Episodio 3, Il viaggio di una moneta – testo completo

Salute e Salve! Benvenuti alla storia d’Italia

Nel precedente episodio abbiamo visto Costantino impadronirsi dell’intero Impero Romano, abbiamo analizzato il suo fondamentale contributo alla storia della Cristianità e del mondo, grazie al concilio di Nicea e alla fondazione di Costantinopoli.

Il mio obiettivo in questo episodio era di parlarvi dei 3 figli di Costantino e poi di Giuliano ma, ahimè, la penna è corsa un po’ troppo e ho deciso di rimandare questo argomento al prossimo episodio. Ci sono troppi argomenti che non voglio lasciare inosservati nel prosieguo della narrazione, perché hanno un impatto importante sull’evoluzione dell’impero e sulla storia d’Italia. In questo episodio tracceremo ancora alcuni pezzi dell’evoluzione dell’Impero Romano sotto Costantino, in particolare i temi economici, militari e la sua politica estera. Vedremo poi come Costantino gestirà la transizione verso la nuova generazione a capo dell’impero. Vi anticipo che sarà un tutti contro tutti.

Episodio 3: Il viaggio di una moneta

Prima di arrivare ai nostri amorevoli fratelli dobbiamo tornare a Costantino. Mi rendo conto di parlarne a lungo ma l’uomo è, come direbbero in Francia “uncontournable”, inevitabile nella sua ingombrante grandezza.

Costantino fu padrone dell’intero Impero Romano, tutto sommato, per un periodo limitato: solamente 12 anni, mentre ne occorsero 20 per passare dalla Britannia a dominare l’intero impero. Eppure in questo periodo impresse un’impronta indelebile sullo stato romano. Riformò in modo importante l’esercito, allargando e stabilizzando il concetto di Comitatus – l’esercito mobile dell’impero – e probabilmente creando i corpi dei limitanei. Ma di tutto questo ho deciso di parlarne in un episodio dedicato all’esercito del tardo impero, mi pare un argomento interessante e che merita un’analisi approfondita. Non anticipo nulla nel dire che gli eserciti del quarto e quinto secolo dopo cristo non avevano molto a che fare con l’immagine classica che abbiamo delle legioni romane.

Sul campo amministrativo Costantino mantenne le riforme di Diocleziano, che aveva riorganizzato le province: prima della crisi del terzo secolo e sotto il principato l’impero era diviso in una quarantina di province, molte di eredità repubblicana, ognuna gestita da un governatore che ne era allo stesso tempo la suprema autorità civile e militare. L’Italia aveva uno status speciale: gli abitanti liberi della Penisola erano tutti cittadini romani e non pagavano l’imposta fondiaria (Ius Italicum), riservata invece ai cittadini dei territori provinciali.

Diocleziano aumentò il numero delle province a un centinaio circa, e la stessa Italia – che fino ad allora era sempre stata considerata al di sopra dei meri territori conquistati – fu equiparata alle altre province. Le province vennero a loro volta raggruppate in dodici diocesi, ad esempio la Diocesi della Gallia, dell’Italia, della Spagna, della Britannia e così via. Ogni diocesi aveva un comandante militare e un amministratore civile. Ho inserito una mappa sulla mia pagina facebook @italiastoria, qualora voleste seguire questa descrizione. 

Un’altra innovazione di Diocleziano fu quella di iniziare a dividere le carriere militari e amministrative, ma fu Costantino che portò a termine questo processo. Da allora per ogni cittadino dell’impero con ambizioni di carriera governativa si prospettò una scelta chiara tra i due percorsi di carriera. Con il tempo i nativi romani iniziarono a gravitare sulle carriere burocratiche civili – meno problematiche e più comode – mentre le carriere militari divennero sempre più dominate da barbari, ex barbari e barbari romanizzati. Molti storici in varie epoche hanno giudicato molto negativamente questa evoluzione dello stato romano. Hanno visto nella progressiva barbarizzazione delle carriere militari una scelta suicida che portò ad avere i barbari non alle porte, ma a guardia delle porte della fortezza imperiale, con il sottinteso che la loro fedeltà fosse quantomeno dubbia. Sembra una critica ragionevole, ma vedremo nei prossimi episodi come è ora valutata dalla storiografia moderna. Comunque sia, ai tempi di Costantino questo processo di barbarizzazione era ancora in divenire e nella prima metà del quarto secolo non aveva ancora dispiegato i suoi effetti, veri o presunti.

Passiamo ora a parlare di un argomento che mi appassiona, in quanto amante della storia e studente di economia, ovvero la riforma monetaria di Costantino.

Per centinaia di anni l’impero – sotto il principato – aveva avuto un sistema monetario estremamente stabile, fondato sul Aureus d’oro e il Denarius d’argento, oltre che ovviamente monete di valore inferiore. Queste monete avevano il loro valore e cambio fissati sul peso equivalente del metallo contenuto nella moneta. Siamo oramai abituati al concetto che una moneta abbia un valore in sé, indipendente dal costo di stampa delle banconote o dal valore del metallo incluso in una moneta da 2 euro. Ma per la maggior parte della storia il valore di una moneta è stato inteso come il valore del metallo di cui è composta. Molte monete venivano anche tagliate, in quanto il valore di un quarto di una moneta d’oro è…beh, un quarto di una moneta d’oro.

Proviamo a ripercorre insieme Il ciclo della moneta d’oro o d’argento imperiale. Questo prevedeva inizialmente lo scavo del metallo prezioso, in una delle miniere controllate dall’impero. Il metallo prezioso veniva poi trasferito ad una delle zecche imperiali e lì le monete venivano coniate con il volto dell’imperatore regnate: questo era nel mondo antico l’equivalente dei mezzi di comunicazione di massa, in quanto principale testimonianza visibile dei cambi di regime imperiali. Una volta coniate le monete venivano poi utilizzate per pagare le spese di gestione dell’impero, in grandissima parte l’esercito. Si dice a proposito della Prussia che diversi stati hanno un esercito, ma nel caso della Prussia l’esercito ha uno stato: ora questa affermazione sarebbe validissima anche per l’Impero Romano: si calcola che l’esercito pesasse per circa i due terzi sul budget imperiale. I soldati, una volta ricevute le loro monete nuove di zecca, ovviamente spendevano il loro “stipendio” e compravano a loro uso e consumo svariati beni, soprattutto da artigiani privati. Gli artigiani usavano le monete dei soldati per comprare altri beni, ad esempio acquistavano dagli agricoltori il cibo di cui avevano bisogno. Gli agricoltori, con quelle monete, acquistavano altri beni, ad esempio strumenti per l’agricoltura. Grazie a questi meccanismi di trasmissione le monete che lo stato usava per pagare i soldati venivano usate per le transazioni di tutti i giorni, immettendole nel sistema economico.

Ma non è finita qui: regolarmente artigiani e agricoltori ricevevano la visita dell’esattore imperiale. Questi si premuniva di riprendersi un po’ di quelle monete in forma di tasse. Le monete confluivano allora di nuovo nel tesoro imperiale, per poi servire a pagare di nuovo le legioni. E il ciclo ricominciava.

Durante il principato, prima della crisi del terzo secolo, le tasse erano in gran parte sufficienti a finanziare le spese statali, questo evitava che troppe monete dovessero essere prodotte e quindi entrassero in circolazione ogni anno, cosa che avrebbe scatenato l’inflazione riducendone il valore. Sembra strano? bè fidatevi, è così. Come avete detto? Non vi fidate? Va bene cerco di chiarirlo con un semplice concetto economico: più un bene è “comune”, facile da procurare, minore è il suo prezzo. Lo stesso concetto si applica benissimo anche alla moneta: troppe monete in giro e il loro valore scende e quindi avrete bisogno di più monete rispetto a ieri per comprare un altro bene, come ad esempio un pezzo di pane. Questa è l’inflazione. I romani, per inciso, non avevano la benché minima idea di questo concetto, ma ci tornerò presto. 

Fin quando durarono i giorni dorati del principato non ci furono grandi problemi: gli imperatori producevano nuove monete con un contenuto – più o meno – equivalente al valore di facciata e le monete prodotte erano in numero limitato. Ma nel terzo secolo iniziarono i veri problemi. Cerchiamo di capire perché.

All’improvviso lo stato si ritrovò con minacce alle frontiere molto più serie del passato, in particolare da parte della nuova dinastia persiana dei Sassanidi, molto più organizzati e potenti dei loro predecessori, i parti. Per far fronte a questa minaccia lo stato avrebbe dovuto aumentare le spese militari. Il problema era che nel contempo l’impero era caduto in una crisi economica, dovuta a due fattori: primo tra tutti i germi – Ricordatevi: pestilenze e germi. Sono un driver della storia molto più importante di quanto normalmente si creda. Due terribili epidemie decimarono il numero di contribuenti e quindi, brutalmente, le entrate. L’altro problema fu la profonda crisi politica, dovuta al fatto che gli imperatori erano oramai legittimati solo dall’esercito e ogni generale di belle speranze si sentiva in dovere di nominarsi imperatore e far fuori il precedente. Ricordate? Ne ho parlato nel primissimo episodio.

All’improvviso lo stato si ritrovò allo stesso tempo con la necessità di finanziare maggiori spese militari e con Il problema che nel frattempo le entrate erano crollate, questo creò un deficit che in qualche modo andava riempito. Eh sì, davvero nella storia d’Italia tutto sembra essere già successo. La risposta degli imperatori e del governo fu prevedibile. Gli imperatori si dissero: non arrivano tasse ma dobbiamo pagare gli eserciti, soprattutto se vogliamo tenere la testa saldamente ancorata al collo e non vederla su una picca (cosa che regolarmente accadde, quando i soldati rimasero indietro con i pagamenti). La soluzione? Perfetta, semplice: produrremo più monete. Come dite? Non c’è metallo sufficiente per farle? Facile, prendete una moneta che era d’argento al 95% e fatela d’argento al 70%, con aggiunta una lega meno costosa et voilà, una moneta d’argento che costa meno ma con lo stesso valore di mercato. Dopo anni di svalutazione ai tempi di Galieno, all’apice della crisi del terzo secolo, il Denarius d’argento era praticamente una moneta di rame, con meno del 5% del peso in Argento. E il Denarius era la moneta principale, quella usata per pagare le legioni.

Questa politica – che credo fosse ahimè quasi inevitabile – ebbe due effetti: le nuove monete immesse sul mercato erano troppe e finirono per incrementare l’inflazione, inflazione che fu esacerbata dal fatto che le nuove monete avevano un valore in metallo inferiore a quelle precedenti, cosa che ogni mercante furbo apprese nel giro di cinque minuti dal tenerle in mano la prima volta.

Quando si arrivò ai tempi di Diocleziano oramai l’economia imperiale stava tornando rapidamente al baratto e il sistema della moneta era completamente in pezzi, visto che l’inflazione era oramai fuori controllo. Basti pensare che una misura di farina costava mezzo Denario nel secondo secolo DC e nel terzo secolo il prezzo era intorno ai cento denarii: sono aumenti che sono perfettamente comprensibili nell’economia moderna – parliamo alla fine di un secolo – ma che per i tempi erano assolutamente senza precedenti.

Diocleziano, dal militare brillante, intelligente ma rigido che era, ebbe un’idea per risolvere il problema, un’idea che hanno avuto politici di ogni tipo in ogni età e luogo, sempre con effetti disastrosi. Non comprendendo appieno l’origine e perfino il concetto di inflazione decise di fissare i prezzi per legge, con il famigerato editto dei prezzi. Ogni bene aveva secondo Diocleziano un valore intrinseco che lui, da bravo dirigente di partito, avrebbe fissato per legge. Va da sé che ovviamente si sviluppo un florido mercato nero, visto che l’editto fu largamente ignorato. Il prezzo è il valore che diamo ad un bene e se usiamo nella transazione un bene intermedio come una moneta, il valore stesso della moneta determina il prezzo in moneta del bene. Ogni tentativo di un governo di determinare i prezzi è destinato a creare un mercato nero con i prezzi reali del bene, a meno di avere mezzi e risorse per perseguire ogni operatore economico del mercato nero, mezzi e risorse che erano certamente fuori portata della macchina burocratica romana. Veramente lo sono perfino della maggior parte degli stati moderni, basti pensare a quanto sta succedendo in questo 2018 in Venezuela.  

Diocleziano però non si diede per vinto: non era il tipo. Alla fine, risolse il problema eliminando o marginalizzando la moneta: non poteva più fidarsi delle tasse raccolte in moneta, visto che l’inflazione ne mangiava il valore nel tempo che incorreva tra la raccolta delle tasse e il pagamento dell’esercito. In più le monete che rimanevano in circolazione erano di solito le peggiori, quelle con il minore valore reale, visto che un’altra regola di base dell’economia è che la moneta cattiva scaccia sempre quella buona: le monete “buone”, ovvero con maggior valore reale in metallo, venivano accaparrate e messe sotto il materasso mentre per pagare gli ufficiali gli onesti contadini dell’impero usavano le monete svalutate degli imperatori della crisi. D’altronde era il governo a dire che un Denario di Galieno valeva come uno di Marco Aurelio, bè se il governo voleva un Denario in tasse si sarebbe beccato quello di Galieno. Alla fine Diocleziano perse la pazienza, e come ho accennato nell’episodio introduttivo, passò direttamente a chiedere le tasse in natura: non più 10 denari, ma un determinato quantitativo di grano o di vestiti. Grazie tante, tenetevi le monete. Il Grano e i vestiti così raccolti erano poi utilizzati per sfamare e vestire l’esercito. Semplifico, ma questo era il concetto.

Questo risolse il problema di sfamare e rifornire l’esercito, ma il problema economico rimase. Come può funzionare una economia, anche piuttosto arretrata come quella dell’Impero Romano, senza moneta? Costantino finalmente riportò la stabilità nel sistema economico sostituendo il vecchio Aureus con una nuova moneta, il Solidus. Una moneta solida di nome e di fatto. Costantino infatti coniò le nuove monete in oro pesante, senza trucchi sul peso e diede mandato di ritirare tutte le monete d’oro – o presunto oro – precedenti.  Non vorrei avere data una idea sbagliata delle riforme di Diocleziano: l’imperatore illirico ebbe molto più successo su tutto quello che intraprese al di fuori della politica dei prezzi. Grazie a lui l’economia era in ripresa, grazie anche alla pace di cui parleremo tra poco. L’economia in ripresa volle dire un po’ più tasse e quindi la possibilità per Costantino di tornare a battere moneta pesante. Va detto che Costantino fece anche requisire, sul finire del suo regno, tutte le statue e idoli pagini in argento, oro e bronzo, in modo da fonderle per realizzare nuove monete: distruggere i vecchi idoli e procurarsi dell’oro, due piccioni con una fava, per l’imperatore cristiano.

Il Solidus fa parte dell’eredità di Costantino, visto che sopravviverà a lui e perfino all’Impero Romano d’occidente, divenendo l’unica moneta accettato ovunque nell’Europa tardoantica e poi altomedievale, anzi perfino nel mondo arabo che l’apprezzava molto. Il Solidus ebbe una circolazione tanto ampia che è entrato nel parlato, lasciandoci una importante eredita linguistica. Solidus è infatti all’origine di diverse parole correnti italiane come ovviamente “soldo” e il plurale “soldi”, come anche il saldo e il soldato (ovvero un militare pagato con i “Solidus”).

Il problema però di una moneta d’oro è che si presta solo per transazioni di grande valore, in particolare la compravendita del bene d’eccellenza del mondo preindustriale, ovvero la terra. Ma le monete d’oro erano fuori portata per tutti meno la classe dei possidenti terrieri. Questo esacerbò nel tempo le già enormi differenze di classe nell’impero, differenze che farebbero impallidire perfino i baroni della belle époque. I ricchi infatti poterono gestire la loro ricchezza in terre e monete d’oro, due beni con un valore stabile nel tempo, e garantire il loro potere d’acquisto in moneta d’oro sonante.

Per tutti gli altri, e per tutte le altre transazioni, rimasero le vecchie monete d’argento e bronzo perennemente afflitte dalla spirale inflattiva. Le classi medie videro dunque i loro risparmi mangiati dall’inflazione, anche se la cosa impattò meno i poveri perché i poveri come per buona parte della storia non avevano proprio nulla da risparmiare. Molti storici, e qui volevo arrivare perché come sapete sto cercando di tracciare il più possibile l’origine del medioevo, attribuiscono a questa riforma di Costantino la successiva ulteriore polarizzazione dei destini economici tra le classi agiate e tutti gli altri, polarizzazione che porterà assieme a molti altri fattori all’Europa feudale, con i suoi signori e servi della gleba.

Stacco

Ma questo non è l’ultimo argomento di cui vorrei parlare a proposito di Costantino: fino ad ora ho descritto in gran parte le politiche interne all’impero, ma non abbiamo visto quale fosse la politica “estera” di Costantino.

Va detto innanzitutto che il nostro grande imperatore aveva avuto davvero poche rogne su questo fronte: il suo regno, come detto in precedenza, fu caratterizzato da una generale calma. Diocleziano aveva battuto sonoramente i persiani, conquistando la Mesopotamia settentrionale e mettendo in sicurezza la frontiera orientale. Il padre di Costantino – Costanzo Cloro – aveva messo in chiaro chi comandava sulla frontiera del Reno. Restava una frontiera da pacificare: quella danubiana.

Appena a nord del Danubio vivevano due popoli molto diversi, i Sarmati, un popolo nomade di lingua iraniana, e i nostri vecchi amici, i Goti. Costantino vinse i Goti con l’aiuto dei Sarmati, ricostruendo perfino un ponte di pietra sul Danubio a perenne monito dei Goti: il messaggio era chiaro, ho i mezzi per raggiungervi quando voglio. In seguito alla sconfitta, e per un breve tempo, I Goti che vivevano più presso ai Romani, nella moderna Romania, furono assoggettati all’impero. Il figlio del re dei Goti fu perfino portato a Costantinopoli e I Goti si impegnarono a combattere al fianco dei romani, soprattutto come aiuto contro i Persiani. Quanta acqua era passata sotto ai ponti dai tempi in cui i Goti avevano confitto i romani ad Abritto ed ucciso l’imperatore Decio. Per quanto riguarda i Sarmati, questi invasero l’impero un paio di anni dopo e anche loro furono pesantemente sconfitti da Costantino che applicò quella che stava diventando una politica imperiale standard nei confronti dei popoli che tentavano di invadere l’impero e che venivano regolarmente sconfitti. Sparpagliò il grosso della popolazione sconfitta in molte province dell’impero, in modo da rimpolpare la popolazione dei contadini contribuenti e delle potenziali reclute dell’esercito, nel giro di un paio di generazione sarebbero divenuti romani come tutti. I più atti tra i Sarmati alla vita militare furono invece direttamente arruolati nell’esercito, ma senza costituire unità autonome e inquadrandoli con ufficiali romani. Ricordatevi di questa politica, I Goti, tra qualche anno, riusciranno con le spade a strappare un trattamento molto migliore. Perché come vi ho già detto, non è certo questa l’ultima volta che sentiremo parlare dei Goti.

Se l’azione di Costantino sulla frontiera danubiana rafforzò la posizione di Roma lo stesso non si può dire sul fronte orientale. Qui Diocleziano come detto aveva sonoramente battuto i Persiani, imponendogli la perdita della Mesopotamia e di ogni influenza su Armenia e Georgia. Insomma, lo status quo era ideale per Roma e la lunga pace seguente al trattato aveva fatto bene all’economia e la stabilità dell’impero. Perché dunque Costantino volle gettare tutto questo alle ortiche è un mistero, sta di fatto che usò come pretesto quello di ergersi a protezione dei cristiani della chiesa d’oriente, la chiesa che si era diffusa nei territori dell’impero persiano.  L’imperatore persiano Shapur non mancò di osservare che si trattava della stessa scusa utilizzata nella guerra contro Licinio.

Ma Costantino non era destinato a vedere i risultati della sua politica, né di partire per la sua ultima campagna militare. Nel 337 si ammalò e cercò refrigerio nelle terme di Elenopoli, città che Costantino aveva rinominato in onore dell’amatissima madre. Ma, sentendo la fine vicina, cercò di tornare a Costantinopoli per morire nella sua città. Sulla via di ritorno si fermò a Nicomedia e lì chiese di essere battezzato dal suo amico Eusebio di Cesarea, un vescovo ariano che finirà per scrivere una sua biografia che ci è stata molto utile per ricostruire il suo regno, ricordate che è una delle fonti dell’episodio su Ponte Milvio? Poco dopo, il 22 Maggio 337 dopo cristo, il grande imperatore, una figura così grande che ha riempito ben 3 episodi di Storia D’Italia, spirò.

Musica

Molti hanno letto in questo tardivo battesimo la confessione che Costantino non fosse davvero un cristiano – come si può essere Cristiani senza essere battezzati? Ma penso che oramai voi ne sappiate abbastanza per sapere che questo non è corretto: Costantino era un vero credente nella religione di Cristo e non si limitò a “tollerare” i cristiani ma fece di tutto per promuoverne la nuova religione monoteistica. Probabilmente non proibì i vari riti politeistici solo perché ancora impossibile farlo da un punto di vista politico, visto che erano ancora la maggioranza. Eppure lo abbiamo visto perfino fondere le statue sacre degli dei e confiscare i beni e le proprietà dei templi per costruire chiese. Il messaggio era chiaro per chi lo volesse capire e tutti lo intesero ai suoi tempi. Non è un caso che Costantino sia chiamato “pari agli apostoli”.

E allora perché non si battezzò fino all’ultimo? Alcuni ci vedono una resistenza a dimostrarsi troppo “cristiano” a uso e consumo dell’opinione pubblica pagana. Doveva potersi ancora mostrare super partes, in un impero che era ancora largamente pagano. Eppure il cristianesimo di Costantino era davvero il proverbiale segreto di pulcinella. Quel che gli storici sostengono di recente è che volesse battezzarsi sul punto di morte per garantirsi il perdono di tutti i peccati precedenti. Al tempo di Costantino infatti era diffusa la credenza che il battesimo lavasse i peccati incorsi nella vita fino a quel momento. Costantino aveva vissuto una vita brutale e violenta, aveva mandato a morte zii, nipoti, moglie e figli. Forse pensò di poter in questo modo lavare tutto via, pare infatti che avesse una paura molto concreta dell’aldilà.

Un’altra nota che vorrei aggiungere mi è stata suggerita dal ciclo di affreschi detto “sala di Costantino” dipinto nel palazzo apostolico a Roma in una delle stanze di Raffaello, anche se in realtà gli affreschi sono di discepoli di Raffaello. Se volete dargli un’occhiata ho postato sul mio account Instagram e pagina facebook la maggior parte degli affreschi. Uno di questi dipinge il battesimo di Costantino a mano di Papa Silvestro, una leggenda molto diffusa ma che oramai sappiamo essere non vera: la chiesa si prese la briga di inventare questo episodio per due motivazioni: innanzitutto era imbarazzante che Costantino fosse stato battezzato da un ariano ma soprattutto alla chiesa premeva far passare il concetto che fosse stata la chiesa di Roma e il suo papa a battezzare il primo imperatore cristiano, sottintendendo alla supremazia della chiesa di Roma sugli imperatori, una querelle medioevale della quale avremo modo di parlare a lungo. La chiesa arrivò a forgiare, nei secoli a venire, un documento falso, la cosiddetta “donazione di Costantino”, nella quale Costantino donava Roma e la giurisdizione sull’impero occidentale al Papa. Questo documento fu la base legale per giustificare il potere temporale della chiesa su Roma e l’Italia: avremo modo di parlarne, è molto importante. La Donazione di Costantino è anch’essa, ovviamente, celebrata in un affresco nel palazzo apostolico a Roma.

Comunque sia, alla sua morte Costantino lasciò una situazione molto delicata da un punto di vista dinastico, una situazione delicata che lui aveva contribuito ad esacerbare. Gli storici hanno diversi dubbi su molte decisioni prese da messer Costantino il Grande ma su quest’ultima non c’è dubbio alcuno, si trattò di una decisione di pura irresponsabilità.

Il problema per Costantino era che se fosse vissuto Crispo probabilmente avrebbe passato il trono a lui, un generale con esperienza e capacità politiche. Ma bè, c’era il piccolo problema del suo assassinio. Costantino aveva tre figli, nessuno già affermatosi come leader di uomini e soldati. Oltre ai tre figli, Costantino aveva una famiglia allargata numerosissima fatta di fratellastri, sorellastre, nipoti di vari gradi. Costantino si ritrovò quindi una enorme famiglia imperiale fatta di figli e nipoti, tutti giovani, tutti senza esperienza e senza un vero leader.

Costantino penso fu influenzato dalla sua personale esperienza: si era ritrovato figlio di un Augusto e con una mezza dozzina di rivali da sconfiggere e penso credesse che l’esperienza l’avesse trasformato in un imperatore migliore, anche se l’esperienza aveva voluto dire un ventennio di guerre civili. Si decise allora a lasciare l’impero a tutti i suoi eredi e lasciare che il migliore emergesse tra loro, una sorta di darwinismo imperiale. O forse li amava tutti, ma dubito.

Costantino lasciò quindi le province occidentali della Gallia, Britannia e Spagna con la frontiera renana al suo figlio maggiore, Costantino II. Le province orientali – Asia Minore, Siria, Palestina, Egitto e la frontiera con i Sasanidi – al figlio “intermedio” Costanzo II. l’Italia, l’africa e l’alto Danubio al figlio minore Costante. Un nipote, Flavio Dalmazio, fu anch’egli elevato al grado di Cesare – capite ora la follia di questa “soluzione”? – e gli furono affidate le province balcaniche. Un altro nipote, Annibaliano, sposo di sua figlia Costantina, ebbe il titolo di Re dei Re e delle genti Pontiche e una vaga autorità sulla frontiera orientale dell’impero. Probabilmente Costantino lo voleva a capo di un regno da creare con alcune province sottratte ai Sasanidi nella guerra che avrebbe voluto combattere.

Insomma, 4 Cesari e un Re dei Re, la ricetta perfetta per la stabilità imperiale. Sembra quasi che Costantino volesse ricreare la Tetrarchia da lui abolita, ma con membri della sua famiglia. Il fatto che fossero parenti non impedì però ai nostri di iniziare a uccidersi l’un l’altro praticamente il momento in cui Costantino fu inumato. I figli e nipoti di Costantino erano cresciuti alla sua corte, lo avevano visto mandare a morte membri della famiglia imperiale ogni volta che lui lo ritenesse necessario e impararono bene, e a fondo, la lezione e l’esempio paterni.

Penso che vi sia ormai chiaro come La successione imperiale fosse il peccato costituzionale originale e uno dei problemi di fondo dell’impero. Il problema è che a Roma, come ho detto nel primo episodio, non c’era una fonte chiara della legittimità a governare: non erano gli imperatori designati da Dio, né c’era una chiara legge dinastica come c’è nelle monarchie europee. La legittimità a governare era un misto di diritto di nascita, competenza, favore del popolo e successo sui campi di battaglia. Era quest’ultimo, la capacità di un imperatore nel procurarsi vittorie militari, il grande fattore legittimante di ogni imperatore, oramai visto prima come una guida militare dell’impero e solo poi come suo supremo amministratore civile.

Diocleziano non riuscì a risolvere il problema della successione con la Tetrarchia, che aveva il vantaggio almeno di essere un sistema pensato per garantire una successione ordinata, Costantino con il suo folle piano non ci provò neanche. Un imperatore che avesse voluto una successione ordinata avrebbe dovuto associare presto al trono il suo successore, che fosse un discendente oppure no, iniziare a trasferire le cariche quanto prima, dare un comando militare al successore in modo da legittimarlo come capo dell’esercito, fare in modo che fosse chiaro a tutti che l’erede possibile fosse uno solo. Costantino non fece nulla di tutto questo, e l’impero pagherà un prezzo alto per le sue scelte. Questa è una macchia molto importante sulla sua per altri versi impressionante carriera di imperatore.

Alla fine va detto che la selezione Darwiniana funzionò, a suo modo, e il più spietato, paranoico ma anche competente dei figli di Costantino erediterà alla fine tutto l’impero. Ci aspetterà nel prossimo episodio, pronto a scatenare una purga ad Approdo del Re, pardon, Costantinopoli, degna di Cersei della casa Lannister. 

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