L’impero che non voleva morire

Il paradosso di Bizanzio (640-740 d.C.)

di John Haldon

John Haldon, professore di storia medievale a Newcastle, è considerato uno dei massimi esperti di storia bizantina, con all’attivo sei monografie e venti libri. Si è focalizzato in particolare sui secoli intermedi, tra la grandezza classica dell’Impero romano e la ripresa imperiale del IX-X secolo.

Questo libro, forse il più celebre di Haldon, tenta di rispondere ad una domanda semplice, ma incredibilmente impegnativa: data la miriade di sfide esistenziali che l’impero bizantino doveva affrontare nel VII secolo, come riuscì a resistere? Perché non si rassegnò alla caduta, come sembrava assolutamente possibile?

Dopo la sconfitta dello Yarmuk (636) e il rapido deteriorarsi della situazione militare in Siria, Armenia, Egitto e Nordafrica, l’Impero romano (aka bizantino) si restrinse in sostanza all’Asia Minore centroccidentale e ad alcuni presidi di difficile protezione in Italia e nei Balcani. Una serie di rovesci portò la stessa capitale imperiale ad essere più volte assediata, in particolare durante il lungo assedio del 717-718, assedio il cui obiettivo era evidentemente la distruzione dell’Impero. Come mai dunque l’Impero sopravvisse alla crisi del VII secolo, agli assedi e – infine – riuscì a durare molti secoli in più del suo più grande rivale, il Califfato?

Nell’introduzione, Haldon rileva cinque serie di fattori che potrebbero aver contribuito alla sopravvivenza del sistema politico romano: 1) Il ruolo della religione e dell’identità romana 2) la natura delle élite dell’impero 3) la geografia 4) il clima e l’ambiente 5) i fattori organizzativi. Questi fattori vengono poi trattati tematicamente per i restanti capitoli del libro: la religione come collante dello stato, tanto che Chiesa e Stato finirono per fondersi in un tutt’uno coerente, che prevedeva il ruolo dell’Imperatore (ben più del Patriarca) come ultimo rappresentante di Dio in terra, destinato a guidare il suo “popolo eletto” (i Romani) al trionfo dell’Ortodossia cristiana. Le élite dell’Impero dovevano inoltre buona parte dei loro introiti non tanto e non solo dalle loro terre, ma dagli onori e dagli stipendi elargiti dalla burocrazia imperiale, saldando gli interessi della corte e quelli dei magnati provinciali. La geografia dell’Asia minore – un territorio protetto da montagne e con un clima inospitale per gli Arabi – unita alla geografia della città-fortezza di Costantinopoli permisero un “arrocco” dell’Impero su una ridotta molto difendibile. Lo stato romano mantenne anche nei secoli più bui le capacità organizzative e di tassazione dell’Impero romano tardoantico, mentre l’esercito adattò le proprie strategie alla nuova realtà, di un Impero più debole militarmente del suo potente vicino.

Si tratta di un libro estremamente ben documentato e Haldon spiega in modo esemplare anche le questioni più tecniche: per il lettore occasionale, la prima parte è un sunto molto stringato degli eventi, che può essere difficile da seguire per i non iniziati, mentre il resto del libro è diviso per temi e non va in ordine strettamente cronologico, rendendo più complessa la comprensione. Non credo nel complesso sia un difetto: rispondere alla questione iniziale (perché l’Impero romano sopravvisse) è possibile solo se si affrontano i singoli temi. Nel complesso, è un’opera affascinante e assolutamente da leggere per chiunque sia interessato alla storia dell’Impero romano nell’alto medioevo, forse il periodo più oscuro di tutti.

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