Come i romani condannarono a morte i pagani – parte V – Arcadio e Onorio (395-408 d.C.)

Guida concisa alla normativa romana anti-pagana

Teodosio muore nel 395 d.C., lasciando in eredità un impero ormai formalmente cattolico-niceno. In questo contesto, gli ultimi residui del paganesimo stanno gradualmente scomparendo, anche grazie ai celebri decreti teodosiani di cui abbiamo ampiamente trattato nell’articolo precedente. Tuttavia, queste costituzioni anti-pagane sono state promulgate solo negli ultimi anni del regno di Teodosio e perché producano pienamente i loro effetti sarà necessarie alcune generazioni, nonché una applicazione costante e rigorosa delle leggi da parte dei suoi successori. Com’è noto, con Teodosio assistiamo all’ultimo atto di un impero unitario che, dopo la sua morte, si divide formalmente tra i suoi due figli: Arcadio ottiene la parte orientale, mentre Onorio quella occidentale. Se è vero che questi imperatori, come anche i loro successori Teodosio II, Marciano e Valentiniano III, non eserciteranno mai un potere effettivo (che sarà invece detenuto dai magister militum come Flavio Costanzo o Stilicone) è altrettanto vero che uno dei pochi ambiti in cui riusciranno a mantenere un certo margine d’azione sarà proprio quello della politica religiosa. Concentriamoci in questo quinto articolo sugli interventi legislativi relativi ai culti pagani emanati dagli imperatori della dinastia teodosiana e scopriamo insieme cosa prevedevano, leggendo le norme stesse a mo’ di veri storici del diritto!

Sulla scia di Teodosio il Grande

Sebbene si cercasse di mantenere una parvenza di unità politica e legislativa, la separazione dell’impero portò con sé una progressiva frammentazione, anche sul piano normativo. In prima battuta, possiamo chiederci: le norme giuridiche hanno validità in entrambe le parti dell’impero? Formalmente le leggi continuavano a essere promulgate congiuntamente, infatti nel Codex Theodosianus incontriamo la firma di entrambi gli imperatori per ciascuna costituzione. Tuttavia, nella pratica queste erano indirizzate localmente ai vari prefetti del pretorio locali e solo faticosamente l’efficacia di esse poteva essere estesa da una metà all’altra dell’impero. Questa difficoltà era alimentata da fattori diversi: l’instabilità dei rapporti tra i due centri di potere, la crescente produzione di leggi esclusivamente locali e l’adozione di criteri mutevoli per definire l’ambito di applicazione delle norme. Un esempio significativo si ebbe nel 398 d.C., quando Onorio rifiutò espressamente di riconoscere sul proprio territorio una norma orientale favorevole agli ebrei, sostenendo che essa non fosse compatibile con la situazione dell’occidente. Ad ogni modo, tale episodio sembrerebbe più un’eccezione che la regola e ci suggerisce che, seppur sul piano concreto potevano non trovare applicazione, sul piano formale le norme si estendevano ancora su entrambe le parti dell’impero. Pertanto, esamineremo le successive costituzioni come formalmente unitarie, mettendo in evidenza solo dove queste palesemente ad esclusiva applicazione locale.

Già nel 395 d.C. all’indomani della morte di Teodosio, Arcadio e Onorio, in una costituzione emanata congiuntamente, decidono di ribadire con vigore la validità delle leggi anti-pagane del loro “divino padre” Teodosio che devono essere applicate con severità ancora maggiore:

C.Th. XVI.X.13 Stabiliamo che nessuno abbia il permesso di accedere a un santuario o a qualsiasi tempio, né di celebrare riti sacrileghi in qualsiasi luogo o tempo (…) ben sapendo che qualsiasi pena o perdita stabilita dalle leggi del nostro divino padre contro di loro deve ora essere eseguita con maggiore severità.

Sappiano inoltre i governatori delle nostre province, così come coloro che sono al loro servizio, i capi delle città, i difensori, i curiali e gli amministratori delle nostre proprietà (…) che se non sarà punito immediatamente e sul posto qualsiasi atto contrario ai nostri decreti, essi stessi saranno sottoposti a tutte le pene e sanzioni previste dalle antiche leggi. In particolare, con questa legge, stabiliamo pene più severe contro i governatori: infatti, se non avranno vigilato con ogni diligenza e cautela, non solo sarà applicata loro l’ammenda prevista, ma anche le pene già fissate per coloro che risultano essere i responsabili (…) Inoltre, giudichiamo che debbano essere puniti con la pena capitale i funzionari che trascurino di applicare quanto stabilito.

Questa norma può essere considerata a tutti gli effetti un decreto attuativo dei precedenti decreti teodosiani (pur avendo formalmente la stessa forza di legge). Questi ultimi si erano preoccupati di introdurre una serie di misure anti-elusione contro i crimini di “lesa religione”, prevedendo pesanti sanzioni per giudici e funzionari inefficienti. Onorio e Arcadio con questa costituzione inaspriscono ulteriormente le pene nei confronti di chi ha l’obbligo di controllare, fino a prevedere persino la pena capitale.

Inoltre, sulla scia di quanto fatto da Graziano e Teodosio, che però avevano colpito solo singoli e specifici culti, gli imperatori fratelli con una norma a carattere generale bandiscono ogni possibile sovvenzione e privilegio destinato a qualsiasi culto pagano:

C.Th. XVI.X.14 Se sono stati concessi privilegi, secondo l’antico diritto, a sacerdoti, ministri, prefetti, ierofanti dei riti sacri, o comunque siano chiamati, siano completamente aboliti, e non si vantino di essere protetti da un privilegio, coloro la cui professione è riconosciuta dalla legge come condannata.

La demolizione dei templi ed il ripensamento

A questo punto il terreno è ormai pronto per l’emanazione della norma più controversa voluta da Arcadio, ma recante la firma comunque di entrambi gli imperatori. Arcadio, indirizzando la costituzione al proprio prefetto del pretorio, si spinge esplicitamente dove nessuno aveva mai osato arrivare:

C.Th. XVI.X.16 Se ci sono templi nelle campagne, siano demoliti senza folla né clamore. Infatti, una volta abbattuti e rimossi, ogni fonte di superstizione verrà eliminata.

Sia Costanzo II sia, almeno inizialmente, lo stesso Teodosio si erano mostrati propensi a proteggere i templi pagani, considerandoli parte integrante della tradizione architettonica e culturale dell’Impero. Vero è che, nonostante tali proclami, numerosi saccheggi e distruzioni di edifici pagani, spesso con la connivenza delle autorità, non erano certo mancati. Con questa costituzione di Arcadio, però, il cambio di passo è evidente: pur continuando a vietare esplicitamente il saccheggio (senza folla né clamore), la demolizione dei templi diventa ora non solo una possibilità, ma un vero e proprio obbligo sancito dalla legge.

Tuttavia, una simile misura, deve aver suscitato un importante dissenso soprattutto in occidente, anche tra quei cristiani che vedevano nei templi un’eredità preziosa della storia e della cultura romana. Non sorprende, dunque, in risposta a ciò che Onorio emani due costituzioni esplicitamente miranti a mitigare il contenuto di quella succitata emanata da Arcadio:

C.Th. XVI.X.19 Le statue e immagini, se ce ne sono ancora nei templi e nei santuari e se da qualche parte sono state o vengono ancora utilizzate per il culto pagano, siano rimosse dai loro luoghi, sapendo che ciò è stato decretato più volte con sanzione ripetuta.

Gli edifici stessi dei templi, che si trovano nelle città, nei paesi o fuori da essi, siano destinati all’uso pubblico. Gli altari siano distrutti in ogni luogo e tutti i templi che si trovano nei nostri possedimenti siano convertiti ad usi appropriati; i proprietari siano obbligati a distruggerli. (…)

C. Th. XVI.X.18 Nessuno cerchi di distruggere con azioni illecite edifici resi ormai vuoti grazie al beneficio delle nostre sanzioni. Infatti, stabiliamo che rimanga intatto lo stato degli edifici; ma se qualcuno sarà scoperto a compiere un sacrificio, sia punito secondo le leggi, e gli idoli, una volta sequestrati, siano sottoposti a giudizio, qualora risulti che siano stati ancora oggetto di culto da parte della vana superstizione.

Queste costituzioni, anche se destinate all’occidente, portano la firma comunque di entrambi gli imperatori. Sembrerebbe probabile un ravvedimento anche di Arcadio circa le sue intenzioni iniziali di distruzione totale dei templi. Radere al suolo gli edifici pagani costituirebbe un vero spreco: i templi, dunque, devono essere riconvertiti ad altri usi pubblici. Dall’altro lato, però, gli altari e le statue non beneficiano di alcuna clemenza: debbono essere rimossi e distrutti. È significativo che la legge stessa, a proposito delle statue, precisi: «se ve ne sono ancora nei templi e nei santuari», lasciando intendere che, a quel punto della storia, ben poche opere pagane fossero ancora in vista. Le statue che sono giunte sino ai nostri giorni, infatti, sono state in gran parte ritrovate dagli archeologi sotterrate (ultimo, disperato tentativo dei pagani di salvarle dalla distruzione… ma nessuno tornò a recuperale!).

Il compromesso per i banchetti tradizionali

Stesso compromesso, sempre in Occidente su impulso di Onorio, fu escogitato per la celebrazione di feste tradizionali:

C.Th. XVI.X.17 Come abbiamo già abolito i riti profani con una legge salutare, così non permettiamo che vengano abolite le assemblee festive dei cittadini e la gioia comune di tutti. Pertanto, senza alcun sacrificio o alcuna detestabile superstizione, decretiamo che i piaceri siano offerti al popolo secondo l’antica consuetudine e che si tengano banchetti festivi anche se lo richiedono voti pubblici.

C.Th. XVI.X.19 (…) Non sia assolutamente lecito celebrare banchetti o alcun tipo di solennità in onore del rito sacrilego in luoghi funesti. Conferiamo anche ai vescovi del luogo l’autorità ecclesiastica per proibire queste cose; i giudici saranno puniti con una multa di venti libbre d’oro, così come i loro funzionari, se per negligenza o dissimulazione non impediranno tali atti. (…)

Onorio è chiaro sul fatto che non si possa privare la popolazione dei banchetti e festività tradizionali. Tuttavia ad alcune condizioni devono essere rispettate: ovviamente nessun sacrificio e le celebrazioni devono avvenire lontano dagli antichi templi.

L’eredità degli apostati

Per concludere, l’ultimo aspetto della legislazione anti-pagana dei due imperatori fratelli è costituito dalla lotta all’apostasia, inaugurata legislativamente dal solito Teodosio. Qui, più che mai, le norme ricalcano semplicemente quelle del loro padre (di cui abbiamo trattato nel precedente articolo), limitandosi a privare gli apostati di taluni diritti: fare testamento e ricevere per eredità (possono ricevere però tranquillamente da familiari stretti come padre, madre e fratelli), testimoniare nei processi. Ma se non possono fare testamento a chi sarà destinata la loro eredità? Una costituzione dei due imperatori ce lo chiarisce:

C. Th. XVI.VII.7 Sebbene le precedenti proibizioni siano per loro sufficienti, tuttavia ripetiamo questo, affinché non abbiano la possibilità, dopo essersi allontanati dalla fede, di lasciare in eredità o donare alcunché, ma non sia loro permesso neppure di commettere frodi sotto l’apparenza di una vendita, e l’intero patrimonio venga trasferito dagli eredi legittimi soprattutto ai parenti che seguono il cristianesimo. (…)

Conclusione

In sintesi, i due imperatori applicano e inacerbiscono i decreti teodosiani. Tra i due regnanti, Arcadio imperatore d’oriente (anche probabilmente per la situazione specifica nella sua parte d’impero che vede ogni residuo pagano ormai estirpato) è sicuramente quello che ci va meno per il sottile. Onorio, invece, sotto l’egida dei pragmatici generalissimi d’occidente Stilicone e Flavio Costanzo, ha un approccio più prudente: l’ultima rivolta ed usurpazione filopagana ad opera di Eugenio è avvenuta pochi anni prima della sua salita al trono e dunque i pagani ci sono ancora vivi e vegeti. Dall’altro lato, lo stesso Stilicone distrugge (purtroppo) i paganeggianti libri sibyllini (raccolta di responsi oracolari scritti in lingua greca e conservati nel tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio) e pignora imperii (sette oggetti sacri che garantivano, secondo le credenze dei romani, il potere e la salvezza di Roma), mentre la sua sposa, entrando nel tempio della Magna Mater, ha l’ardore di profanare la statua della dea, strappandole la collana dal collo. Per questo gesto sacrilego, fa maledetta dall’ultima vestale di cui abbiamo traccia (le sacerdotesse esistevano ancora, ancorchè private dai tempi di Graziano di ogni sovvenzione pubblica). In sintesi, è proprio questo è il periodo in cui la maggioranza degli ultimi rimasugli della cultura pagana tradizionale, pur tentando una eroica resistenza, spariscono.

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