Episodio 31, l’Impero degli Unni (376-441) – testo completo

Salute e Salve, e benvenuti alla Storia d’Italia!

Nello scorso episodio della narrazione principale abbiamo visto come Ezio non sia stato in grado di fermare la presa di Cartagine da parte dei Vandali, pur riuscendo a riportare una certa parvenza di ordine nelle province europee dell’Impero d’Occidente. Gli imperi, a questa notizia, hanno riunito le loro forze e organizzato una missione per riprendere il Nordafrica, spedizione che è sbarcata in Sicilia nel 441, pronta a ridurre Genseric e i suoi in poltiglia.

Come forse avrete capito uno degli obiettivi del mio progetto è di descrivere la storia dal punto di vista di tutti i suoi attori, non solo da quello dei Romani o, in futuro, degli italiani. Credo sia difficile per la maggior parte di noi di immedesimarsi nell’altro, ma è uno sforzo indispensabile se vogliamo davvero capire la storia e non solo narrarla da un punto di vista deformato. In questo episodio cercheremo di donare una dimensione tridimensionale al grande spauracchio dei Romani, gli Unni. Faremo un passo indietro e torneremo fino a circa l’episodio 14, quando descrissi il barbaricum dominato dai Germani. Alla fine di quell’episodio parlai della grande tragedia che si abbatté sui Goti, ovvero l’invasione degli Unni del 370-376. Riprenderemo più o meno da quel punto per narrare cosa accadde al mondo d’oltre Danubio nei settanta anni seguenti, fino a giungere al 441 e alla prima importante guerra tra Unni e Romani.

Ho spesso fatto riferimento agli Unni come a dei Borg: chi non ha mai visto “Star Trek, the next generation” potrebbe non cogliere il riferimento. I Borg, nell’universo di Star Trek, sono una civiltà a base collettiva composta da varie civiltà di umanoidi modificati in modo da diventare in parte robotici. I Borg puntano ad assorbire altre civiltà nel loro collettivo: una delle scene più famose di Star Trek è quella in cui il capitano Picard, assorbito dai Borg, minaccia la terra dicendo in inglese le parole che li hanno resi famosi: “resistence is futile”. E per decenni, di fronte agli Unni, la resistenza fu davvero futile.

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Oltre ogni limite di barbarie

Gli Unni non sono degli sconosciuti della nostra storia: la loro irruzione avviene già negli anni 70’ del quarto secolo quando travolgono in ordine prima gli Alani, poi i Goti Greutungi del re Ermanaric e poi i Goti Tervingi di Athanaric. Ma da dove venivano gli Unni, che lingua parlavano e di che famiglia etnica erano? Forse vi stupirà sapere che non abbiamo una risposta definitiva a nessuna di queste domande. Ammiano Marcellino ce ne ha lasciato una descrizione celeberrima, di cui citerò solo un breve passo che riassume l’incomprensione di una civiltà nomade da parte di una a base agricola:

“Il popolo degli Unni supera ogni limite di barbarie. Nessuno di loro ara né tocca mai l’impugnatura di un aratro. Infatti tutti vagano senza avere sedi fisse, senza una casa o una legge o uno stabile tenore di vita. Assomigliano a gente in continua fuga sui carri che fungono da loro abitazione.”

Nulla nel modo di vivere degli Unni aveva un minimo senso per Ammiano Marcellino, ma noi dobbiamo sforzarci di vedere il mondo con gli occhi dei nomadi per cercare di capire il loro stile di vita e il loro modo di pensare.

Il grande mare d’erba

Gli Unni ovviamente emersero dal grande mare d’erba, l’infinita steppa euroasiatica che dai monti Carpazi nei Balcani giunge fino in Cina. La steppa è larga in alcuni punti migliaia di chilometri, in altri poche centinaia ma si estende ininterrotta, ancora oggi. In epoca antica l’agricoltura era impossibile o comunque molto limitata in questa vasta area, visto che non vi crescono agevolmente i cereali. Al contrario la steppa è perfetta per la civiltà nomade: l’erba che cresce nella steppa è il petrolio dei cavalli, i veicoli alla base della civiltà di tutte le popolazioni nomadi che hanno vissuto nei secoli sulla steppa: Sciti, Unni, Avari, Turchi, Mongoli e molti altri ancora.

La steppa eurasiatica, evidenziata, si estende ininterrotta dalla Cina alle porte dell’Europa

La civiltà nomade è molto diversa da quella degli agricoltori sedentari e di solito sono questi ultimi ad avere il privilegio della scrittura, quindi noi siamo molto più a nostro agio a vedere il mondo dal punto di vista degli agricoltori, anche perché noi stessi siamo eredi di civiltà sedentarie. Come testimoniato dal brano di Ammiano, le popolazioni mediterranee non capivano nulla dei nomadi: si spostavano a casaccio, non comprendevano il concetto di proprietà privata, nascevano e vivevano a cavallo e in movimento, la loro cultura sembrava una semplice vita di razzie e furti. Gli sembrava uno stile di vita di popolazioni caotiche, senza senso, così diverso dalla razionalità del vivere civilizzato.

Eppure la vita dei nomadi tutto è fuorché casuale: per cercare di comprendere la differenza tra i due mondi dobbiamo capire la radice di questa differenza. Per una civiltà di agricoltori – e tutte le civiltà preindustriali stanziali sono civiltà sostanzialmente agricole – il focus dell’intera esistenza è la terra: la terra viene coltivata e l’agricoltore è legato ad essa, non può prendere la terra e portarla altrove. L’agricoltore pertanto desidera innanzitutto sicurezza, in modo da continuare a far fruttare il suo bene principale, la terra. L’agricoltore sarà a favore del concetto della proprietà, perché vorrà che la terra sia sua e sia lui a poterne disporre, per lasciarla ai suoi eredi. Una volta introdotto il concetto di proprietà, l’agricoltore vorrà un governo forte in grado di poter difendere la sua terra e la vita di chi ci vive sopra. In cambio della sicurezza di un forte esercito l’agricoltore sarà disposto a cedere parte della sua produzione a questo governo, in natura prima e poi sotto forma di tasse quando l’economia diventerà a base monetaria. In quest’ultimo caso venderà la sua produzione agricola al mercato, ne ricaverà delle monete d’argento e d’oro, emesse dallo stato per agevolare gli scambi e la tassazione. Regolarmente ne verserà una parte, volente o nolente, in forma di tasse.

Ma per i nomadi la vita è completamente diversa. La loro civiltà non è basata sull’agricoltura ma sulla pastorizia. Per i nomadi la terra è importante, visto che sulla terra cresce l’erba che sfama le loro mandrie, ma sono gli animali il cuore della loro civiltà. Sono gli animali a produrre il cibo di cui hanno bisogno, per dei pastori sono gli animali la proprietà più importante e, dettaglio fondamentale, si tratta di una proprietà mobile.

Ricostruzione dell’equipaggiamento di un guerriero degli Unni

I nomadi non si spostano però a casaccio ma in percorsi circolari, tra pasture invernali ed estive, come si è fatto per secoli anche nel nostro paese, con il rito della transumanza. Il diritto di pascolo, ovvero la possibilità di pascolare gli armenti e i cavalli in determinate aree, è il vero diritto di proprietà della steppa e viene acquisito ogni volta con la forza: il gruppo più forte scaccia dai pascoli più pregiati il gruppo più debole. La guerra è una costante del mondo nomade, non solo tra i vari popoli della steppa ma al loro interno, per stabilire la gerarchia tra i gruppi più o meno affini che vivono uno di fianco all’altro. È una cultura molto competitiva, a volte brutale ma sicuramente meritocratica.

Tendenzialmente le culture nomadi a base pastorale della steppa euroasiatica erano delle confederazioni di gruppi tribali che si scomponevano e ricomponevano costantemente intorno a capi forti che salivano nella gerarchia in base alla loro forza e merito, non al semplice diritto di sangue. La guerra e la sua forma più basilare – la razzia – erano parte della vita di chiunque e tutta la tribù doveva essere impegnata nello sforzo bellico, non poteva esserci divisione tra soldati e civili come nelle civiltà sedentarie. I nomadi apprendevano a cavalcare dall’infanzia e ovviamente raggiungevano un livello di maestria a cavallo irraggiungibile per le popolazioni sedentarie. La loro arma principale era l’arco che utilizzavano a cavallo con devastante efficacia. Come ho detto altrove, introducendo gli Unni, fu probabilmente proprio l’arco a doppia curva asimmetrico a dare agli Unni il vantaggio iniziale che ne farà i Borg della tarda antichità: l’arco Unno aveva una potenza e una gittata ineguagliabile per un popolo che combatteva a cavallo, univa la forza di un’arma di impatto con la mobilità e la velocità di una cavalleria leggera. Dettaglio poi fondamentale, l’arco necessitava di una correzione nella mira a cavallo e in corsa, una abilità che si poteva acquisire solo maneggiandolo per decenni. Gli Unni avevano sviluppato in sostanza un’arma formidabile che i Romani non potevano utilizzare, a meno che loro stessi acquisissero le abilità di un nomade della steppa.

Area occupata dagli Xiong-nu o Hsiung-nu nel II secolo dopo cristo, prima della loro sconfitta per mano dei Cinesi e della migrazione di parte di loro verso ovest. Sono gli Unni?

Le culture nomadi erano anche culture povere e quindi con una minore differenziazione sociale rispetto alle grandi società sedentarie che vivevano ai bordi della steppa. I nomadi avevano un rapporto piuttosto complesso con le civiltà sedentarie: da un lato le usavano per commerciare, per scambiare i loro prodotti con le belle cose prodotte dagli uomini nelle loro grandi città di pietra. Più spesso però i nomadi avevano un atteggiamento conflittuale con i popoli sedentari: razziare le terre dei popoli che vivevano inchiodati sulla loro terra pareva un atteggiamento del tutto giustificato a popoli che guardavano dall’alto in basso l’incapacità degli agricoltori di spostarsi. I nomadi detestavano inoltre la tendenza che avevano le civiltà agricole di erigere barriere, steccati e confini: gli agricoltori, dal punto di vista dei pastori nomadi, prendevano i loro pascoli e li trasformavano in terre coltivate che da quel momento in poi chiamavano di loro proprietà esclusiva, negando ai nomadi la loro proprietà più importante: il diritto di pascolo.

L’arrivo dei Borg

Più volte le civiltà nomadi sono entrate in contatto con quelle sedentarie ma l’arrivo degli Unni sullo scenario europeo fu un evento di conseguenze geopolitiche colossali, superate solo dall’ultima grande ondata di popolazioni nomadi provenienti dalla steppa, i Mongoli.

Eppure non sappiamo perché gli Unni migrarono verso Ovest. Molti storici sostengono che gli Unni siano in realtà gli Xiongnu, una popolazione di probabile ceppo mongolo che viveva al confine della Cina, nella moderna Mongolia, e che fu sconfitta dalle armate Cinesi svanendo in una migrazione verso ovest. È una teoria affascinante e ci sono labili indizi per dire che sia possibile, come la somiglianza dei calderoni prodotti da entrambe le culture e il nome con una certa assonanza. Ma non abbiamo la prova certa e quasi due secoli separano la migrazione ad ovest degli Unni dall’abbandono della Mongolia degli Xiongnu. Le popolazioni nomadi non erano dei popoli o ancor peggio delle “nazioni” come siamo abituati a considerarle noi popoli stanziali: erano confederazioni che si separavano e coalizzavano rapidamente, spesso senza una chiara matrice etnica.

Più interessante ancora è comprendere perché gli Unni si affacciarono nel 370 sul mondo Romano: ho letto diversi studi sulla climatologia antica, un campo che si va estendendo ogni anno di più, a mano a mano che le evidenze si accumulano grazie agli studi dell’archeologia sperimentale e della paleoclimatologia. Abbiamo oggi ad esempio una idea piuttosto chiara di quello che accadde da un punto di vista climatico durante l’impero: sappiamo che ci fu un periodo di “optimum” del clima al cui interno ricade l’intero arco imperale classico Romano. Questo periodo di clima caldo e temperato va infatti dalle guerre puniche fino al 200 dopo cristo circa, quando le nubi della crisi iniziarono ad addensarsi sull’impero. Ne seguì un periodo di rapido deterioramento del clima, probabilmente innescato da grandi eruzioni o da uno spostamento dei grandi cicli metereologici nordatlantici: questo periodo corrisponde grossomodo alla crisi del terzo secolo, in particolar modo la sua fase più acuta. Il quarto secolo, di converso, è un periodo di riscaldamento delle temperature: a questo periodo di riscaldamento corrisponde la ripresa imperiale da Diocleziano fino ad Adrianopoli, è un periodo che dura fino a circa l’anno 400. Come si può notare le fasi dell’impero ricalcano in modo sospetto le fasi climatiche, suggerendo quanto meno una correlazione.  

Uno dei pochi oggetti che possiamo ricollegare certamente agli Unni: uno dei loro calderoni

Infatti nel quarto secolo, il primo che ho narrato in dettaglio, il clima migliorò, la produttività dei campi anche e con esso il ricavato delle tasse. È una spiegazione forse troppo semplice della storia romana, che sicuramente fu influenzata da tanti altri fattori, ma va detto che una società agricola preindustriale dipende dal clima in un rapporto a doppio filo.

Quello che fu un periodo positivo per le popolazioni sedentarie del bacino mediterraneo fu però un periodo di straordinaria siccità per la steppa, di nuovo documentato grazie a vari indizi raccolti in tutto il mondo eurasiatico e che puntano tutti nella stessa direzione: la siccità. Nel quarto secolo, in particolare dopo il 330, le popolazioni nomadi della steppa eurasiatica finirono sotto pressione, visto che le aree che utilizzavano da decenni nei loro cicli annuali di migrazione finirono in molti casi per non essere più adatte allo scopo. In condizioni simili gli agricoltori sarebbero semplicemente morti di fame ma i pastori nomadi avevano altre opzioni e i nomadi Unni decisero semplicemente di spostarsi, letteralmente, verso pascoli più verdi. I pascoli popolati dagli Alani e dai Goti.

La conquista dei Goti

Negli anni a cavallo del 370 gli Unni varcano il Volga e poi il Don, piombano sugli Alani e ne distruggono la forza militare. In accordanza con i loro costumi inglobano gli sconfitti nel loro gruppo, come schiavi o membri di seconda classe della tribù, chiedendo completa fedeltà. Così rafforzati si gettano sulle terre dei Goti, a differenza degli Alani un popolo di agricoltori, e schiacciano entrambi i loro regni. I Goti fuggono verso l’impero, almeno quelli che possono. Quelli che riusciranno a fuggire combatteranno pochi anni dopo ad Adrianopoli.

La spiegazione climatica è solo una delle possibili: alcuni autori – come Peter Heather – sostengono che gli Unni erano probabilmente spinti da altre popolazioni ad oriente. Altri hanno sottolineato che questi volessero forse avvicinarsi alle ricche popolazioni sedentarie del mondo mediterraneo. Eppure la prima spiegazione può comunque essere una conseguenza del cambiamento climatico e la seconda mi sembra improbabile, visto che gli Unni non avevano con tutta probabilità alcuna idea della geografia del mondo mediterraneo quando iniziarono la loro grande migrazione ad ovest. La storia è spesso mossa da cose gli uomini non possono controllare, come il clima e i germi, e mi pare che fu questo il caso.

In seguito alla caduta del regno dei Greutungi e dei Tervingi, tutte le fertili terre tra il Volga e il Danubio divennero dei pascoli per la grande confederazione tribale degli Unni. I nuovi padroni del mondo transdanubiano misero immediatamente al loro servizio quella parte del popolo Gotico che non fuggì verso la Romania, la terra dei Romani. I Goti erano molto più avanzati degli Unni, tecnologicamente e culturalmente, ed erano con tutta probabilità anche molti più numerosi degli Unni stessi, come vedremo. Ogni tanto alcuni di loro, anche intere popolazioni, cercarono di sfuggire al giogo dei Borg e per gli Unni divenne una priorità fondamentale quella di mantenere legati a sé la leadership dei popoli sconfitti, punendo in modo feroce quello che loro consideravano un tradimento.

Il primo Re

La cosa interessante è che inizialmente gli Unni non pare avessero un solo leader o Re a farne da guida, tutte le fonti contemporanee concordano nel dire che gli Unni fossero una confederazione di piccoli capi che riuscivano in qualche modo ad agire all’unisono. Sembra improbabile, ma non è impossibile: quel che è certo è che a lungo andare gli Unni iniziarono a fare evolvere la loro struttura politica, indubbiamente influenzati sia dai Romani ai loro confini che dai Germani che avevano conquistato. Il primo capo con una certa influenza è l’Uldin che ho nominato spesso e che doveva controllare in particolare gli Unni che vivevano più da presso ai Romani, in quella che oggi è la Romania. Uldin ricorda da presso la figura del Goto Athanaric, come lui cercò di introdursi nella politica imperiale: quando nel 400 il Goto Gainas fuggì a nord del Danubio dopo essere stato scacciato da Costantinopoli Uldin lo fece uccidere e presentò la sua testa ai Romani, con l’obiettivo di ingraziarseli e stabilire regolari rapporti diplomatici e commerciali. A tal fine Uldin prestò anche aiuto ai Romani per combattere i Goti di Radogast, che invasero l’Italia nel 405. I Goti di Radogast erano probabilmente fuggitivi del nascente impero Unno ed era interesse di Uldin che fossero puniti, cosa che puntualmente avvenne nella battaglia di Fiesole, a opera di Stilicone.

Nel 408 però Uldin fece il passo più lungo della gamba: invase l’impero d’oriente alla morte dell’imbelle Arcadio, giudicando l’impero debole perché l’imperatore era un infante, il giovane Teodosio II. Questo era un tipico modo di pensare nomade: per la mentalità Unnica l’imperatore avrebbe dovuto essere il più forte guerriero dei Romani, e quanto di meglio questi potevano produrre era un ragazzino? I Romani dovevano essere decisamente deboli per affidarsi ad un poppante. Uldin invase l’impero e mise sotto assedio la città di Castra Martis, in Moesia, proprio mentre l’impero d’occidente cadeva nella terribile crisi seguente all’invasione del Reno e alla caduta di Stilicone.

Ma i Romani avevano un comandante tutto di un pezzo: il prefetto del pretorio Antemio portò l’esercito di Costantinopoli a Castra Martis e riuscì a convincere un buon numero dei seguaci di Uldin a defezionare per i Romani, costringendo infine quest’ultimo a tornarsene con la coda tra le gambe a nord del Danubio. Dopo questo evento non abbiamo più notizia di Uldin ma dubito che sia sopravvissuto a lungo nel competitivo mondo politico Unno dopo questa ignominia. La sua breve invasione non ebbe nessun effetto diretto sull’impero d’oriente ma impedì a Costantinopoli di soccorrere Ravenna per alcuni cruciali mesi a cavallo del 408 e 409, proprio mentre l’occidente piombava nel buio della crisi. Come vedremo il danno degli Unni ai due imperi romani fu di solito indiretto, come in questo caso.

Gli Unni trovano una nuova casa

Il cuore dell’Impero degli Unni: la grande pianura pannonica (oggi detta ungherese).

Non sappiamo molto di quello che accadde negli anni seguenti oltre Danubio: un nostro vecchio amico, lo storico Olimpiodoro a cui dobbiamo il grosso della narrazione del sacco di Roma, visitò un loro Re nel 411-412, un certo Charaton, ma a parte qualche dettaglio sul viaggio non sappiamo null’altro. È una vera sfortuna perché in questo periodo avvenne probabilmente la seconda grande migrazione degli Unni: il cuore della confederazione era stato infatti nelle steppe Ucraine, questo almeno fino al 400, visto che è dall’Ucraina che gli Unni razziarono il Caucaso e poi la Persia e la Siria in un terrificante raid nel 395-396. Olimpiodoro, per visitare Charaton, si diresse però verso il bacino della Pannonia, dove oggi è la moderna Ungheria. Questo sottintende che in un periodo tra il 395 e il 411 gli Unni migrarono di nuovo verso Ovest: non si trattò, con tutta probabilità, di un unico movimento migratorio, ma di progressive razzie e poi stanziamenti di gruppi di Unni al comando, questa volta, di una ristretta cerchia di nobili, forse persino di un unico Re, come il già citato Charaton.

La migrazione nel bacino pannonico degli Unni non credo sia dovuta in questo caso a mutamenti climatici, credo si spieghi soprattutto con la ricchezza, dal punto di vista della civiltà nomade, di queste terre: il grande bacino pannonico, circondato dai Carpazi, dai monti della Slovacchia e dalle Alpi dinariche, è una vasta pianura dove cresce ottima erba, perfetta per la civiltà nomade Unnica e che altre popolazioni nomadi in futuro troveranno congeniale, come gli Avari e infine i Magiari, i moderni Ungheresi.

L’altra ragione per la quale la Pannonia era congeniale agli Unni era di natura politica: data la vicinanza del bacino pannonico con entrambi gli imperi Romani permetteva agli Unni di essere o assoldati da questi come mercenari o, più ominosamente, di minacciare i due imperi, facendosi pagare dei tributi per non lanciare razzie contro gli agricoltori stanziali che erano anche i contributori paganti dell’Impero Romano. Gli Unni, in sostanza, avrebbero potuto o razziare gli imbelli agricoltori o farsi pagare per il privilegio di far nulla, che è ancora meglio.

Un gioco di biliardo

Da quanto vi ho detto sulla differenza tra civiltà agricola e nomade pastorale dovreste ora capire perché l’arrivo degli Unni in Europa centrale fu talmente devastante: i popoli germanici che dominavano la regione erano agricoltori sedentari, anche se certamente di una natura più bellicosa della civiltà romana. I nomadi Unni erano invece dediti alla pastorizia: l’obiettivo degli Unni era di liberare quante più terre possibile per il pascolo delle loro mandrie, razziando, uccidendo e schiavizzando chiunque gli si opponesse. Il loro obiettivo, anche se non perseguito in maniera sistematica, era di ritrasformare il bacino pannonico in un mare d’erba non coltivato, come avevano fatto per la steppa ucraina, sconfiggendo i Goti.

Lo spostamento degli Unni nel bacino pannonico causò quindi un enorme sommovimento di popoli: chiunque poté fuggire, fuggì, in particolare le classi dominanti germaniche che più avevano da perdere dalla sottomissione agli Unni. I nobili guerrieri dei Vandali, degli Alani, dei Burgundi e degli Svevi finirono per abbandonare le loro dimore ancestrali nell’Europa centrale e nel 406, in una fredda notte di Capodanno, invasero l’Impero Romano, causando il disastro che porterà alla morte di Stilicone e al sacco di Roma. Di nuovo, gli Unni causarono un danno indiretto allo stato romano e certamente non voluto.

Quelli tra i Germani che rimasero – una parte dei Vandali, i Longobardi, i Rugi, gli Sciri, i Gepidi solo per nominarne alcuni – bene tutti questi popoli furono assoggettati dagli Unni e uniti alla collezione di popoli che già dipendevano dalla confederazione nomade. Una parte delle loro terre furono requisite per il pascolo, il resto fu lasciato da coltivare ai Germani ma per conto dei loro nuovi padroni, ai quali avrebbero dovuto versare un tributo in natura. In più gli Unni pretesero ai germani conquistati di combattere per loro conto. Fu la conquista dei Germani dell’Europa centrale a permettere il grande salto di qualità che portò gli Unni a diventare la superpotenza del mondo tardo antico.

Ocmar e Rua

Gli anni 20’ e 30’ del 400 sono dominati da una ulteriore evoluzione politica degli Unni: a capo della grande confederazione ci sono oramai solo due Re fratelli, Ocmar e Rua, o Rugila. Con tutta probabilità uno dei due era a capo degli Unni di Pannonia e l’altro degli Unni rimasti in Ucraina. Con il tempo uno dei due, Ocmar, morì – dubito di morte naturale – e Rua governò gli Unni da solo, il primo vero grande sovrano della confederazione unnica. Non sappiamo come avvenne questa evoluzione ma è facile intuire il perché: come gli altri barbari gli Unni iniziarono a nominare capi supremi una volta a diretto contatto con Roma, l’impero era un vicino troppo ingombrante per negoziarci divisi, permettendo ai romani di praticare il loro vecchio gioco di divide et impera.

I re degli Unni negoziarono duramente e con abilità con l’impero e divennero rapidamente adepti nelle sottigliezze della diplomazia con i Romani: dall’impero d’oriente ottennero un tributo di 350 libbre d’oro all’anno in cambio del loro impegno a non razziare le terre di Costantinopoli: un bel ritorno per non fare assolutamente nulla, soprattutto per una confederazione di nomadi un tempo poveri. Dal punto di vista dei Romani non era però un impegno così gravoso: sicuramente tributi e regali erano stati inviati oltreconfine, come da ancestrale pratica romana, e ora queste sovvenzioni erano state girate ai nuovi padroni del bacino pannonico.  

Con i Romani occidentali il rapporto fu perfino più stretto: questo è il periodo in cui Ezio strinse un’alleanza di ferro con la leadership Unna di Rua. Grazie agli Unni Ezio poté ottenere la sua posizione di capo indiscusso dell’occidente nel 433, Rua inoltre portò sostegno ad Ezio nelle sue guerre in Gallia e altrove, ricevendo in cambio l’amicizia e i doni dell’Impero d’Occidente, tra le quali c’erano le ex province della Pannonia Romana. Rua sapeva di potersi fidare di Ezio, ed Ezio di Rua.

L’Impero degli Unni

Ma poi Rua morì, e a succedergli furono due giovani della sua stirpe, figli del fratello minore di Rua, Mundzuk: si trattava di Bleda e Attila. Eppure prima di parlare delle avventure di Attila, un nome che riecheggia di grandezza e terrore perfino a quasi sedici secoli di distanza, cerchiamo di capire un po’ meglio come si strutturò negli anni l’impero degli Unni unificato da Rua.

Va detto innanzitutto che il nostro storico e fonte principale per questo periodo è Prisco di Panum, uno storico sicuramente di ottimo livello ma il cui lavoro è ahimè andato quasi del tutto irrimediabilmente perduto. Eppure non completamente: anche l’opera di Prisco è sopravvissuta in parte, in modo rocambolesco. Un imperatore bizantino del IX secolo – Costantino VII Porphirogennitos – aveva molto tempo libero a sua disposizione, visto che a comandare davvero era il suo generale Romanos Lekapinos. Si diede quindi alla ricerca letteraria e partorì l’idea di raccogliere in dei volumi tematici parte dell’immensa sapienza degli antichi che ancora si conservava a Costantinopoli, forse l’ultimo luogo al mondo. L’unico libro ad esserci pervenuto nella sua interezza è quello relativo alle ambasciate e molte di queste, una in particolare, erano di interesse per il nostro storico Prisco. Così alcune pagine della sua storia sono state conservate. Questa è l’unica fonte primaria di buon livello che abbiamo sul periodo di Attila.

La relazione tra Unni e i popoli dominati è esemplificata da un frammento in cui Prisco narra che i Romani, di fronte ad un esercito misto Gotico-Unno, apostrofarono i Goti, ricordandogli che “Gli Unni non hanno alcun rispetto per l’agricoltura e come lupi attaccano e rubano le scorte alimentari dei Goti, con il risultato che questi ultimi rimangono nella posizione di schiavi e devono soffrire per la carenza di cibo”. Questo quadro fosco non sarebbe completo se non inserissimo però la nozione che gli Unni non dominarono mai direttamente i popoli conquistati, soprattutto perché non ne avevano le capacità o la burocrazia necessaria. Si affidarono quindi ai nobili dei singoli popoli, limitandosi a promuovere quelli tra di loro che sembravano più affabili alla dominazione Unna. Ad esempio, tra i Goti che rimasero sotto il gioco unnico, si affermò la famiglia degli Amali, uno dei Re più importanti tra i Goti era Theodemir, il padre di Teoderico il grande, futuro capo degli Ostrogoti e re d’Italia. Oppure tra gli Sciri abbiamo un capo di nome Edeko, il probabile padre di Odoaker, l’Odoacre che sarà il primo Re d’Italia e colui che porrà formalmente fine all’impero d’occidente. Gli Unni avevano anche dei sudditi Romani, tra di loro gli Unni promossero un certo Oreste, che divenne segretario e ambasciatore di Attila. Oreste deporrà un giorno l’imperatore Giulio Nepote e installerà sul trono imperiale il suo figlioletto Romolo, detto Augustolo, che sarà l’ultimo imperatore dell’occidente. Insomma, alla corte di Attila c’era tutto il cast di attori protagonista dei seguenti 50 anni e oltre.

Ogni tanto i capi dei popoli sottomessi provavano a scuotersi di dosso il giogo: le opzioni erano due, o fuggire nell’Impero, chiedendo asilo, o provare a ribellarsi. Sul finire del regno di Rua, quando questi era al vertice della sua potenza, alcuni popoli minori dell’impero degli Unni provarono a passare dalla parte dei Romani: Rua minacciò guerra a Costantinopoli a meno che i romani rifiutassero ogni aiuto ai suoi riottosi sudditi. Chiese inoltre che gli fossero restituiti tutti i capi barbari che erano scappati in Romania, con l’obiettivo di fargli fare una fine orribile. Questo è un punto importante che vedremo spesso negli accordi tra Romani e Unni: per questi ultimi era fondamentale di far vedere che non c’era scampo al loro regime, chiunque fosse scappato sarebbe stato prima o poi restituito in catene da quegli imbelli dei Romani. La morte dei fuggiaschi traditori sarebbe stata un monito a tutti gli altri: non si fugge dagli Unni.

L’impero degli Unni non aveva una lingua sola, Prisco riferisce che venivano utilizzate in modo intercambiabile la lingua madre degli Unni, il Goto e perfino il Latino, che era probabilmente penetrato da tempo come lingua franca tra i Germani e che era parlata dai sudditi romani dell’impero. Curiosamente, non sembra che fosse utilizzato il Greco ma va ricordato che tutte le province balcaniche confinanti con il regno degli Unni – l’Illiria, la Pannonia, la Moesia e la Tracia – erano in prevalenza latinofone. In questa torre di babele sembra che la lingua più utilizzata fosse il Goto, cosa che la dice lunga sulla quantità di sudditi gotici che avevano raccolto gli Unni. Persino il nome Attila è gotico: vuol dire piccolo padre, cosa che ha fatto sospettare molti storici che fosse inizialmente un appellativo donato al grande Re dai suoi sudditi gotici.

Per quanto riguarda la lingua degli Unni non vi stupirà sapere che non sappiamo praticamente nulla a riguardo: i linguisti si scontrano da secoli per decidere la sua origine, la tesi più probabile è che fosse una lingua altaica, imparentata con l’antica lingua dei Bulgari e con le lingue di ceppo turco. Ma abbiamo solo tre parole identificate con certezza come unniche e abbondano altre teorie, come quella che si trattasse in realtà di una lingua indo-europea di ceppo iranico. L’identità della lingua è legata all’identità etnica degli Unni, che come ho detto è altrettanto controversa e indeterminata.

Le antiche descrizioni degli Unni sono uniformi nel sottolineare il loro strano aspetto da una prospettiva romana: Ammiano sostiene che tagliassero le guance ai bambini appena nati, in modo che non gli crescesse la barba. Dall’archeologia e da altre descrizioni sappiamo che praticavano una fasciatura della testa fin dall’infanzia, in modo da deformare il cranio e renderlo oblungo. Jordanes descrivendone l’aspetto, dice che gli Unni erano corti di statura e avevano la pelle abbronzata, caratteristiche che richiamano quelle dei popoli dell’Asia orientale, come i moderni Mongoli. Eppure dobbiamo considerare che non si trattava di un popolo etnicamente omogeneo, visto che nei decenni e nei secoli trascorsi nella steppa erano diventati Unni anche molti membri delle tribù via via conquistate dal moloch Unno. Anche nei decenni trascorsi in Europa gli Unni divennero progressivamente più “caucasici”, con diversi germani – soprattutto Goti – che si unirono agli Unni, adottandone le abitudini, lo stile di vita nomade, l’abbigliamento e diverse pratiche mentre gli Unni venivano influenzati dai loro sudditi germanici: è questa compenetrazione dei costumi degli uni con gli altri la ragione per la quale è quasi impossibile identificare nei resti archeologici quanto sia chiaramente unno e quanto sia decisamente germanico.

Crani in stile “danubiano”, ovvero deformati attraverso la fasciatura del cranio dei neonati.

I principali mezzi con i quali i re Unnici legavano a sé i loro sottoposti erano due: interminabili banchetti, nei quali si rinsaldava costantemente il legame tra il Re e i suoi maggiorenti unnici o germanici, e la condivisione del bottino di guerra. Il bottino era di due tipi: quello che gli Unni avevano ottenuto nelle loro razzie e guerre contro gli imperi vicini e, via via più importante con il tempo, i tributi che gli imperi versavano agli Unni.

Il tributo raggiunse, al sommo della potenza unnica, un ammontare di tale imponenza che le tombe pannoniche scavate in questo periodo hanno donato agli archeologi una quantità di oro assolutamente fuori proporzione con i periodi precedenti e seguenti. Ma cerchiamo di capire da dove venisse tutto questo oro.

Costantinopoli compra la pace…

Nel 440, un anno dopo la presa di Cartagine da parte dei Vandali, una ambasciata fu inviata dai Romani ai nuovi sovrani degli Unni, Bleda e Attila. La corte e il senato di Costantinopoli volevano assicurarsi che gli Unni rimanessero sul loro lato della frontiera, visto che una buona parte dei soldati di guarnigione nei Balcani sarebbe stata inviata in Nordafrica per annichilire Genseric e i suoi. L’ambasciata, al cui comando c’era Plinta, il suocero di Aspar, ci è stata ovviamente riferita da Prisco. I Romani giunsero sul Danubio, nei pressi della città di Margus in Moesia. Sull’altro lato avevano eretto le loro tende gli Unni. I due Re fratelli si fecero trovare nel luogo convenuto a cavallo: qualunque cosa importante, per gli Unni, andava fatta a cavallo, secondo l’etichetta della steppa. Per non essere da meno e non essere costretti a negoziare dal basso verso l’alto, I Romani fecero portare dei cavalli e su quel campo fu stretto un nuovo accordo, molto favorevole agli Unni. I Romani incrementarono le sovvenzioni ai loro vicini nomai, raddoppiandole da 350 libbre d’oro a 700; inoltre i Romani si impegnarono a riconsegnare chi era scappato dall’impero unnico, compresi due ragazzini di stirpe reale che erano scappati per motivi imprecisati a Bleda e Attila e che furono crocifissi.

…e ottiene la guerra

I Romani pensarono di essersi protetti il fianco danubiano grazie a questo accordo umiliante e costoso per le casse di Costantinopoli. Le necessità della guerra in Nordafrica richiedevano questa umiliazione, ma sicuramente per Costantinopoli di trattava solo di una condizione temporanea. Una volta messo al suo posto Genseric, Costantinopoli sarebbe probabilmente tornata sui propri passi. Ma Costantinopoli aveva fatto male i suoi conti. Attila e Bleda non erano Rua: avevano capito che Costantinopoli era debole in questo momento e che i Romani, con opportune pressioni, potevano essere piegati al loro volere. Quando le loro spie riferirono che i Romani avevano ritirato buona parte delle guarnigioni danubiane, per la loro guerra all’altro capo del mondo, i due fratelli innalzarono il vessillo di guerra e invasero la Romania.

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