Episodio 85: Vigilio, l’ultimo papa dell’antichità

Questa è una puntata speciale: invece di seguire la storia di un periodo, o di un evento definito, seguiremo la storia di un uomo: è la mia prima puntata biografica.

La cosa interessante è che non si tratta di un gigante della storia: al fianco di Giustiniano, Belisario, Totila e Narsete, Vigilio può sembrare una figura minore. Eppure molta della storia appena narrata – quella della guerra d’Italia, passa attraverso la sua storia. Vedendo questi ultimi decenni con i suoi occhi potremo comprendere da un altro punto di vista quello che è accaduto negli ultimi decenni ma vedremo all’opera anche un passaggio fondamentale. Il Papato era un’istituzione romana e imperiale che aveva acquisito nei secoli sempre più importanza, fino a reclamare con Gelasio e Hormisdas suprema autorità spirituale su tutti i vescovi dell’Impero Romano e della cristianità. Questa è la storia di come il Papato imperiale del tempo di Teodorico fu domato e asservito da colui che si professava come il suo più grande difensore: Giustiniano.

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Inizialmente, voglio ripercorrere con voi alcuni passaggi che abbiamo già visto nel podcast ma che qui potranno riannodare i fili sparsi nella narrazione. Vigilio nacque a Roma, da una famiglia estremamente benestante e aristocratica. Il padre era un senatore, forse un console onorario. Sappiamo dal Liber Pontificalis che il fratello di Vigilio, Reparato, era un senatore importante che fu tra gli ostaggi presi e inviati a Ravenna da Witigis prima dell’assedio di Roma. Procopio narra che fu uno degli pochi ostaggi che riuscì a fuggire alla vendetta di Witigis, che ordinò di massacrarli tutti.

La potente famiglia di Vigilio, dopo aver affidato un figlio alla politica del regno d’Italia, decise di dividere le puntate su più tavoli, scegliendo per il secondo figlio una carriera ecclesiastica. Vigilio entrò nella gerarchia della chiesa romana e nel 531 – ai tempi di Amalasunta – fu ordinato diacono da papa Bonifacio II. Nell’Italia ostrogota, infatti, una potente famiglia senatoriale aveva due modi per essere influente: scalare la gerarchia burocratica del regno o quella della Chiesa. Il 531 è anche l’anno in cui papa Bonifacio convocò un sinodo, presentando al clero la sua constitutio, che ribadiva l’autorità del Papa di nominare il proprio successore.  Come ho già detto, il prescelto fu proprio Vigilio! Davvero un’ottima prospettiva di carriera… almeno fino a quando Bonifacio non fu costretto a letteralmente bruciare il suo decreto, a causa dell’opposizione del clero romano, oltre che di Amalasunta. Un brutto colpo per il nostro ambizioso Vigilio, che restò quindi un semplice diacono. In questi tempi la chiesa romana non aveva cardinali ma appunto sette diaconi tra i quali normalmente veniva scelto il futuro Papa.

Vigilio tornò in pole position per la successione quando il successore di Bonifacio II, Agapito, gli conferì il ruolo più importante di tutti: quello di Apocrisiarius, l’ambasciatore del Papa a Costantinopoli. Qui Vigilio fu coinvolto nelle trattative per convincere Giustiniano a non invadere l’Italia, tra il 534 e il 535. Fu durante questa missione che Vigilio fece conoscenza con l’imperatrice Teodora che comprese come quest’uomo fosse moralmente duttile: come detto in altri podcast, la coppia imperiale cercava un modo di riconciliare Monofisiti e Calcedoniani, se non ricordate di cosa si tratta vi rimando all’episodio 36 sulle nature di cristo, che effettivamente consiglio per meglio seguire la narrazione che seguirà. Cerco di riassumere in poche parole la questione.

Vigilio il raccomandato

I monofisiti, o meglio la posizione meno radicale dei miafisiti, credevano che Gesù fosse perfettamente divino e perfettamente umano, ma in una sola natura indivisibile. Dall’altro lato del ring c’era la scuola di Antiochia – che aveva generato il Nestorianesimo – che credeva in due nature separate, divina e umana, di Cristo: i Nestoriani erano stati sconfitti al concilio di Efeso del 431 ed esiliati sostanzialmente in Persia. Venti anni dopo, al concilio di Calcedonia del 451, aveva però trionfato la posizione intermedia di Papa Leone Magno, che nel suo Tomo aveva sostenuto che il Cristo era riconosciuto in due nature, senza confusione, senza cambiamento, senza divisione, senza una separazione. Due nature, distinte ma non divise tra loro a formare un unicum, allo stesso tempo divino e umano. I Monofisiti ritenevano questa teologia una sorta di Nestorianesimo mascherato e da ottant’anni oramai cercavano di cambiare la posizione della chiesa imperiale: perché, nonostante tutto, non c’era ancora stato un divorzio formale tra Monofisiti e Calcedoniani, entrambi ritenevano di rappresentare la vera e corretta posizione della chiesa imperiale ortodossa, rifacendosi in particolare al vescovo di Alessandria ai tempi del concilio di Efeso, Cirillo: forse ricorderete che si trattava di un vero bullo: sotto di lui, Alessandria e la sua scuola teologica avevano dominato incontrastata su tutto il mondo cristiano.

La cosiddetta “Pentarchia”, o i cinque patriarcati della chiesa imperiale romana: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme.

Però per la chiesa occidentale – sia il clero romano che le altre diocesi occidentali – Calcedonia era diventata oramai un architrave indispensabile della loro fede: un po’ era una questione di ego. Prima di Calcedonia la chiesa occidentale aveva sempre avuto un ruolo molto limitato nelle controversie teologiche, che si erano svolte tutte in oriente e tutte in greco. A Calcedonia invece aveva trionfato Papa Leone, lo stesso Papa che per la vulgata avrebbe affrontato Attila, un vero eroe per tutti i calcedoniani. Certamente era anche una questione di fede ma, in nuce, si vede anche una certa tendenza ad utilizzare Calcedonia come un elemento fondante dell’identità cristiana e latina dell’occidente, contrapposta alle oscillazioni continue dell’oriente.

Ma torniamo a Vigilio e Teodora. Non sappiamo perché l’imperatrice apprezzasse Vigilio, ma possiamo supporre che l’Apocrisarius non condividesse il fervore di Agapito nello sradicare i monofisiti nella Chiesa orientale. Agapito, infatti, si era recato per conto di Teodato a Costantinopoli ma qui aveva deposto il patriarca di Nuova Roma, accusandolo di Monofisismo: il fatto era che era questo Patriarca era stato messo in quella posizione dalla coppia imperiale, e proprio con il compito di trovare un modo per sanare la spaccatura tra calcedoniani e monofisiti. Teodora deve aver percepito che Vigilio sarebbe stato un Papa molto più, come dire? duttile. Teodora – e per estensione credo anche Giustiniano – si convinsero dunque a sostenere Vigilio nella successione ad Agapito. Questi ahimè ebbe un brutto incidente con una improvvisa malattia e puff, morì su due piedi. Sono cose che capitano.

Agapito morì a Marzo del 536, alla vigilia dell’invasione dell’Italia da parte di Belisario, che in quel momento era in Sicilia. Con la Sede Apostolica romana vacante, la coppia imperiale chiese a Vigilio di impegnarsi a ristabilire il patriarca di Costantinopoli, Antimo, così come molti altri vescovi monofisiti. In cambio, avrebbero usato l’influenza imperiale per renderlo Papa, oltre a consegnargli 700 libbre d’oro per oliare il processo. Messosi in cammino per Roma, Vigilio giunse però troppo tardi: Teodato aveva già manovrato per fare Papa un prete a lui vicino, Silverio. Questo, almeno, prima di essere sgozzato dai Goti e sostituito da Witigis. Silverio, privo di sponsor e in una posizione precaria, provò quindi ad ingraziarsi l’Impero, attivandosi per consegnare Roma a Belisario, e questo senza spargimento di sangue: era il 9 Dicembre del 536.

Vigilio l’assassino

Alcune fonti sostengono che Belisario aveva però ricevuto chiare istruzioni da Teodora, contenenti cosa fare dell’ultimo Papa nominato da un Re goto. Comunque sia, nel Febbraio del 537 la città era sotto assedio da parte di Witigis. Un mese dopo, nel marzo del 537, Belisario ricevette una lettera nella quale Silverio negoziava con Witigis la riconsegna della città al Re. Non è dato sapere se siamo di fronte ad una reale congiura del partito filo-gotico dentro la città, o se questo fosse un piano preordinato di Belisario che metteva in pratica le istruzioni imperiali, o se si trattasse di una congiura di Vigilio. Sta di fatto che Silverio fu arrestato, spogliato dei suoi paramenti ecclesiastici, costretto in abiti da monaco ed esiliato.

L’imperatrice Teodora nel mosaico di San Vitale, a Ravenna

Perfino nel Liber Pontificalis il ruolo di Vigilio in questa faccenda è tutt’altro che lusinghiero: ricordo che il Liber è la biografia ufficiale dei Papi e fu probabilmente composto nella sua prima parte dopo la riconquista di Roma da parte degli imperiali: ci sarebbe da aspettarsi un trattamento di riguardo con il Papa che depose il suo predecessore “gotico”. Invece, nel testo, Vigilio va da Silverio per convincerlo ad accettare i comandi dell’Imperatrice, ma, al suo rifiuto, va a dire a Belisario che Silverio stava complottando con Witigis. Cito direttamente dal Liber: “Vigilio fece prendere Silverio e lo mandò in esilio […] nutrendolo con il pane della tribolazione e l’acqua dell’amarezza”.

Il resoconto più dettagliato di questa vicenda è nel Breviarium di Liberato di Cartagine. Liberato considera Vigilio come un ambizioso complottista, un uomo avido e un assassino. Secondo Liberato Vigilio venne a Roma con l’esplicito scopo di diventare Papa. Nessuno delle fonti contemporanee, di nessun partito politico, dipinge un quadro lusinghiero di Vigilio e nessuna fonte sostiene che fosse innocente.

Vigilio Il bugiardo

Vigilio fu consacrato Papa il 29 marzo del 537, mentre Roma era ancora sotto assedio, ma non fu accettato dal clero di Roma come papa legittimo fino a dopo la notizia della morte di papa Silverio, che fu maltrattato e affamato a Palmarola, quasi certamente su ordine di Vigilio, dove morì di stenti il 2 Dicembre del 537. Il primo Papa assassinato da un altro Papa.

Ora che era il successore di Pietro, Vigilio decise però di non rispettare la promessa fatta a Giustiniano e Teodora: il fatto era che il clero romano era fortemente anti-monofisita e Vigilio ci teneva a vivere e a restare il loro vescovo. Forse gli sembrò meno rischioso di inimicarsi due potenti e lontani sovrani piuttosto che i vertici dell’organizzazione a cui era a capo. Se avete capito anche solo qualcosa di Giustiniano, vi renderete conto del suo errore.

La priorità di Giustiniano, Teodora e della parte moderata tra i Calcedoniani e i Monofisiti era di sanare lo scisma che rischiava di spaccare la chiesa imperiale. Come sempre, le questioni teologiche si mescolavano ad altre di natura politica e istituzionale: per Giustiniano era una questione anche di ordine pubblico, visto che le regioni più monofisite erano quelle più lontane da Costantinopoli: la Siria e l’Egitto. Lo scisma rischiava di indebolire la fedeltà di queste regioni all’Impero, che poi è esattamente quello che accadde. Solo un accordo con i Monofisiti poteva evitare tutto questo.

Per sanare la spaccatura, Giustiniano utilizzava un curioso mix di bastone e carota: il bastone fu la continua persecuzione dei vescovi anti-calcedoniani: il loro leader, il patriarca di Alessandria Teodoro, fu esiliato a Costantinopoli dove però visse come ospite della coppia imperiale: la carota infatti, rappresentata figurativamente dall’apparente posizione di Teodora, era la promessa imperiale di restaurare i vescovi nelle loro posizioni di potere e autorità appena la controversia fosse stata risolta. A tal fine, i vescovi ribelli non furono espulsi o uccisi, una porta fu sempre lasciata socchiusa per il loro ritorno nell’ovile. Più volte Giustiniano consultò i monofisiti per sapere quali aspetti del concilio di Calcedonia – se chiariti – avrebbero potuto ammorbidire la loro posizione. Giustiniano cercava di far quadrare un cerchio: come per qualunque altra impresa, non concepì che potesse fallire nell’intento.

Concilio ecumenico

l’Imperatore, per raggiungere il suo scopo, aveva bisogno che il papato sottoscrivesse il compromesso che fosse riuscito a raggiungere con i monofisiti: era una questione di legittimità teologica, tutti i principali patriarcati dovevano essere d’accordo, senza contare che il timbro papale era indispensabile per far digerire l’accordo agli altri vescovi occidentali. Ma era anche una questione personale per Giustiniano che, da bravo figlio dei Balcani latinofoni, era convinto dell’importanza fondamentale della santa sede e del successore di San Pietro. Giustiniano però, come tutti gli imperatori romani, si riteneva comunque la massima autorità religiosa dell’Impero Romano, il rappresentante di Dio in terra, investito da Dio dell’autorità per legiferare e decidere della vita dei suoi sudditi, in materia di diritto civile come di teologia, che poi era la sua vera passione. Insomma, tra la chiesa romana – convinta di essere a capo della Chiesa imperiale – e l’Imperatore dei Romani –  deciso a imporre il suo volere sulla chiesa – era pronto il campo di battaglia. Ci poteva essere solo un vincitore.

Il conflitto fu aperto dalla risposta di Vigilio alla petizione di Teodora, che chiedeva di reinstallare sul trono di Patriarca di Costantinopoli il suo protégé Antemio, come promesso. Nel Liber Pontificalis c’è la risposta di Vigilio. leggiamo: “Ho parlato prima del tempo in modo errato e sciocco; ora mi rifiuto di reinstallare un uomo che è un eretico e sottoposto ad anatema. Sebbene io sia un suo indegno erede, sono pur sempre il vicario del beato Pietro l’apostolo, così come i miei predecessori, i santissimi Agapito e Silverio, i quali hanno entrambi condannato Antemio”.

Vigilio ribadì la sua posizione in due lettere che inviò nel 540, l’anno della caduta di Ravenna e di Witigis: una era diretta a Mena, vescovo di Costantinopoli, e una all’imperatore. Entrambe le lettere difendono a spada tratta il concilio di Calcedonia, rifiutando qualsiasi compromesso con il monofisismo. Potete immaginare la furia di Giustiniano, che però in questo momento aveva le mani legate. I primi anni 40’, come abbiamo visto, furono un vero disastro per l’imperatore: Khosrau invase la Siria, poi arrivò la peste, poi vennero le vittorie di Totila, le invasioni dei Balcani e la rivolta dell’Africa. In questo quadro, anche un appassionato teologo come Giustiniano decise che questo irritante vescovo avrebbe dovuto attendere: ma Giustiniano non dimenticò mai il tradimento di Vigilio, o la disputa sulle nature di Cristo.  

Infine nel 544, dopo diversi contatti con il partito monofisita, Giustiniano arrivò a concepire un piano: calcedoniani e monofisiti avevano delle divergenze, certo, ma entrambi detestavano Nestorio e la sua teologia delle due nature di Cristo completamente distinte tra loro. I Monofisiti sostenevano che nel concilio di Calcedonia erano stati dichiarati ortodossi diversi teologi che erano in realtà – orrore degli orrori! – nestoriani. Giustiniano si convinse che potesse essere questa la chiave per risolvere il problema: condannare gli antiocheni avrebbe dimostrato ai monofisiti che il concilio di Calcedonia poteva essere accettato, perché purgato da qualunque influenza nestoriana. Citando Patrick Gray nel suo “the legacy of Chalcedon”: “per raggiungere questo risultato, Giustiniano avrebbe indetto un concilio ecumenico della Chiesa, un Papa sarebbe stato umiliato e condannato, la storia sarebbe stata riscritta e si sarebbero poste le basi per l’odio che l’Occidente moderno avrebbe avuto per Giustiniano e il suo Cesaropapismo”.

Con l’aiuto dei suoi consiglieri, Giustiniano identificò tre teologi, tutti morti, che nei loro scritti avevano in qualche modo professato o sostenuto una cristologia a due nature. Questi tre teologi sarebbero diventati noti come i “Tre Capitoli” e questa controversia, che spaccherà la chiesa occidentale per decenni, è nota appunto come la scisma tricapitolino. I tre teologi, all’anagrafe, facevano Teodoro, vescovo di Mopsuestia, Teodoreto, vescovo di Ciro e Iba, vescovo di Edessa. Quest’ultimo fu condannato soprattutto per una lettera in forte odore di nestorianesimo, nella quale condannava come eretico il grande padrino dell’ortodossia, Cirillo di Alessandria. Questa lettera era stata letta verbatim al concilio di Calcedonia ed era stata dichiarata ortodossa, un affronto per i monofisiti.

Giustiniano pubblicò dunque un editto con il quale condannava i tre capitoli: Il Patriarca di Costantinopoli, Menas, decise di firmarlo ma con la clausola che la sua firma sarebbe stata valida solo se accompagnata da quella del Patriarca di Roma. Giustiniano si riteneva nella piena ortodossia, perché stava solo chiarendo alcuni punti di Calcedonia che potevano essere male interpretati. Per i vescovi occidentali, fu una dichiarazione di guerra.

Quando l’editto giunse a Roma, i vescovi di Cartagine e Milano spinsero Vigilio a resistere. Non c’era però molto che l’occidente potesse fare in questo frangente: l’Africa era tornata nell’Impero e l’Italia era percorsa in lungo e in largo dalla guerra. Poco prima, nel 542-543, Totila aveva raccolto le sue prime vittorie: ne era seguito il collasso del potere imperiale in Italia. L’imperatore, in questo frangente, non poteva permettersi una guerra aperta contro la suprema autorità ecclesiastica italiana. Vigilio decise quindi di non piegarsi, rifiutandosi di controfirmare l’editto.

Vigilio il codardo

Per tutto il 544 e il 545 Totila continuò ad avanzare in Italia: in parte, l’entusiasmo per Totila e la scarsa resistenza alla sua avanzata da parte degli italiani fu probabilmente dovuta anche all’antipatia che l’Imperatore aveva suscitata nei suoi nuovi sudditi con la sua prepotenza. L’espansionismo di Totila diede però a Giustiniano la scusa di fare maggiore pressione su Vigilio.  Il 22 novembre del 545, infatti, mentre Vigilio stava eseguendo cerimonie a Santa Cecilia in Trastevere in onore della santa, i soldati imperiali vennero a prelevarlo per portarlo in Sicilia. Volevano assicurarsi della sicurezza del Papa – non sapevano che Totila avrebbe presto assediato Roma? Il vescovo fu trascinato al porto sul Tevere e fu in quest’occasione che Vigilio fu ricoperto di ortaggi, escrementi e insulti dalla popolazione romana, che attribuiva a Vigilio la responsabilità per i disastri degli ultimi anni, dalla pestilenza alla carestia, come narrato nell’episodio su Yersinia Pestis.

In un altro segmento del Liber Pontificali abbiamo un’altra prova della bassissima stima che i Romani avevano del loro vescovo. Apparentemente alcuni senatori scrissero a Costantinopoli, nella missima si addita Vigilio e lo si accusa di orribili delitti:  “Lo dichiariamo un assassino perché si è abbandonato alla rabbia e ha colpito il suo segretario, uccidendolo sul colpo. Inoltre diede sua nipote Vigilia al console Asterio, figlio di una vedova, salvo poi far arrestare Asterio di notte e farlo picchiare fino alla sua morte. Non abbiamo modo di verificare questi episodi, il Liber Pontificalis è una fonte da prendere con le pinze, ma se fosse vero si tratterebbe di altri due omicidi da addebitare al nostro Papa.

Il trasferimento forzato di Vigilio fu interpretata dalle fonti occidentali come un vero e proprio rapimento del Papa, anche se dubito che fu così: quando Vigilio arrivò infine a Costantinopoli, dopo una lunga sosta in Sicilia di quasi un anno, fu accolto con tutti gli onori. Anche il periodo di soggiorno siciliano secondo me va contro la tesi del rapimento: perché lasciare Vigilio in Sicilia per un anno se Giustiniano lo voleva quanto prima a Costantinopoli? Credo che – come in tutte le sue decisioni – Giustiniano giocasse su più tavoli: da una parte ovviamente non poteva permettere al Re dei Goti di impadronirsi del Papa, dall’altra averlo sotto il suo diretto controllo poteva assicurargli più influenza su di lui e sulla chiesa occidentale.

Giustiniano (al centro) con Belisario (probabilmente) alla sua destra e Narsete alla sua sinistra

Vigilio arrivò a Costantinopoli sul finire del 546 e trovò una sorta di curia romana in esilio: Totila aveva oramai preso una deserta Roma e cinque dei sette diaconi della città si erano trasferiti a Nuova Roma, dove avevano raggiunto Pelagio, l’apocrisarius di Vigilio. Appena arrivato, Vigilio continuò la sua resistenza, scomunicando il patriarca Menas che aveva osato firmare i Tre capitoli, venendo a sua volta da lui scomunicato. Una linea dura, e se fosse morto a questo punto Vigilio sarebbe stato ricordato dai successivi Papi come uno dei grandi difensori dell’ortodossia. 

Ma non è così che sarebbero andate le cose, perché Vigilio non era quel tipo di uomo. A Giugno del 547 si era già riconciliato con Menas. Il Liber Pontificalis ci dona questa scena molto vivida che è probabilmente in buona parte frutto di fantasia, ma che illustra la pressione a cui era sottoposto Vigilio. Il Papa, di fronte alle pressioni della coppia imperiale, avrebbe detto: “Oramai mi è chiaro che non sono stato convocato dai devoti principi Giustiniano e Teodora; piuttosto oggi so di aver incontrato un Diocleziano e un’Eleutheria”. Diocleziano, come abbiamo già visto, era considerato dai cristiani di questo tempo come il grande persecutore dei cristiani, se volete sapere cosa fece Diocleziano per meritarsi tanta animosità, questa storia è narrata con dovizia di particolari nel mio libro “Per un pugno di barbari”.La risposta imperiale a questo affronto non si sarebbe fatta attendere: Allora uno di loro lo colpì in faccia, dicendo “Assassino, non sai a chi parli? Non ricordi che sei stato tu ad uccidere Papa Silverio e condannare alla morte il figlio di una vedova con botte e calci?”. Nell’aprile del 548, a pochi mesi dal ritorno di Belisario a Costantinopoli e dalla morte di Teodora, finalmente la coppia imperiale finì per logorare la resistenza di Vigilio. Vigilio pubblicò un solenne decreto chiamato Iudicatum, che condannava i tre capitoli secondo le richieste imperili. Il Papa si era arreso, anche se si affannò a dichiarare che a suo modo di vedere condannare questi scritti non screditava in alcun modo le decisioni del Concilio di Calcedonia.

Vigilio il servo

Giustiniano forse credeva che l’approvazione del Papa sarebbe stata sufficiente a far digerire all’occidente il suo compromesso. Invece la reazione occidentale fu l’equivalente di un’esplosione vulcanica. I vescovi metropoliti di Milano, Cartagine, Aquileia e Arles – i principali dell’occidente – ruppero la comunione con Vigilio, in sostanza dichiarandolo un eretico. Nel 550 i vescovi africani arrivarono a indire un concilio della chiesa nordafricana che scomunicò il Papa. Occorre ricordare dove eravamo in questo periodo: in Africa era stata appena sedata l’ennesima rivolta, mentre l’Italia ormai sfuggiva sempre di più dal controllo imperiale, Totila si avvicinava allo zenith del suo potere. Alla fine Giustiniano comprese che l’intera politica di riconquista poteva essere danneggiata da questa controversia e permise a Vigilio di ritrattare il suo Iudicatum, ma solo a condizione che si impegnasse segretamente ad emetterà una nuova condanna per i Tre Capitoli in un secondo momento, quando le cose si fossero quietate o, più probabilmente, quando Giustiniano avesse avuto un numero sufficiente di soldati in Italia da rimettere in riga i suoi riottosi vescovi. Vigilio fece la sua solenne promessa, mettendola anche per iscritto.

Nonostante questa dèbacle, Giustiniano era sempre determinato a condannare i suoi tre capitoli, anche se non era del tutto chiaro che questo avrebbe sanato lo scisma con i monofisiti: l’Imperatore a questo punto mi ricorda quei politici che continuano a combattere per far passare una legge o un provvedimento, pur svuotato di ogni significato originale, solo perché non possono accettare la sconfitta di non vederlo approvato. Come detto altrove, gli anni tra il 548 e il 550 sono anche gli anni in cui Giustiniano lasciò che Roma cadesse di nuovo in mano a Totila e richiamò Belisario a Costantinopoli: Giustiniano giocava sempre ad una partita a scacchi tridimensionale degna di Star Trek, è del tutto possibile che il suo calcolo militare fu determinato in parte dalla decisione di applicare massima pressione su Vigilio: a Costantinopoli, ormai, c’era il gotha dell’aristocrazia italiana, la stessa classe sociale senatoriale dalla quale provenivano i vertici della chiesa romana. Se gli italiani volevano che l’Imperatore li liberasse da quell’espropriatore di Totila, avrebbero dovuto dargli quello che lui voleva.  

Giustiniano alla fine ritenne che era giunto il momento: nel 551 Totila aveva conquistato tutta l’Italia, ormai era chiaro che le terre dei senatori sarebbero state restaurate ai latifondisti italiani solo se l’Impero fosse intervenuto in modo massiccio in Italia. L’imperatore decise di passare all’incasso della promessa che Vigilio gli aveva fatto e, nel luglio del 551, scrisse un nuovo editto di condanna per i Tre Capitoli, sottoponendolo alla controfirma di Vigilio. Il Papa, per tutta risposta, fuggì dal palazzo imperiale e si rinchiuse nella chiesa di S. Pietro, un atto simbolico per il vicario di Pietro. Qui fu raggiunto dai funzionari imperiali ma, con il supporto di altri vescovi e prelati occidentali come Pelagio e Dazio di Milano, Vigilio si rifiutò di firmare il documento. Anzi, per tutta risposta, Vigilio scomunicò il patriarca di Costantinopoli e tutti i vescovi orientali che lo avevano sottoscritto. Vigilio, con un’ennesima giravolta, aveva rinnegato la sua solenne promessa all’Imperatore.

Giustiniano a questo punto era furioso, assolutamente furioso: ordinò immediatamente di andare a prelevare Vigilio. Un gruppo di soldati frantumò le porte sbarrate della chiesa di San Pietro, al diavolo il diritto di asilo nelle chiese. All’irruzione dei soldati, Vigilio si gettò verso l’altare, abbracciando una colonna mentre i soldati lo afferrarono per trascinarlo via, utilizzando qualunque appiglio: braccia, gambe, vestiti, capelli e perfino la barba. Alla fine la colonna si ruppe, facendo rovinare l’altare: per poco il vescovo di Roma non fu ucciso dalla pesante pietra, mentre molti dei vescovi che erano con lui furono feriti. Si tratta di un evento che è riportato in varie fonti, quindi possiamo avere una ragionevole certezza che qualcosa del genere accadde davvero, per quanto incredibile ci appaia. Forse per lo schock dell’intera vicenda, alla fine i soldati si ritirarono lasciando Vigilio tramortito ma ancora vivo e libero. Forse i soldati erano pentiti di quanto era accaduto, più probabilmente la popolazione di Costantinopoli oramai rumoreggiava fuori della chiesa, protestando contro il trattamento inflitto al Papa. Infine Giustiniano inviò a parlamentare un uomo che Vigilio conosceva bene, perché era stato lui – de facto – a farlo Papa: echi altri se non Belisario? Un’altra prova, se ce ne fosse bisogno, di quanto Belisario continuasse ad essere uno dei principali aiutanti di Giustiniano.

Belisario riuscì a convincere Vigilio a tornare nel suo palazzo, per contribuire al dibattito teologico: una volta nella sede dell’Apocrisarius, però, gli occidentali furono bloccati agli arresti domiciliari. Giustiniano era intenzionato a liberarli solo dopo che avessero firmato la condanna ai tre capitoli. La forte pressione sul prelato e sulla sua banda di vescovi occidentali li convinse a tentare un’altra fuga: Nel Dicembre del 551, nottetempo, scivolarono fuori dai loro alloggi e si calarono a terra con una corda appesa ad una finestra, Vigilio a quanto pare con una certa difficoltà, visto che si dice che fosse un uomo piuttosto corpulento. Gli occidentali presero una barca e fuggirono attraverso il Bosforo, raggiungendo Calcedonia, la città dei ciechi, se vi ricordate qualcosa dell’episodio 2. Si tratta della città giusto di fronte a Costantinopoli. Qui si rifugiarono nella Basilica di Sant’Eufemia, proprio la chiesa dove si era riunito il Concilio di Calcedonia, di nuovo un chiaro atto dimostrativo e di PR: siamo qui – sembravano dire – a difendere Calcedonia proprio dove furono prese le decisioni del concilio.

Nella cattedrale di Calcedonia, Vigilio scrisse un’Enciclica, datata 5 febbraio 552, siamo a poche settimane dalla partenza di Narsete per l’Italia. Nell’enciclica, Vigilio denunciava tutti i suoi maltrattamenti per mano dell’imperatore e delle sue truppe, condannando e scomunicando Giustiniano e tutti i vescovi orientali che sostenevano la condanna dei Tre Capitoli, e invitando i suoi vescovi e sostenitori occidentali a spingere l’Imperatore a tornare sui suoi passi. Eccone un pezzo: “Non per motivi pecuniari o privati ho cercato rifugio in questa chiesa, ma solo per scongiurare lo scandalo che veniva perpetrato a danno della Chiesa (…). Se l’Imperatore è determinato a riportare la pace nella chiesa, come quella che godette ai tempi del suo pio zio Giustino, non ho bisogno di giuramenti, ma di azioni da parte sua. Se questa non è la sua intenzione, anche i suoi giuramenti sono inutili, perché non lascerò la Basilica di Sant’Eufemia”.

Ma Vigilio fece un nuovo dietrofront, dopo un’altra ambasciata di Belisario: il 26 Giugno del 552, il Papa tornò al palazzo di Galla Placidia, il palazzo che lo ospitava e che era stato costruito proprio dalla nostra amata Augusta e che dal 519 era la sede dell’Apocrisarius. Alla fine Vigilio e l’Imperatore giunsero ad un accordo: era arrivato il tempo di indire un quinto concilio ecumenico. Solo la formale e solenne approvazione di un concilio riunito di tutta la Chiesa avrebbe fornito alla decisione una sufficiente legittimità perché fosse approvata da tutti, d’altronde questo trucco aveva funzionato così bene a Calcedonia.

Presto emerse però che Vigilio e l’Imperatore avevano idee molto diverse su come si dovesse svolgere il concilio ecumenico: il Papa voleva che fossero presenti lo stesso numero di vescovi orientali e occidentali – cosa piuttosto ingiusta, visto che i vescovi orientali erano di più e molto più influenti. Vigilio inoltre chiese che il consesso si tenesse in Sicilia, un’isola facile da raggiungere sia per i vescovi occidentali che quelli orientali. Giustiniano non aveva però nessuna intenzione di permettere ai vescovi di riunirsi lontani dalla sua longa manus e quindi impose come sede Costantinopoli. D’altronde il ruolo di indire i concili spettava all’imperatore: Costantino, Teodosio I, Teodosio II, Marciano: i quattro concili ecumenici della chiesa erano stati tutti indetti dall’Imperatore a Costantinopoli e a nessuno di questi, per varie ragioni, aveva assistito il Papa del tempo.

Eppure Vigilio all’inizio sembrava intenzionato a partecipare e cercò di organizzare una conferenza con tre vescovi orientali e tre occidentali, per decidere in anticipo i dettagli, come si fa di solito in questi casi: i concili erano di solito più l’occasione per approvare formalmente quanto già deciso nelle secrete stanze. Giustiniano però bloccò l’iniziativa papale: era ormai evidente che alla guida del concilio ci sarebbe stato Giustiniano, e nessun altro. Giunto a questa realizzazione, Vigilio si decise a dichiarare che l’uva, ad una seconda occhiata, era decisamente acerba e disse che non aveva intenzione di partecipare ai lavori, come d’altronde era stato il caso dei suoi predecessori, salvo poi sostenere che il concilio non poteva svolgersi senza il suo assenso. Immagino si chiese anche se si notava più se veniva e stava in disparte o se non veniva per niente. I vescovi riuniti nella capitale dell’Impero – in tutto 165 – ignorarono Vigilio-Nanni Moretti e decisero di procedere lo stesso con i lavori, presieduti dal Patriarca di Costantinopoli, Eutichio.

Isolato ed ininfluente, alla fine Vigilio decise di intervenire con un documento controfirmato da 60 vescovi occidentali: il Constitutum, datato 14 maggio 553, nel quale Vigilio provava a tracciare una via intermedia che condannasse gli scritti di due dei tre capitoli, ma non condannasse gli autori come eretici, mentre il terzo – Iba – sarebbe stato del tutto scagionato. Mi immagino Giustiniano gettare il documento in un metaforico camino: avrebbe avuto dal suo concilio quello che desiderava, tutto quello che desiderava. Vigilio poteva dimenticarsi i suoi tentativi di mediazione. Giustiniano ne aveva avuto abbastanza di questo irritante doppiogiochista, quindi decise di compiere un vero assassinio politico. La situazione era più propizia: l’anno prima Narsete aveva riconquistato l’Italia, battendo i Goti a Busta Gallorum e ai Monti Lattari. “Mission accomplished”, Giustiniano aveva vinto, l’Italia era tornata nell’impero. I vescovi italiani erano suoi sudditi oramai, avrebbero fatto come gli veniva ordinava. Era finito il tempo in cui l’Italia – con il suo Re e il suo Papa – osavano negoziare da pari a pari con l’Imperatore e il suo Patriarca, come era stato il caso ai tempi di Teodorico e Ormisda.

Così durante la settima sessione del concilio, il 26 maggio del 553, Giustiniano si presentò ai lavori e svelò a tutti i vescovi le carte firmate da Vigilio, nelle quali, anni prima – tra il 547 e il 550 – aveva assicurato all’Imperatore che avrebbe condannato i tre Capitoli: l’ipocrisia del Papa fu svelata a tutti, nell’orrore anche di molti vescovi occidentali che lo avevano finora seguito. La sua opposizione perse qualsivoglia valore: fu un colpo mortale non solo per la credibilità di Vigilio, ma in generale per l’autorità e il prestigio della santa sede, la sedia su cui sedevano i discendenti di Pietro.

Giustiniano ordinò quindi al concilio di rimuovere il nome di Vigilio dai dittici, la lista ufficiale dei principali vescovi della chiesa, chiedendo ai vescovi di rompere la comunione con il Papa. Giustiniano si sforzò di sottolineare che rompeva con Vigilio, con lui personalmente, non con la sede apostolica di Roma. In latino, negli atti del concilio, è riassunto con il termine: non sedem, sed sedentem, ovvero “Non contro la Santa Sede, ma contro colui che vi siede”. Nella seguente seduta del concilio, i tre Capitoli furono integralmente condannati, esattamente come aveva voluto Giustiniano.  Vigilio fu posto agli arresti domiciliari mentre il suo entourage fu messo in prigione, compreso il futuro Papa Pelagio. Nel Liber Pontificalis si suggerisce perfino che alcuni di loro furono mandati nelle miniere! Certamente diversi vescovi occidentali furono deposti e inviati in esilio.

Vigilio era oramai un uomo finito. Quello che restava della sua reputazione in frantumi, il suo potere infranto. Non ci sarebbe stata nessuna riabilitazione  per lui e ora era completamente alla mercè dell’imperatore. Non possiamo sapere quale fu il trattamento che ricevette agli arresti domiciliari, ma dubito che Giustiniano perse l’occasione di infliggere ulteriore pressione, sia fisica che psicologica, finché quello che restava della sua determinazione andò in pezzi.

Vigilio, a sei mesi dalla conclusione dei lavori del concilio, si arrese, tradendo anche i suoi compagni in prigione: il 6 Dicembre del 553 scrisse ad Eutichio, revocando la sua difesa dei Tre Capitoli e giustificando il suo atto con il fatto che perfino Sant’Agostino aveva pubblicato un libro di Ritrattazioni, per essere sicuro di restare nell’ortodossia con tutti i suoi scritti. Confessò di essere stato ingannato da Satana, che lo aveva spinto a separarsi dai vescovi del concilio e a scomunicare il patriarca. Ad aggiungere tradimento a ritrattazione, nella lettera Vigilio scomunicò il suo Apocrisarius e futuro successore, Pelagio, che era in prigione e che continuava a resistere all’Imperatore.  

Poche settimane dopo, Vigilio pubblicò un nuovo Constitutum, emesso il 23 febbraio del 554, in cui cancellò il suo primo Constitutum, accettò i canoni del Secondo Concilio di Costantinopoli e condannò chiunque avrebbe continuato a difenderli. Vigilio mise perfino le mani avanti: “Se qualcuno scoprirà a mio nome dei documenti in difesa dei Tre Capitoli, sappia che da ora in poi sono da considerarsi nulli”.

Vigilio aveva finalmente apposto il suo sigillo all’inutile concilio di Giustiniano, inutile visto che tutto questo intricato marchingegno non raggiunse in alcun modo lo scopo: l’esclusione dei Tre Capitoli non riconciliò i Monofisiti a Calcedonia, che anzi si diffusero ancora di più e fondarono una vera e propria chiesa separata grazie al vescovo che Teodora e Giustiniano avevano nominato nel 542 a capo della chiesa degli Arabi Ghassanidi, il siriano Jacob Bar Addai o Giacomo Baradeo. In compenso il secondo concilio di Costantinopoli spezzò l’unità della chiesa occidentale: i vescovi gallici, africani e i metropoliti di Milano e Aquileia si rifiutarono di sottoscrivere il concilio, in aperta rivolta contro Roma e Costantinopoli. Lo scisma in norditalia è particolarmente significativo perché, al 554, entrambe queste città non erano controllate dagli imperiali e lo saranno in modo molto lasco fino alla conquista dei Longobardi: lo straniamento tra i vescovi del Nord Italia e l’Impero fu un fattore politico rilevante, perché i vescovi erano oramai i leader di quello che restava della popolazione latina dell’Italia. A mio avviso, fu uno dei fattori che agevolò la conquista longobarda dell’Italia, assieme a molti altri che vedremo a suo tempo.

Tutto ciò è però di là da venire. Giustiniano aveva vinto, sia in Italia che contro il papato, e ora decise di riorganizzare i suoi domini occidentali. Mentre Narsete affrontava i Franchi alla battaglia del Volturno, Giustiniano decise di ricompensare Vigilio, permettendogli di tornare in Italia. Non solo, l’imperatore intitolò a lui il documento fondamentale con il quale riorganizzava la struttura amministrativa dell’Italia: la “pragmatica sanctione pro petitione vigilii” fu inviata a Narsete e ad Antioco, il pretore d’Italia a Ravenna, con le istruzioni per cancellare la politica rivoluzionaria di Totila e riportare l’ordine imperiale in Italia. Vedremo nel prossimo episodio che si tratta di un documento che andava a favore della classe dirigente italiana, quei senatori dai quali proveniva anche il nostro Vigilio. Ora che aveva vinto, Giustiniano poteva essere magnanimo.

Vigilio il burattino

Finalmente, nella primavera del 555, fu permesso a Vigilio di tornare nella devastata Roma, dalla quale mancava da 10 anni e nella quale oramai non c’era praticamente più nulla dell’organizzazione ecclesiastica costruita in secoli di espansione del potere del Laterano. Il suo compito? Ma ovviamente far digerire il II concilio di Costantinopoli ai vescovi occidentali. Vigilio però non arrivò mai a Roma. Morì di  calcoli biliari lungo la via, a Siracusa. Era il 7 Giugno del 555. Il suo corpo fu riportato a Roma, ma l’odio che il popolo di Roma provava verso di lui impedì che fosse sepolto, come la maggior parte dei suoi predecessori, nella basilica costantiniana di San Pietro. Fu interrato invece nelle catacombe di S. Priscilla, sulla via Salaria.

Questa fu dunque la folle vita di Vigilio, vescovo dei Romani. L’autorità papale uscì da questo calvario completamente a pezzi: il Papa, ai tempi di Hormisdas, era riuscito ad estendere la sua autorità sulla chiesa orientale dopo averla affermata su quella occidentale: tutto questo era oramai in pezzi. Non solo: Giustiniano decise che da ora in poi nessun Papa sarebbe stato consacrato senza l’autorizzazione dell’Imperatore. I prelati potevano scegliere chi volevano, ma avrebbero dovuto attendere spesso mesi se non anni prima di poter consacrare un nuovo Papa: potete immaginare che effetto ebbe questo sull’autorità papale. Con Vigilio, dunque, il papato entra in quello che è forse il suo periodo più buio, quello che noi conosciamo come il papato bizantino, durante il quale il Patriarca dell’Occidente sarà trattato come uno dei più importanti vescovi dell’Impero, certo, ma solo uno tra pari. Anzi, più volte il Patriarca di Costantinopoli e l’Imperatore cercheranno di affermare inequivocabilmente come il Vescovo di Nuova Roma fosse più importante del vescovo di quella che loro chiamavano “la vecchia Roma”.

Che da queste rovine sia poi emerso, nel corso dei secoli, il papato imperiale del medioevo è una di quelle storie che ha dell’incredibile e che vale assolutamente la pena di raccontare: nei prossimi secoli, vedremo come successori di Pietro, pezzo dopo pezzo, passo dopo passo, pietra dopo pietra riusciranno a ricostruire sulle macerie lasciate da Vigilio.

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