Episodio 19, il nuovo vescovo di Milano (383-392) – testo completo

L’Italia della fine del quarto secolo è dominata da una città: Milano, la capitale dell’Impero d’Occidente. E non si può comprendere la Milano di fine quarto secolo senza parlare dell’uomo che arriverà a dominarne sia lo spazio politico che le anime. Vale a dire Aurelius Ambrosius meglio conosciuto a Milano, in Italia e nel mondo con il nome con il quale è passato alla storia: Sant’Ambrogio.

Il ruolo dell’Italia nella sua storia

L’Italia fino ad oggi non è stata uno dei luoghi principali della storia d’Italia: è paradossale, ma la maggior parte degli eventi che ho riferito si sono svolti ai confini dell’impero: in Gallia e Persia con Giuliano, su tutte le frontiere con i suoi successori. L’unico evento chiave avvenuto in Italia è stata la battaglia di Ponte Milvio. Questo perché il mondo Romano era davvero un mondo unito e non si può capire nulla della storia di una parte dell’impero senza narrare la storia dell’insieme.

Negli scorsi episodi la narrativa ci ha portato molto distanti dall’Italia, nelle terre tra il Danubio e Costantinopoli: ovviamente questa è stata per me una scelta e non un accidente. Intendo narrare la Storia d’Italia ma non posso farlo senza tenere conto del contesto: credevo fosse importante spiegare come i Goti finirono per ritrovarsi dentro l’impero e come riuscirono a conquistarsi la loro indipendenza dentro il mondo Romano: questo perché la loro storia ha un impatto fondamentale sull’Italia dei secoli a venire. Conto di deviare dalla narrazione strettamente geografica ogni volta che sarà necessario: come potrò spiegare l’Italia dell’ottavo secolo senza parlare dei Franchi e della loro corte? Come inquadrare la storia dell’Italia comunale senza tener conto della storia dell’intero Impero al di là delle alpi? E questi sono solo due esempi.

Eppure siamo arrivati ad un punto della nostra storia dove possiamo tornare in Italia e restarci per un po’: di qui in avanti ci concentreremo sempre di più sulla pars occidentalis dell’impero, quella che è destinata a scomparire nel giro di meno di cento anni. In occidente l’Italia acquisirà sempre più importanza a mano a mano che l’impero, facendo a ritroso il percorso che lo aveva portato a dominare tutto il mediterraneo, andrà restringendosi sulla nostra penisola.

Ambrogio, governatore di Milano

Mosaico del quarto secolo che ritrae Ambrogio nel sacello di S. Vittore in ciel d’oro, a Milano

Aurelius Ambrosius era nato a Trier nella moderna Germania ma da una famiglia senatoriale altolocata di Roma. Suo padre era decisamente un pezzo grosso essendo il Prefetto del Pretorio delle Gallie, uno degli uomini più importanti della burocrazia imperiale. Da parte di madre Ambrogio era imparentato con la famiglia degli Aureli Simmachi, una delle più importanti famiglie senatoriali di Roma a cui capo c’era il poeta Simmaco, un deciso difensore della religione pagana.

Destinato alla carriera amministrativa sulle orme del padre, dopo la sua morte frequentò le migliori scuole di Roma dove compì i tradizionali studi che ci si poteva attendere da un rampollo di una illustre famiglia senatoriale romana: imparò il greco e studiò dirittoletteratura e retorica, partecipando poi alla vita pubblica della città. Nel 370 fu nominato governatore della provincia romana dell’Aemilia et Liguria che a quel tempo includeva buona parte del nord Italia. La sede del governatorato era Milano, ottima cosa perché permise ad Ambrogio di divenire una figura di rilievo nella corte dell’imperatore Valentiniano I e allo stesso tempo di andare incontro al suo destino di essere associato con questa città. La sua abilità nel dirimere pacificamente i forti contrasti tra ariani e cattolici niceni gli valse un largo apprezzamento da parte delle due fazioni, nonostante che fosse apertamente un Niceno.

Il vescovo di Milano era un Ariano, nominato da Costanzo II e mai rimosso. Alla sua morte nel 374 le due fazioni si scontrarono apertamente su chi nominare come vescovo: nella chiesa dove doveva avvenire l’elezione c’erano stati dei veri e propri tafferugli e Ambrogio accorse con la forza pubblica di cui era a capo per sedare i disordini: non voleva che si ripetesse quanto successo con l’elezione qualche anno prima di papa Damaso, risultata in un bagno di sangue.

Alla vista del governatore, nella confusione della calca qualcuno urlò “Ambrogio vescovo”: la tradizione vuole che fosse un bambino. Al che l’acclamazione avvenne da parte di buona parte della congregazione e perfino gli ariani decisero che Ambrogio fosse un candidato di compromesso e non ne impedirono l’elezione. In pochi anni rimpiangeranno amaramente la loro scelta.

Peccato che nessuno avesse chiesto al diretto interessato: Ambrogio non aveva mai adocchiato una carriera ecclesiastica e non aveva nessun attributo per essere un vescovo. Non era un prete e non era perfino ancora battezzato, come d’abitudine in quei tempi per gli uomini di armi e politica, che come abbiamo visto nel caso di Costantino tendevano a battezzarsi tardi per lavarsi i peccati di una vita passata attorno al potere. Ambrogio provò a resistere ma alla fine, anche sotto pressione dell’imperatore Valentiniano, acconsentì: in otto giorni passo da non battezzato a battezzato, prete e infine vescovo. No, non era una cosa normale neanche allora, era qualcosa di assolutamente inedito.

Da politico Ambrogio era stato piuttosto neutrale nelle dispute religiose, così non fu una volta eletto vescovo: Ambrogio era in cuor suo un convinto niceno e da subito fece capire che non avrebbe accettato alcuno spazio nella vita pubblica per le fedi alternative: che questi fossero i rimanenti pagani, gli ebrei o i cristiani ariani.

Ambrogio riuscì a fondere nel ruolo di vescovo la sicurezza politica che gli derivava da provenire da una delle grandi famiglie senatoriali che dominavano l’impero con la cultura e l’erudizione di una delle grandi menti della sua epoca. Era un retore formidabile: i suoi sermoni erano leggendari muovendo a compassione i semplici come i più eruditi. Durante il suo periodo a Milano un certo Agostino passò ad ascoltare i discorsi del vescovo. Agostino fino ad allora aveva aderito ad una religione alternativa al cristianesimo, il manicheismo. Quando ripartì da Milano era stato battezzato da Ambrogio e, tornato nella sua africa, era pronto a diventare lui stesso l’erede spirituale di Ambrogio. Avremo modo di parlare ancora di lui.

Ambrogio non era solo un grande retore e uomo di chiesa: da subito interpretò il ruolo di vescovo non solo come guida religiosa del suo gregge ma come uno dei più importanti ruoli politici della capitale imperiale, quindi di tutto l’impero. L’idea che mi sono fatto della sua carriera è che Ambrogio avesse una personalità magnetica, capace di manipolare l’opinione delle folle come degli uomini potenti che accorrevano ad ascoltarlo. Fu il primo uomo politico romano che capì che dal soglio vescovile poteva arrivare ad ergersi sopra a chiunque, forse perfino sopra gli imperatori. In questo è una figura fondamentale dell’evoluzione dell’occidente verso la politica medioevale.

Graziano imperator

Graziano

Il primo passo fuori dall’oscurità lo raggiunse quando Graziano – reduce dalla disastrosa campagna di Adrianopoli – venne in Italia e si stabilì a Milano. Non sappiamo precisamente cosa avvenne ma Graziano, che fino a quel momento aveva seguito la tollerante politica religiosa del padre, cambiò improvvisamente d’avviso e sposò in tutto e per tutto la dura politica di supremazia del credo Niceno professata da Ambrogio. Ammiano Marcellino, senza poter criticare direttamente Ambrogio negli anni del cattolicissimo Teodosio, ci lascia alcune molliche di pane per cercare di capire cosa avvenne. Ammiano sostiene che Graziano fosse un giovane molto promettente ma che cadde preda di cattivi consigli che portarono alla sua rovina. Non ho dubbi che si riferisse ad Ambrogio.

Ambrogio contro gli Ariani

Su istigazione e credo sotto l’influenza del suo vescovo Graziano pose fine alla tolleranza religiosa che si era imposta come politica imperiale dai tempi di Giuliano: “Nella lunga tregua tra i campi ostili” scrive lo storico Samuel Dill “il pagano, lo scettico, anche il tiepido cristiano, aveva potuto sognare una reciproca tolleranza che lasciasse indisturbati gli antichi culti. Ma tali uomini non conoscevano abbastanza le forze interiori del nuovo movimento cristiano.”

Nel 381 Ambrogio mosse contro gli ultimi rimasugli della dottrina Ariana in occidente: gli Ariani avevano avuto sempre più seguito in oriente e ultimamente avevano perso quanto restava della loro autorità nella pars occidentalis. Roma era stata conquistata da un Papa ferocemente ortodosso, Damaso, Milano da Ambrogio. Restavano solo due importanti vescovi ariani, vestigia dei tempi di Costanzo II. Ambrogio indisse un Concilio ad Aquileia per porre fine alla questione: i due vescovi furono deposti ed espulsi nonostante le rimostranze e le resistenze del partito ariano che era ora comandato dall’Augusta Giustina, la vedova di Valentiniano I.

San Lorenzo alle colonne, antichissima chiesa milanese, risalente nel corpo principale al quarto secolo.

Introduciamo Giustina, perché ne riparleremo: questa era stata addirittura in prime nozze la moglie di Magnenzio, usurpatore sconfitto da Costanzo II quando? Tipo 15 episodi fa? Giustina era però un animale politico ed era riuscita a sposare un secondo imperatore, Valentiniano I, a cui aveva dato il secondo figlio: si trattava di Valentiniano II, ora co-augusto di Graziano, almeno sulla carta. Aveva avuto anche una figlia, Galla. Giustina era una forza della politica romana e una delle personalità più importanti della corte di Milano. Nonostante tutta la sua influenza Giustina non riuscì a fermare la coppia Ambrogio-Damaso e gli ultimi vescovi ariani furono deposti: Giustina non si diede però ancora per sconfitta.

Ambrogio contro i pagani

Risolta la pratica dei vescovi Ariani Ambrogio passò all’ultimo grande concorrente religioso della sua ortodossia: i pagani. Nel 382 Ambrogio convinse Graziano ad attaccare direttamente i culti più antichi della città di Roma: con dei decreti “cattolicissimi” Graziano dichiarò che tutti i templi e i santuari pagani dovevano essere confiscati dal governo e che i loro introiti dovevano essere uniti alla proprietà del tesoro reale. Graziano si impadronì anche delle entrate dell’antichissimo collegio delle vergini vestali, le custodi della fiamma sacra di Roma.

Inoltre, in un atto che fu vissuto come una violenza da parte dei senatori pagani, Graziano ordinò la rimozione dell’Altare della Vittoria dalla Camera del Senato a Roma. Cerchiamo di capire di cosa si trattasse e del perché fosse così importante per alcuni: l’altare e la coeva statua della vittoria erano stati conquistati da Roma ai tempi della guerra contro Pirro e i tarantini, quasi 700 anni prima. Augusto aveva installato la statua nell’aula del Senato e da allora era arrivata a simboleggiare l’autorità, la maestà e l’invincibilità dell’Impero: per i pagani la sua rimozione era non solo un affronto religioso ma un pericolo per la sicurezza pubblica della città e dell’Impero che si sarebbero esposti all’ira dei suoi Dei fondatori. I senatori pagani risposero inviando un appello a Graziano, ricordandogli che come tutti gli eredi di Augusto era ancora il Pontifex Maximus e che era suo dovere vedere che i riti pagani ancestrali fossero eseguiti correttamente. Graziano, su sollecitazione di Ambrogio, non concesse udienza ai senatori pagani e decise invece di rinunciare formalmente, primo imperatore Cristiano, al titolo di Pontefice Massimo. Giulio Cesare era stato pontefice e dopo di lui tutti gli augusti, riunendo nella loro persona le massime cariche civili e religiosi di Roma. Ci fu costernazione immensa a Roma, l’ultimo bastione importante del paganesimo: la carica di pontefice massimo era stata creata, secondo la leggenda, da Numa Pompilio, il secondo Re di Roma. Ritengo questa rottura anche più importante del più famoso editto di Thessalonika di Teodosio, di cui parlerò tra poco. Ah, visto che lo ho nominato: è tempo di tornare in oriente perché lo scorso episodio, nel maelstrom di spade della guerra Gotica, ho evitato di parlare di religione: ma in oriente nel 381 si è aperto il secondo concilio ecumenico della chiesa cristiana, a Costantinopoli.

L’editto di Tessalonica

Ho accennato al fatto che Adrianopoli ebbe un’importanza fondamentale anche sul fronte religioso. È arrivato il momento di spiegare perché. Valente era stato un imperatore Ariano, come Ariano era stato Costanzo II e anche – de facto – Costantino negli ultimi anni del suo regno. Valente aveva applicato la politica di tolleranza religiosa del fratello maggiore, anche se con una maggiore inclinazione a favorire gli ariani. La sua morte sul campo di battaglia e la spettacolare sconfitta del suo esercito fu interpretata dai superstiziosi romani come un segno della collera divina contro Valente e le sue idee che furono istantaneamente screditate: il mondo Romano era si passato al cristianesimo ma le superstizioni antiche che volevano negli eventi terreni la chiara volontà degli Dei erano rimaste, le loro radici erano troppo profonde. In questa atmosfera nacque perfino una leggenda che ritengo quasi sicuramente apocrifa: si sparse la voce che Valente non fosse caduto per mano di una spada ma che si fosse rifugiato in una fattoria: qui i Goti avrebbero messo fuoco all’intera casa e Valente sarebbe morto bruciato, in quella che era una morte infamante per i Cristiani del tempo. Citiamo qui Orosio, uno storico cristiano del quale avremo modo di parlare ancora: “A valente non fu nemmeno data una sepoltura, affinché la punizione visitata su di lui – questa chiara manifestazione di ira divina – potesse servire ancor di più come un terribile esempio per i posteri”. Ma perché Valente aveva meritato un trattamento talmente infamante da parte di Dio? Ce lo dice il nostro storico, chiaramente dando voce ad una opinione diffusa: ad essere sconfitta non era stata un’armata romana cristiana, Dio aveva abbandonato i Romani perché si erano fatti guidare da un Ariano. Orosio va oltre e da una spiegazione – come dire? – logica alla sua morte: “I Goti avevano chiesto che fossero inviati dei vescovi da cui avrebbero potuto imparare la fede cristiana. In perversione fatale l’imperatore Valente inviò insegnanti della dottrina ariana, e i Goti continuarono a credere a ciò che avevano appreso da loro sui principi fondamentali della fede. Quindi, per il giusto giudizio di Dio stesso, Valente fu bruciato vivo dagli stessi uomini che, attraverso la sua azione, bruceranno in seguito per la loro eresia.” Chiaro e semplice.

In questa atmosfera va vista l’azione di Teodosio che già nel 381 mosse ad affrontare la minaccia ariana: mentre la tempesta Gotica era ancora in corso ci si sarebbe potuto aspettare che il nostro imperatore si concentrasse su faccende più terrene. Penso però che abbiate capito la mentalità Romana – tra l’altro perfettamente in linea con quella dei tempi della Repubblica. La questione Ariana era una questione di sicurezza pubblica oltre che religiosa: andava ristabilita l’alleanza dei Romani con Dio, sopprimendo l’eresia che gli era così chiaramente invisa: solo allora i Romani avrebbero potuto trionfare sui Goti.

Il primo atto di Teodosio su questo fronte che considerava fondamentale fu il celeberrimo editto di Tessalonica, emanato il 27 febbraio del 380 nei giorni più bui della guerra Gotica. E’ un testo breve quindi se non vi spiace ve lo declamo in tutta la sua importanza: «Vogliamo che tutti i popoli che ci degniamo di tenere sotto il nostro dominio seguano la religione che san Pietro apostolo ha insegnato ai Romani, oggi professata dal Pontefice Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria; cioè che, conformemente all’insegnamento apostolico e alla dottrina evangelica si creda nell’unica divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in tre persone uguali. Chi segue questa fede sarà chiamato cristiano cattolico, gli altri invece saranno considerati stolti eretici; alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa. Costoro saranno condannati anzitutto dal castigo divino, poi anche dalla punizione della nostra autorità terrena, come Dio vuole”.

La cosa che mi stupisce di questo editto è che è sempre stato interpretato come un editto che ufficializza la religione cristiana come religione di stato, bandendo i culti pagani: in ciò è spesso contrapposto al supposto editto di libertà religiosa di Costantino, l’editto di Milano. È una interpretazione che mi pare del tutto semplicistica: dopo l’editto di Milano non ci fu nessuna libertà religiosa, i culti pagani furono limitati, depotenziati e spesso proprio perseguitati. Allo stesso tempo l’editto di Tessalonica non riguarda invece quasi per nulla i pagani: finirà per farlo, di qui a qualche anno, ma leggendo il testo e conoscendo la situazione è chiaro che l’editto di Tessalonica non dichiara il cristianesimo come religione ufficiale. il Cristianesimo era de facto la religione “ufficiale” dell’impero – qualunque cosa questo voglia dire – almeno dai tempi del concilio di Nicea. I pagani non sono neanche il vero obiettivo dell’editto: è ovvio che quello a cui Teodosio si riferisce è la supremazia del credo trinitario niceno su quello ariano: gli ariani non sono più considerati chiesa e saranno perseguitati da Dio e dalla autorità costituita dell’imperatore.

Il Concilio di Costantinopoli

L’anno seguente Teodosio fece seguito all’editto e indisse un concilio della chiesa d’oriente, pochi mesi prima del concilio di Aquileia di Ambrogio: una tale coincidenza mi fa pensare che l’azione fosse concertata. Teodosio seguì infatti per tutta la vita le istruzioni religiose di Ambrogio: aveva un rispetto per il vescovo di Milano quasi superstizioso ed era un convinto Niceno, assai più di qualunque precedente imperatore Romano. Il primo concilio di Costantinopoli, come passerà alla storia, è un concilio fondamentale tanto da essere considerato oggi il secondo concilio ecumenico, cioè di tutta la chiesa: ha anche la distinzione di essere l’unico concilio, assieme a quello di Nicea, che è accettato da tutte le confessioni cristiane ancora oggi. Va detto che, come a Nicea, il ruolo del papato fu pressoché nullo nel determinarne le deliberazioni. Ancora nel 381 il papato non è una istituzione al di sopra delle altre nella chiesa: è poco più di un vescovato importante dell’occidente e perfino lì è sul sedile posteriore dell’auto alla cui guida c’è il vescovo di Milano.

Cosa decise il concilio? Si occupò di condannare l’arianesimo in ogni sua forma e declinazione, in modo incontrovertibile e definitivo: con questo concilio la chiesa Romana d’oriente viene definitivamente purgata degli ariani e questo fu un atto assai più rivoluzionario che in occidente, visto che in molte città gli ariani erano la maggioranza. Il concilio modificò inoltre il credo niceno, soprattutto sul punto dello spirito santo che era stato abbastanza ignorato a Nicea: il credo niceno-costantinopolitano – come è conosciuto – è quello che viene letto ancora oggi a messa, ogni domenica. Oltre a diversi punti minori fu trattato un argomento importante, quello dello status del vescovo della capitale nella gerarchia ecclesiastica.

Come ho già accennato altrove la Chiesa dell’Impero era organizzata in vescovati, come d’altronde anche oggi, a loro volta però facenti capo a diversi patriarcati, ovvero vescovi con un ruolo regionale di coordinamento. Questo ruolo gli era stato conferito con il tempo e a causa dell’importanza del loro seggio vescovile, visto che si trattava delle città più importanti dell’Impero, ma anche perché percepite come chiese “apostoliche” ovvero fondate dagli apostoli di Gesù.

I patriarchi erano originariamente quattro: Alessandria, per l’Egitto e i paesi africani a sud, Gerusalemme per ovvi motivi di precedenza apostolica ma in realtà con un ruolo limitato relativo solo alla Palestina, Antiochia a capo delle diocesi dell’oriente Romano e infine Roma, a cui facevano capo tutte le diocesi dell’impero d’occidente più la Grecia e la Macedonia: Roma non aveva concorrenti in occidente perché la sua dimensione era fuori misura rispetto a tutte le altre città occidentali ma anche perché la popolazione cristiana era stata inizialmente meno densa in occidente e non aveva richiesto più di un patriarcato.

Avete notato chi manca? Ma ovviamente Costantinopoli, la nuova capitale dell’Impero. La vecchia Bisanzio era una città minore e quindi non aveva ricevuto un ruolo importante quando la chiesa si era strutturata. Il vescovo della capitale era un semplice vescovo, in teoria sottoposto ad Antiochia anche se in realtà molto indipendente. Tra i patriarchi c’era anche un ordine non scritto di precedenza: un primato di “primus inter pares” era riconosciuto al patriarca di Roma, il papa, seguivano poi Alessandria e Antiochia (considerate molto vicine a Roma) e infine Gerusalemme.

Il concilio di Costantinopoli, guarda caso svoltosi proprio sulle rive del Bosforo, stravolse questa gerarchia: decise di elevare il rango del Vescovo della capitale, che non si chiamerà patriarca ancora per qualche anno ma che lo sarà da questo momento di fatto. Non solo: il vescovo di Costantinopoli, in quanto vescovo di “Nuova Roma” fu elevato al di sopra di ogni altro patriarca con l’esclusione di quello di Roma. Antiochia e Alessandria, che avevano sempre guardato dall’alto in basso Costantinopoli, si ritrovarono retrocesse. Può sembrare un punto minore ma avrà un ruolo colossale nello sviluppo del cristianesimo, soprattutto orientale: da questo momento in poi Costantinopoli governerà la chiesa d’oriente. Il patriarca di Costantinopoli avrà sempre un vicino ingombrante nell’imperatore, a pochi passi di distanza. Una vicinanza che il papato non avrà praticamente mai: cosa che avrà importanti conseguenze nell’evoluzione del cristianesimo orientale e occidentale. Ancora oggi il patriarca di Costantinopoli è considerato il patriarca ecumenico della chiesa ortodossa: ovvero con il ruolo di “primus inter pares” riconosciuto a Roma e a cui, da un punto di vista ortodosso, Roma rinuncerà quando si arriverà allo scisma tra le due chiese.

Roma non accolse per nulla bene questa parte del concilio di Costantinopoli, ritenendolo una forzatura dell’ordine precostituito. Ci vorranno decenni prima che Roma si rassegni ad accettare il concilio, ma lo accettò e quindi tutt’ora gli atti del concilio di Teodosio sono considerati normativi per la chiesa Cattolica e tutte le chiese orientali. Nuova Roma aveva conquistato il suo posto al sole.

La tempesta si accumula in occidente

Mentre tra Milano e Costantinopoli si riscriveva la storia religiosa della cristianità ai confini estremi dell’impero un uomo ribolliva di rabbia: Magno Massimo, uno dei più capaci luogotenenti oltre che nipote del conte Teodosio, era stato lasciato a marcire in Britannia mentre i suoi ex colleghi facevano carriera, soprattutto quel damerino di suo cugino, l’ormai imperatore Teodosio. Credo abbia sentito inoltre che stava arrivando il suo momento: Graziano – ci riferiscono le nostre fonti – era diventato impopolare. Per giustificare questa impopolarità Zosimo e Orosio dicono che l’imperatore si era affezionato troppo ad una unità di Alani che Graziano avrebbe stimato al di sopra di ogni altro soldato imperiale, irritandoli. Una storia che ricorda troppo quella di Costante per essere credibile.

Graziano era stato popolare solo pochi anni prima, intorno al 380. Aveva vinto una grande battaglia nel 378, contro gli Alamanni. Cosa poteva essere davvero cambiato per rendere Graziano impopolare, soprattutto (come vedremo) tra i suoi soldati, per lo più Franchi e per lo più pagani? Bè io credo che la responsabilità vada cercata nella sua politica religiosa: una cosa era adottare una politica antipagana in oriente – e Teodosio per ora si era ben guardato dal farlo, pur avendo una popolazione pagana molto più limitata – altra cosa era farlo in occidente, soprattutto quando l’esercito del fu Giuliano era ancora lì, a guardia della frontiera del Reno. Magno Massimo non era un pagano ma credo che ebbe sentore che Graziano non fosse così popolare come un tempo.

Sta di fatto che nel 383 Magno Massimo si ribellò e fu acclamato imperatore dalle legioni della Britannia, contente di essere finalmente al centro dell’azione. Magno Massimo prese il nerbo delle truppe britanniche e le portò sul continente. Sbarcato a Boulogne affrontò nei dintorni di Parigi l’esercito di Graziano: esercito che però non aveva nessuna voglia di morire in una guerra civile che avrebbe solo indebolito l’impero e la frontiera renana. Dopo alcuni giorni di alterchi tra i soldati, più scena che altro, Merobaude abbandonò Graziano e passò con tutti i suoi uomini dalla parte di Magno Massimo: come si può notare le guerre civili romane avevano tutto l’aspetto di improprie elezioni effettuate dai soldati e dai loro generali.

Una volta che ci fu la prima defezione questa fu seguita da molte altre e presto Graziano capì che era finita: si mise in fuga, probabilmente per raggiungere Milano o Teodosio in oriente ma fu raggiunto a Lione da uno dei comandanti di Magno Massimo e messo sbrigativamente a morte. Finiva così, violentemente, il regno di un imperatore che, nelle parole di Ammiano Marcellino, aveva dimostrato molto potenziale ma che si era poi perso per strada.

Ambrogio, imperatore de facto

A Milano immagino che la corte fu presa dal panico. l’Augusta Giustina aveva però un perfetto candidato per il trono. Anzi: era già l’Augusto dell’impero, anche se fino ad ora solo di nome. Si trattava ovviamente di suo figlio Valentiniano II che a questo punto aveva 12 anni. Giustina fece inviare messaggeri a Teodosio, ricordandogli i suoi vincoli di amicizia con la famiglia di Valentiniano I. Questi inviò il generale Bauto in Italia alla testa di un consistente esercito con l’obiettivo di difendere il diritto di Valentiniano al trono.

Valentiniano II

La corte di Milano, ora in una posizione negoziale più forte, inviò da Magno Massimo un ambasciatore per trattare. E chi poteva essere, se non il nostro vescovo di Milano? Ambrogio trattò con Magno Massimo un accordo con il quale l’impero – che restava ovviamente unitario – veniva diviso tra i tre augusti. Valentiniano e Teodosio avrebbero riconosciuto la legittimità di Magno Massimo a governare: a quest’ultimo sarebbe andato il regno delle Gallie, la Spagna e la Britannia. In cambio Magno Massimo avrebbe lasciato in pace Valentiniano II lasciandogli i domini sull’Italia e l’Africa. Va da sé che l’oriente restava a Teodosio.

A Milano iniziò quindi una nuova coabitazione tra il cattolicissimo Ambrogio e l’augusta Giustina, ariana e oramai la figura più importante della corte. Giustina chiese, a nome di suo figlio l’imperatore, che due chiese della capitale fossero allocate al culto ariano, tra queste la Basilica Portiana, identificata con l’attuale San Lorenzo alle Colonne, una chiesa amata da tutti i Milanesi e la più antica della città. Ambrogio ovviamente si rifiutò categoricamente: per questo fu condotto manu militari di fronte al consiglio imperiale. Ambrogio rimase però inamovibile anche di fronte al suo imperatore. Il giorno dopo il Prefetto della corte gli chiese di cedere almeno la basilica portiana: era quasi Pasqua e le maestà imperiali chiedevano una chiesa nella quale celebrare la più importante festa cristiana. Quando ufficiali della corte furono inviati a prendere possesso della chiesa Ambrogio incitò con un sermone infuocato la popolazione di Milano a resistere: i milanesi cattolici si barricarono dentro la chiesa e Ambrogio, alla testa del popolo armato, ebbe la sua vittoria: Giustina non avrebbe mai avuto una chiesa per gli infedeli. Non solo: Ambrogio divenne tutore – con l’imperatrice Giustina – del giovane imperatore Valentiniano II e quindi de facto co-reggente dell’Italia: il vescovo, per la prima volta, aveva battuto il potere civile. Non sarà l’ultima.

Giustina, Galla e Teodosio

Come sa chi ha letto Dune, il treppiede è la più instabile struttura politica: la spartizione dell’impero non poteva durare. Magno Massimo era un lontano parente di Teodosio e aveva forse sperato di dividere l’impero solo con lui. Inoltre Magno Massimo sapeva che Valentiniano o la sua corte per conto suo avrebbero chiesto il governo dell’intero occidente una volta che questi avesse raggiunta la maggiore età. Massimo decise di anticipare i tempi e nel 387 mosse per attaccare e sconfiggere la corte di Milano. Giustina e Valentiniano fuggirono ad Aquileia e poi di lì si imbarcarono per raggiungere Teodosio. Ambrogio invece restò a Milano e accolse Magno Massimo nella capitale dell’Occidente.

Giustina non era però spacciata: oh no. Non lei, moglie di due imperatori e madre di uno. Si presentò da Teodosio e iniziò a negoziare il suo intervento contro Magno Massimo. Le nostre fonti di nuovo ci raccontano storie credo prive di fondamento: Orosio e Zosimo sostengono che Teodosio pianificasse già dal 383 di rovesciare Massimo. Eppure Teodosio non fece nulla a riguardo per tre anni e fece perfino costruire delle statue dell’imperatore occidentale nella sua parte dell’Impero: personalmente non credo che Teodosio avesse alcuna intenzione di andare in guerra con suo cugino senza un buon motivo.

Fu Giustina a dargli il buon motivo. L’imperatrice aveva ancora un asset da vendere: sua figlia Galla, ovvero la sorella di Valentiniano II. Teodosio era da poco vedovo, aveva solo un figlio maschio e la sua autorità a governare derivava dall’essere stato nominato da Graziano, ora discreditato. Se Teodosio voleva consolidare il suo potere doveva unire il suo nome e la sua famiglia a quella della dinastia imperiale di Valentiniano I. Teodosio era però un cattolico convinto e chiese un prezzo per il suo appoggio alla causa di Giustina: Valentiniano II si sarebbe convertito alla religione cattolica e Giustina avrebbe smesso di sostenere l’arianesimo. Era un accordo accettabile per Giustina e Il patto fu firmato. Ovviamente Zosimo – il nostro storico pagano nemico dei cristiani – ci dice solo che Teodosio alla vista di Galla fu preso da lascivia incontrollabile e fece di tutto per metterla nel suo letto. Orosio invece sostiene che Teodosio agì solo di suo buon cuore. Credo che la mia versione sia un po’ più attendibile.

Guerra civile

Nel 388 Teodosio inviò le sue armate in Italia attraverso i Balcani: si trattava del suo nuovo Comitatus orientale, composto in gran parte da Goti arruolatisi nell’esercito romano. L’esercito “regolare” era poi affiancato dai Goti Tervingi: la tribù in quanto nazione si unì a Teodosio nella prima campagna al fianco dei Romani. Teodosio inviò una colonna al comando di Arbogast attraverso l’Austria e la Svizzera in Gallia, una flotta al comando teorico di Valentiniano II verso Roma e si mise in testa alla colonna principale che avrebbe affrontato Magno Massimo in Italia.

Magno Massimo tentò di corrompere i Goti Tervingi a tradire Teodosio con un pagamento consistente di denaro ma i suoi emissari furono scovati e catturati. Poi tergiversò quando venne a contatto con Teodosio sul fiume della Sava, nella moderna Croazia, rifiutando di venire a battaglia. Teodosio diede ordine di attraversare il fiume e le sue truppe di esperti guerrieri Goti, pur in inferiorità numerica, riuscirono ad attraversare il fiume e sconfiggere il nemico che si diede alla fuga. Magno Massimo si rifugiò ad Aquileia, la grande fortezza a guardia dell’Italia, ma fu subito assediato. La guarnigione disertò, incatenò Magno Massimo e lo consegnò, con i loro migliori complimenti, a Teodosio. Massimo fu messo immediatamente a morte. Magno Massimo morì il 28 luglio del 388: l’intera, fulminea campagna era durata appena due mesi. Giustina non visse però per vedere i frutti delle sue tribolazioni e morì quello stesso anno.

Teodosio fece il suo ingresso trionfale a Milano e poi non poté trattenersi dal celebrare, nel 389, un trionfo a Roma, l’antica capitale e tuttora la sua più grande metropoli. Teodosio condivideva formalmente il regno con Valentiniano II ma non c’era di nuovo nessun dubbio su chi fosse in comando. Teodosio passò due anni a Milano per sistemare la corte occidentale: installò suoi uomini fidati in tutte le posizioni chiave e nominò un nuovo Magister Equitum per l’occidente: la sua scelta cadde su Abrogast che – come è ovvio dal nome – era un cittadino romano ma di chiaro sangue Franco. I soldati della frontiera renana erano anch’essi in maggioranza di etnia franca, installare uno dei loro a capo dell’esercito parve sicuramente una scelta ragionevole a Teodosio. Va da sé che Abrogast sarebbe anche stato il supremo comandante de facto di tutto l’occidente, con Valentiniano II nell’ahimè per lui consueto ruolo di imperatore da parata.

Sistemate le cose a dovere, nel 391 Teodosio se ne tornò in oriente che era rimasto tranquillo grazie all’accordo che Teodosio aveva raggiunto nel 386 con i Persiani: gli eredi di Shapur erano stanchi delle guerre e Teodosio aveva meglio da fare: Romani e Persiani decisero di dividersi tra loro l’Armenia, con i Persiani a fare la parte del leone. La pace aveva retto e continuò a reggere per molti anni. In controllo totale della situazione orientale, in pace con i Persiani, risolto il problema dei Goti e con un uomo fidato in occidente a tenere sotto controllo il giovane Valentiniano II Teodosio poteva ritenersi genuinamente soddisfatto e fiducioso per il futuro. Dal nulla era diventato il padrone del mondo Romano. Cosa mai sarebbe potuto andare storto?

Qualcosa va storto

Eppure nel maggio del 392, neanche un anno dopo, qualcosa andò storto: era arrivato un messaggero dall’occidente. Valentiniano II era morto. Abrogast aveva nominato un nuovo imperatore-fantoccio che era persino, orrore degli orrori, un filopagano. Il mestiere di imperatore del Tardo Impero non permette un attimo di tranquillità e di riposo. Teodosio, per l’ultima volta, avrebbe dovuto indossare la sua armatura per combattere una guerra civile e questa volta non si sarebbe trattata di una passeggiata.

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4 pensieri riguardo “Episodio 19, il nuovo vescovo di Milano (383-392) – testo completo

  1. Ho scoperto i podcast da pochissimo. Dal momento del primo ascolto della Storia d’Italia, sono in Overdose da storia. E dico a parenti e amici di ascoltarla perché non l’ho mai sentita raccontare così bene.

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