Episodio 66: Galla Placidia dei Goti – testo completo

Una principessa di nobilissimi natali, erede delle più importanti famiglie dell’occidente. Bella, colta e raffinata, madre di un giovane sovrano troppo giovane per governare, circondata da generali ambiziosi che ambiscono anche loro alla reggenza, governa con piglio di ferro dal suo palazzo di Ravenna. Parliamo di Galla Placidia? Ovviamente no. La sovrana dell’Italia è la principessa degli Amali, figlia di Teodorico il grande e nipote di Re Clovis dei Franchi: oggi parliamo di Amalasunta, la Galla Placidia dei Goti.

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L’ombra del padre

Quando abbiamo lasciato la storia dell’occidente, Teodorico era stato sepolto nel suo magnifico mausoleo di Ravenna. Poco prima di spirare, il grande sovrano aveva chiesto ai più importanti generali dell’esercito di giurare fedeltà ad Atalarico, il suo erede designato, e di accettare la reggenza di Amalasunta, madre di Atalarico e vedova di quello che era stato l’erede scelto da Teodorico per la successione, Eutaric, sfortunatamente morto anni prima.

lI Mausoleo di Teodorico, a Ravenna

Tale era anche in questi tardi anni l’autorità e il carisma dell’anziano sovrano che nessuno se l’era sentita di andare contro i suoi voleri: non si tratta di una banalità, i Goti non avevano mai avuto una reggenza di una donna e un Re bambino a governarli. I Goti, fino al 526, avevano sempre avuto Re nel pieno delle loro forze, rispettati leader di uomini e guerrieri provetti: nella mentalità dei più tradizionalisti tra i Goti erano i Romani che si facevano governare da eunuchi, donne e bambini. I tempi cambiavano e la romanizzazione dei Goti procedeva a passi serrati: quella che sarebbe stata una follia cento anni prima era oramai almeno una possibilità.  

Eppure c’erano almeno due soluzioni alternative a quella scelta dal Re, ognuna con i suoi pro e contro. Nella tradizione germanica i Goti avrebbero potuto scegliere come loro Re uno dei loro leader militari: il più importante al 526 era Tuluin, uno dei più fedeli collaboratori di Teodorico, suo amico fidato e un generale veterano di ogni guerra combattuta dal suo Re. Quello che mancava a Tuluin era il sangue: non era un Amalo. Tuluin sarebbe stata la scelta naturale se i Goti non avessero avuto un erede legittimo di Teodorico e certamente sarebbe stato il reggente preferibile per la maggiora parte dei suoi connazionali, vista l’importanza dell’elemento militare per i Goti. In Tuluin insomma, abbiamo un potenziale Ezio per conto del suo Valentiniano III.

La seconda alternativa era l’altro membro della famiglia reale di sesso maschile: Teodato. Questi era il figlio della sorella di Teodorico, l’Amalafrida che aveva sposato il Re dei Vandali ed era stata poi assassinata a Cartagine. Teodato era nato nei Balcani, il fato vuole che fosse nato nello stesso remoto paese di Giustiniano, Tauresium. Teodato aveva più di 40 anni, era quindi un uomo fatto e finito, ma l’opposto diametrale di Tuluin. Teodato non si era mai interessato alla politica e agli affari militari, preferendo invece i libri e gli studi. Era stato certamente educato a Ravenna, alla corte dello zio, ma poi si era allontanato, ritirandosi nelle sue proprietà in Toscana, probabilmente proprietà concesse da Teodorico alla sorella. Teodato amava considerarsi un filosofo platonico: molti ritengono che questo dimostri una vicinanza a Boezio, anche lui presente a corte negli anni in cui Teodato era realisticamente a Ravenna. Alcuni storici sono arrivati a teorizzare che Boezio avesse manovrato a favore di Teodato come successore al trono, andando contro le ire del suo Re che aveva idee molto diverse sulla successione al trono. Non credo ci siano sufficienti elementi per sostenerlo, ma neanche per escluderlo del tutto.

Invece, tra i Romani, Teodato era noto soprattutto per l’abitudine di utilizzare le sue connessioni a corte per accrescere i propri domini, occupando terre pubbliche o utilizzando il suo nome e le sue conoscenze per appropriarsi illegittimamente di proprietà private. In una lettera di Cassiodoro, il grande Re rimprovera il nipote in modo pubblico: “L’avarizia, che lo spirito santo dichiara di essere “la radice di ogni male”, è un vizio volgare che voi in particolare dovreste evitare, voi che siete nostro parente, un uomo di sangue amalo e di stirpe reale. Lo Spectabilis Domitius si lamenta che porzioni della sua proprietà sono state sequestrate da voi con la violenza, senza alcuna pretesa di stabilire una pretesa legale su di loro. Vi mandiamo il Sajo Duda, e vi ordiniamo al suo arrivo, senza alcun ritardo, di ripristinare la proprietà di cui avete preso possesso, con tutti i beni mobili di cui l’avete spogliata.”

Da questo quadro mi sono fatto l’idea che Teodato non fu mai considerato da Teodorico come suo successore: Teodorico lo vedeva probabilmente come il più inadatto possibile a regnare. Troppo intellettuale per regnare sui Goti, troppo affamato di ricchezze per governare sui Romani. Questa opinione è confermata dallo storico Massimiliano Vitiello, il massimo esperto di Teodato. Tornando alle analogie romane, se quindi Amalasunta mi ricorda Galla Placidia e Tuluin è un potenziale Ezio…Teodato mi ricorda Claudio, un uomo immerso nei libri e distante dalla vita politica della sua famiglia reale. Entrambi erano destinati a diventare sovrani, ma la similitudine nel destino dei due si ferma qui: Claudio fu un imperatore che merita voti tra il buono e l’ottimo, Teodato invece…toccherà attendere per conoscere il futuro che l’aspetta.

La regina

Potenziale ritratto di Amalasunta

Ho notato che spesso gli storici un po’ superficiali descrivono il regno di Amalasunta utilizzando le poche pagine a lei dedicate da Procopio. Per quanto lusinghiere nei confronti della regina dei Goti e degli italiani, queste pagine tendono ad essere piuttosto leggere in quanto a fatti e molto concentrate sugli ultimi anni del suo regno. Ho letto anche storici scrivere impropriamente del regno di Atalarico, come a dare per scontato che a regnare fosse questi e non sua madre.

Per fortuna abbiamo un’altra fonte importante per l’epoca: ma ovviamente sempre le lettere del nostro impagabile Cassiodoro. Il nostro senatore di origini calabresi raggiunse l’apice del suo potere proprio sotto la reggenza e il regno di Amalasunta, le lettere scritte a nome di Atalarico sono ricolme di informazioni sulla politica interna ed estera di Amalasunta e di come riuscì a conquistare e mantenere il potere: lei, una donna, in un’epoca dove il governo delle donne era molto indigesto.

Cassiodoro, in un’illustrazione medievale

Alla morte del padre, Amalasunta aveva l’obiettivo di consolidare il suo per ora effimero potere, neutralizzare i rivali e anche rimediare agli ultimi anni del regno del padre, che a suo modo di pensare erano stati disastrosi, un’opinione che condivido. Occorreva ristabilire il rapporto con il senato, il papato e Costantinopoli e farlo senza indebolire la propria posizione presso i Goti al punto da perdere il potere.

Le decisioni della regina

Il primo passo di Amalasunta fu di far scrivere a Cassiodoro una serie di lettere che annunciavano la successione al trono di suo figlio Atalarico: furono inviate a Costantinopoli, al Senato, ai Romani d’Italia, dell’Illirico e della Gallia, ai leader dei Goti e a Liberio, il governatore della Gallia. Nessuna lettera fu inviata in Iberia: Amalasunta era consapevole che non aveva alcuna speranza di governare anche sui Visigoti, i quali avevano anche un Re pronto alla successione, il figlio di Alaric II nonché nipote di Teodorico, Amalaric. L’Iberia era troppo lontana, la presa sui Visigoti da parte di Ravenna era troppo labile perché potesse essere mantenuto da una reggente, una donna senza legami con i Visigoti. Forse sarebbe stato possibile se fosse stato vivo suo marito Eutaric, lui stesso un Visigoto, ma stante le condizioni era meglio fare buon viso a cattivo gioco ed evitare una guerra con i cugini occidentali.

Amalasunta decise quindi di non opporsi all’assunzione dei pieni poteri reali da parte di Amalaric: anzi, la reggente restituì ad Amalaric il tesoro dei Visigoti e il governo della Septimania, la regione della Gallia con capitale Narbonne. Amalaric si stabilì a Toledo, la nuova capitale del regno dei Visigoti, e da qui governerà il suo regno fino al 531, cercando la pace con i vicini Franchi attraverso un matrimonio dinastico con una principessa della dinastia dei Merovingi. Qualcosa andò storto però, la moglie abbandonò Amalaric: Gregorio di Tours sostiene per le differenze religiose tra i due, lui ariano e lei ortodossa. Qualunque cosa accadde, e dubito che si trattò solo di una questione nuziale, ci fu una nuova guerra tra Franchi e Visigoti che questi ultimi, come oramai tradizione, persero. Dopo la sconfitta Amalaric fu assassinato dai Visigoti, che elessero al trono Theudis, un fedele servitore e guerriero di Teodorico: si trattava originariamente di un Ostrogoto, a riprova che le identità dei Goti orientali e occidentali erano molto fluide. Da questo momento in poi i Visigoti escono quasi completamente dalla nostra storia: ogni tanto il loro regno farà capolino, ma sempre meno spesso. La storia del regno di Toledo è la storia dell’alba di quella cosa che un giorno saranno i regni iberici, quelli che oggi chiamiamo Spagna e Portogallo, ma dovrà passare davvero tanta acqua sotto ai ponti prima che questi regni diventino rilevanti per la storia italiana.

“L’impero” di Teodorico: sotto Amalasunta, i Visigoti recuperarono l’indipendenza

Quanto a Tuluin e Teodato, i suoi possibili rivali al trono, Amalasunta decise di dare ad entrambi la cosa che più ambivano al mondo: il riconoscimento nobiliare all’uno, le ricchezze all’altro. In cambio dell’accettazione della transizione, Tuluin fu elevato al patriziato e quindi ammesso nel Senato di Roma. Cassiodoro scrisse anche il discorso di questo generale gotico diventato senatore, un altro capolavoro di romanitas gota: “accettando il patriziato, vi garantisco che nessuno dei miei compatrioti riterrebbe questo onore a buon mercato. Quanto a voi, colleghi senatori, vi invito a vivere nella sicurezza: con la benedizione di Dio e ora come sempre, mostrate al mondo il vero carattere romano. Quanto a me, difenderò sempre il senato e i senatori, ai quali sono ora associato.”

Con Teodato invece Amalasunta fece appello alla sua nota avidità e gli concesse vaste proprietà statali che erano state date alla madre per il suo sostentamento ma che erano state incamerate dal fisco. Amalasunta sapeva come comprare i suoi nemici.  

Ricostruire i ponti con Roma

Sistemate queste pratiche, Amalasunta si dedicò a tentare di sanare i danni degli ultimi due anni di governo di Teodorico, almeno per quanto possibile: c’era da ricucire con la fazione senatoriale vicina a Boezio e Simmaco, senza però dare l’impressione ai sostenitori del governo di Ravenna – Goti e Romani – che l’infedeltà fosse premiata più della fedeltà. Quindi per prima cosa Amalasunta promosse senatori importanti della fazione pro-gotica, come Cipriano e suo fratello Opilio, i delatori di Boezio. Cipriano fu nominato al patriziato, Opilio fu fatto Comes Sacrarum Largitionum. In seguito Amalasunta fece però un passo importante per riportare una sorta di pace con gli eredi di Boezio e Simmaco, i quali ebbero ristorate le proprietà di famiglia che erano state loro espropriate da Teodorico.

La tomba del filosofo e senatore Boezio, a Pavia: la sua condanna a morte aveva alienato diversi senatori alla causa di Teodorico

Amalasunta continuò l’offensiva diplomatica anche verso la chiesa, che aveva perso un Papa nelle segrete di Ravenna: una parte del clero sosteneva sempre il regno, ma una parte probabilmente maggioritaria era oramai ostile a Ravenna. Riconciliarsi con la chiesa era di capitale importanza per tre ragioni: innanzitutto ovviamente il Papa era la guida degli ortodossi italiani, quindi in sostanza una delle più importanti voci dei Romani. L’altra ragione era che diventava sempre più difficile distinguere tra l’élite senatoriale romana e la chiesa: molti dei rampolli delle famiglie senatorie finivano in ruoli di responsabilità della chiesa. Se voleva fare pace con il Senato, Amalasunta doveva riconciliarsi anche con la chiesa. Infine, la pace con la chiesa romana era probabilmente un prerequisito per un accomodamento con Costantinopoli.

La prima questione affrontata da Amalasunta fu proprio la questione di chi dovesse sedere sul soglio di Pietro: La reggente non fu talmente naïve da permettere ai Romani di scegliersi un Papa, magari anti-gotico come Giovanni I. Né Amalasunta cercò la pace con il clero a tutti i costi. Come sempre, Amalasunta soppesò attentamente le opzioni di fronte a lei. Innanzitutto la reggente impose il suo candidato alla chiesa, orfana di Giovanni: abbiamo una lettera in cui, in sostanza, indica al clero romano il candidato da eleggere. A dire la verità è possibile che ci fu una elezione contestata e che Teodorico, poco prima di morire, avesse già dato il suo parere tra i candidati, scegliendo il futuro Felice IV, chiaramente un membro della fazione pro-gotica della chiesa romana.

Su questo punto gli storici non sono univoci: abbiamo una lettera di Cassiodoro che pare implicitamente confermare che Felice non fu consacrato che dopo la morte di Teodorico, altri sostengono che Felice era già Papa prima della morte del grande Re. La mia opinione è che il parere su chi dovesse succedere a Giovanni fu dato da Teodorico, ma fu Amalasunta a confermarlo ed imporlo davvero alla chiesa. Come abbiamo notato sin dai tempi di Odoacre, Ravenna si riservava il diritto di influire sull’elezione, ma Felice IV fu forse il primo Papa ad essere direttamente nominato dalla corte di Ravenna.

La prima chiesa del Foro romano

Mosaico originale dei tempi di Amalasunta, nella basilica di S.Cosma e Damiano, a Roma

Per compensare questa palese violazione dell’indipendenza papale, Amalasunta decise di offrire diversi ramoscelli di ulivo alla chiesa. Il primo fu di donare due antichi edifici del Foro Romano alla Chiesa: si trattava del tempio del divo Romolo e della sala che ospitava la forma urbis, la meravigliosa mappa dell’antica Roma. Entrambi gli edifici furono convertiti da Papa Felice in una chiesa, ovvero la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, ancora oggi in piedi nel cuore del Foro Romano, attorniata dalle colonne del tempio originale. La scelta dei due santi non è casuale: Cosma e Damiano erano dei martiri orientali, si tratta dei primi santi orientali che ebbero una chiesa dedicata al loro nome. Si trattava di un chiaro ramoscello d’ulivo offerto dal Papa e da Amalasunta verso Costantinopoli. Nella chiesa furono realizzati dei meravigliosi mosaici, giunti fino ai giorni nostri. Uno di questi rappresenta Papa Felice IV e, nonostante sia stato rifatto nel Rinascimento, siamo ragionevolmente certi che rappresenti ancora fedelmente le fattezze del Papa, il primo della storia del quale abbiamo un volto realizzato mentre era in vita o poco dopo la sua morte. Non sarà certo l’ultimo.

Come doveva apparire la Forma Urbis nel III secolo.

L’altro importante favore di Amalasunta fu di donare alla chiesa romana un formidabile precedente legale: con un editto a nome di Atalarico, Amalasunta istruì che chiunque laico avesse rimostranze verso un membro del clero avrebbe dovuto affidarsi prima di tutto al giudizio del Papa, questo prima di rivolgersi ai tribunali civili. Nelle parole dell’editto “e se, cosa a cui è impietà credere, il ragionevole desiderio del litigante non venga soddisfatto dall’ufficio del beato Papa, questi potrà venire di fronte al tribunale secolare con le sue rimostranze”. Penso sia evidente come questo apparentemente semplice editto sia un importante precedente: i membri del clero iniziano a non essere più uguali di fronte alla legge, venendo giudicati non da tribunali civili ma direttamente dal Papa. Non è ancora l’immunità ecclesiastica, il litigante può comunque appellarsi ai tribunali civili e l’editto parla chiaramente solo del diritto civile, non di quello penale, eppure è un altro mattone di quell’edificio che un giorno sarà il magnifico e temibile castello della chiesa medievale.

Il tempio del Divo Romolo, costruito da Massenzio nel Foro romano, dietro la basilica di S.Cosma e Damiano voluta da Amalasunta

L’Impero, la Regina e il papato

L’offensiva diplomatica di Amalasunta nei confronti del Papato, del Senato e di Costantinopoli pare avere funzionato: i rapporti di Amalasunta con Giustiniano furono da subito ottimi, d’altronde a quei tempi Giustiniano era occupato con un’enorme gatta da pelare persiana: la guerra con Re Kavad non andava per nulla bene. Forse va vista nel quadro della relazione speciale con Costantinopoli anche la decisione di costruire una nuova, grande e meravigliosa chiesa ortodossa nella capitale di Amalasunta, Ravenna: nel 526, poco dopo la morte di Teodorico, iniziò la costruzione di San Vitale, la magnifica chiesa ravennate che ospita oggi i mosaici di Giustiniano e Teodora. C’è buona ragione di credere che la chiesa fu finanziata da Giustiniano, attraverso un prestanome ravennate, ma sarebbe stato davvero difficile costruire una tale, immensa dimostrazione del potere della chiesa romana senza il consenso di Amalasunta. Segno che i due collaborarono a questo progetto, in segno di ritrovata unità tra le due parti della Respublica.

L’opposizione senatoriale sembra essere stata ricondotta nell’alveo del regno, anche grazie alla détente con Costantinopoli. La chiesa fu molto soddisfatta dei privilegi concessi da Amalasunta, eppure quando fu chiaro che Felice IV era prossimo alla morte questi sentì il peso del potenziale conflitto che attendeva la chiesa. La fazione pro-gotica o più propriamente proitaliana avrebbe certamente battagliato contro quella pro-imperiale, c’era la seria possibilità che fossero gli imperiali a vincere e in qualunque caso si rischiava un nuovo scisma nella chiesa, con l’elezione contemporanea di due Papi. Per evitare questo problema, Felice decise di utilizzare un potere che formalmente i Papi avevano da qualche decennio, ma che non era mai stato utilizzato: ovvero quello di scegliersi i propri successori, una scelta che sono certo fu sostenuta se non suggerita da Amalasunta. Non era una posizione senza base legale: già Papa Simmaco aveva decretato che un Papa poteva decidere il suo successore. Felice decise quindi di nominare pubblicamente il suo arcidiacono preferito, un certo Bonifacio, figlio di Sigisbaldo.

Bonifacio II, il papa goto

Dal nome del padre dovrebbe essere chiaro che Bonifacio non era un diacono qualunque: Bonifacio era infatti di famiglia ostrogota, nonostante che fosse nato in Italia e portasse un nome romano. Per la fazione pro-imperiale questo era inaccettabile e prevedibilmente quando Felice morì, nel 530, il clero romano si divise durante l’elezione del nuovo vescovo. Bonifacio fu consacrato Papa a Santa Maria in Trastevere mentre una maggioranza dei presbiteri romani elesse come Papa il capo della fazione pro-imperiale, un diacono egiziano che era giunto a Roma da Alessandria per fuggire dal locale dominio dei Monofisiti, facendo qui carriera. Il suo nome era Dioscoro e la sua storia, assolutamente non unica, dimostra quanto l’Italia fosse ancora inserita all’interno di un vasto mondo mediterraneo interconnesso, come lo era stato il mondo romano nel quarto e quinto secolo.

L’elezione di due Papi avrebbe potuto essere l’anticamera di una dura battaglia, salvo che Dioscoro morì dopo appena 20 giorni dalla sua elezione. Questo sembrò al clero un messaggio divino e le due fazioni si riunirono nel riconoscere Bonifacio II come vescovo di Roma. Bonifacio era però anziano e, poco dopo l’elezione, anche Bonifacio provò a scegliere il suo successore: l’uomo che aveva scelto era un certo Vigilio, un uomo che un giorno sarà Papa, e che Papa! La sua è una storia che non vedo l’ora di raccontare. Vigilio avrà quel che vuole, ma non ancora, e non così facilmene, perché il Senato e la Chiesa si opposero alla nomina: infine Bonifacio fu costretto a ritrattare, questo poco prima di morire, nel 532. Alla sua morte fu eletto un Papa della fazione pro-imperiale, a quanto pare dopo una talmente scandalosa campagna di acquisto dei voti da parte delle fazioni in campo da richiedere l’intervento del governo di Ravenna, che impose dure pene a chi si fosse macchiato del peccato di simonia, la compravendita delle cariche ecclesiastiche.

Il nuovo Papa prese il significativo nome di Giovanni II, fu il primo Papa a cambiare il nome perché il suo nome originale era “Mercurius”, un nome che era considerato inappropriato per un Papa della chiesa cristiana. La scelta di Giovanni è significativa perché questo era il nome del Papa che morì nelle segrete di Teodorico: non certo una scelta conciliante con Ravenna.

Vi ho raccontato questa storia perché la ritengo importante per comprendere le tensioni politiche in seno alla città di Roma: oramai il papato è la cartina tornasole della politica del senato. L’alternanza di Papi filo-ravennati e filo-costantinopolitani ci dà la migliore indicazione possibile dell’esistenza di queste due fazioni e della loro forza reciproca, alla vigilia di una guerra che testerà la fedeltà di entrambi alla propria causa.

L’amministrazione del regno

Negli anni che vanno dal 526 al 533, gli anni del governo di Amalasunta, abbiamo diverse lettere di Cassiodoro a testimoniare la continua attività del governo ravennate, sempre molto dinamico nel gestire la società italiana. Ne viene fuori il quadro di un’Italia con ancora una vitale società civile e un governo sulla falsariga di quello di Teodorico: lettere si preoccupano dell’estrazione dell’oro nelle miniere italiane, del restauro del sistema fognario di Parma, del perenne problema della classe dei curiales in fuga dai propri obblighi di gestione della cosa pubblica. Diverse lettere hanno lo scopo di rimettere o ridurre la tassazione in regioni del regno colpite da calamità. Una lettera ha come tema l’incremento dello stipendio dei maestri di grammatica. Su quest’ultimo punto vale la pena di citare Cassiodoro: “La grammatica è il nobile fondamento di tutta la letteratura, la gloriosa madre dell’eloquenza. L’arte grammaticale non è usata dai re barbari: ma alberga nelle corti dei legittimi sovrani. Altre nazioni hanno le armi: solo i signori dei romani hanno l’eloquenza”. Notare come Amalasunta si ritenga anche lei una legittima sovrana dello stato romano, ovviamente per conto di suo figlio Atalarico. L’attenzione per l’educazione e la formazione delle classi dirigenti è un segno di Amalasunta, lei stessa una delle donne più colte della sua epoca: come detto in passato, Amalasunta aveva ricevuto una superba educazione e poteva parlare fluentemente in Goto, Latino e Greco, una delle poche persone della sua epoca a farlo. In tutto e per tutto, Amalasunta era una vera principessa dei Romani e dei Goti, con quarti di nobiltà ben maggiori – ad esempio – degli attuali occupanti del trono di Costantinopoli.  

Il quadro delle lettere di Cassiodoro non è però idilliaco: pare che non tutto andasse per il verso giusto in Italia. Vari editti e lettere sono dedicati dalla cancelleria di Ravenna a frenare le ambizioni di capi gotici locali, chiaramente sempre più ansiosi di mettere le mani su grandi proprietà terriere, in modo da entrare nell’aristocrazia gentilizia del regno. Quest’azione legalista e volta a proteggere i proprietari terrieri romani deve aver irritato qualcuno nella classe dirigente gotica ed è uno dei fattori citati come la possibile fonte del dramma che si sta per svolgere a Ravenna.

Tre piccoli indiani

Il seguito ci è noto solo grazie a Procopio che lascia però molto a desiderare come fonte a riguardo di queste vicende, visto che è decisamente vago nelle sue affermazioni. Sembra che si sviluppò una corrente opposta ad Amalasunta nel seno della leadership gotica, soprattutto tra i più tradizionalisti tra i Goti che mal digerivano la progressiva romanizzazione dei loro sovrani, anche se io credo che l’opposizione avesse anche a che fare con la strenua difesa del diritto dei Romani da parte del governo di Ravenna, difesa che credo abbia alienato diversi nobili gotici.

Sta di fatto che l’opposizione a quanto pare si manifestò attorno a quale formazione da dare al Re: al ragazzo era stata data finora la stessa educazione che aveva ricevuto Amalasunta, quella di un vero signore dei Romani. I Goti tradizionalisti chiedevano invece che fosse rapidamente avviato al mestiere delle armi, in modo da essere un degno leader guerriero per l’esercito d’Italia. La questione è certamente importante, ma credo nascondesse più prosaicamente una manovra per esautorare Amalasunta della reggenza, prendendo possesso delle redini del potere a Ravenna.

Amalasunta a questo punto sembra aver temuto per la propria vita, tanto da chiedere asilo a Giustiniano, con il quale era in ottimi rapporti. Asilo presto concesso dall’imperatore che forse già assaporava l’occasione di intromettersi nella politica italiana. Mentre Belisario combatteva le sue battaglie contro i Persiani, tra il 531 e il 532 Amalasunta fece inviare nei Balcani una nave carica con il tesoro del regno, in modo da mettere il tesoro a distanza di sicurezza da Ravenna. Lei stessa fece approntare una nave veloce sulla quale salire al primo segnale di pericolo. Alla principessa degli Amali furono promessi da Giustiniano ruoli e rango degni di una delle più importanti matrone della città, ruolo che avrebbe avuto automaticamente grazie all’enorme ricchezza del tesoro di Teodorico: 40.000 libbre d’oro, quanto bastava per fare di Amalasunta la seconda persona più ricca dell’Impero. Ma Amalasunta, non per l’ultima volta, non lasciò la sua capitale e scelse invece di combattere per il suo regno.

Dittico consolare di Rufio Gennadio Probo Oreste, console occidentale nel 530. Il dittico (un simbolo della dignità consolare) è importante perchè in alto porta, a destra e sinistra della croce, i volti di Amalasunta (reggente) e Atalarico (Re) dei Goti e degli Italiani.
Oreste fu il penultimo console dell’impero occidentale, l’ultimo console del Senato italiano del quale ci è giunto il dittico consolare.

La manovra di Amalasunta fu un classico della politica romana: la Galla Placidia dei Goti offrì ai tre più importanti leader dell’opposizione una promozione. Uno di essi deve essere stato Tuluin, gli altri due ci sono ignoti. Si trattò probabilmente del comando degli eserciti della Repubblica in Gallia, Pannonia e un altro settore lontano da Ravenna. Quando tutti e tre furono ai loro posti, dei sicari incaricati da Amalasunta li assassinarono in contemporanea. Priva dei loro capi, l’opposizione per il momento fu tacitata e la figlia di Teodorico poté continuare a regnare de facto a Ravenna. Sospettando che dietro all’intera manovra ci fosse suo cugino Teodato, Amalasunta lo mise sotto processo per espropriazioni indebite in Toscana, la stessa accusa rivoltagli anche da Teodorico, costringendolo a restituire molte delle sue proprietà. La manovra politica di Amalasunta era stata brutale ma efficace: la regina aveva assicurato il regno per sé e suo figlio Atalarico: la nave carica del tesoro del regno tornò in Italia.

Amalasunta sostiene Belisario

Amalasunta non dimenticò però il favore che Giustiniano gli aveva concesso garantendogli l’asilo: nel 533 la grande flotta di Belisario attraccò in Sicilia e come già riferito Amalasunta fece aprire i mercati locali ai soldati imperiali mentre la sua flotta non oppose alcuna resistenza alla missione imperiale. Le due parti della Respublica romana erano d’accordo sul fatto che i Vandali andavano puniti. Eppure non credo che neanche la principessa dei Goti si aspettasse il successo di Belisario, d’altronde dubito che se lo aspettasse Giustiniano: i Vandali umiliati erano una cosa, ma soldati imperiali in possesso di Cartagine era tutt’altra questione. L’Italia era ora circondata da province imperiali, mentre a nord i Franchi facevano a pezzi un altro alleato dell’Italia, ovvero i Turingi di Hermanafrid. Dieci anni prima Teodorico era stato in pieno controllo del mediterraneo occidentale: la crisi dinastica dei Goti, la continua avanzata dei Franchi e la sconfitta dei Vandali avevano completamente cambiato la geografia geopolitica dell’occidente. L’Italia era ancora forte, ma ora era sola nel mezzo del mediterraneo. Fortuna che Amalasunta aveva un ottimo rapporto con l’imperatore! Oppure no?

Il percorso di Belisario da Costantinopoli all’Africa dei Vandali: la Sicilia faceva parte del regno d’Italia, ma Amalasunta diede supporto logisico ai Romani.

Una volta conclusa la guerra vandalica, un’ambasciata giunse nella primavera del 534 a Ravenna: l’ambasciatore di Giustiniano protestò veementemente perché Amalasunta aveva fatto occupare il porto di Lilibeo – la futura Marsala – alla caduta del regno dei Vandali. Il Lilibeo era stato ceduto da Teodorico ai Vandali quando Amalafrida aveva sposato il loro Re, Amalasunta aveva ritenuto di poterlo occupare anche in cambio del supporto fornito all’Impero. L’imperatore era di tutt’altro parere: si lamentava inoltre dell’asilo fornito ad alcuni Unni disertori e perfino della guerra di Sirmio, nella quale Teodorico aveva occupato dei territori che appartenevano all’impero orientale. Quest’ultima era decisamente una lamentela curiosa, a distanza di trent’anni dagli avvenimenti e quindi sospetta. L’impressione che mi sono fatto è che già a questo punto Giustiniano cercasse ragioni per uno scontro con l’Italia, alla luce del successo in Africa.

La posizione ufficiale di Amalasunta fu ferma, nonostante gli ottimi rapporti con l’Imperatore e il rischio di incorrere nell’ira imperiale. Il Lilibeo non fu restituito. Eppure ancora più interessante è il racconto che Procopio ci fa nelle sue storie segrete a riguardo delle negoziazioni appunto segrete: ne viene fuori un racconto affascinante che è difficile da ricomporre, proviamoci.

Assieme alle minacce sul Lilibeo, minacce pubbliche, l’ambasciatore di Costantinopoli ebbe un ruolo più segreto: quello di iniziare a mettere pressione sul regno gotico, cercando di destabilizzarne la leadership amala.

La malattia del principe

A quanto pare nel 534 era diventato palese che l’adolescente Re dei Goti e degli italiani era malato: Atalarico era affetto probabilmente da diabete, anche se Procopio incolpa la sua malattia agli stravizi di una vita da debosciato, una tipica giustificazione moralistica della malattia. Per la seconda volta i piani di successione di Teodorico rischiavano di essere mandati all’aria da una morte intempestiva. Amalasunta era nella posizione peggiore: aveva dominato l’Italia negli ultimi otto anni per conto di suo figlio: né Romani né Goti permettevano alle donne di governare nel loro nome e senza un paravento legale maschile. Amalasunta era inoltre consapevole di essersi fatta dei potenti nemici tra i nobili Goti, a causa dei tre assassinii da lei ordinati.

L’imperatore e l’imperatrice, a Costantinopoli, debbono essere stati consapevoli di queste difficoltà e decisero di offrire bastone e carota ad Amalasunta: il bastone erano le minacce neanche troppo velate di guerra a proposito del Lilibeo, la carota fu l’offerta di asilo a Costantinopoli: Mi sembra sentire l’ambasciatore sussurrare le sue parole di miele: “Amalasunta, siete ancora giovane. Perché continuare a rischiare la vita a Ravenna? Perché non venire nella capitale del mondo, da ricca matrona, e vivere da nobile romana? Lasciate questo regno, dentro il quale morirete, restituite il diritto a governare l’Italia al suo legittimo imperatore. In cambio, avrete la sicurezza e una vita di agi”

Al centro: Giustiniano, alla sua destra (probabilmente) Belisario

Giustiniano, al solito, non lasciava nulla al caso e la stessa offerta fu fatta a Teodato, l’ultimo potenziale erede maschio della dinastia amala e quindi carico di legittimità a governare l’Italia. Ovviamente l’offerta fu adattata allo stile di Teodato: l’imperatore avrebbe pagato profumatamente le sue proprietà in Etruria e gli avrebbe concesso il rango di Patrizio – il più alto del senato orientale – in cambio del suo trasferimento a Costantinopoli. Il gioco di Giustiniano mi pare chiaro: privare l’Italia dei suoi regnanti legittimi: nel peggiore dei casi, il regno sarebbe passato a qualche Goto di stile assai più barbarico di questi due, alienando probabilmente l’opinione pubblica romano-italica. Nella migliore delle ipotesi, i Goti avrebbero litigato tra loro su chi eleggere come successore al regno: un’ottima scusa per una guerra di invasione, come nel caso dei Vandali.

I due cugini sembrano aver dato risposte vagamente positive agli ambasciatori, entrambi debbono avere soppesato il rischio di restare in Italia verso l’opportunità di un trasferimento a Costantinopoli. L’ambasciatore tornò a Nuova Roma in estate. Giustiniano decise dunque di inviare in Italia il suo diplomatico numero uno, una figura interessante e complessa: l’ambasciatore Pietro. Questi era nato a Dara, la città della prima grande battaglia di Belisario. Procopio lo descrive nelle carte segrete come un uomo intelligente, abile nel parlare e un ladro inveterato. Sappiamo che era pieno di sé e scrisse una storia nella quale ingigantì il suo ruolo durante le guerre di Giustiniano, purtroppo la sua opera è andata perduta. Quello che sappiamo è che era uno dei grandi diplomatici del mondo antico: un Viceré britannico in India disse che l’arte della diplomazia fu rovinata dall’invenzione del telegrafo, e c’è del vero in queste parole. Prima della possibilità di comunicare direttamente con la propria capitale, gli ambasciatori non erano dei gloriosi fattorini delle istruzioni del loro governo: certo, prima di partire ricevevano un brief dettagliato sulla loro missione; ma una volta all’estero, di frequente dovevano prendere delle decisioni sul momento, in base all’evoluzione dei fatti. Pietro ne prenderà diverse e decisamente rilevanti.

Forse per coprire in parte le tracce di Pietro e l’impatto delle sue azioni nel dramma che sta per svolgersi, Procopio nelle sue “guerre” sostiene che questi giunse in Italia nel 535, non nel 534. Nelle storie segrete invece sostiene che Pietro ricevette due istruzioni diverse dai sovrani dell’oriente. Giustiniano gli disse di negoziare la rinuncia al trono di Amalasunta, in modo da ritrasferire l’autorizzazione a regnare sull’Italia al legittimo imperatore. Infatti Giustiniano aveva riconosciuto il regno di Atalarico e la reggenza di Amalasunta, non poteva legalmente sottrarli e tutto sarebbe stato più facile se Amalasunta vi avesse rinunciato di sua volontà. Di converso Procopio riporta che Teodora fosse gelosa di Amalasunta: la figlia di Teodorico era una vera regina, erede di una delle più prestigiose dinastie del mondo. Non era una figlia del postribolo, per non parlare della sua nota bellezza e raffinata educazione. Teodora avrebbe quindi dato istruzione a Pietro di assicurarsi che Amalasunta non giungesse viva a Costantinopoli.

Probabilmente si tratta della solita misoginia di Procopio e diversi storici dubitano che Teodora tramasse di disfare la politica del marito. Oppure è valido quanto ho detto nell’episodio 59: Giustiniano e Teodora agivano sempre in coppia, spesso in complicati giochi politici: davvero la versione tardoantica di Mr. e Mrs. Underwood. Magari i due erano d’accordo sia nell’offerta di asilo, sia nell’assicurarsi di non avere un potenziale rivale politico a Costantinopoli. Temo che non sapremo mai la verità. Quel che è certo è che Amalasunta non giunse mai sulle rive del Bosforo, come vedremo.

La decisione fatale

Nel frattempo la malattia di Atalarico peggiorava e il tempo stringeva: il giorno della verità si avvicinava: mi immagino il tormento della madre e quello della sovrana, dilaniata dal dubbio se restare o partire. Eppure per la seconda volta Amalasunta decise di combattere per il suo regno: dei messaggeri furono inviati a Teodato, il cugino mai amato, un uomo che aveva probabilmente tramato contro di lei, un uomo disprezzato da molti Goti perché nerd, da molti romani per la sua avidità. Nonostante tutti i suoi limiti, Amalasunta era consapevole che solo Teodato poteva fornirle il paravento legale di cui aveva bisogno per governare. Delle concitate trattative si svolsero tra i due, inconsapevoli l’un l’altro di quanto fossero andati vicini a rinunciare entrambi all’Italia.

Alla fine i due cugini giunsero ad un accordo: alla morte di Atalarico, oramai da tutti ritenuta inevitabile, Teodato sarebbe stato associato al trono, divenendo lui stesso Re dei Goti e degli Italiani, Amalasunta sarebbe diventata formalmente Regina di diritto, e senza sposare il cugino, solo in quanto vera regnante dell’Italia. L’accordo prevedeva infatti che il vero potere rimanesse nelle mani di Amalasunta, che si sarebbe accollata l’onore e l’onere di regnare davvero, un mestiere per il quale Teodato era chiaramente e visibilmente non tagliato. Teodato avrebbe ricevuto gli onori dovuti ad un Re e le ricchezze della posizione. Tutti felici.

Il 2 ottobre del 534 morì Atalarico. Il giorno dopo Amalasunta e Teodato furono acclamati Regina e Re dei Goti e degli Italiani. Al loro fianco c’era Cassiodoro, promosso l’anno prima a Prefetto del Pretorio e quindi una sorta di Primo Ministro del governo ravennate. Nessuno a Ravenna poteva sapere come avrebbe reagito Giustiniano a questa novità: l’imperatore aveva chiaramente voluto un esito diverso dalla nuova crisi dinastica degli Amali. L’ambasciatore Pietro era in viaggio per l’Italia con le sue istruzioni oramai desuete, Belisario celebrava a Costantinopoli il suo trionfo e poi il suo consolato, in occidente finiva invece il consolato di un carneade, nominato a questo ruolo da Amalasunta, come al solito con l’accordo di Costantinopoli.

L’ultimo anno di pace

Nessuno poteva saperlo ma il carneade in questione, tale Decio Paolino, sarebbe stato l’ultimo console romano dell’occidente, una carica che nel bene e nel male durava da più di mille anni, pur tra innumerevoli trasformazioni dello stato, della religione e della costituzione. La grande tempesta si è accumulata sui cieli d’Italia, il vento gelido soffia da oriente, le nubi nere, cariche di pioggia, si affacciano sulle coste della penisola. Un intero mondo, un’intera civiltà, sta per essere sconquassata alle sue fondamenta.

Nel prossimo episodio vedremo cosa faranno gli uomini in oriente, in occidente, a Ravenna, Roma e Costantinopoli per evitare la tempesta ed assicurare una pacifica transizione al potere. Ogni agente politico avrà obiettivi diversi ma nessuno vorrà davvero la guerra. Eppure, come spesso accade nella storia degli uomini, ognuno desidererà di evitare la guerra in modo diverso, alla fine precipitando tutti nel buio. Un altro mondo attenderà l’Italia al di là di questa catastrofe.

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