Episodio 6, un messaggio dagli Dei (357-361) – testo completo

Nello scorso episodio abbiamo imparato a conoscere un attore chiave della nostra storia, il nostro imperatore secchione Giuliano. Giuliano è l’ultimo parente rimasto a Costanzo dopo l’esecuzione di Gallo ed è stato nominato Cesare con il compito di riportare ordine nelle Gallie, compito nel corso del quale ha colto lo splendido successo a Strasburgo, battaglia nella quale il suo esercito ha messo in fuga 35 mila Alemanni con circa un terzo delle forze, catturando per di più il loro leader. In questo episodio vedremo come Giuliano e Costanzo danzeranno l’uno attorno all’altro fino a trovarsi, inevitabilmente, inesorabilmente e del tutto non inaspettatamente a farsi guerra l’un l’altro.

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Giuliano aveva sconfitto gli Alemanni nell’estate del 357. Immagino che questi ultimi si aspettassero che Giuliano tornasse tranquillamente alla sua base a Parigi per svernare in attesa della prossima stagione di guerra. Ma Giuliano non aveva nessuna intenzione di perdere l’iniziativa. Ci volle un po’ di sforzo per convincere i suoi soldati che invadere la Germania in inverno fosse una buona idea, e per i romani non lo era neanche in estate, ma le vittorie fanno miracoli e alla fine decisero di seguirlo. Giuliano – organizzata la retrovia – attraversò il fiume Reno e portò l’esercito in Germania. Gli Alemanni ne furono completamente sorpresi: dopo la sconfitta non avevano la forza di opporsi all’esercito delle Gallie e il loro paese fu devastato. Dopo di che finalmente Giuliano tornò a Parigi. Ho precisato che questa è la prima volta, a memoria mia, che Parigi funge da de-facto capitale della Francia, pardon, Gallia?

L’estate seguente, quella del 358, Giuliano ricostituì una flotta sul reno e sconfisse tutti i popoli germanici che si erano stabiliti a cavallo del fiume, tra loro i Franchi salii che si erano installati in Belgio che dovettero arrendersi, trasferirsi nel Belgio settentrionale e diventare tributari dei romani. Come detto ripopolare zone spopolate dell’impero con barbari sconfitti era oramai politica standard e di gran successo. Giuliano sconfisse anche un altro gruppo di Franchi che furono scacciati verso l’attuale olanda, poi si volse e torno nella zona degli Alemanni, devastandola. Alcuni dei loro re si arresero ai Romani, impegnandosi perfino a rifornire l’esercito romano acquartierato nel loro territorio. Questo concluse la campagna del 358. 

Durante l’inverno Giuliano ebbe il tempo di occuparsi di qualcosa a cui probabilmente aveva pensato a lungo ma che non aveva avuto il tempo e la possibilità di affrontare fino ad allora. Si occupò di tasse. Per capire come funzionavano le tasse al tempo dell’impero dovete comprendere che il grosso delle tasse erano raccolto con due imposte: la capitatio – tassa sul reddito personale, la nostra IRPEF – e la Iugatio, ovvero la tassa fondiaria, l’IMU romana. Le tasse erano in teoria proporzionali alle capacità contributive di ciascuno o alla redditività fondiaria. C’erano però diversi problemi: il primo era che le tasse erano dovute a prescindere dalle condizioni: un podere doveva un certo numero di solidus o equivalente in natura a prescindere dalla qualità del raccolto, dal fatto che ci fosse stata una carestia o una pestilenza o che fosse stato devastato dai barbari: il fisco aveva bisogno di soldi per pagare i legionari, che a loro volta potevano disporre degli imperatori. Per gli imperatori l’ordine di priorità era chiaramente primo: pagare l’esercito, secondo: pagare l’esercito, terzo: pagare l’esercito, e se è pagato magari cercare di distribuire in modo corretto il carico fiscale. Il secondo problema era la disparità di trattamento tra classi sociali, a tutto favore dei più ricchi. Infatti i poveri e perfino le classi medie urbane dovevano pagare sempre senza fallo, visto che tra l’altro le tasse erano raccolte da esattori privati con un forte incentivo a tirare su il quantitativo richiesto dallo stato. Al contrario i latifondisti romani – e in occidente parliamo di latifondi delle dimensioni di piccoli stati – avevano un potere talmente vasto di controllo sulla macchina statale che riuscivano di solito a evitare di pagare le tasse attraverso la coercizione, la corruzione o entrambe. Ogni tot anni poi il governo, sempre a caccia di un po’ di solidus in più, proponeva ai suoi grandi contribuenti un condono degli arretrati che non riusciva a raccogliere in cambio di una frazione del valore nominale del debito. Il latifondista doveva mille e magari pagava 100. In questo modo la tassazione, che serviva principalmente alla sicurezza dell’impero e quindi dei suoi immensi latifondi, finiva per pesare in modo sproporzionato su poveri e classe mercantile e professionale urbana, oltre che sui piccoli coltivatori. E no, questo è il 358 dopo cristo, non il 2018. Come si può vedere, le cose sono decisamente cambiate da allora.

In tutto questo si inserisce Giuliano e la necessità di finanziare spese straordinarie per vincere la guerra contro i Germani e riportare la pace in Gallia. Giuliano aveva bisogno di fondi aggiuntivi e il suo capo dell’amministrazione – il prefetto del pretorio Florenzio – aveva trovato la soluzione: aumentare l’IRPEF o capitatio, questo dopo anni di distruzioni in Gallia che avevano molto provato la capacità contributiva di tutti.  Florenzio proponeva inoltre il solito condono fiscale.

Giuliano si oppose, anche se non aveva in teoria molto a che fare con l’amministrazione civile essendo questa fuori dal suo mandato. Ma fece comunque di testa sua: sostenne che il condono fosse un incentivo perverso a continuare ad evadere le tasse, in attesa del prossimo condono. Che pazzo. Poi – sentite questa – diede mandato di ridurre le tasse, sostenendo che delle tasse più ragionevoli avrebbero convinto i più a pagare anche considerando che era nel loro interesse avere un governo che li potesse difendere. Ammiano sostiene che la tassazione passò da 25 monete d’oro per unità capitaria a 7, quindi una bella riduzione. Ammiano conclude questo interessantissimo capitolo sostenendo che “ne risentirono un sollievo tutti coloro che egli aveva preso sotto la sua amministrazione per cui, senz’essere richiesti, tutti versarono le somme dovute prima del tempo stabilito”. Giuliano presidente subito.

Ok, vi ho raccontato la vulgata di questo evento, una sorta di curva di Laffer ante-litteram: si andate su Google e cercate “curva di Laffer”, ma vi preannuncio che è stata largamente smentita. La realtà sicuramente non fu così rosea e semplice come la vuole Ammiano, un grande sostenitore di Giuliano. Questi sicuramente stava iniziando a capire che l’impero, tutto, poteva essere potenzialmente suo e dopo aver vinto i soldati della Gallia voleva avere dalla sua anche i civili.  

L’anno seguente, il 359, Giuliano si ripropose di ristabilire una volta per tutte il limes. Giuliano sconfisse i pirati Sassoni e poi tornò nella Germania sudoccidentale, la zona degli Alemanni. lì passò a costringere alla resa tutti i re degli Alemanni che avevano combattuto a Strasburgo e che ancora gli si opponevano, sia con le armi che con la diplomazia. Gli Alemanni furono costretti a offrire tributi in natura ai soldati di Roma e fare atto di sottomissione. Fatto questo andò a passare l’inverno non più a Parigi, nel cuore della Gallia, ma a Magonza, l’antica fortezza legionaria sul fiume Reno: il messaggio era chiaro: noi Romani siamo tornati sul fiume. Non solo, possiamo attraversarlo quando vogliamo. Anche la situazione economica ritornò florida e in Gallia le zecche – la fucina dei solidus romani usati per pagare l’esercito – ripresero a funzionare, mentre i commerci rinverdivano: la crisi in Gallia era finita.

Nel frattempo Costanzo – probabilmente indeciso tra raggiungere la frontiera orientale abbandonando l’occidente al cugino e rimanere troppo lontano dai Persiani, si trasferì a Sirmio in Illirico e lì ebbe anche lui la sua gloria contro i Sarmati. Ma a Sirmio fu raggiunto da notizie meno positive: Shapur, lo Shah dell’Iran, era tornato. Shapur era stato tranquillo durante gli ultimi anni perché impegnato alle sue frontiere orientali, cosa che aveva dato il tempo a Costanzo di liberarsi di Magnenzio. Ma ora il suo esercito marciava contro la Mesopotamia. Il nostro Ammiano Marcellino era sul posto, al seguito del suo comandante Ursicino, e vide tutto con i suoi occhi. Le pagine relative alla guerra in Mesopotamia sono tra le più belle di Ammiano, condite di traditori, scontri improvvisi, fughe miracolose da terribili pericoli, macchinazioni e l’epico assedio della città di Amida, dove si trovavano diverse legioni romane intrappolate, incluse un paio di legioni galliche che avevano marciato sotto le insegne di Magnenzio ed erano state inviate in Mesopotamia come punizione da Costanzo. L’assedio si concluse con un bagno di sangue, la cattura di tutti i cittadini romani della città e di tutti i legionari sopravvissuti: Ammiano stesso riuscì a scappare per il rotto della cuffia. Quando questa terribile notizia giunse a Costanzo questi capì che doveva andare in Siria e Mesopotamia a combattere Shapur. Costanzo avrebbe avuto bisogno di tutte le forze che si potevano raggranellare per combattere i persiani, il nemico numero uno dei romani e loro principale avversario strategico. Ma qui Costanzo prese una decisione che credo avesse ragioni più politiche che militari: trasferirsi in Siria voleva dire lasciare l’occidente alla mercé del cugino e il nostro amato, paranoico Costanzo aveva probabilmente già da un po’ un diavoletto sulla spalla che gli diceva di non fidarsi di Giuliano, questo generale da biblioteca che mieteva vittorie ad ogni anno. Costanzo pensò bene quindi di sgonfiare un po’ il potere militare di Giuliano rafforzando il suo con la ragionevole scusa di combattere Shapur. Chiese quindi a Giuliano di inviargli una parte importante delle sue truppe in preparazione per la campagna in Siria: 4 reggimenti e 300 degli uomini migliori di tutti gli altri.

Ora quello che dovete capire è che i soldati romani del quarto secolo erano molto meno mobili di quelli dell’alto impero: i soldati erano reclutati nella regione e vivevano con le loro famiglie. Molti erano ex barbari romanizzati e altri ancora erano Germani reclutati come mercenari. Tanti erano stati arruolati con la precisa clausola che non gli sarebbe mai stato chiesto di combattere al di là delle alpi. Già oggi passare dai gelidi paesaggi del nord Europa ai deserti della Siria può essere uno shock, allora voleva dire mettere sottosopra il mondo dei soldati con l’aggiunta che il cambio di clima spesso portava molti soldati nella tomba, a causa di malattie per le quali non erano acclimatati.

L’esercito delle Gallie queste cose le sapeva, e i soldati sapevano che assieme a Giuliano avevano vinto i germani senza fallo ogni anno. Ora gli si chiedeva di attraversare il mondo e combattere per Costanzo. Una unità che era stata richiesta da Costanzo era quella dei “petulantes”, chiamati così perché a quanto pare erano di tradizione particolarmente sfrontati. Neanche questa volta si smentirono e fecero distribuire un libretto polemico nel quale si leggeva “mentre noi come criminali e condannati siamo spinti nelle estreme regioni della terra i nostri cari che con sanguinose battaglie abbiamo liberato dalla paura e dalla schiavitù saranno di nuovo servi degli Alemanni” come scrive Marcellino “la popolazione credeva di essere alla vigilia di una nuova invasione e della rinascita dei mali che erano stati estirpati con grande fatica. Le madri che avevano dato dei figli ai soldati mostravano loro i nuovi nati che allattavano ancora e supplicavano che non li abbandonassero”

Giuliano aveva un vero problema, si era riacquartierato a Parigi da dove dovevano partire i soldati e la situazione pareva sul punto di sfuggire di mano in qualunque istante. Gli accampamenti erano in ebollizione, Giuliano aveva cercato di placare i capi dell’esercito e quanti più soldati possibile ma comunque di notte scoppiò una ribellione: a questo punto un generale meno popolare avrebbe avuto il proverbiale trattamento terminante con una testa tagliata e infilzata su una picca. Ma la testa di Giuliano non fu separata dal corpo, come aveva pensato il prefetto del pretorio Florenzio che aveva cambiato aria per proteggere almeno la sua di salute. No, i soldati circondarono il palazzo di Giuliano e ne reclamarono a gran voce l’uscita. Quando questi si fece vedere i soldati lo acclamarono augusto, chiedendo quindi che lui si mettesse a capo della ribellione: si fosse Giuliano rifiutato credo che allora si avrebbe rischiato ma Giuliano era stufo di nascondersi da suo cugino e probabilmente era anche emozionato e commosso da tanta devozione. I soldati lo circondarono e cercarono un diadema da mettergli sul capo, il simbolo dell’Augusto, ma si trovava un gioiello adatto. Quindi un certo Mauro gli porse una collana che portava come insegna del suo grado e Giuliano la mise sul capo, al che i soldati lo alzarono su uno scudo e lo portarono in processione, in una scena che ha più del fumetto di Asterix che dell’immaginario romano. E non a caso: alzare sugli scudi i leader era un’usanza di Galli e Germani, in particolare dei Franchi, e l’esercito di Giuliano era chiaramente pieno di Franchi e Galli, ambedue romanizzati ma ambedue coscienti delle loro origini.

In questa scena Ammiano ha un bel dire che Giuliano provò più volte a rifiutare l’onore, tendo in questo a non dargli troppo credito: non era presente e suona molto come la tipica propaganda imperiale che vuole sempre gli imperatori recalcitranti ad accettare il grande onore. Credo che Giuliano fosse oramai sicuro di sé e consapevole della difficoltà in cui era stretto Costanzo, oramai nella tenaglia tra persiani e l’esercito delle Gallie. No, Giuliano fece i suoi calcoli e decise che era arrivato il momento di una promozione.

Ora, dagli ultimi episodi avrete capito che ho molto in simpatia Giuliano ma cercherò di essere obiettivo, soprattutto da ora in poi visto che la sua storia prende tinte assai meno eroiche e più controverse. Ribellarsi al suo sovrano in questo momento, proprio mentre l’impero era minacciato da Shapur e la sua armata persiana, fu un atto di grande irresponsabilità e egoismo che finì, in definitiva, per distruggere il lavoro di ricostruzione del limes renano portato avanti in modo brillante nei suoi anni da Cesare. Giuliano di qui a poco partirà per l’oriente e – spoiler – non tornerà mai più. Con lui partiranno molti dei reggimenti che si erano ribellati per non partire per l’oriente – ah l’ironia! – e anche loro non faranno mai ritorno. Alemanni e Franchi si guarderanno intorno, si leccheranno le ferite e con gli anni torneranno all’attacco. Come al solito l’intrattabile problema della successione imperiale e della legittimità a governare continua a disfare il lavoro di anni o generazioni, come tante fatiche di Sisifo.

Sta di fatto che Giuliano chiamò in assemblea sul campo di Parigi tutto il suo esercito e fece un lungo discorso ai suoi, ricordandogli i giorni dorati in cui avevano sconfitto gli Alemanni a Strasburgo, nelle sue parole “un giorno felicissimo che ha portato ai Galli un’eterna libertà. Quel giorno, mentre io correvo da una parte all’altra del campo di battaglia evitando una fitta pioggia di dardi voi, sorretti dal vigore e dalla lunga esperienza abbatteste il nemico sul campo e li annegaste nei flutti del fiume” Giuliano gli ricorda il loro grande successo combattendo assieme e gli chiede quindi implicitamente di seguirlo in capo al mondo, la ragione per la quale si erano in prima istanza ribellati. L’obiettivo: sconfiggere Costanzo. Ma Giuliano prima di passare ai fatti scrisse due lettere a Costanzo: una lettera molto deferente nella quale spiegava gli avvenimenti, si dichiarava vittima inconsapevole della volontà delle legioni, che avevano preso a male l’ordine di trasferimento. Si firmava perfino Cesare ma chiedeva al collega di confermarlo nel titolo di Augusto, come era nei suoi poteri. Questa lettera era destinata credo più all’opinione pubblica dell’impero che a Costanzo, facendo capire ai magnati dell’impero che lui era una persona accomodante e pronta al dialogo in modo da evitare una nuova guerra civile.

Ma assieme a questa lettera ne inviò un’altra, bene più salace e della quale non abbiamo il contenuto se non il detto di Marcellino che il contenuto doveva essere “reprensivo e mordace”. Giuliano aveva passato il Rubicone, e lo sapeva: l’ariete aveva toccato le mura, non ci sarebbe stata resa senza resa dei conti.  

Costanzo rifletté sulla pubblica offerta di concordia penso 5 minuti prima di rispondere al cugino che non aveva nessuna intenzione di nominarlo co-augusto e che si sarebbe dovuto accontentare del grado di Cesare: ora Giuliano aveva il legittimo sospetto che non sarebbe mai stato del tutto al sicuro dal cugino ma va detto che Giuliano era a questo punto certamente l’unico erede di Costanzo, che non aveva figli. L’impero avrebbe potuto evitare tutti questi problemi se solo Costanzo avesse rinforzato le sue truppe usando truppe acquartierate altrove e se Giuliano non si fosse sentito sotto attacco. O magari se Giuliano avesse avuto più pazienza. Ma ahimè, non andò così.

Nell’inverno del 360 Costanzo aveva un bel grattacapo: suo cugino era in aperta ribellione e l’istinto gli diceva di andare a metterlo al suo posto e finire il suo lavoro di sfoltimento dell’albero genealogico Costantiniano. Ma Shapur sarebbe tornato l’anno seguente e senza il suo esercito da campo – il suo Comitatus – non ci sarebbe stata possibilità di bloccare i persiani ed altre città sarebbero state messe a ferro e fuoco, soffrendo il fato di Amida: pare che Costanzo volesse marciare contro Giuliano ma alla fine fu convinto dai suoi ad andare in oriente. In questo vediamo anche il forte senso di responsabilità di Costanzo che in questo caso come in altri seppe bilanciare la necessità di sconfiggere i nemici interni con quella più pressante di difendere i confini dell’impero: mi sono fatto l’idea che Costanzo avesse un forte senso del dovere e della responsabilità del suo magistero, pur con tutto il suo paranoico attaccamento alla poltrona imperiale. Ma Costanzo non lasciò che il suo Cesare ribelle potesse operare indisturbato in occidente: convinse un re degli Alemanni a invadere il territorio di Giuliano ma soprattutto inviò un messaggero verso il Nordafrica in modo da negare le province africane a Giuliano. Il Nordafrica era un territorio chiave per l’occidente, in quanto fonte di tasse ma soprattutto perché era il granaio di Roma, rifornendo in realtà buona parte dell’Italia. Un blocco alle spedizioni di grano avrebbe causato la fame a Roma e in Italia e quindi un prevedibile astio nei confronti della causa indiretta di tale carestia, ovvero Giuliano: il piano di Costanzo, va detto, funzionò perfettamente.

Giuliano aveva quindi almeno un anno a disposizione per prepararsi allo showdown con Costanzo: prima di tutto si premunì di avvertire i germani che non era il caso di muoversi mentre era via e comandò una spedizione contro i Franchi Attuari allo scopo di rendere più sicura la frontiera renana. Poi si stabilì di nuovo a Vienne, dove il 6 novembre del 360 celebrò il quinto anniversario della sua elezione a Cesare. Se avesse voluto sconfiggere Costanzo Giuliano avrebbe avuto il bisogno di creare più consenso possibile intorno a sé e quindi continuò quell’inverno a mantenere una finta devozione per la confessione cristiana, pregando pubblicamente in chiesa in occasione della festa dell’Epifania. Mentre era a Vienne Giuliano mise in atto un audace piano per conquistare la penisola balcanica.

Divise le sue truppe in 3 colonne che marciarono per vie diverse, attraverso la valle del Danubio e l’Italia, per convergere sulla grande fortezza legionaria di Sirmio: l’antica base degli illirici. Giuliano costrinse la guarnigione di Sirmio alla resa senza combattere: era un grande successo, visto che la guarnigione di Sirmio era una delle più importanti dell’impero perché architrave della difesa del medio Danubio. La guarnigione, almeno nominalmente, passò sotto le insegne del giovane augusto.

Giuliano non si fidava però delle sue nuove reclute, a ragion veduta visto come andarono le cose, e gli chiese di andare in Gallia per rinforzare la frontiera del Reno che era sicuramente indebolita, pur con tutte le attenzioni di Giuliano nel mettere i germani al loro posto. Ma sulla via per la Gallia i reparti di Sirmio si imbatterono nella importantissima città di Aquileia, in Veneto. Ho postato una mappa della principale via militare che congiungeva Costantinopoli a Sirmio e l’Italia e Aquileia è proprio lì, posta a guardia dell’ingresso in Italia. La guarnigione si impadronì della città e ne chiuse le porte a Giuliano. Questo era un colpo duro: senza Aquileia le già lunghe vie di comunicazione e rifornimento dell’esercito di Giuliano verso le sue basi in Gallia e in Italia erano tagliate. Qui si vede una caratteristica di Giuliano: quella di predisporre piani audaci, anche ben pensati, ma molto fragili da un punto di vista logistico. Cosa che li rendeva suscettibili di rovina in caso di avversità. vedremo che alla fine rovina sarà.

La situazione sembrava peggiorare di giorno in giorno: infatti Costanzo quell’anno aveva bloccato in modo prudente le incursioni di Shapur in territorio romano semplicemente bloccando l’attraversamento del Tigri e non esponendo le sue forze. Shapur era dovuto tornare in patria temendo un attacco diretto ai romani ora che il loro Augusto o almeno uno dei loro Augusti era sul campo di battaglia mesopotamico. Quando Costanzo vide che i persiani si ritiravano diede l’ordine che probabilmente fremeva da mesi di dare, ovvero di marciare verso occidente: verso Costantinopoli e di lì Sirmio, per liberarsi dell’insolente cugino che aveva avuto l’ardire di ribellarsi a lui, l’erede di Costantino.

Giuliano durante l’autunno del 361 scrisse lettere quasi disperate a vari angoli dell’impero, spiegando le sue azioni e perché aveva deciso di marciare contro il suo collega e parente Costanzo. Credo vedesse come le pareti si stessero chiudendo su di lui, con Aquileia sotto assedio, Roma molto indisposta verso di lui, il Nordafrica che si era dichiarato per Costanzo e quest’ultimo in marcia per schiacciarlo come una mosca grazie al peso delle molto più numerose legioni orientali. Una di queste lettere è sopravvissuta nella sua interezza, è quella agli ateniesi. Eccone un pezzo che penso riassuma sia la politica di Giuliano sia il senso di accerchiamento e disperazione che raggiunse in quest’inverno “nonostante quanto successo tra di noi se anche ora Costanzo accogliesse una riconciliazione con me, terrei ciò che attualmente possiedo e non andrei oltre. ma se dovesse decidere di andare in guerra e di perseguire nella sua politica, allora sarei costretto ad agire e soffrire qualunque sia la volontà degli dei; Mi pare che sarebbe più vergognoso se mi mostrassi inferiore a Costanzo in coraggio e intelligenza piuttosto che inferiore per la mera dimensione dei nostri eserciti. Infatti se Costanzo mi sconfiggerà questo non sarà dovuto alla sua superiorità ma sarà dovuto all’esercito più grande che ha al suo comando. D’altra parte non sarebbe stato meglio se Costanzo mi avesse sorpreso a bighellonare in Gallia e ad aggrapparsi alla vita. In quel caso mi avrebbe attaccato comunque da ogni lato e, mentre cercavo di evitare il pericolo, avrei affrontato la stessa rovina e lo stesso destino con in più la vergogna di una condotta vile. Questa sarebbe stata per me una punizione ancora più grande, o almeno così credo che la vedano i saggi”

Con questa lettera Giuliano riassume le ragioni dello scontro e si mostra disposto ad un accomodamento. In verità non penso credesse per un istante che un accordo con Costanzo fosse ancora possibile ma che era necessario mostrarsi conciliante per restare dalla parte della ragione. Infatti le guerre civili romane erano allo stesso tempo una contesa militare e una contesa politica, in cui occorreva cercare di convincere l’opinione pubblica delle grandi città dell’impero a sostenere una parte piuttosto che un’altra. Queste contese erano una via di mezzo tra una guerra e una elezione: valga sempre il concetto che ho esposto nel primissimo episodio che gli imperatori non erano dei sovrani assoluti ma degli alti magistrati al servizio dello stato e la guerra civile una sorta di improprie elezioni in cui il mondo romano si divideva per decidere chi avrebbe assunto la massima carica.

In questo quadro va vista anche la posizione di Giuliano: nella lettera agli Ateniesi Giuliano mostra chiaramente la sua fede negli dei, ora professata apertamente, quasi a manifesto politico nei confronti dei tanti politeisti dell’impero, come era la maggior parte della popolazione di Atene a quei tempi. Infine traspare la disperazione di qualcuno che si crede oramai sul punto di essere sconfitto e di perdere la vita. Immagino affidò nuovamente la sua vita agli dei, mentre attendeva in quel gelido autunno dei Balcani lo scioglimento dei ghiacci, la nuova campagna militare e la probabile fine della sua ribellione, del suo mandato di Cesare Augusto e della sua vita.

Giuliano si sentiva al muro e scrisse anche al senato romano, chiedendo di leggere in aula una orazione che accusava con veemenza Costanzo, ne condannava le azioni e denunciava i vizi. Il Senato non prese per niente bene l’orazione e rumoreggiò a sostegno di Costanzo: i vecchi senatori avevano capito dove tirava il vento e abbandonavano la barca che affonda prima ancora di esservi saliti sopra. 

Ma poi avvenne un miracolo: gli dei parlarono a Giuliano e gli dimostrarono in modo incontrovertibile il loro favore. O almeno, questo è quello che quasi sicuramente credette lui. Come poteva essere un semplice caso e non la volontà degli Dei quello che Giuliano apprese il 3 Novembre del 361? Quel giorno infatti ricevette un messaggio che era quanto di più sorprendente possibile: Costanzo era morto, vittima di una malattia. Non è tutto, nonostante il recente conflitto e i loro recenti screzi – spero apprezziate l’eufemismo – Costanzo a quanto pare aveva mantenuto Giuliano come suo erede naturale alla guida dell’impero. Così, proprio nel momento più buio e quasi per miracolo, Giuliano si ritrovò non solo salva la vita ma praticamente gli cadde in grembo il governo di tutto l’Impero Romano: le legioni orientali infatti si erano già dichiarate a suo favore, lui che era l’unico erede di Costantino. Non mi è difficile capire come Giuliano interpretò questo incredibile avvenimento come il segno della protezione divina degli dei in cui credeva e come un mandato da parte loro di fare la loro volontà nel restaurare i culti antichi e ridurre per quanto possibile nella polvere i nazareni. Forse lo avrei creduto anche io, ma gli antichi prendevano molto sul serio queste cose, sia che fossero cristiani o pagani. Nulla era frutto del caso ma di una precisa volontà divina.

Ma cosa era successo davvero? Costanzo lasciò Antiochia in autunno inoltrato e si mise in marcia per Costantinopoli. Arrivato in Cilicia iniziò a sentire una febbre ma continuò la marcia con i suoi, nell’incrollabile desiderio di rimettere a suo posto Giuliano. Raggiunse Mopsuestia, una città della CIlicia in quella che oggi è la Turchia meridionale. Lì si dovette fermare, la febbre peggiorò e infine spirò. Non credo alla storia che indicò Giuliano comunque come erede: probabilmente gli alti papaveri del suo esercito capirono che nessuno di loro aveva speranze contro un sovrano con la legittimità a governare di un Giuliano e decisero di offrirgli il diadema. Costanzo aveva regnato come Augusto per 24 anni dalla morte del padre, con titanica determinazione aveva acquisito il dominio dell’oriente, poi dell’occidente sconfiggendo Magnenzio ed era stato Augusto dell’intero Impero Romano per 8 anni.

Costanzo è una figura controversa, in parte perché ha avuto cattiva stampa. Dovete capire che Costanzo era profondamente cristiano, come il padre, ma di fede ariana, o semi-ariana. Se un giorno avrò tempo dovrò fare un episodio dedicato agli antichi scismi della chiesa cristiana. I pagani alla Libanio, Ammiano Marcellino o i potenti latifondisti del senato di Roma non avevano molto in simpatia il loro secondo imperatore cristiano e esaltarono in contrasto il suo successore Giuliano. Allo stesso tempo gli scrittori cristiani sopravvissuti sono esclusivamente quelli della presto trionfante fede cattolica ortodossa e anche loro avevano da ridire su questo sovrano che favorì sempre gli Ariani, perseguitò Atanasio di Alessandria e forzò la mano più volte alla chiesa dell’impero per farle accettare il suo punto di vista religioso. Non aiuta Costanzo l’aver iniziato il suo regno con l’assassinio di quasi tutti i suoi parenti. Eppure spero di aver fatto capire negli ultimi episodi che Costanzo II non è una figura unidimensionale: Costanzo aveva un forte senso del dovere e dello stato, dimostrato in più occasioni quando il suo interesse personale fu in conflitto con quello dello stato romano. Costanzo fu anche un sovrano prudente: ereditò una guerra con l’Iran dal padre che probabilmente non voleva e cercò in tutti i modi di condurla nelle avversità al migliore dei modi, risparmiando i suoi soldati e le energie dell’impero. Fu efficace nell’amministrazione, anche se non sempre i suoi collaboratori furono all’altezza. Provò a trovare una formula di condivisione del potere, comprendendo che un solo augusto non bastava più a governare l’impero, ma finì per uccidere uno dei suoi Cesari e far guerra all’altro: l’impero era troppo vasto e le sue sfide militari troppo complesse per avere un solo imperatore Augusto ma lui non trovò mai la chiave per fidarsi davvero di un collega, né di impedire che questi si ribellasse.

Prima di passare al regno di Giuliano, Vorrei lasciare un’altra di quelle molliche di pane che ci portano al passato e che sono presenti nelle nostre città. A Roma infatti c’è ancora un monumento di Costanzo II, che lo fece erigere nella sua unica visita nella città eterna. Si tratta dell’obelisco del Laterano: è il più antico e grande obelisco di Roma, realizzato ai tempi di Tutmosis III 3500 anni fa. Proviene dal tempio di Karnak, il più famoso dell’Egitto, ed era destinato al Circo Massimo. Fu eretto in Laterano solo durante il rinascimento. Il trasporto dell’immenso obelisco richiese la costruzione di una enorme nave apposita, condotta da 300 uomini, e il traghettamento a Roma da Ostia su una altrettanto enorme zattera. Il basamento originale portava una dedica di Costanzo che ci è stata trasmessa: ricorda la sconfitta del tiranno Magnenzio e il trionfo dell’imperatore. Eccone una sintesi:

“Questo dono a te Roma dedicò Costanzo Augusto, una volta sottomesso tutto il mondo. A te Roma eresse perché i suoi doni fossero pari ai suoi famosi trionfi.

Costanzo, convinto che tutto ceda al valore, comandò che venisse trasportato e ripose la sua fiducia nel mare rigonfio. Le acque, con placida onda, condussero la nave alle spiagge d’Occidente, con meraviglia del Tevere”.

Nel mentre che tu Roma eri devastata da un tetro tiranno, rimase a giacere il dono così come la preoccupazione dell’Augusto per la sua collocazione: non per orgoglioso disprezzo, ma perché nessuno credeva che un’opera di tanta mole potesse levarsi alle aure celesti. Ora questo obelisco tocca i cieli, come se la sua gloria a lungo conservata fosse di nuovo strappata alle cave rosseggianti”

Ma non affannatevi a trovarla oggi nel basamento dell’obelisco lateranense: questo fu ricostruito dai papi del rinascimento e la scritta originaria fu cambiata. Oggi la scritta dice semplicemente “Flavio Costantino Augusto – ovvero Costanzo –  figlio di Costantino Augusto, prese questo obelisco, che suo padre rimosse dal luogo originario e per molto tempo lasciò ad Alessandria, lo mise su una nave gigantesca mossa da 300 uomini e attraverso il mare e il Tevere, lo trasportò a Roma con grossi sforzi per posizionarlo nel Circo Massimo e donarlo al Senato Romano e al Popolo“ Il nuovo basamento declama che in quel preciso luogo Costantino ricevette il battesimo da papa Silvestro, cosa che oramai voi sapete benissimo essere falsa, visto che Costantino non fu battezzato da nessun papa ma dal vescovo ariano Eusebio. Ma come detto, i papi ci tenevano molto a tramandare questa storia, in quanto simbolica nel definire la relazione tra imperatori e papi.

Con questo possiamo dare il nostro addio a Costanzo, buon riposo. Te lo sei meritato dopo 24 anni di regno. Nel prossimo episodio parleremo del regno del tuo successore. Vedremo come Giuliano non seguirà il tuo esempio e passerà all’attacco, sia della tua fede cristiana che del tuo arcinemico persiano. Ma stai tranquillo, sarà un breve regno e niente di quello che inizierà Giuliano avrà buon fine.

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