questo punto raccolse i suoi e marciò verso Ravenna e la casa che ospitava l’imperatore ragazzino, oramai privo della protezione offertagli dal padre.

Ticinum (Pavia) ai tempi di Odoacre

La riscossa degli Isaurici

L’Augusta d’oriente, Ariadne, figlia di Leone e sposa di Zenone

Nello stesso anno, in oriente, si svolse un dramma nel complesso simile: qui Basilisco aveva preso il potere rimuovendo Zenone, come narrato nello scorso episodio. Illo e Zenone, i due terribili isaurici, raccolsero le truppe orientali e marciarono su Costantinopoli, senza incontrare troppa resistenza. Basilisco, disperato, fece ricorso ad un altro generale orientale, un Carneade che defezionò però quasi subito alla fazione di Zenone. A questo punto sarebbe stato utile per Basilisco avere il goto Teodorico Strabone al suo fianco, ma anche questi era deluso dal nuovo regime e indisponibile ad aiutarlo. Zenone attraversò con i suoi il bosforo e mise sotto assedio Costantinopoli. Ben presto il senato della città diede ordine di aprire le porte per far rientrare in città l’imperatore: Zenone era un insopportabile barbaro isaurico, ma almeno non era un monofisita. Basilisco si rifugiò per la seconda volta in una chiesa della città, ma questa volta non la fece franca. Lui e la sua famiglia furono catturati e spediti da Zenone in Cappadocia, dove furono fatti morire di inedia, con la consueta spietata crudeltà della politica romana. E così terminò la per nulla illustre carriera del nostro Basilisco: inetto al governo quanto era stato disastroso come generale.

Zenone si era appena installato nel suo vecchio ufficio imperiale che ricevette la notizia dell’ennesimo colpo di stato in Italia: Oreste, l’uomo che aveva scacciato l’imperatore legittimamente scelto da Costantinopoli per governare l’Italia (Giulio Nepote), era morto. Per ora c’era poco che potesse fare, doveva rimettere in sesto la sua parte di impero. Attese l’evoluzione degli eventi.

La pietà di Odoacre

Odoacre, dopo aver messo a morte Oreste, marciò con il suo esercito attraverso il nord Italia, giungendo infine a Ravenna. Qui entrò in città senza trovare opposizione alcuna e marciò verso il palazzo imperiale, raggiungendo il giovane augusto. Odoacre fece spogliare il ragazzo delle insegne imperiali ma le nostre fonti ci dicono che ebbe pietà del ragazzino, salvandogli la vita e rompendo con la brutale tradizione romana. Preferì invece esiliarlo nel castellum lucullanum in Campania, una villa romana che era stata fatta fortificare da Valentiniano III e che oggi conosciamo come il Castel dell’Ovo, a Napoli. Il ragazzo ricevette una pensione di 6000 solidi d’oro annui: è possibile che si trattasse del suo wergild per la morte del padre Oreste. Il wergild era infatti il prezzo del sangue del diritto germanico, riconosciuto ai parenti di un uomo ucciso come indennizzo della violenza subita. Si trattò certamente di un comportamento più umano di quello solito praticato dai Romani ma dimostra anche le capacità diplomatiche di Odoacre. Questi voleva si deporre il piccolo augusto ma anche dimostrare con il primo atto del suo governo che intendeva regnare con moderazione. Vedete, sembra voler dire, non sono un barbaro sanguinario, potete fidarvi di me.

Non sappiamo con certezza cosa accadde successivamente al nostro Romolo Augustolo ma abbiamo una serie di indizi, tra i quali una delle missive di Cassiodoro, uno dei ministri più importanti del regno ostrogotico. La lettera, datata 507, conferma ad un certo Romolo la sua pensione. È quindi più che possibile che Romolo Augusto visse fino alla sua età adulta, continuando a ricevere la sua pensione anche dal successore di Odoacre.

Castel dell’Ovo a Napoli; qui c’era la villa dove forse visse Romolo Augustolo fino alla sua morte

L’Impero d’Occidente negozia con l’Oriente

Comunque sia, l’ultimo atto del regno di Romolo Augustolo fu di scrivere all’imperatore Zenone – sotto dettatura di Odoacre e del Senato si intende. L’obiettivo della lettera e dell’ambasciata che l’accompagnò – capitanata da alcuni dei più importanti senatori di Roma – era di spiegare all’augusto orientale cosa era accaduto in Italia e la posizione politica che il Senato e Odoacre volevano assumere di fronte al restaurato regime di Zenone. Sia Odoacre che il Senato volevano evitare un nuovo balletto di imperatori annuali ed entrambi vedevano come il fumo negli occhi il ritorno di Giulio Nepote. La questione più spinosa era quale ruolo istituzionale dare a Odoacre che, in quanto principe germanico, non poteva essere in alcun modo imperatore ma che in quanto capo de facto dell’esercito d’Italia non poteva neanche essere ignorato.

Odoacre era stato fatto Re dai foederati germanici, ma questi si erano appropriati di questo diritto senza alcuna base nella costituzione romana, il titolo di Odoacre era pertanto del tutto nullo agli occhi dei Romani, sia orientali che occidentali. Pertanto Odoacre cercò subito una legittimazione imperiale, ed ecco la ragione della lettera di Romolo Augustolo e della legazione senatoriale inviata a Costantinopoli. Gli ambasciatori occidentali cercarono di persuadere l’augusto che l’occidente non necessitava di un altro imperatore, in quanto lo stesso Zenone era più che sufficiente a governare l’intero mondo romano. Allo stesso tempo chiedevano che a Odoacre fosse concesso il grado di Patrizio e gli fosse affidato il governo della prefettura italiana. A dimostrare in modo plastico che la divisione in due parti dell’impero doveva ritenersi conclusa, i diplomatici portarono con loro le insegne di Romolo Augustolo, ovvero il diadema e le vesti imperiali. Le insegne imperiali furono consegnate a Zenone in atto di formale sottomissione.

La caduta dell’Impero Romano?

L’Italia di Odoacre, nel momento di massima estensione, dopo l’uccisione di Giulio Nepote

E sì, questa piccola serie di eventi segnerebbe per la storiografia classica la caduta dell’Impero Romano. Molti storici del passato non si premunivano neanche di aggiungere la parola “dell’occidente”, quasi a significare che questo atto segni la fine dell’Impero Romano tout court e ignorando i mille anni aggiuntivi di storia imperiale in oriente, un periodo due volte più lungo dei cinquecento anni che separano Ottaviano Augusto da Odoacre.  

Ora, credo che mi abbiate ascoltato sufficientemente a lungo per sapere che non sono per nulla d’accordo, e con me la gran parte della storiografia moderna, anche se non tutta. Non solo non cadde l’Impero Romano, visto che Zenone e i suoi eredi continuarono per secoli a dominare il mediterraneo, ma non si può neanche dire che questo “non-evento” sia davvero cruciale come cesura per l’Italia. Immaginate di interrogare un italiano delle classi elevate, visto che i contadini di solito non si sono mai interessati a queste cose. Immaginate di chiedergli se secondo lui esiste ancora un imperatore a regnare sull’Italia. Credo che questi vi avrebbe guardato stranamente: “Ma è ovvio che c’è, il nostro imperatore augusto è Zenone e risiede a Nuova Roma, la città del nostro grande padre Costantino che ha rifondato l’impero come impero cristiano”. D’altronde le leggi del diritto romano in Italia restavano quelle di sempre, le tasse e l’amministrazione la stessa, la prefettura italiana essendo governata da un Patrizio e da un ufficiale romano, di origine barbarica ovviamente, come tanti prima di lui, e come sempre sottoposto all’imperatore dei Romani. Cosa sarebbe precisamente caduto di grazia?

Se posso fare un fast-forward, questo non-evento diviene importante solamente ex post e solo con la cosiddetta guerra greco-gotica, durante la quale l’impero di Nuova Roma si sforzerà di delegittimare i governi italiani posteriori a Romolo Augustolo, negando la continuità legale ed amministrativa del governo italiano e sostenendo che si, l’Impero d’occidentale era davvero caduto nel 476. Questo per giustificare l’invasione e la “riconquista” dell’Italia, un’Italia che per decenni non aveva mai sentito il bisogno di farsi riconquistare dall’Impero Romano, continuando in tutto e per tutto a sentirsene parte. Quella guerra, tra l’Italia e Costantinopoli, fu vinta da quest’ultima, finendo per consolidare il punto di vista orientale sulla caduta dell’Impero Romano. Ma questa è una ricostruzione posteriore ai fatti che sarebbe sembrata assurda ai contemporanei di Odoacre e Zenone.

Credo sia ora più chiaro come mai ho scelto di iniziare la narrazione con la battaglia di Ponte Milvio: al di là del fatto che anche questa battaglia è stata caricata di significati che al tempo non aveva, quanto meno si tratta di un evento che è un utile spartiacque tra un prima e un dopo nella storia d’Italia, tra un impero pagano e uno cristiano. In generale tutto il periodo dalla ascesa di Diocleziano fino alla morte di Costantino segna una transizione fondamentale tra un periodo – l’antichità classica – e un altro, che oggi porta il termine generalmente accettato di tarda antichità. Questo periodo comprende tutto quanto abbiamo già coperto con il podcast e continua ancora ben oltre il 476, scopriremo assieme quali sono le possibili cesure che possiamo darci per porre fine all’antichità tardiva, un periodo che ha tante caratteristiche dell’epoca classica pur avendo elementi chiaramente distintivi, il più importante dei quali credo sia l’importanza assunta dal cristianesimo come religione di stato dell’intero mondo mediterraneo. No, l’Impero Romano non termina nel 476, ma quello che è accaduto non è e non sarà comunque senza conseguenze, cerchiamo di comprenderle assieme.

L’altro “ultimo Imperatore d’Occidente”

Giulio Nepote, il vero ultimo imperatore dell’Occidente?

In contemporanea alla missione del Senato giunse a Costantinopoli l’ambasceria di quello che si riteneva ancora – e con ottime ragioni – il legittimo imperatore d’occidente. Giulio Nepote era stato l’imperatore che l’oriente, anzi Zenone stesso, avevano imposto all’occidente. La tesi dell’imperatore esiliato era che se l’Italia si affidava per il suo assetto costituzionale alla decisione di Zenone questi avrebbe potuto confermare Giulio Nepote come imperatore, come era giusto che fosse. Nepote chiedeva fondi e un esercito per poter sbarcare in Italia e riportare in Italia il suo legittimo governo.

Zenone si ritrovava in una situazione complessa: da un punto di vista legale era ovvio che Giulio Nepote aveva la maggiore legittimità al trono, ma in questo momento Zenone non poteva permettersi di inviare un’armata orientale in Italia per imporre il suo volere, non dopo la guerra civile e con un bel po’ di Goti in giro per i Balcani (ne riparleremo, non temete!). Era di converso interesse dell’oriente di stabilizzare la situazione in Italia, anche a costo di rimandare a data da destinarsi una definizione chiara del nuovo assetto costituzionale da dare all’Impero Romano d’occidente. D’altronde diventare imperatore unico dell’intero impero dei Romani non deve essere sembrata una cosa tanto malvagia a Zenone, e credo che l’ambasceria di Odoacre avesse volutamente solleticato l’amor proprio di Zenone, al fine di ottenere il massimo risultato.

Sta di fatto che Zenone deluse Giulio Nepote e scrisse una delicata e complessa lettera a Odoacre, riportata dallo storico Malco di Filadelfia: “Zenone scrisse al Senato che gli uomini dell’occidente, in pochi anni, avevano ricevuto due imperatori dall’oriente e ne avevano ucciso uno – Antemio – ed esiliato un altro, Giulio Nepote. Ora sapevano cosa andava fatto: mentre era ancora in vita il loro legittimo imperatore avrebbero dovuto riaccoglierlo in Italia, ora che l’usurpatore Oreste era morto. A Odoacre scrisse che in quanto suddito di Giulio Nepote avrebbe dovuto chiedere a lui di concedergli il patriziato e quindi il comando dell’esercito d’Italia ma se questi non lo avesse concesso non sarebbe stato un problema per lui stesso di farlo. Lo ringraziò per aver dimostrato buone intenzioni nel mantenere l’ordine in Italia con modi degni dei Romani. Lo esortò a riaccogliere lui stesso Giulio Nepote in Italia, ma intitolò la lettera come se fosse destinata al Patrizio Odoacre, come se questi lo fosse già. Fatto questo, Zenone scrisse anche a Giulio e lo confortò nel suo supporto alla sua rivendicazione al trono dell’occidente”.

Realpolitik

Il palazzo di Diocleziano: è qui che viveva probabilmente Giulio Nepote

Trovo questo passo interessantissimo, perché è una dimostrazione di intelligenza, realpolitik e diplomazia. Zenone sapeva di non avere le forze di imporre nuovamente Giulio Nepote sul trono dell’occidente, forse non ne aveva neanche l’intenzione. In due lettere diverse, indirizzate al Senato e Odoacre, cercò di spronare con le buone gli italiani a riaccoglierlo, come dimostrazione di buona volontà. Facendo questo almeno dimostrò di sostenere a parole, se non nei fatti, la rivendicazione di Giulio Nepote. Allo stesso tempo però Zenone si piegava alla realtà e riconosceva che per il momento in Italia a comandare erano il Senato e il capo dei foederati, Odoacre. Questi non ricevette nessun incarico ufficiale di valenza costituzionale da parte di Zenone, però per ora Odoacre si accontentò di essere stato chiamato Patrizio in una lettera ufficiale dell’imperatore dei Romani, come base costituzionale del suo potere sarebbe dovuta bastare, per ora.   

Da parte sua Odoacre si guardò bene dal richiedere il patriziato a Giulio Nepote, cosa che ne avrebbe riconosciuta la legalità al trono. In sostanza Zenone, Il Senato e Odoacre decisero collettivamente di far finta di nulla, Odoacre continuerà ad esercitare il suo potere in Italia ma sempre senza una superiore e ufficiale carica nella gerarchia imperiale. Fin che fu in vita Giulio Nepote, Odoacre fu però sufficientemente astuto da coniare monete con l’effige di Nepote, mantenendo la finzione richiesta da Zenone, nella consapevolezza che senza l’aiuto di Costantinopoli Giulio Nepote non avrebbe mai osato riattraversare l’Adriatico.

Hospitalitas

Odoacre ovviamente non era diventato il padrone dell’Italia per grazia del senato o di Zenone, ma grazie al sostegno dei foederati. Il nostro patrizio-re fece quindi seguito alla promessa fatta ai suoi seguaci e ai foederati furono assegnate delle terre in Italia, quasi certamente solo nell’Italia padana. Non abbiamo alcuna idea di come furono requisite e distribuite le terre, ma l’assenza di opposizione da parte del Senato è un indizio che non fu un processo troppo traumatico, o ne avremmo avuto contezza dalle fonti seguenti alla caduta di Odoacre. Alcuni storici sostengono che furono assegnate ai foederati solo le rendite di alcune terre e non la proprietà stessa, ma non credo sia la cosa più probabile. Credo invece che Odoacre distribuì soprattutto terre facente parte dei beni personali dell’imperatore o comunque terre pubbliche. Queste terre erano gestite dal Comes Rerum Privatarum e abbiamo modo di credere che fossero particolarmente estese in Italia. Mancando oramai un imperatore in occidente da finanziare con le rendite di questi terreni era diventato possibile distribuirne almeno una parte ai soldati, senza che i grandi proprietari terrieri della penisola ne avessero troppo danno. È interessante pensare che forse fu questa una delle ragioni che spinsero Odoacre a non nominare un nuovo imperatore dell’occidente, ovvero la possibilità di distribuire terre che sostenevano le spese di una carica oramai abolita. Ma si tratta solo di una supposizione.

Comunque sia non tutte le terre di proprietà dell’imperatore furono distribuite, quanto rimase fu messo sotto l’amministrazione di un conte del patrimonio, con il compito di finanziare personalmente Odoacre attraverso la tassazione e le rendite delle terre imperiali. Odoacre poteva essere agli occhi della legge un semplice Magister Militum, ma si arrogò da subito quello che rimaneva dei diritti e dei fondi del vecchio ufficio dell’imperatore dell’occidente.

Il Re pirata

Moneta dei Vandali

Sul fronte della politica estera, uno dei primi atti del regno di Odoacre fu quello di stringere un nuovo accordo con il vecchissimo Genseric: questi probabilmente sentì che il nuovo regime aveva ben più possibilità di resistergli degli ultimi inutili imperatori dell’occidente. Si rassegnò quindi a restituire la Sicilia all’Impero. In cambio Odoacre concesse una parte delle entrate fiscali dell’isola al regno dei Vandali, con l’obiettivo di fermarne gli atti di pirateria e di saccheggio delle coste italiane. Fu l’ultima mossa politica dell’anziano leader dei Vandali: il 25 gennaio del 477 Genseric tirò l’ultimo respiro, dopo aver attraversato la nostra storia sin dall’episodio 22, quello nel quale passò a piedi sul Reno gelato con il suo popolo. Se si accetta il 476 come anno della fine dell’impero d’occidente, pare quasi simbolico che Genseric morì giusto pochi mesi dopo aver visto il tramonto sull’impero dei Romani occidentali che tanto aveva contribuito ad indebolire.

Non si può ascrivere la crisi dell’impero nel quinto secolo ad una sola persona, ma se c’è un uomo che può ambire al titolo di distruttore dell’Impero Romano d’occidente questi è Genseric. Privando l’occidente della cruciale fonte economica dell’Africa fu colui che innescò la seconda e più acuta fase della crisi imperiale. La sua capacità di sconfiggere ripetutamente i tentativi di distruggerlo di Ezio, Aspar, Maggiorano e Leone furono una costante spina nel fianco di entrambi gli imperi romani. Le sue capacità politiche furono indubbie e la costante e implacabile pressione diplomatica e militare sull’Impero dopo la morte di Valentiniano III ne precipitarono le possibilità di recupero. Alaric e Attila sono in generale i nemici coevi di Roma che più vengono in mente quando si pensa alla caduta dell’impero, non è un mistero che io creda che fu Genseric il nemico più  dannoso alle prospettivi di lungo termine dei Romani, anche solo per la sua longevità al potere: quasi cinquanta anni. Ciò detto, Genseric riuscì nella sua impresa anche perché spesso ci fu un altro nemico ad assorbire l’attenzione dei Romani, come i Visigoti di Euric o gli Unni del succitato Attila, che fu nel breve termine un rischio esistenziale assai maggiore per i Romani. Genseric fu inoltre indubbiamente aiutato nella sua impresa di costruire un regno africano dalle continue crisi politiche del mondo romano, che divisero i suoi nemici di solito proprio al momento a lui più opportuno.

Questo non detrae ovviamente dai suoi successi: dopo una vita violenta e sul filo del pericolo, morì in tarda età, nel suo letto, con il suo regno fermamente in controllo del Nordafrica e di tutto il mediterraneo occidentale, lasciando la corona pacificamente a suo figlio Huneric che, come vedremo, era di indole assai diversa, forse anche grazie ai decenni passati al fianco di Eudocia, la principessa dei Romani.

Nuovo management

Il fronte gotico, per Odoacre, andò assai peggio: Euric aveva riconquistato la Provenza durante il breve dominio di Oreste e il nostro Re e Patrizio non aveva le forze militari per riconquistarla e allo stesso tempo proteggere l’Italia da altre invasioni: è probabile che a questa data l’esercito d’Italia fosse composto da circa 15.000 uomini, del tutto insufficienti ad affrontare Euric in battaglia, anche con l’aiuto dei tradizionali alleati Burgundi. Si giunse quindi ad un accordo e la Provenza fu ufficialmente ceduta al regno dei Visigoti. I Burgundi compresero il segnale e loro stessi vennero a patti con Euric, oramai il più potente Re dell’occidente, uscendo dall’orbita romana. In Gallia solo Siagrio e i Franchi di Childeric rimasero indipendenti dai Visigoti. Siagrio, lo ricorderete, era l’ultimo governatore di uno stato gallo-romano, si considerava un ufficiale romano e riconobbe perfino la teorica autorità sul suo lontano dominio di Soisson dell’unico imperatore dei Romani, Zenone, ignorando del tutto Giulio Nepote. In Gallia l’impero dei Romani viveva ancora.

Sul fronte interno Odoacre, all’inizio del suo regno, affrontò le stesse forze che avevano reso così brevi i regni dei suoi predecessori. Nel luglio del 477 fece mettere a morte il Conte Brachila, no non si tratta di un vampiro: le nostre fonti ci dicono per inspirare paura nei Romani. Gli storici hanno ricostruito che forse il Senato avesse pensato di appoggiare Brachila contro Odoacre, per un ennesimo avvicendamento al potere. Odoacre si dimostrò ancora una volta però più forte o più furbo dei suoi avversari e agì per primo, al contempo rafforzando la sua presa sull’esercito e il suo potere in Italia. L’anno seguente si ribellò un altro Conte, un certo Adaric, ma fu rapidamente sconfitto nel novembre del 478 e messo a morte con i suoi familiari: da questo punto in poi non abbiamo più notizie di ribellioni contro Odoacre, forse la rapidità ed efficienza con le quali aveva risolto le crisi nell’infanzia del suo regno convinsero i potenziali oppositori in Senato e nell’esercito che non ne valesse decisamente la pena.

Nel 479 la situazione rimase calma in Italia ma lo stesso non poté dirsi dell’oriente, dove ci fu un nuovo tentativo di rivolta nei confronti di Zenone: questi tentativi non debbono essere visti come casuali o come frutto di incapacità di Zenone, che invece si dimostrerà un imperatore accorto e capace. Zenone aveva due problemi principali: molti lo vedevano come una sorta di barbaro a causa delle sue origini isauriche e al contempo gli mancava quasi completamente quel bene imponderabile di cui abbiamo parlato a lungo, la legittimità a governare. Legittimità che altri potevano accampare, e spesso con maggior ragione di Zenone. Nel 479 a ribellarsi fu infatti Marciano, figlio dell’Imperatore d’Occidente Antemio e nipote per parte di madre dell’Imperatore d’Oriente omonimo, il Marciano che aveva regnato dal 450 al 457 dopo la morte di Teodosio II, sposandone la sorella Aelia Pulcheria. Forse vi ricorderete che Marciano aveva sposato inoltre la sorella minore di Ariadne, Leonzia, ed era dunque cognato di Zenone e anche lui genero del defunto imperatore Leone. A differenza del nostro ex Tarasikodissa, Marciano aveva però sangue impeccabilmente romano e soprattutto antenati che più illustri era impossibile avere. Inoltre era già un leader affermato, avendo ricoperto la carica di console per ben due volte, nel 467 e nel 472.

Nel 479 Marciano tentò di rovesciare Zenone e prendere per sé il trono. Con l’aiuto dei suoi fratelli raccolse delle truppe composte da cittadini e da forestieri e marciò sia sul palazzo imperiale sia sulla residenza di Illo, che era il principale sostenitore di Zenone. L’imperatore fu sul punto di cadere nelle mani dei ribelli che furono in grado di sopraffare le truppe imperiali, fatte bersaglio dei cittadini dai tetti delle loro case. Durante la notte, però, Illo riuscì a far entrare in città un contingente di Isaurici che permisero a Zenone di fuggire. La mattina successiva Marciano, comprendendo che la sua situazione era disperata e che i rinforzi del generale goto Teodorico Strabone non sarebbero giunti in tempo, si rifugiò nella chiesa dei Santi Apostoli, dove fu arrestato assieme ai suoi fratelli. Zenone era di nuovo sopravvissuto ad una crisi politica.

La morte dell’ultimo Imperatore

La Dalmazia romana, l’ultimo ridotto di Giulio Nepote

L’anno seguente, il 480, ci fu un’altra crisi politico-militare, questa volta ad estremo vantaggio di Odoacre: in Dalmazia Giulio Nepote aveva continuato a ritenersi l’imperatore d’occidente e almeno da un punto di vista esteriore la finzione era stata mantenuta da Odoacre e da Costantinopoli. Quell’anno però due dei suoi Comes si ribellarono e lo misero a morte. Se può interessarvi, il 480 è dunque un’altra data proposta da alcuni storici per simboleggiare la fine dell’impero d’occidente, per questi storici ovviamente l’ultimo imperatore occidentale non è Romolo Augustolo ma Giulio Nepote, e penso di aver dimostrato che ci sono ottime basi per sostenerlo.

La congiura che aveva posto fine alla vita di Giulio Nepote fu però repressa da Odoacre: questi denunciò l’uccisione del suo imperatore legittimo e dichiarò che lo avrebbe vendicato. Nel 481 marciò il suo esercito verso la Dalmazia, l’esercito d’Italia aveva infatti recuperato la sua mobilità grazie alla pace con Goti e Vandali. I comes ribelli furono rapidamente sconfitti e messi a morte e Odoacre per la prima volta dalla morte di Ezio riunì la Dalmazia alla prefettura italiana, già sotto il suo dominio.

Tutta questa storia mi ha sempre insospettito, e credo a buona ragione. Mi sembra un’occasione troppo ghiotta per Odoacre e un’annessione realizzata in modo troppo rapido e ben concertato per non essere quanto meno sospetta: la pretesa di Odoacre di voler vendicare la morte di un uomo che al massimo era stato una costante e potenziale spina nel fianco è chiara ipocrisia.

A gettare potenziale luce su quello che forse avvenne c’è un frammento dello storico Malco di Filadelfia che nomina un vecchio amico come istigatore della rivolta: il vescovo di Salona, Glicerio, un uomo che era stato brevemente imperatore d’occidente. Malco ci informa che, dopo la morte di Giulio Nepote e la sconfitta dei rivoltosi, a Glicerio fu dato da Odoacre un arcivescovado di assai maggior prestigio, Milano, permettendogli di tornare nella sua patria italiana.

Se volete sapere la mia opinione, Glicerio e Odoacre complottarono per far cadere Giulio Nepote, un nemico di entrambi. Per farlo utilizzarono un paio di teste di legno, probabilmente veramente convinti di avere qualche chance di successo. Glicerio convinse i due ad uccidere Giulio Nepote, mentre Odoacre era pronto ad invadere la Dalmazia e vendicare il suo povero imperatore assassinato al primo segnale. Se così andò davvero, fu un capolavoro politico.

Guerra fredda

I Balcani erano però da sempre una regione sulla quale l’oriente accampava diritti importanti e riconosciuti, ma non si hanno notizie di reazioni politiche o militari da parte di Zenone, probabilmente ancora debole a causa dei continui tentativi di rivolta nei suoi confronti. Sono certo però che l’annessione della Dalmazia non aumentò la popolarità del nostro padrone dell’Italia nei confronti di Zenone. Comunque sia Odoacre provò a blandire l’imperatore d’oriente: da questo momento tutte le monete d’oro coniate in Italia porteranno l’effige di Zenone, implicitamente riconoscendone l’autorità formale su Italia e illirico. Si trattava però di una foglia di fico: Odoacre aveva oramai un’indipendenza de facto quasi assoluta.

E così nel 480 Odoacre si ritrovò a comandare un’area più vasta di qualunque imperatore occidentale dai tempi di Maggiorano: tutta l’Italia con la Sicilia, più una buona parte dell’Illirico e della Dalmazia. L’annessione della Sicilia e delle Dalmazia ne avevano inoltre incrementato l’indipendenza finanziaria, visto che molte delle nuove terre furono incamerate nel patrimonio imperiale, quello che finanziava direttamente Odoacre, fornendogli nuove fonti per ricompensare i suoi. La sua posizione era inoltre assai più sicura: Giulio Nepote era morto, Zenone era indebolito dai continui colpi di stato. Dalla morte di Valentiniano III nessuno era riuscito davvero a stabilizzare la situazione politica in Italia. Nessuno degli altezzosi romani dagli studi classici e raffinati era riuscito a domare la bestia indomabile della politica italiana ma questo era riuscito a Odowacar, figlio di Edeko, principe degli Sciri, Re dei Foederati e patrizio dell’Impero Romano. Il futuro sembrava splendere sul nostro generalissimo e sul suo regno.

L’Italia di Odoacre

Nel prossimo episodio cercheremo di comprendere meglio il meccanismo dello stato ai tempi di Odoacre, vedremo quali saranno le sue scelte durante gli anni 80’ del quinto secolo, anni di stabilità per l’Italia. Odoacre governerà la penisola con fermezza ma alla fine Zenone avrà la sua rivincita, tirando fuori dal cappello un’opportunità di prendere due piccioni con una fava. Se non volete attendere, potete ascoltare l’episodio al link in basso

Grazie mille per l’ascolto!

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Un pensiero riguardo “La fine è il mio inizio (476-480) – Ep. 44

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