Nello scorso episodio della narrazione principale abbiamo posto fine alla carriera di Teodosio il forse grande, un imperatore fondamentale per la storia di tutto l’occidente e l’ultimo a potersi fregiare del titolo di imperatore di un impero unito.
A succedergli sono i suoi due giovani, incapaci e totalmente inutili figli: Arcadio e Onorio. Nei libri di storia questo è il momento in cui l’oriente si divide dall’occidente e l’Impero si spezza in due parti, fine della storia. La realtà è un po’ più complessa: per me la data vera di separazione è il 364. In quella data abbiamo la divisione tra Valentiniano e Valente anche se entrambe le due corti, Milano e Costantinopoli, continuarono a giurare di far parte di un solo impero, con una sola legge ma due imperatori al servizio dello stato, come era stato almeno dai tempi di Diocleziano: Onorio e Arcadio, secondo lo storico antico Orosio, sono semplicemente correggenti dello stato Romano.
Eppure le conseguenze della quasi-separazione che durava da decenni saranno presto evidenti. I due imperatori, incapaci a governare, scateneranno una gara a controllare i gangli del potere dietro al potere: cortigiani, eunuchi, militari semibarbari, imperatrici e un certo Re dei Goti cercheranno di assumere il potere sui due giovani figli dell’Imperatore. Molti moriranno nel tentativo.

Un poeta greco d’egitto che scrive in latino
Prima di tuffarci nell’azione dobbiamo introdurre la nostra fonte principale per questo periodo: siamo piuttosto fortunati per questi anni perché abbiamo una fonte aggiuntiva rispetto ai soliti autori cristiani o a quel pasticcione di Zosimo. La nostra fonte è di natura molto originale, si tratta infatti non di uno storico ma di un poeta, nato ad Alessandria in Egitto. Uno degli intellettuali pagani della città, fuggirà da Alessandria dopo la rivolta che distrusse il Serapeum e la possibilità di una convivenza pacifica con i cristiani e il loro Vescovo. Il nostro poeta si imbarcò per Roma, ancora la più grande città dell’impero, e qui fu assoldato dalla più importante famiglia patrizia Romana che aveva bisogno di un poeta cortigiano. Quasi subito le sue doti di retore, poeta e autore di panegirici furono notati dal nuovo padrone dell’occidente, Stilicone, che lo volle a Milano. Claudiano, questo il suo nome, è uno degli ultimi grandi poeti pagani, certamente il più ammirato dell’epoca. Le sue poesie erano dei veri mezzi di propaganda al servizio del potere che lo aveva assoldato. Per questo sono degli strumenti interessantissimi non tanto come fonti affidabili di quello che accadde veramente ma come fonte su quello che il suo committente voleva che si sapesse di lui e della sua politica: in sostanza, sono una fonte inesauribile di dettagli sulla politica della prima decade successiva alla morte di Teodosio.
Il generalissimo dell’Occidente

Alla morte di Teodosio-il-forse-grande fu acclamato imperatore a Milano suo figlio Onorio. Onorio era un bambino di nove anni e quindi avrebbe avuto bisogno di un guardiano e protettore. Il protettore che Teodosio scelse nel 394, a pochi mesi dalla morte, era uno dei suoi più fidati collaboratori. Sì proprio lui, Stilicone, che fu nominato Magister Militum Utriusque Militiae: vale a dire Magister Militum della cavalleria e della fanteria, prima divise: la concentrazione del potere militare in una sola persona voleva dire che Stilicone era l’Imperatore in tutto tranne che nel nome.
Stilicho, questo il suo nome latino, era figlio di un ufficiale di cavalleria Vandalo e di madre Romana ma niente ci lascia supporre che lui stesso si considerasse null’altro che un Romano dalla punta dei piedi ai capelli. Mi irrita sempre leggere nei libri di storia che Stilicone fosse un Vandalo, lo era nella stessa misura con la quale si può considerare Napoleone un italiano. Stilicone aveva fatto carriera nella nuova armata che Teodosio aveva arruolato dopo Adrianopoli ed era diventato uno degli ufficiali più fidati di Teodosio. Le sue doti non erano limitate alle arti della guerra, anzi sembra si trovasse ancora più a suo agio nelle sottigliezze della politica imperiale: nel 386 era stato lui a negoziare l’importantissimo trattato con la Persia. Sul fronte militare si era distinto nel 392, quando aveva affrontato la sua futura nemesi, Alaric, costringendolo ad arrendersi e tornare nei ranghi dell’alleanza con Roma. Aveva seguito il suo padrone Teodosio nella guerra che lo aveva portato in Italia, combattendo al Frigido al comando dell’esercito orientale. Era anche imparentato con la casata di Teodosio, avendo sposato la nipote di quest’ultimo, Serena. Credo che furono proprio le sue capacità di statista e la sua appartenenza alla famiglia imperiale che convinsero Teodosio ad affidargli il destino del figlio: un membro della casa imperiale avrebbe avuto tutto l’interesse a mantenere la casata in vita e con sé la sua legittimità a governare. Inoltre Stilicho, di sangue barbaro, poteva ambire alla posizione di Generalissimo ma mai a quella di Augusto dell’Impero Romano: Teodosio, nel suo ultimo atto, si dimostrò un accorto politico come sempre. Ci aveva visto lungo e Stilicone non tradì mai Teodosio deponendo Onorio, come aveva fatto invece pochi anni prima Arbogast con Valentiniano II.
Stilicone, è dimostrabile leggendo i poemi di Claudiano, da subito non si accontentò però del dominio dell’occidente: i poemi da lui commissionati dimostrano chiaramente che Stilicone ambiva ad essere considerato il tutore di entrambi gli imperatori. Non si trattava neanche di una richiesta peregrina: nel gennaio del 395 a Milano erano radunati infatti quello che restava dei due grandi eserciti da campo imperiali, sia quello occidentale che quello orientale. Stilicone li comandava entrambi, anche se da subito la sua futura nemesi, Alaric, sfuggì al suo controllo.
Il nuovo Re dei Goti

I Goti avevano subito la gran parte dell’onere della terribile battaglia del Frigido: a spargere sale sulle ferite era giunta notizia che le loro terre danubiane, in loro assenza, erano state saccheggiate dagli Unni: si trattava della prima seria incursione Unna in territorio Romano. Mentre guerrieri Goti sanguinavano per conto dei Romani in una delle loro eterne guerre civili, le loro famiglie venivano ridotte in schiavitù o in povertà. Con la morte di Teodosio, I Goti ne avevano avuto abbastanza del trattato del 382, l’unica cosa di cui avevano veramente bisogno era di un leader. Ecco ovviamente emergere Alaric il Baltha, erede della più grande famiglia dei Tervingi e un leader naturale. Non sappiamo bene quando avvenne di preciso ma Alaric fu acclamato Re e sollevato sugli scudi dai suoi: Alaric divenne il primo vero Re dei Goti in terra Romana, atto che da solo rompeva il trattato del 382 che era molto esplicito nel proibirlo.
Una volta nominato Re, Alaric perseguì sempre una politica ben chiara: per il suo popolo voleva una patria sicura: non la Moesia ancora esposta a quegli stessi Unni che li avevano costretti a migrare nell’Impero, venti anni prima. No, per i suoi voleva una terra nel cuore dell’impero, al riparo dalle incursioni ed esclusivamente sotto il dominio dei Goti e del loro sovrano. Tutte cose che la pace del 382, nel suo inevitabile compromesso, aveva lasciato irrisolte visto che i Goti erano rimasti in un limbo: né Romani, né pienamente indipendenti. In più Alaric voleva per sé un alto comando militare romano e per il suo popolo l’inquadramento nell’esercito regolare. Può sembrare un obiettivo in contraddizione con il primo ma l’inquadramento nell’esercito voleva dire accedere al superbo sistema di remunerazione e distribuzione dei rifornimenti che lo stato romano aveva costruito nei secoli e che i Goti potevano sognarsi se continuavano ad essere trattati come una nazione semindipendente. In sostanza, in quanto soldati ufficiali avrebbero ricevuto uno stipendio e rifornimenti di ogni genere, in quanto popolo foederato, come erano stati fino ad oggi, avevano invece dovuto guadagnarsi tutto con il duro lavoro dei campi. Voi cosa preferireste? Da tutto questo dovrebbe emergere una cosa importante: Alaric non era affatto un rozzo barbaro ma un politico e sovrano con una chiara agenda. Alaric non si comportò mai, in tutta la sua carriera, come un barbaro razziatore delle povere città romane: cercò sempre strenuamente un accordo con l’impero che fosse vantaggioso per sé e il suo popolo. Vedremo con quale fortuna.
Guerra nei balcani (di nuovo)

La prima mossa di Alaric fu di riportare i suoi uomini – probabilmente poco più di dieci mila guerrieri – verso la Moesia Gotica per raccogliere quello che restava del loro popolo: a quanto pare la logistica imperiale aveva preparato rifornimenti solo per il viaggio di andata dell’esercito orientale e sul ritorno i Goti, per sopravvivere, dovettero darsi di nuovo al saccheggio. Lungo la strada raccolsero anche con tutta probabilità la parte dei Goti Greutungi che era stanziata in Pannonia. La permanenza nell’Impero Romano aveva fatto comprendere a Greutungi e Tervingi che avrebbero avuto assai maggiore probabilità di negoziare un accordo vantaggioso se avessero unito le forze: da questo momento in poi non abbiamo nessuna traccia vera di divisione tra i due popoli Gotici. Molti storici li chiamano da questo momento in poi, o anche prima, con il nome con il quale diverranno famosi: Visigoti. Io aspetterò ancora a farlo, visto che manca un ultimo importante elemento dei Visigoti che arriverà solo tra qualche anno.
Oramai in aperta ribellione l’intera tribù, come ai bei tempi della guerra Gotica, si diresse verso Costantinopoli ma la grande capitale non era un osso meno duro oggi di quanto lo fosse un tempo: i Goti decisero di virare verso la Macedonia e la Grecia: arrivarono, sempre saccheggiando in lungo e in largo, fino in Tessaglia, nel centro della Grecia. Qui finalmente furono affrontati da un nemico che avrebbe potuto fermarli: Stilicone, il padrone dell’occidente, non era stato con le mani in mano e aveva portato le due grandi armate comitatensi verso la Grecia, con l’obiettivo di bloccare sulla nascita la ribellione gotica. Qui le superiori forze romane riuscirono a circondare Alaric e i suoi Goti, ponendoli sostanzialmente sotto assedio.
Ne seguì ovviamente il massacro dei Goti, la morte di Alaric e la fine della minaccia gotica che incombeva sull’impero. The end. Credo sappiate che non è così che andò a finire: per la seconda volta Alaric la fece franca. E non sarà neanche l’ultima. Credo occorra capire di nuovo come mai, basti dire che dopo mesi di assedio Stilicone tornò a Milano con il suo Comitatus occidentale mentre inviò il Comitatus orientale a Costantinopoli, i libri di storia ci dicono su richiesta di sua nullità l’imperatore Arcadio. Mi sembra una storia che ha dell’incredibile: perché Stilicone, così vicino al suo obiettivo, fece dietrofront? E perché rinunciò a metà del suo esercito quando il suo obiettivo politico era chiaramente di prendere il potere su tutto l’impero? Stilicone era un politico raffinato e un capace comandante militare, le sue azioni vanno spiegate con la logica. Il libro di Alan Cameron dedicato a Claudiano fornisce i seguenti passi logici per spiegare le azioni del generalissimo occidentale, mi pare la ricostruzione più attendibile tra le molte che ho letto.
Innanzitutto dobbiamo capire i motivi di Stilicone: i 10-20 mila soldati Goti in aperta ribellione non erano più dei semplici barbari: da venti anni vivevano e combattevano nell’Impero Romano, la maggior parte erano cristiani, quasi tutti probabilmente parlavano latino, la gran parte aveva sviluppato un certo cameratismo con i “colleghi” dell’esercito regolare. I Goti di Alaric erano i barbari meno barbari che l’impero avesse nelle vicinanze, un popolo che poteva essere importante per combattere i futuri invasori e nemici dell’impero. Distruggerli, anche se fosse stato nella capacità dell’esercito, era oramai fuori questione
Stilicone aveva portato in oriente da Milano i suoi due comitati falcidiati dalle perdite della battaglia del Frigido: lo aveva fatto però senza l’autorizzazione di Rufino, il prefetto del Pretorio di Costantinopoli che in quanto guardiano di Arcadio era il governatore de facto dell’oriente. Rufino si dimostrò tuttavia ostile all’azione di Stilicone e impedì alla macchina organizzativa dell’Impero d’Oriente di rifornire o pagare le truppe del generalissimo: questi aveva sì un enorme esercito ma poteva contare solo sui rifornimenti e le tasse occidentali per pagarli. Fino a quando i soldati sarebbero rimasti tranquilli in queste condizioni?
Stilicone probabilmente aveva altri motivi di dubitare dei suoi stessi soldati: l’armata orientale regolare era anch’essa costituita in gran parte da Goti arruolatisi nell’esercito. Avrebbero combattuto con i loro consanguinei? Stilicone non poteva probabilmente esserne del tutto certo. Il principale comandante degli orientali era Goto lui stesso, si trattava del Gainas di cui abbiamo già parlato. L’impero non poteva giocare ai dadi in una imprevedibile battaglia, non poteva permettersi una seconda Adrianopoli. Inoltre l’impero d’oriente, nel 395, era stato invaso da una terrificante incursione degli Unni che non avevano colpito attraverso il Danubio ma attraverso i passi del Caucaso, in quelle zone dove sono passato poche settimane fa, nel mio viaggio in Georgia. Dal Caucaso l’armata Unna era scesa fino in Siria: qui le forze romane erano state ridotte al lumicino in vista della campagna del Frigido e i Romani non ebbero minimamente la forza di bloccare gli Unni: era urgente rafforzare la difesa orientale, per il bene di tutto l’impero.
Infine c’era la questione politica: Stilicone voleva liberarsi di Rufino, suo nemico politico e il principale ostacolo alla riunificazione dell’impero nelle mani di Stilicone. Non è chiaro se Stilicone sapesse già della congiura che ribolliva a Costantinopoli per liberarsi del prefetto ma è probabile che le sue spie lo avessero informato. Credo che la decisione di inviare le truppe orientali verso Costantinopoli servisse quindi una serie di obiettivi per Stilicone: rafforzare la frontiera orientale, liberarsi di truppe probabilmente non troppo affidabili ma soprattutto deporre Rufino e portare l’oriente sotto il suo controllo. L’assedio di Alaric era una preoccupazione secondario e Alaric fu lasciato libero di farla franca, condannando la Grecia a nuovi saccheggi. Evidentemente fu il prezzo che Stilicone decise di pagare nel suo gioco politico-militare.
Una parte del piano andò esattamente come previsto: Gainas portò le sue truppe a Costantinopoli, dove furono accolte appena fuori dalle mura da Rufino. Al segnale del generale Goto Rufino fu assalito da alcuni soldati scelti e fatto a pezzi sul posto. Era il 27 novembre del 395, finiva un anno di caos nell’impero.
Un nuovo equilibrio a Costantinopoli

Stilicone si era sicuramente aspettato che Gainas e la corte di Costantinopoli si sarebbero sottoposti al suo comando supremo una volta rimosso quell’impiccione di Rufino ma se così fu rimase deluso. A Costantinopoli avevano altre idee: sua nullità Arcadio aveva sposato una ragazza che non era affatto una nullità: vedremo che nelle prossime decadi la dinastia teodosiana produrrà ben pochi uomini di merito ma le donne, ah le donne saranno di tutt’altra pasta. L’imperatrice Eudoxia, questo il suo nome, si alleò con l’eunuco Eutropio – o dovremmo chiamarlo Varys? – e con il Goto Gainas: questa alleanza fece capire subito a Stilicone che aveva fatto male i conti, Costantinopoli non aveva nessuna intenzione di piegarsi ai suoi voleri.
Tornato a Milano Stilicone aveva un altro problema: la sua armata occidentale era stata decimata al Frigidus e non era assolutamente nelle condizioni né di difendere l’Impero né di attaccare Alaric. Stilicone passò quindi tutto il 396 a visitare la frontiera del Reno, stringere accordi con i capi d’oltre fiume e a reclutare un nuovo esercito occidentale. In quell’anno Alaric fu lasciato in pace anche da Eutropio, l’Eunuco che era la nuova forza principale nella corte orientale. Eutropio era impegnato a combattere gli Unni in Siria mentre Alaric discese sulle ricche città della Grecia, saccheggiandole con una metodicità assoluta. Atene si arrese subito al Goto e fu risparmiata ma Corinto, Sparta e Argo furono tutte saccheggiate e i loro abitanti venduti in schiavitù: si trattava, nelle parole di Cameron, della più devastante campagna militare che la Grecia avesse vissuto in mille anni.
Nel 397 Stilicone si sentì pronto ad agire, imbarcò le sue truppe a Ravenna e le portò nel Peloponneso, riuscendo di nuovo a bloccare Alaric e i suoi in una stretta penisola al confine tra Elide e Arcadia, con l’obiettivo di affamarli e di costringerli alla resa. Tutto bene ma di nuovo Stilicone aveva agito senza turbarsi di chiedere il permesso alla corte di Costantinopoli che non vedeva di buon occhio questa invasione della loro parte dell’Impero. Eutropio arrivò a far nominare Stilicone nemico del popolo Romano. Per la terza volta, Stilicone levò le tende e lasciò libero Alaric. Ancora, perché? Dopo l’ennesimo fiasco a Milano le lingue più lunghe iniziarono a sussurrare che forse questo generale semibarbaro non aveva così a cuore l’interesse dell’Impero, forse era in combutta con Alaric.
Eutroprio, il rivale di Stilicone

La realtà credo fosse molto diversa e avesse molto di più a che fare con il sempre capace eunuco Eutropio: questi era ben conscio delle ambizioni orientali di Stilicone e appena lo vide sbarcare in Grecia, senza alcuna autorizzazione, lo fece dichiarare nemico pubblico. L’opposizione di Eutropio, il peggiorare della sua posizione nel mondo romano e il rischio di una rivolta africana credo convinsero Stilicone che non poteva restare in Grecia, quindi si rimbarcò e tornò in Italia in tutta fretta. Sia Cameron che Wolfram, l’autore della “storia dei Goti”, sono anche convinti che il nuovo esercito di Stilicone fosse un po’ troppo verde per gli stagionati Goti che avevano anche dalla loro tutte le ricchezze della Grecia a disposizione per corromperli: forse Stilicone non si fidò del tutto del suo nuovo Comitatus. Sta di fatto che il 397 fu di nuovo un fiasco per Stilicone, anche se il suo poeta Claudiano si affannò moltissimo ad addossare nelle sue poesie tutte le colpe sull’eunuco Eutropio.
Partito Stilicone e con Alaric sempre nell’atto di spogliare i Balcani romani di tutta la loro ricchezza mobile Eutropio credo che si convinse che non ci fosse più alternativa al trattare con i barbari: dopo un po’ di negoziazione si giunse ad un nuovo accordo. Alaric ottenne la carica tanto agognata, quella di Magister Militum per Illiricum. I suoi ottennero la prefettura dell’Illirico come area di stanziamento e vennero inquadrati nell’esercito orientale: praticamente da ora in poi le tasse della prefettura illirica sarebbero andate a rifornire, abbigliare, armare e pagare i Goti di Alaric.
L’accordo con Alaric fu estremamente impopolare tra la popolazione romana che era ora costretta a pagare tasse e inviare rifornimenti allo stesso barbaro che li aveva saccheggiati mesi prima. Ma che alternativa aveva Eutropio? dovette comprarsi Alaric per evitare che lo stesso avvenisse da parte di Stilicone: se Stilicone e Alaric avessero unito le forze sarebbe stata la fine per Eutropio. Occorreva liberarsi di quell’impiccione del Magister Militum occidentale e per liberarsi di Stilicone Eutropio ordì una congiura in africa.
La guerra in Africa

Spero che ricordiate che l’africa era il granaio di Roma: il controllo del Nordafrica era cruciale per mantenere i rifornimenti di grano all’Italia, senza i quali ogni governante della penisola poteva aspettarsi una fine piuttosto rapida e truculenta. L’Africa era anche una fonte importantissima di tassazione che poi l’Impero spendeva altrove, non avendo la prefettura africana bisogno di grandi difese militari. Senza l’Africa, insomma, l’Impero d’occidente non poteva funzionare.
Questo era noto anche ad Eutropio che decise che era arrivato il momento di tirare il tappeto da sotto i piedi del suo rivale Stilicone, determinato a voler dominare Costantinopoli oltre che Milano. In Africa il numero uno, il Comes Africae, era Gildo, fratello del Firmo che si era ribellato a Valentiniano I: a quanto pare questa regione dell’Impero era oramai diventata una specie di feudo di questa potente famiglia Berbera. Gildo era rimasto al potere a Cartagine fin dai tempi della ribellione del fratello, a cui lui non aveva partecipato. Per anni si era comportato come una sorta di dittatore dell’africa, con il solo compito verso le autorità centrali di inviare costantemente i rifornimenti di grano. Su istigazione di Eutropio, Gildo dichiarò che le province nordafricane non avrebbero più riconosciuto l’autorità di Milano e della corte occidentale, dominata dal nemico pubblico Stilicone: da quel momento in poi Gildo avrebbe ubbidito a Costantinopoli e Arcadio, vale a dire Eutropio. Per tutta misura Gildo tagliò i rifornimenti di grano a Roma e l’Italia.
La combinazione del fiasco in Grecia con Alaric, della ribellione di Gildo e dell’improvvisa crisi alimentare in Italia avrebbero abbattuto un uomo dalle capacità inferiori a Stilicone: questi non era forse un grande generale ma era certamente un amministratore capace e riuscì a tamponare il problema alimentare organizzando spedizioni di grano dalle Gallie con una mano mentre con l’altra pianificava la vendetta contro Gildo. Questi infatti aveva un altro fratello, Mascezel, che aveva una questione personale da risolvere: Gildo aveva fatto mettere a morte i figli e la moglie di Mascezel quando aveva scoperto che questi non si sarebbe unito alla rivolta di famiglia. Stilicone mise insieme una spedizione militare – probabilmente con le truppe che aveva evacuato dalla Grecia – e spedì Mascezel verso l’Africa in una missione pubblica di riconquista e privata di vendetta personale.
Nel 398, in pochi mesi, Mascezel riuscì nella sua missione in modo spettacolare: appena sbarcate le sue truppe regolarono rapidamente i conti con le inferiori truppe africane. Gildo, vista la mala parata, si imbarcò con il probabile obiettivo di rifugiarsi a Costantinopoli. La nave però fu risbattuta sulla costa africana da una tempesta, Gildo fu imprigionato e – consapevole di quello che lo aspettava per mano di Mascezel – decise di suicidarsi in cella, con sommo scorno di Mascezel che probabilmente lo avrebbe volentieri strangolato con le sue mani.
Quello stesso anno Mascezel tornò in trionfo in Italia, accolto come un eroe dalla popolazione locale che poteva finalmente contare su rifornimenti regolari di grano: gli italiani furono probabilmente un po’ troppo entusiasti del loro salvatore. Stilicone non aveva nessuna intenzione di crearsi un potenziale nemico politico ed era un uomo pratico e sbrigativo: un giorno Mascezel, attraversando in compagnia di Stilicone un ponte sul Tevere a Roma, mise sbadatamente un piede in fallo e finì nel fiume, morendo nei flutti. Sono cose che capitano agli eroi di guerra e i ponti sono delle brutte bestie, molto infidi. O almeno, questa fu la versione ufficiale a cui tutti dovettero credere.

La congiura contro l’eunuco
Stilicone era sopravvissuto alla crisi del 398. Credo che guardò agli anni seguenti con fiducia: era arrivato il momento di liberarsi di quell’intollerabile eunuco di Eutropio. Prima che potesse agire però Eutropio era caduto.
Prima di affrontare i caotici anni per la corte orientale a cavallo dei due secoli occorre comprendere che a Costantinopoli abbiamo diversi attori politici, ognuno con la sua agenda: su tutti l’eunuco-Varys, pardon, Eutropio oltre che l’imperatrice Eudoxia, un vero animale politico. Poi abbiamo i soldati, su tutti i generali gotici dell’esercito regolare, l’ariano Gainas e il pagano Fravitta. il Re dei Goti ribelli Alaric è il jolly a cui tutti possono fare ricorso. Cerchiamo di ricostruire le giravolte del potere che metteranno questi uomini e donne potenti l’uno contro l’altro.
Nel 397 e 398 Eutropio era stato impegnato a sconfiggere gli Unni che avevano invaso l’Impero d’Oriente: non abbiamo i dettagli di quello che avvenne ma siamo abbastanza certi che l’eunuco ebbe successo. Non solo: a quanto pare fu lui stesso a comandare l’esercito, una cosa impensabile per i Romani che guardavano agli Eunuchi sempre come se non fossero virili abbastanza per comandare alcunché. Eutropio si mise a capo del trionfo che chiuse la guerra, nella costernazione dei benpensanti; infine, affronto degli affronti, decise di meritarsi il più alto onore che lo stato Romano potesse concedere: il consolato, qualcosa di inaudito per i Romani: gli eunuchi non potevano mai essere dei consoli. A corte Eutropio si era fatto dei nemici nella burocrazia e soprattutto nella sempre formidabile Eudoxia che ora lo percepiva come un ostacolo al suo potere.
Quello che causò la caduta di Eutropio non fu però una congiura a Costantinopoli ma una ribellione dei Goti, sempre loro. Questa volta non però i Goti di Alaric, che si stavano godendo la bella vita in Illirico, ma i Goti di un certo Tribigild. Dopo Adrianopoli l’impero era stato infatti una meta di frequente immigrazione dei Goti rimasti oltre Danubio, spesso in cerca di una vita migliore quanto più distante possibile dagli Unni. Tribigild era a capo di un gruppo di Goti Greutungi che aveva provato a invadere l’impero ma che era stato sconfitto e inviato in Asia Minore. Tribigild e i suoi Goti avevano combattuto contro gli Unni in Siria e si aspettavano probabilmente un trattamento simile ai cugini di Alaric, ma Eutropio non vedeva la ragione di trattarli alla stregua dei vincitori di Adrianopoli. Tribigild decise allora di percorrere la stessa strada di Alaric, tanto per vedere se portava nella stessa direzione: decise di ribellarsi. Contro di lui fu inviato il generale Goto Gainas che era il Magister Militum in Tracia: era forse la persona giusta da inviare in quanto comandante delle forze intorno la capitale, ma era decisamente la persona sbagliata se si considera che anche Gainas era un Goto.
Occorre capirci: fino a questo momento qualunque Goto arruolato nell’esercito regolare aveva dimostrato una estrema fedeltà allo stato romano: forse Gainas non percepì neanche quello che stava per compiere come un tradimento, inserendosi in una lunga tradizione della spietata politica imperiale. Ma l’ariano ed etnicamente goto Gainas poteva forse anche considerarsi oramai un Romano, ma non lo era certamente per i cittadini ortodossi della capitale.
Sta di fatto che Gainas complottò con Tribigild e invece di sconfiggere la sua piccola ribellione si unì in sostanza ad essa, richiedendo ad Arcadio la testa dell’Eunuco: nella politica romana queste cose succedevano in continuazione ma Gainas non era un romano e con la sua azione mandò in pezzi quel poco di fiducia che le autorità di Costantinopoli ancora avevano verso i Goti che vivevano tra loro.

Gainas, dal trionfo alla caduta
Il palazzo, in accordo con Gainas, mosse per neutralizzare Eutropio che fu prima esiliato grazie all’intercessione dell’arcivescovo Giovanni Crisostomo e poi comunque messo a morte. Il palazzo, o dovremmo dire semplicemente l’imperatrice? – a questo punto nominò un Carneade a capo dell’amministrazione, Carneade che era però di decise opinioni anti-gotiche. Immagino fosse un tentativo di mascherare verso l’opinione pubblica l’influenza che il goto Gainas aveva avuto sul corso degli eventi. Eh sì perché tra i Romani c’erano due principali “partiti”: quelli che volevano perseguire la politica filo-Gotica di Teodosio, utilizzando i germani come una delle principali fonti di reclute per l’esercito. A questi si contrapponeva il partito che direi “nazionalista”: questi romani vedevano di malocchio l’influenza che i Goti avevano acquisito sulla loro politica. Con i barbari si poteva trattare, era una tradizione antichissima, ma non si poteva farli entrare nei veri gangli del potere Romano.
Il nostro Carneade, come detto, era di quest’ultima opinione. Eudoxia aveva forse sperato di poter controllare il governo e la corte orientale ma Gainas non aveva nessuna intenzione di tornare nelle caserme. Gainas valutò che fosse troppo pericoloso lasciare il governo al partito anti-gotico e decise di anticipare le mosse dei suoi nemici. Marciò i suoi dal centro dell’Asia Minore alle rive del Bosforo: o il palazzo si metteva ai suoi ordini o tutti avrebbero rischiato una brutta fine. Il palazzo si arrese, Carneade scomparve dalla storia e Gainas si installò a Costantinopoli, sostanzialmente nel ruolo di dittatore militare che stava riuscendo tanto bene a Stilicone. Era la fine del 399.
Gainas non era però Stilicone: quest’ultimo era un politico raffinato che impiegava il migliore propagandista dell’epoca. Gainas, nonostante il successo nell’esercito, era rimasto nel cuore un soldato, un Goto e un Ariano: la convivenza con i cittadini della capitale fu difficile. In più Gainas si era fatto un nemico implacabile: l’imperatrice Eudoxia, decisa a tutti i costi a non farsi dominare da questo rozzo barbaro. Anzi, decisa a non farsi dominare da nessuno.
Eudoxia e la sua corte alimentarono il più possibile le fiamme della ribellione che scoppiò nella primavera del 400: Costantinopoli mise su una di quelle rivolte popolari per le quali diverrà famosa in futuro, assediando Gainas a palazzo e costringendolo ad una rapida fuga verso nord con quello che rimaneva delle sue truppe. La popolazione, aizzata all’odio etnico, decise di scatenarsi in un terribile pogrom delle decine di migliaia di Goti e soprattutto delle loro famiglie che si erano installati in città dopo Adrianopoli. Sembra quasi che la folla volesse vendicare con il massacro dei Goti la sconfitta di Adrianopoli e l’umiliazione di dover ubbidire ad un capo barbaro: Zosimo riferisce che settemila Goti furono massacrati in quei giorni, molte donne e bambini. Chi poté scappò e rivoli di profughi finirono per rifugiarsi nell’unico posto dove potevano trovare asilo: ovvero presso il Re dei Goti liberi, Alaric, che accrebbe ancora il suo seguito e le sue capacità militari.
Per sconfiggere l’esercito di Gainas la corte di Costantinopoli fece ricorso, in una chiara dimostrazione di cinismo politico, ad un altro capo dei Goti, Fravitta, anche lui uno dei generali dell’armata regolare. Fravitta era il Magister Militum per Orientem, ovvero il plenipotenziario della frontiera persiana: in cambio di assicurazioni sul suo ruolo nel futuro governo dell’impero Fravitta fu richiamato a Costantinopoli e inviato a combattere Gainas in Tracia, cosa che parve di nuovo una buona idea visto che i due Goti si odiavano con trasporto.
Gainas decise di non aspettare il suo destino in territorio Romano ma si rifugiò oltre Danubio nell’antica terra dei Goti, oggi dominata dagli Unni. Unni che in questa storia, per la prima volta, acquisiscono un capo che è nominato dagli storici imperiali: Huldin. Gainas probabilmente intendeva stringere un accordo con Huldin ma questi aveva deciso che era arrivato il momento di ingraziarsi le autorità Romane, con le quali voleva intavolare buone relazioni mentre lui consolidava il suo potere a nord del Danubio. Huldin fece mettere a morte Gainas e recapitò la sua testa, con i suoi migliori complimenti, a Fravitta ed Eudoxia. Appena ebbe la certezza che Gainas fosse stato neutralizzato Eudoxia iniziò a complottare per liberarsi anche dell’ultimo grande generale gotico, ovvero Fravitta. Lo fece arrestare e mettere a morte nel 401: l’imperatrice non aveva più nessuna intenzione di farsi circondare da ambiziosi Goti, nel suo impero non ci sarebbe più stato posto per questi fastidiosi barbari.

La mossa di Alaric
Spero di non avervi confuso troppo con questa rapida sequenza di usurpazioni, rivolte e assassinii: in successione abbiamo avuto Rufino fino al suo assassinio per mano di Gainas nel 395, Eutropio fino al 399, quando fu deposto da una congiura, Gainas per alcuni mesi prima della ribellione di Costantinopoli e poi infine l’imperatrice Eudoxia e i suoi alleati politici. Quello che dovete tenere a mente è che la corte orientale rimase in costante stato di caos dal 395 ad almeno il 401. Questo permise a Stilicone di continuare a sperare di potersi un giorno imporre sulla caotica corte orientale. L’altra grande conseguenza di questa girandola di uomini potenti fu che all’improvviso, a Costantinopoli, non ci fu più spazio per i Goti. Alaric aveva stretto un accordo con Eutropio nel 397 e si era quindi stabilito in Macedonia con i suoi, rimanendo tranquillo per diversi anni. Dopo la morte di Gainas e Fravitta Alaric comprese che era lui il prossimo della lista.
Mi immagino che Alaric ponderò attentamente la sua prossima mossa nel mortale gioco a scacchi della politica romana: cercare di ingraziarsi la corte orientale sembrava fuori questione, combatterla poteva essere pericoloso per i suoi anche se forse Costantinopoli non avrebbe avuto le risorse per sconfiggerlo in modo decisivo ancora per qualche tempo.
Alaric non era però il tipo di leader che può accontentarsi di attendere cosa porterà il futuro: Alaric era uno di quelli che il futuro aveva imparato a costruirlo con le sue mani. C’era una sola cosa che, nella sua esperienza, poteva convincere i Romani a trattare: la forza militare dei suoi Goti e la minaccia delle loro spade. Negli ultimi decenni i Goti avevano percorso due volte la strada verso l’Italia, sempre al seguito di Teodosio, e avevano appreso quanto fosse facile approcciare la penisola da oriente e quanto ancora fossero ricche le sue città e le sue campagne. Fino ad ora i Goti erano rimasti confinati nella politica dell’Impero d’Oriente ma a Costantinopoli era al potere il partito anti-gotico e sarebbe stato difficile piegarli al suo volere.
Chissà, forse Stilicone e Onorio sarebbero stati più ragionevoli della banda di matti che aveva preso il potere a Costantinopoli. Forse avrebbero concesso ai Goti qualcosa di meglio.
Alaric diede l’ordine di partenza: era arrivato il momento di viaggiare verso l’Italia ma non come carne da macello dei Romani, o no, non questa volta. Questa volta i Goti avrebbero marciato con l’obiettivo di piegare la corte di Milano al volere delle armi gotiche.
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Ciao Marco, complimenti.
Seguo i tuoi podcast ma mi piacerebbe leggere tutti gli articoli dall’episodio zero, come posso fare?
Flavia
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Ciao Flavia! Grazie mille innanzitutto. Se vai sul mio sito http://www.italiastoria.com e filtri per la categoria “testi del podcast” trovi tutti gli episodi dallo 0 al 22 😉
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