Nello scorso episodio Roma e Iran sono giunti alla solita conclusione: la guerra tra le superpotenze del sesto secolo non conviene ad entrambi, molto meglio abbandonare la guerra guerreggiata e tornare alla solita guerra fredda, con il nome altisonante di “pace eterna”.
In questo episodio dovrete dimenticare quello che già sapete, ovvero che Giustiniano governerà a lungo: in questo terribile gennaio del 532, lui non lo sa. Come nel film “sliding doors” siamo arrivati ad un bivio della strada, dove ogni dettaglio, ogni decisione, ogni porta che si chiude può determinare il futuro, in modo imprevedibile.
Dopo anni di riforme dirompenti, di persecuzioni degli infedeli e dopo una guerra finita con quella che appare sempre di più come una sconfitta, Il regno di Giustiniano è appeso ad un filo. Potrebbe bastare un lieve movimento del terreno per farlo cadere.
E poi il vulcano esplose.
Per ascoltare il podcast cliccate in basso!
Vulcano spento?
Prima di iniziare, vorrei dire che Il Patreon speciale dell’episodio è Stefano Pellizzola, grazie Stefano per essere uno dei sostenitori della prima ora!
Per comprendere cosa portò alla più famosa eruzione umana del sesto secolo dobbiamo tornare indietro di qualche anno e parlare degli affari domestici di Giustiniano. Infatti, mentre Belisario combatteva la sua guerra in Siria e Mesopotamia, Giustiniano aveva condotto una guerra differente, un conflitto volto a modernizzare e rendere più efficiente la macchina dello stato. L’obiettivo di Giustiniano era semplice: aveva bisogno di foraggiare i suoi sogni di gloria militare in Persia e la sua attività edilizia. Giustiniano aveva infatti iniziato un ambizioso programma di restauro e ampliamento delle fortificazioni a difesa dei vari limes dell’impero e aveva dato il via ad una straordinaria politica di costruzione di nuove chiese. Tutto questo costava caro, ovviamente. Per permetterselo Giustiniano aveva bisogno di un costante e prevedibile avanzo fiscale, ovvero la differenza tra le entrate fiscali e le spese correnti per il mantenimento dello stato. Oggi un’amministrazione con sogni di grandezza potrebbe pensare di far tutto questo in deficit, aumentando il debito pubblico, ma i Romani non conoscevano ancora questo concetto. Certo, Giustiniano aveva il suo tesoretto di Anastasio, ma l’imperatore intendeva regnare a lungo e quindi guardava anche al lungo periodo.
Sul lato delle spese, a Costantinopoli da decenni si erano andati accumulando posti e ruoli nell’amministrazione che erano dei puri stipendifici, senza che allo stipendio corrispondesse una vera prestazione lavorativa. Si trattava di un meccanismo per mantenere favorevole al regime le classi dirigenti dell’impero, quelle classi di medi e grandi proprietari terrieri che erano i principali finanziatori e beneficiari dello stato. Certo, pagare le tasse non è mai un piacere, ma diventava così più agevole se a vostro figlio era riconosciuto uno stipendio statale, senza ovviamente la scocciatura di dover lavorare. Altri posti avevano avuto un senso un tempo ma erano stati oramai sostituiti da altri uffici, senza che i vecchi fossero ovviamente chiusi: come vedete noi non abbiamo inventato nulla, con le nostre municipalizzate inutili, partecipate vuote o enti senza scopo. Allora come oggi queste politiche a prima vista di semplice sperpero erano utilizzate dal potere politico per mantenere il consenso delle persone più in vista e potenti. Tutto a spese dei contribuenti senza collegamenti con il potere, si intende.

Il centro di Costantinopoli
Nel mondo romano lo stesso valeva in realtà anche per le tasse: in teoria tutti erano tassati con metodi per quanto possibile equanimi, stabiliti dalla riforma di Diocleziano che aveva diviso l’impero in unità fondiarie tassabili in base al valore e alla produttività delle terre, valori che poi venivano aggiornati ogni quindici anni: questo ciclo era detto “indizione”. Nella realtà però i potenti riuscivano sempre a trovare metodi creativi per ridurre o annullare il carico, per non parlare delle sofisticate tecniche di dilazione in attesa di un bel condono fiscale. Lo so ne ho già parlato, volevo solo rassicurarvi: gli stessi problemi contro i quali combatté Giuliano l’Apostata nel quarto secolo erano ancora lì nel sesto secolo. Per fortuna noi siamo riusciti a risolverli.
Per affrontare le due belve dell’amministrazione pubblica e del sistema fiscale, Giustiniano scelse un uomo che entrerà nella triade dei suoi più stretti collaboratori, assieme a Teodora e Belisario: Giovanni il Cappadoce.
Giovanni, o Ioannes, era il tipico uomo di Giustiniano: di estrazione modesta, capace, intelligente, ambizioso e corrotto. Nelle parole di Procopio “un uomo tra i più audaci e intelligenti del suo tempo”, un giudizio importante considerando che Procopio lo detestava. Ioannes mi ricorda il Ditocorto del trono di spade, un maestro nel far fluire denaro in un modo che deve essere sembrato alieno ai magnati della capitale. Giovanni era personalmente corrotto, nel senso che utilizzò sempre la sua posizione per arricchirsi, ma non era istituzionalmente corrotto: non era possibile comprare una riduzione fiscale da Giovanni con una bustarella, come era stato invece possibile con i suoi predecessori.
Giovanni iniziò una brutale riforma della macchina statale: le posizioni inutili furono abolite, gli uffici riorganizzati e resi più efficienti. L’intera macchina della riscossione delle tasse fu rivista, le persone facilmente corruttibili allontanate, gli altri motivati a trasformarsi nella versione tardoantica di una vera agenzia delle entrate. All’improvviso la classe dei proprietari terrieri provinciali e dei senatori della capitale si ritrovò a dover pagare davvero le tasse, proprio nel momento in cui molti dei loro privilegi e delle loro posizioni a corte venivano aboliti. Il malcontento della classe dirigente andò montando ma lo stesso fecero le entrate, che andarono a finanziare la guerra persiana e l’ambizioso piano edificatorio dell’imperatore. Va da sé che questo non rese Giovanni il Cappadoce una delle figure più popolari della capitale.
Corpus Iuris Civilis

Giustiniano non si limitò però a riformare la macchina statale, l’altro grande progetto del regime fu la riforma del sistema legale. La legge per i Romani non era semplicemente un mezzo per far funzionare le corti, o semplicemente il contratto sociale tra cittadini e tra questi e lo stato. La legge era alla base della pretesa di Roma di ergersi al di sopra di ogni altro civiltà: quando un romano doveva dimostrare ad un barbaro la superiorità della civiltà romana il suo riflesso era sempre di fare riferimento al magnifico edificio del diritto romano.
Nonostante lo stato esaltante e l’ammirazione universale di cui godeva, il diritto romano era da tempo diventato un amalgama ingestibile di leggi spesso in contraddizione tra loro. Il sistema legale era afflitto soprattutto da un immenso corpus giurisprudenziale, formato dalle sentenze di giuristi del passato che erano indispensabili per interpretare la legge e adattarla ai casi particolari. La riforma di Giustiniano, il corpus iuris civilis, è un argomento troppo complesso per rendergli giustizia – è il caso di dirlo – in questa sede; quindi, credo che prima o poi si meriterà un episodio dedicato. Qui basti dire che Giustiniano formò una commissione di giuristi con il compito di raccogliere, catalogare, riconciliare e organizzare tutto l’immenso corpo legislativo romano. Il presidente di questo comitato era Giovanni il Cappadoce, ma la sua vera anima riformatrice fu un altro importante collaboratore di Giustiniano: Triboniano. A differenza del Cappadoce, Triboniano era un uomo di raffinata cultura e un fine legislatore, un uomo capace di tramutare i sogni del suo imperatore nella fredda lingua della legge. Lavorando senza sosta, Triboniano e i suoi collaboratori riuscirono nel monumentale compito di raccogliere le leggi dell’Impero in un unico codice e questo in appena quattordici mesi. La giurisprudenza prenderà più tempo, ma solo l’aver emendato l’intero corpo legislativo romano accumulatosi in centinaia di anni deve aver scontentato molte persone toccate in interessi particolari, o nella loro professione, o nei loro diritti. Non aiutò la popolarità del progetto il fatto che Triboniano, sfruttando la sua posizione, divenne lui stesso enormemente ricco. A differenza di Giovanni, Triboniano sembra essere stato istituzionalmente corrotto, ad esempio modificando più volte in un anno la legislazione sulle eredità, chiaramente su richiesta di importanti famiglie interessate ad ereditare questo o quel bene. La sensazione è che i potenti dell’Impero furono costretti a superarsi l’un l’altro in tangenti con l’obiettivo di adattare la legge alle proprie esigenze. Tutto questo non contribuì alla popolarità del governo Giustiniano, nonostante l’obiettivo ultimamente meritorio e di enorme importanza futura della sua riforma legale.
Persecuzioni
Un’altra ragione di risentimento verso il regime furono le persecuzioni religiose: come ho narrato nell’episodio in cui ho presentato Giustiniano, questi era determinato ad escludere ogni spazio interstiziale che era rimasto alla cultura pagana e alle religioni non cristiane. Il 529 fu un anno particolarmente duro per le persecuzioni, soprattutto dei pagani. Non si trattava con tutta probabilità di veri pagani: in questa epoca tarda più che una vera aderenza ai culti antichi si manifestava spesso nelle classi più colte un grande amore per la cultura e gli scrittori precristiani. Ho il forte sospetto che uno di questi fosse proprio Procopio, chiaramente cristiano ma, come vedremo, molto a disagio con il cristianesimo militante e molto più a suo agio nel mondo di Omero che in quello della Bibbia. Questa tipologia di persone era detta dai cristiani “gli elleni”, mentre si intendevano “romani” i Cristiani ortodossi.
Nei primi anni del regno di Giustiniano ci fu una vera e propria persecuzione degli elleni: scettici, dubbioso e atei furono o espulsi dai loro posti o in casi particolari condannati a morte. Chi ebbe salva la vita perse i suoi beni. Il 529 fu anche l’anno della famosa chiusura dell’accademia neoplatonica di Atene, l’evento che tradizionalmente chiude l’avventura della Filosofia antica, anche se va detto che fu permesso ad altre scuole di ispirazione pagana di continuare il loro lavoro, in particolare quella di Alessandria d’Egitto. Nonostante rimanessero alcuni interstizi nei quali un’educazione non religiosa era ancora possibile, il fatto incontrovertibile è che dopo le persecuzioni di Giustiniano divenne sempre più difficile ottenere un’educazione classica nello stile che l’élite romana aveva seguito per settecento anni. Tucidide, Platone e Omero persero sempre più importanza, l’educazione sarà in larga parte affidata nelle mani della chiesa e i testi pagani saranno sempre più interpretati in chiave puramente religiosa. Spesso finiranno per non venire insegnati affatto, grazie alla crescente centralità degli scritti dei padri della chiesa nell’insegnamento imperiale.
Le ragioni dello scontento
Ricapitolando: i magnati dell’Impero videro molti dei propri privilegi rimossi dall’imperatore, inclusi diversi benefici fiscali che consideravano oramai parte del loro contratto non scritto con l’amministrazione imperiale. Questa classe dominante, abituata a disquisire fluentemente di Omero e di Tucidide, vide la base culturale della propria distinzione sociale sotto attacco da un imperatore che non apparteneva a detta classe sociale, ma era di estrazione umile e sposato con una ex attrice, ai loro occhi una prostituta. A spargere ulteriore sale sulle ferite c’era la volontà dell’imperatore e dei suoi sgherri di mettere le mani su quanto di più sacro ci fosse a Roma, la legge. Tutto questo operato da una ristretta cerchia di collaboratori arrivisti e corrotti, a prima vista disposti a tutto pur di assecondare il loro imperatore, diventando in contemporanea ricchi nel processo.
Molti tra i senatori della capitale e tra i magnati delle province debbono aver detestato Giustiniano, scrutando l’orizzonte alla ricerca di un’occasione per cacciare dal palazzo questo arrogante nipote di un allevatore di maiali. Mi sembra sentirvi dire però: fintantoché l’esercito e il popolo sono dalla parte di Giustiniano, una banda di ricchi senatori non può nulla contro il governo imperiale. E su questo avete ragione. I senatori avevano bisogno che almeno una delle altre due forze costituenti dello stato romano si unisse a loro per rovesciare Giustiniano: o l’esercito, o il popolo della capitale.
La vittoria di Dara aveva donato un’aura di legittimità al regime, visto che sempre la vittoria nel mondo romano veniva interpretata come favore divino. Nel 531 era però arrivata la sconfitta di Callinicum e la seguente umiliante negoziazione con i Persiani: era ora evidente come Giustiniano avesse trascinato Costantinopoli in una costosa guerra contro i Persiani, guerra inconcludente e nel complesso negativa per l’Impero. Forse i senatori pensarono che sarebbe stato l’esercito a liberarli dall’usurpatore, una soluzione semplice al loro problema: nessuno poteva governare senza il favore delle armi romane. Invece la scintilla della conflagrazione arrivò dal popolo.
la scintilla
Ho già più volte parlato dei Demi, le violente associazioni del tifo organizzato romano. Verdi e Blu erano la vera passione dei Costantinopolitani, allo stesso tempo rappresentando il loro quartiere, la loro squadra, il loro partito politico. Ecco come l’elitista Procopio descrive la passione dei Romani per il circo: “Per la rivalità nelle gare sportive tra queste due fazioni e la scelta dei posti nel circo da cui assistere alle gare stesse, i cittadini sperperano denaro e si azzuffano tra di loro, non esitando a rischiare la vita per uno scopo così futile. Vengono violentemente alle mani con i loro avversari pur sapendo che se anche riusciranno a sopraffarli nella zuffa non avranno altro risultato che quello di essere immediatamente tradotti in carcere”. Ben detto Procopio: temo che la cosa non si limiti però ai tuoi giorni.
È difficile associare esattamente i due demi a questa o quella fazione, ma da quanto possiamo capire I verdi erano stati favoriti da Anastasio e tendevano quindi ad essere Monofisiti e a rappresentare gli interessi della classe burocratica e senatoriale della capitale. I Blu erano calcedoniani, rappresentavano artigiani e commercianti della città ed erano stati molto vicini a Giustiniano, che negli anni di Giustino li aveva protetti e sostenuti, dandogli anche una certa patente di impunità nei loro eterni conflitti contro i verdi, conflitti spesso armati e sanguinosi.

Una volta diventato imperatore Giustiniano aveva però smesso di favorire sfacciatamente i blu ed aveva preso a distribuire le punizioni del governo imperiale in modo piuttosto equanime: questo non aveva riavvicinato al regime i verdi, in compenso alienando progressivamente i blu, non più abituati a non avere un padrino nei palazzi imperiali.
Prima di passare all’azione una nota di spiegazione sui luoghi: la geografia di Costantinopoli non è familiare ai più e ho postato una mappa sul sito in modo da permettervi di seguire l’azione. Se non avete l’opportunità di guardarla considerate questo: il centro della nostra storia è l’Ippodromo di Costantinopoli, nel cuore della penisola sulla quale giace la capitale dell’impero. Collegato al circo con un passaggio riservato all’imperatore c’è il vasto complesso palatino. A nord del circo c’è l’Augusteion, una piazza porticata rettangolare sulla quale si affacciano l’ippodromo a sud, a est l’ingresso monumentale al palazzo – la porta Chalke – e la sala del Senato imperiale, a nord la cattedrale di Costantinopoli, l’Haghia Sophia di Teodosio, non ancora l’attuale Haghia Sophia. A ovest dell’Augusteion parte il grande viale porticato che forma l’asse portante della città: la Mesi. Viaggiando verso ovest lungo la Mesi ci si allontana dal centro e si va in direzione delle grandi mura teodosiane: a poca distanza dall’Augusteion c’è la più monumentale delle piazze costantinopolitane, il foro di Costantino, una piazza quasi circolare con archi di trionfo ad ogni ingresso della Mesi.
Il fatidico 532 iniziò con il consueto calendario: la prima settimana dell’anno era dedicata ai sontuosi giochi in onore dei nuovi consoli del mondo romano, seguiti dalle corse in onore delle idi di Marzo. Seguiamo ora gli avvenimenti giorno per giorno.
Domenica, 12 gennaio 532
Il prefetto cittadino – il solito Carneade – aveva fatto arrestare sette cittadini della capitale a causa di rivolte che debbono essere accadute qualche giorno prima. Si trattava di sette tra i leader dei blu e dei verdi, quattro dei quali furono decapitati e tre avviati all’impiccagione. Indubbiamente Carneade stava seguendo gli ordini di palazzo: l’imperatore voleva mostrarsi equanime nella sua applicazione della giustizia, la personificazione stessa della dea bendata con in mano la bilancia della giustizia.
Il risultato dell’esecuzione fu quanto di più bilanciato possibile: un uomo fu effettivamente impiccato ma la corda o il meccanismo non debbono aver funzionato con due dei condannati, che caddero a terra vivi e vegeti. Nelle parole del professor Freedman di Yale: per un autocrate è sempre conveniente spendere i soldi necessari a mantenere i suoi mezzi coercitivi in buono stato. Ricordatevelo nel caso vogliate trasformarvi in moderni dittatori.
La sfortuna per Giustiniano fu che i due sopravvissuti furono messi in salvo da dei monaci di un vicino monastero, forse convinti che si fosse trattato di intercessione divina. Il destino volle che i due fossero uno dei Verdi e uno dei Blu. I due furono portati in un monastero a Sicae, la moderna Galata, e qui posti sotto assedio da parte delle truppe di Carneade, che però non si sentivano autorizzate ad intervenire in una chiesa.
Martedì 14 gennaio 532
Le prime gare del circo seguenti ai fatti di domenica erano organizzate per la mattina del martedì. Il circo andò riempiendosi fin da prima mattina, ben oltre la normale affluenza. Giustiniano giunse nel circo attraverso il passaggio che lo collegava al palazzo, apparendo nel box riservato agli imperatori detto kathisma. Alla vista dell’Imperatore i Demi iniziarono a inviare canti ritmati in direzione dell’imperatore, implorando pietà e clemenza per i due membri dei Demi, sempre sotto assedio. L’Imperatore non si mosse né diede segno di voler rispondere alla folla.

Le gare continuarono e ora la leadership dei Demi iniziò a virare su canti via via più sediziosi: inizialmente “lunga vita ai demi blu e verde”, un segnale che entrambi i Demi erano alleati nelle loro richieste e che non auguravano più lunga vita all’Imperatore. Giustiniano rimase impassibile. Alla ventiduesima gara della giornata, prima che terminassero i giochi, i Demi trovarono un accordo per un nuovo canto, minaccioso nella sua semplicità: gli hooligans di solito urlavano l’augurio della vittoria verso i loro aurighi, in greco “nika” che vuol dire “vinci” o “trionfa”. In questo caso centinaia di migliaia di persone iniziarono a urlare all’unisono “Nika” “Nika” “Nika” puntando il dito in direzione dell’imperatore. Deve essere stato uno spettacolo inquietante per l’imperatore che tornò di fretta nel palazzo. La folla invece si disperse andando a caccia di un nemico. La prefettura cittadina fu presa d’assalto, l’equivalente dei poliziotti tardo-antichi furono trucidati, le prigioni aperte e i prigionieri liberati. La folla poi prese d’assalto la porta della Chalke, il monumentale ingresso al complesso palatino: la porta prese fuoco e poi collassò. Quel che è peggio è che il vento portò il fuoco a lambire il resto della piazza monumentale che si affacciava sulla porta: l’aula del Senato fu distrutta e poi fu il turno dell’Haghia Sophia di Teodosio: la grande cattedrale bruciò tutta la notte, prima di collassare in una pila di macerie. La principale chiesa della città era stata distrutta.
Quella notte nessuno dormì a Costantinopoli
Mercoledì 15 gennaio 532
Il giorno seguente la folla si riunì di nuovo nel cuore annerito della città. Giustiniano aveva dato ordine di far ricominciare le corse, confidando forse che l’alleanza tra i Demi, in perenne contrasto tra loro, non sarebbe sopravvissuta al loro tradizionale antagonismo sportivo.

Ma i Demi avevano assaggiato il sangue e la rivolta continuò: la folla diede l’assalto alle terme principali della città, quelle terme di Zeusippo che erano state costruite da Costantino e decorate depredando di statue e capolavori artistici l’intero mediterraneo. Quando le terme collassarono, con loro fu distrutto un numero incalcolabile di tesori. Eppure la folla non era più una semplice massa informe di cittadini arrabbiati: il vertice dei Demi deve aver trovato l’accordo con la fazione senatoriale più avversa al regime perché le richieste dei Demi andarono oltre la solita richiesta di rimuovere il Carneade a capo della Polizia e presero una inclinazione politica. Per riportare la pace i capi dei Demi chiesero la testa dei due uomini più odiati dai senatori: Giovanni il Cappadoce e Triboniano il giurista. Due persone che non volevano dir nulla per il popolino e i casseurs dei Demi ma che erano i grandi nemici dei senatori nell’amministrazione.
A questa richiesta Giustiniano deve aver compreso che c’era qualcuno che manovrava i Demi ma decise per il momento che era necessario disinnescare la bomba. Giovanni e Triboniano furono rimossi dal loro ruolo, all’istante, al loro posto furono promosse persone ben viste dagli uomini più in vista della capitale. Le concessioni però, come accade di solito in contesti rivoluzionari, finirono non per riportare la quiete ma per dimostrare la debolezza del regime: gli oppositori capirono all’improvviso che il Re era nudo. Una spallata ancora e il regime sarebbe caduto. La rivolta era diventata una rivoluzione.
Sabato 18 gennaio
Per tre giorni la folla continuò ad assaltare palazzi, chiese e luoghi del potere. Gli scontri con le forze dell’ordine portarono a fuochi che bruciarono ospedali, chiese, palazzi, mercati, piazze, portici: il fuoco colpì tutti i quartieri centrali di Costantinopoli per poi risalire la grande strada porticata della città, la Mesi, fino a lambire il foro di Costantino. In tutto questo il palazzo imperiale era una sorta di oasi al centro delle fiamme, i rivoltosi chiaramente non si sentivano ancora in grado di assalirlo. Nella relativa sicurezza del complesso si rifugiarono la maggior parte dei senatori e due dei nipoti di Anastasio. Tra questi c’era il già più volte citato Ipazio, ovvero il generale che era stato sconfitto e catturato da Vitaliano anni prima, l’uomo che aveva servito l’impero come Magister Militum per orientem per decadi. Ipazio, grazie alla sua connessione familiare con Anastasio, era il principale candidato alla successione al trono. La sua presenza a corte era un segnale a Giustiniano: non intendeva spodestarlo e non intendeva diventare un attrezzo nelle mani della folla di Costantinopoli.

Giustiniano, lo ho già spiegato, era un paranoico sospettoso e questa volta il suo istinto ci vide giusto: era nel palazzo che si annidavano i veri leader della rivoluzione, quelli che stavano cercando di abbattere il suo regime. In serata Giustiniano ordino il fuori tutti: solo i suoi collaboratori più fidati potevano restare a palazzo: i senatori furono obbligati a lasciare il complesso e con loro anche Ipazio: questi invano pregò Giustiniano di farlo rimanere. Può sembrare strano da parte di Giustiniano di lasciar libero in città un potenziale rivale al trono, questo anche alla luce dei futuri avvenimenti, ma è evidente che fosse una manovra tesa a far uscire allo scoperto i suoi oppositori. Giustiniano sapeva che la fazione di senatori a lui avversa avrebbe provato ad incoronare Ipazio, al che i suoi agenti avrebbero preso i nomi di tutti i sostenitori della rivolta. I prossimi giorni sarebbero stati quelli decisivi.
Domenica, 19 gennaio
In mattinata Giustiniano provò un’ultima volta a placare la folla: si presentò all’Ippodromo davanti a buona parte dei rivoltosi e offrì loro un’amnistia generale, giurando su una copia dei Vangeli: forse vedere il loro imperatore umiliato li avrebbe placati, un trucchetto che era riuscito ad Anastasio.
Ma quello che aveva funzionato con un vecchio e rispettato statista non funzionò con Giustiniano: nessuno gli credette, tutti erano oramai determinati a detronizzarlo. I cospiratori a capo della rivolta andarono quindi a caccia del loro candidato al trono e ovviamente la loro scelta cadde su Ipazio, oramai tornato nella sua casa, dove lo raggiunse la folla. I leader dei Demi e diversi importanti senatori lo convinsero a farsi incoronare: probabilmente Ipazio sapeva che se avesse detto di no sarebbe morto, come sarebbe morto se avesse fallito.

Ipazio fu trascinato al foro di Costantino e qui incoronato con una catena d’oro, nella disperazione di sua moglie Maria che, prevedendone il fato, si lamentò che la catena assomigliava più ad un cappio che ad una corona. Riunitisi la maggior parte dei senatori che erano stati cacciati dal Palazzo, i maggiorenti discussero animatamente il da farsi. Alcuni pensavano che fosse arrivato il momento di prendere d’assalto il palazzo imperiale. Altri credevano che fosse inutile forzare con la violenza un regime che era chiaramente arrivato al capolinea, presto Giustiniano sarebbe certamente fuggito dalla città “Dobbiamo stare attenti a non compromettere l’esito della rivoluzione e la salvezza dello stato, due cose che erano certamente le più importanti” sostenne un Carneade senatore.
Ipazio fu di diverso parere: occorreva battere il ferro finché era caldo, ed è lui che tutti seguirono. La folla lo portò in trionfo nell’Ippodromo dove Ipazio si installò nella Kathisma, il box imperiale, venendo circondato e protetto dagli excubitores. La guardia imperiale da questo momento prese una decisione importante: non avrebbero rimosso Giustiniano ma non avrebbero neanche permesso a questi di fare del male ad Ipazio. In sostanza la principale forza militare della capitale decise di votare scheda bianca, attendendo le decisioni del resto della città.
A Palazzo Giustiniano era sempre più disperato: sempre capace di individuare uomini dei quali fidarsi, Giustiniano affidò una grande quantità d’oro all’eunuco Narsete con il compito di corrompere i capi della fazione dei Blu con l’oro, ricordandogli contemporaneamente anche che Ipazio era un verde, come suo zio Anastasio. Davvero volevano rimettere il potere nelle mani dei monofisiti e dei loro rivali? Narsete non si comportò come zio Giustino quando toccò a lui un sacco d’oro e fece esattamente come gli era stato richiesto: una capacità indubbia di Giustiniano era quella di ottenere la fedeltà dei suoi anche in condizioni disperate. I Blu furono convinti a ritirarsi alla spicciolata dall’ippodromo mentre il grosso dei verdi restava a fare da guardia e protezione del loro nuovo imperatore. Ricordatevi di questo eunuco Narsete, è un nome importante: basti dire che un giorno sarà il vero dittatore dell’Italia.
Purtroppo per Giustiniano, a palazzo nessuno sapeva del successo di Narsete. I collaboratori dell’imperatore iniziarono a discutere apertamente di abbandonare la capitale, ora che la guardia che aveva protetto il palazzo si rifiutava di intervenire. “Una ritirata strategica, sire, torneremo quando avremo raccolto più forze”, mi pare sentirli dire. Giustiniano sembrò vacillare.
A questo punto intervenne Teodora, con un discorso che vale la pena di citare. La fonte è Procopio ma è confermato anche da altre fonti, non si tratta forse delle parole esatte ma non dubito che il succo fu questo: “Molti sono convinti che una donna non dovrebbe osare essere coraggiosa quando gli uomini tremano di paura. Eppure è evidente che stiamo tutti correndo un gravissimo pericolo e penso che ognuno abbia il dovere di dire la sua. Il mio parere è che proprio in questo momento la fuga sia inopportuna, anche se porta alla salvezza della vita. Ogni essere vivente è destinato prima o poi a morire, anche gli imperatori! Ma chi un tempo è stato imperatore, non può accettare di vivere in esilio. Che io non debba mai vedere il giorno in cui non sarò più chiamata regina! Ma se tu, imperatore, vuoi metterti in salvo, niente di più facile: abbiamo molte ricchezze, e laggiù ci sono le navi. Una volta al sicuro, non sarai davvero più felice o non preferirai forse di essere morto piuttosto che salvo. Quanto a me, concordo con il detto che il color porpora sia il più nobile sudario”.

Teodora aveva combattuto con le unghie per salire dai bordelli alle più alte vette del potere e non avrebbe certo permesso che questo gli fosse tolto, neanche da suo marito. Si tratta di uno dei più famosi discorsi della storia, un misto tra Churchill e Braveheart, con quel pizzico di malignità con la quale Teodora da sostanzialmente del coniglio a Giustiniano e dei codardi a tutta la corte. Teodora sfruttò il maschilismo dei suo contemporanei, costringendoli a restare per la vergogna di non sfigurare di fronte ad una donna. Teodora si dimostra una impareggiabile manipolatrice dotata di uno straordinario intelletto: una vera Miss Underwood nel momento in cui il suo Mr. Underwood ebbe a vacillare. Che donna formidabile, e terribile.
Lunedì 20 gennaio: massacro
Giustiniano non fuggì ma l’indomani la situazione era sempre critica. L’imperatore aveva però dalla sua due ultimi assi da giocare: uno si chiamava Mundo, l’altro Belisario. Mundo era il capo barbaro che aveva costruito per sé un piccolo dominio nei Balcani, forse vi ricorderete di lui come di uno degli attori della cosiddetta guerra di Sirmio. Mundo aveva tenuto la frontiera balcanica dell’Italia di Teodorico per conto di quest’ultimo, fino alla sua morte. Sempre attento a dove spirava il vento, aveva da allora cambiato casacca ed era passato al servizio dell’impero, diventandone Magister Militum per Illiricum e difendendo con energia la frontiera danubiana. Casualmente lui e la sua banda di soldati di ventura erano stati chiamati a Costantinopoli ed erano a disposizione di Giustiniano.
L’altro era appunto Belisario: a Costantinopoli dopo il fiasco della battaglia di Callinicum, aveva a disposizione i suoi bucellari. Tra Mundo e Belisario, Giustiniano riuscì a raccogliere 1500 soldati professionisti. Diede ordine ad entrambi di raggiungere l’ippodromo.
Belisario condusse i suoi attraverso il passaggio diretto che conduceva al box imperiale nel circo, ma la porta era difesa dagli excubitores che impedirono agli uomini di Belisario di impadronirsi di Ipazio. A questo punto il generale fece dietrofront e tornò da Giustiniano, dicendo che tutto era oramai perduto: l’imperatore aveva però ritrovato la sua spina dorsale e diede ordine al generale di entrare nell’Ippodromo passando attraverso le rovine fumanti della porta di Chalke: la sua missione era di spezzare la rivoluzione, costi quel che costi. Belisario obbedì e riuscì a raggiungere uno degli ingressi dell’ippodromo, dal quale sarebbe potuto salire verso dove sedeva Ipazio. Belisario però vide che quasi l’intera arena dell’Ippodromo era coperta di manifestanti, molti armati. Se avesse tentato di raggiungere Ipazio in cima alla scalinata con i suoi, certamente i manifestanti li avrebbero presi tra due fuochi, intrappolandoli tra due fuochi. Belisario non vide alcuna alternativa: mise con calma il suo elmo e diede l’ordine ai suoi bucellari, forse i migliori soldati dell’Impero, di estrarre le spade e di formare i ranghi. Poi arrivò l’ordine tremendo: assalite la folla nel circo, nessuna pietà, con un grido si gettò lui stesso sulla folla.
I bucellari erano appena un migliaio di uomini, ma erano armati, erano in ranghi serrati, erano disciplinati: nella folla c’erano molti dei picchiatori e tagliagole dei verdi, ma anche tantissimi cittadini comuni, disarmati. Prima che potessero organizzarsi nella difesa i soldati iniziarono a marciare contro di loro, facendo a pezzi chiunque senza riguardo per l’età o il sesso. In contemporanea Mundo era arrivato con i suoi sul lato opposto del circo, quando vide Belisario avanzare con i suoi, Mundo diede l’ordine ai suoi Eruli, Gepidi e Unni di fare altrettanto: i suoi soldati entrarono dalla porta della Morte, chiamata così perché di là uscivano gli aurighi feriti a morte durante le corse. Oggi il nome assunse tutt’altro significato.

Fu un massacro: migliaia perirono schiacciati dalla folla in fuga, ancora di più tagliati a pezzi dall’acciaio dei soldati che avevano giurato di difendere l’Impero dei Romani. L’arena del circo fu ricoperta di cadaveri, di arti amputati, mentre il sangue macchiava l’arena del circo come non lo era stata neanche la sabbia sanguinolenta del Colosseo. Quando la polvere si diradò, secondo Procopio sull’arena c’erano 30.000 morti, ancora di più secondo gli altri storici. È una cifra più che ragionevole, ma anche se fossero stati la metà si sarebbe trattato del più terribile massacro di civili dell’intera, sanguinosa, storia romana. Teodosio era stato punito da Ambrogio per molto meno: quando i cittadini di Nuova Roma videro di cosa era capace Giustiniano, nessun prelato, nessun soldato, nessun magnate ebbe il coraggio di protestare. Le pagine di Procopio trasudano di orrore: lo storico scrive decenni dopo i fatti e avendo in mente la necessità di non incorrere nella censura imperiale, eppure non nasconde in alcun modo la scala della tragedia. In una città di 500.000 abitanti più del 5% della popolazione era morta: tutta la città era in lutto, tutti conoscevano un uomo morto nell’ippodromo.
Ipazio fu catturato e portato di fronte a Giustiniano: provò a difendersi, sostenendo che era stato incoronato contro il suo volere. Giustiniano non si fece muovere a compassione: lui e suo fratello furono decapitati, i corpi gettati nel Mar di Marmara. La gran parte dei senatori furono catturati, molti di loro espulsi dal Senato e privati di tutti i loro beni che furono incamerati nelle proprietà imperiali. La rivolta di Nika, come verrà conosciuta dalla storia, era terminata, nel sangue. Un silenzio atroce e irreale cadde sulla città, mentre l’odore del massacro si mescolava con il sentore di bruciato dei giorni precedenti. La città pianse nella ritrovata quiete, sotto shock. Se mi si perdona il paragone, mi immagino la città come Approdo del Re dopo l’esplosione del grande tempio di Baelor, nel trono di spade, con Giustiniano e Teodora al posto di Cersei Lannister.
Grazie mille per l’ascolto! Vorrei informarvi che per il prossimo episodio mi prendo un po’ più di tempo: debbo fare un po’ più di ricerche e scrivere nuovi episodi, sono in Italia, fa caldo e il computer non ha la solita allure. Detto questo, tra tre settimane vedremo le conseguenze di Nika: vedremo come Giustiniano cercherà di ricostruire la legittimità a governare, perdutasi tra il sangue e le braci della sua capitale. Giustiniano non si dimenticherà di Narsete, Mundo e Belisario, gli uomini che gli hanno permesso di mantenere il suo impero e per uno di loro si apriranno le porte per una missione che cambierà la storia del mediterraneo. Vi ricordo che potete trovare tutte le puntate, i testi del podcast, mappe, fonti e genealogie sul mio sito italiastoria.com. Se volete sostenermi, c’è anche una sezione con questo fine. Oppure potete andare su patreon.com/italiastoria. Alla prossima puntata!
Per diventare Patreon andate sul sito http://www.patreon.com/italiastoria, per diventare Tippers andate su Tipeee
Grazie ai miei Patreon:
Livello Leonardo da Vinci: Paolo, David l’apostata, Massimo, Pablo, Simone, Francesco, Arianna
Livello Galileo Galilei: Davide, Francesco, Jacopo Toso, Riccardo, Stefano, Roger, Anna, Pierangelo, Luigi, Antonio, Giulia, Ezra, Andrea, Paola, Daniele, Mariano
Livello Marco Polo: Dominik, Giacomo, Jacopo, Marco, Fabio, Francesco, Roberto, Stefano, Sergio, Fabrizio, Gianmarco, John, Luca, Gianluca, Marco, Federico, Tony, Mariette, Luca, Andrea, Gabriele, Bruno, Gabriele Mazzon, Ale, Maurizio, Enrico, Federico, Leandro, Patricia, Emiliano, Alessandro, Pietro, Silvio, Nikola, Tommaso, “johnny”, Marco N., Nicolò, Dario L., Dario C., Vittorio, Tommaso, Andrea B, Marco il nero, Valerio, Pasquale, , Antonino, Jonathan, Enrico e Patrizia
SOSTENERE IL PODCAST
Ti piace il podcast? Sostienilo, accedendo all’episodio premium, al canale su telegram, alla citazione nel podcast, alle première degli episodi e molto altro ancora. Il modo migliore è aiutarmi mensilmente su Patreon

Se invece vuoi sostenerlo con una piccola donazione di qualunque importo, puoi da adesso sostenermi anche su Tipeee, è molto facile, clicca l’immagine in basso:

Ma puoi anche aiutarmi in altri modi, andando al link in basso:
Per un pugno di barbari
Vuoi acquistare “Per un pugno di barbari”? clicca ad uno dei link seguenti::
Per ordinare da una libreria indipendente (che fa sempre bene!) clicca al link seguente:
Se non puoi sostenermi con una donazione regolare, puoi lasciare una donazione in basso, ti invierò il link per l’episodio premium!:

Donazione al podcast
Fai una donazione per sostenere il podcast! Riceverai l’episodio premium in regalo
20,00 €
Vuoi sostenere Storia d’Italia in un altro modo? visita lo store!
►Informazioni sul mio libro “Per un pugno di barbari”:
https://italiastoria.com/libro/
►Trascrizioni episodi, mappe, recensioni, genealogie:
https://italiastoria.com/
►Facebook
Pagina: https://www.facebook.com/italiastoria
Gruppo: https://www.facebook.com/groups/italiastoria
►Instagram
https://www.instagram.com/italiastoria/
►Twitter
https://twitter.com/ItaliaStoria
►YouTube:
https://www.youtube.com/channel/UCzPIENUr6-S0UMJzREn9U5Q
►Contattami per commenti, idee e proposte di collaborazione:
info@italiastoria.com
Musiche di Riccardo Santato
https://www.youtube.com/user/sanric77
NEWSLETTER
Vuoi restare sempre aggiornato sulle novità di “Storia d’Italia”? Lascia la tua email per iscriverti alla mia newsletter! Basta inserirla qui in basso:
Grazie ai miei Patreon:
Livello Dante Alighieri: Musu Meci, Massimiliano Pastore, Manuel Marchio, Mauro.
Livello Leonardo da Vinci: Paolo, David l’apostata, Massimo, Pablo, Simone, Frazemo, Arianna, Jacopo, Jacopo F., Riccardo, Enrico, Alberto, Davide, Andrea, Federico, Bruno, Settimio, Giovanni, Cesare, Jerome, Diego, Francesco, Alanchik, Flavio Ruggeri Fo, Edoardo Vaquer, Stefano Po, Luca Casali, Nicol Bagnasco e Carlotta lo dico.
Livello Galileo Galilei: Davide, Francesco, Jacopo Toso, Riccardo, Stefano, Roger, Anna, Pierangelo, Luigi, Antonio, Giulia, Ezra, Andrea, Paola, Daniele, Mariano, Francesca, Gabriella, Alessio, Giovanni, Alessandro, Valerio, Angelo, Alberto, Viviana, Riccardo, Giorgio, Francesco G., Francesco B., Emanuele, Giacomo, Francesco M, Giacomo, Martina, Yuri, Lorenzo, Jamie, Gianluca, Danilo, Echtelion, Matteo, Valerio P., Guglielmo, Michele, Massimo, Tommaso J, e Francesco C., Stefano, Giulio S., Davide P., Elisabetta C., Don Fabrizio, Massimo S. e Luca F.
Grazie anche a tutti i miei sostenitori al livello Marco Polo!
Donazione una tantum
Donazione mensile
Donazione annuale
Scegli un importo
O inserisci un importo personalizzato
Apprezziamo il tuo contributo.
Apprezziamo il tuo contributo.
Apprezziamo il tuo contributo.
Fai una donazioneDona mensilmenteDona annualmente