Come i romani condannarono a morte i pagani – parte III – Giuliano e Valentiniano (361-375 d.C.)

Guida concisa alla normativa romana anti-pagana

L’imperatore Costanzo II alla sua morte, avvenuta probabilmente per cause naturali durante la campagna sasanide del 361 d.C., lasciò in eredità un impero cristiano ancora sospeso tra l’arianesimo, dottrina da lui sostenuta e promossa, e il credo niceno. Dove la sua eredità risultava invece più chiara e univoca, come abbiamo evidenziato nel precedente articolo, è nella prosecuzione del processo di repressione dei culti pagani. Eppure, al momento della sua morte, ampie aree dell’Impero, soprattutto in Occidente, restano ancora a maggioranza pagana. La verità è che né Costantino, pur manifestando un forte favoritismo verso il cristianesimo, né Costanzo II, più radicale nella condanna delle pratiche pagane, erano riusciti a spingersi fino all’eradicazione totale del paganesimo. Anzi, per motivi politici, si sono trovati nella necessità di mantenere una forma di continuità con i culti della religione tradizionale: entrambi non solo hanno conservato formalmente la carica di Pontifex Maximus, simbolo della massima autorità religiosa-amministrativa nell’ambito del culto romano, ma hanno anche officiato in prima persona ad alcune cerimonie tradizionali. Tuttavia, la transizione verso un impero cristiano sembra ormai ineluttabile. Ma è proprio a questo punto che la storia ci presenta uno dei tanti colpi di scena. Concentriamoci in questo terzo articolo sugli interventi legislativi relativi ai culti pagani emanati nel periodo che va da Giuliano a Valentiniano e scopriamo insieme cosa prevedevano, leggendo le norme stesse a mo’ di veri storici del diritto!

Giuliano e la stretta sull’istruzione

Alla morte di Costanzo II, fu il cugino Giuliano, già nominato Cesare, a essere acclamato imperatore dall’esercito. Giuliano, nel suo brevissimo regno, che va dal 361 al 363 d.C., si dichiarò apertamente pagano e si oppose con decisione al cristianesimo. Educato nella fede cristiana che poi prontamente ripudiò, si guadagnò proprio per tale ragione da parte della Chiesa l’appellativo di Apostata. Nei suoi scritti filosofici elaborò una visione religiosa ispirata alla tradizione romana classica, rivisitata in chiave neoplatonica con accenti vagamente monoteisti. Durante il suo governo, Giuliano attribuì nuova centralità alla carica di Pontifex Maximus, intesa come garanzia dell’ordine religioso tradizionale, e promosse un ambizioso tentativo di restaurazione del paganesimo attraverso riforme complesse e strutturate e abrogando le norme antipagane emanate da Costanzo II e Costantino.

Non sorprende che del testo delle costituzioni in materia religiosa da lui emanate ci sia pervenuto ben poco. Quando, infatti, nel 439 d.C. venne redatto il Codex Theodosianus, i compilatori si guardarono bene dall’includere quelle norme, considerate un episodio anomalo e scomodo nella storia della cristianizzazione dell’Impero. Eppure, a Giuliano non fu inflitta una damnatio memoriae, e le altre sue costituzioni, in ambiti diversi da quello religioso, sono giunte fino a noi. Una in particolare, relativa al tema dell’istruzione, rappresenta un chiaro tentativo di favorire il paganesimo. Sebbene formulata in modo apparentemente neutro, e perciò probabilmente passata inosservata ai compilatori, o da questi volutamente manipolata, essa cela un progetto politico ben preciso, ovvero vietare ai cristiani l’insegnamento nelle scuole pubbliche:

C.Th. XIII.III.5 È necessario che i maestri e i dottori delle discipline si distinguano innanzitutto per i loro costumi, poi per l’eloquenza. Ma poiché non posso essere presente in ogni città, ordino che chiunque desideri insegnare non si precipiti improvvisamente o temerariamente in questo compito, ma, approvato dal giudizio dell’ordine (dei decurioni), ottenga un decreto dei curiali con il consenso unanime dei migliori. Questo decreto sarà poi sottoposto al mio esame, affinché, con un certo più alto onore, possano accedere agli studi delle città attraverso il nostro giudizio.

Il vero significato della norma in questione emerge chiaramente dall’Epistola 61c dello stesso Giuliano, che può essere considerata una sorta di circolare interpretativa del provvedimento. In sintesi, nessuno è autorizzato a insegnare nelle scuole senza aver prima ottenuto l’approvazione imperiale. Questa concessione è riservata esclusivamente a individui di condotta irreprensibile e fedeli alla religione tradizionale: è proprio in questo contesto che va compreso il requisito dell’“eccellenza nei costumi”. Giuliano chiarisce infatti che non sarebbe coerente permettere a chi insegna i classici come Omero, Esiodo e altri autori simili di disprezzare gli dei da essi celebrati. L’imperatore arriva persino a suggerire, con una certa ironia, che gli insegnanti cristiani si dedichino piuttosto all’esegesi dei Vangeli di Matteo e Luca all’interno delle loro chiese. Questo passaggio conferma che Giuliano non proibisce il culto cristiano, che continua a essere considerato una religio licita. La restrizione colpisce solo gli insegnanti, mentre l’accesso alle scuole rimane formalmente aperto a tutti, compresi gli studenti cristiani. Su quest’ultimo punto, tuttavia, le fonti cristiane non sono concordi: alcune tramandano infatti l’idea di un vero e proprio divieto di frequenza per i cristiani. Questa discrepanza può essere attribuita, da un lato, all’atteggiamento polemico e spesso esagerato delle fonti cristiane avverse a Giuliano; dall’altro, alla possibile esistenza di situazioni de facto in cui insegnanti pagani ostacolavano apertamente gli studenti cristiani, inducendoli ad abbandonare l’istruzione. Quel che è certo è che Giuliano, da buon filosofo era consapevole del potere formativo dell’istruzione e intendeva usare la scuola come strumento di trasformazione ideologica. Il suo obiettivo ultimo era infatti formare una nuova classe dirigente educata nei valori e nei culti dell’antica religione romana, ricostruendo così un’élite pienamente radicata nella tradizione.

La politica religiosa di Giuliano

Come già accennato, non ci sono pervenute ulteriori costituzioni di carattere religioso emanate da Giuliano. Tuttavia, per completezza, possiamo ricostruire alcuni elementi della sua politica religiosa grazie a fonti indirette: cronache cristiane e pagane, oltre agli scritti dello stesso imperatore. Secondo queste fonti, Giuliano avrebbe ordinato la riapertura dei templi e la ripresa delle funzioni sacre al loro interno. Avrebbe inoltre promosso la ricostruzione dei luoghi di culto distrutti e imposto la restituzione di quanto sottratto ad essi. Tra le misure più significative vi sarebbe anche il ripristino dei sacrifici agli dei (che sotto Costanzo II erano stati puniti con la pena capitale) insieme alla reintegrazione dei giochi sacri e delle offerte votive, che Giuliano considerava essenziali per la cura e l’onore dovuti agli dei. Le fonti cristiane raccontano con orrore che Giuliano non si limitasse a presenziare ai sacrifici, ma vi partecipasse attivamente, immolando le vittime sacrificali personalmente. Tra le altre iniziative riformatrici, si segnala il ripristino dell’Altare della Vittoria (precedentemente rimosso da Costanzo II) e la riorganizzazione del clero pagano sul modello della gerarchia ecclesiastica cristiana, con l’imperatore al vertice e, al di sotto, una rete di sommi sacerdoti. Quest’ultima riforma emerge in modo particolare dall’Epistola 89, che funge da circolare interpretativa di una costituzione oggi perduta. Un ulteriore elemento della strategia giulianea fu quello di favorire la frammentazione interna del cristianesimo, incentivando la proliferazione delle sue varie correnti e promuovendo anche l’ebraismo. L’obiettivo era chiaro: indebolire i cristiani contrapponendoli gli uni agli altri.

Valentiniano e Valente: tolleranza religiosa?

Ciononostante, il regno di Giuliano fu troppo breve per consentire alla sua politica religiosa di consolidarsi. In un impero in cui, soprattutto a oriente, la maggioranza era ormai cristiana, le sue riforme non riuscirono a radicarsi profondamente. Giuliano morì nel 363 d.C. durante la campagna sasanide, come Costanzo II prima di lui. Per i suoi oppositori cristiani, la sua morte prematura fu interpretata come un chiaro segno del giudizio divino. Gli succedette per pochi mesi l’imperatore Gioviano, morto nel 364 d.C., del quale non ci sono pervenute costituzioni in materia religiosa. Tuttavia, le fonti concordano nel ritenere che egli abbia adottato una politica di neutralità religiosa, abrogando le misure anti-cristiane del predecessore. La stessa linea di tolleranza religiosa sarà seguita dai suoi successori, i fratelli Valentiniano e Valente, il primo di fede nicena, il secondo ariano, che saliranno al trono nel 364 d.C., rispettivamente in Occidente e in Oriente. A testimonianza di questa politica, abbiamo una costituzione significativa:

C.Th. IX.XVI.9 Io ritengo che l’arte divinatoria non abbia alcun legame con pratiche di maleficio, né considero essa, o qualsiasi altra religione tramandata dagli antenati, un crimine. Ne sono testimoni le leggi che ho emanato all’inizio del mio impero, con le quali ho concesso a ciascuno la libera facoltà di praticare il culto che avesse abbracciato con l’animo. Non condanniamo dunque l’arte divinatoria, ma ne vietiamo l’esercizio dannoso.

Da questa costituzione emerge con chiarezza l’atteggiamento sostanzialmente neutrale degli imperatori Valentiniano e Valente nei confronti delle lotte religiose. Entrambi, nonostante fossero ferventi cristiani, si mostrarono poco inclini ad innalzare la fede a battaglia politica. Il testo richiama alcune leggi emanate all’inizio del loro regno, oggi purtroppo perdute, nelle quali gli imperatori avrebbero affermato esplicitamente la libertà di professare qualsiasi culto. La norma sopra riportata, infatti, si limita a colpire la divinazione quando essa sia esercitata con fini illeciti o “in modo dannoso”. Per capire cosa si intende in modo dannoso, dobbiamo leggere un’altra costituzione:

C.Th. IX.XVI.7 – Che nessuno, d’ora in avanti, osi celebrare di notte preghiere empie, pratiche magiche o sacrifici funesti. Chiunque venga scoperto e riconosciuto colpevole, sia punito con una sanzione adeguata, secondo un’autorità perpetua.

La norma è accompagnata dalla propria interpretazione autentica, che recita: “Chiunque abbia celebrato sacrifici notturni ai demoni o abbia invocato i demoni con incantesimi, sia punito con la morte”. Grazie a questa spiegazione, diventa evidente cosa gli imperatori intendessero per “dannoso”: si riferiscono a riti occulti e sacrifici che invocano demoni, destinati perlopiù a nuocere ad altri o a favorire cospirazioni politiche. Non si tratta quindi di un attacco alla religione pagana in sé, ma di un intervento volto a mantenere l’ordine pubblico e prevenire gli abusi. Questa norma riprende l’insegnamento di Costantino, che aveva già distinto tra “magia bianca” e “magia nera”, una differenza che a sua volta si rifaceva al concetto tradizionale della Lex Cornelia de sicariis et veneficis. Un aspetto caratteristico di queste pratiche occulte era, probabilmente, il loro svolgimento durante le ore notturne, infatti la legge punisce con la morte chi le esegue di notte. Di conseguenza, i riti che non rientravano nella sfera dell’occultismo e che venivano praticati durante il giorno sarebbero stati ammessi. Questa costituzione è anche la testimonianza che le medesime leggi avevano normalmente vigore in entrambe le parti dell’impero: secondo Zosimo fu emanata da Valentiniano, nella versione che ci è pervenuta è indirizzata ad un funzionario d’oriente (da parte di Valente), e fu abrogata dallo stesso Valentiniano in seguito alle proteste degli ambienti pagani, in particolare di Pretestato, allora proconsole d’Acaia.

Sulla stessa lunghezza d’onde si pone un’altra costituzione:

C.Th. IX.XVI.8 – Cessi ogni trattazione dei matematici. Infatti, se qualcuno sarà trovato, di giorno o di notte, a occuparsi pubblicamente o privatamente di quell’errore proibito, sia punito con la pena capitale, sia che insegni sia che apprenda. Non vi è infatti colpa minore nell’imparare ciò che è vietato che nell’insegnarlo.

Per matematici deve intendersi in realtà astrologi e praticanti di scienze occulte, ossia coloro che erano impegnati in “preghiere empie, pratiche magiche o sacrifici funesti”. Va precisato che, secondo questa norma, tali pratiche sono punibili indipendentemente dal fatto che vengano eseguite di giorno o di notte. La costituzione precedente, che vietava i riti occulti solo di notte, potrebbe aver dato luogo a qualche equivoco: è possibile che alcuni “matematici” fossero stati colti in flagrante durante il giorno mentre eseguivano riti occulti e si siano difesi sostenendo che la legge si applicasse solo ai riti notturni. Con questa nuova disposizione, tale ambiguità viene eliminata: i riti occulti sono proibiti in ogni momento della giornata.

A questo punto, qualcuno potrebbe obiettare giustamente che le norme finora citate siano in fondo neutrali e non possano essere lette come misure anti-pagane. Questa interpretazione non è sbagliata: infatti, tradizionalmente il periodo di Valentiniano e Valente viene associato a una politica di tolleranza religiosa. Tuttavia, è bene tenere conto complessivamente dell’azione dei due imperatori: furono dichiaratamente cristiani (uno niceno e l’altro ariano) e, secondo le fonti, si resero protagonisti di mirati atti di intolleranza nei confronti dei pagani, condannandone qualcuno a morte e distruggendo alcuni templi. Il loro cristianesimo è testimoniato legislativamente in due ulteriori costituzioni:

C.Th. XVI.II.18 Valga ciò che, nell’ultimo periodo, fu chiaramente il parere del divino Costanzo, e non abbiano più alcun valore quelle decisioni o azioni che furono prese in passato, quando gli animi dei pagani, traviati da certe deviazioni, si sollevarono contro la santissima legge.

C.Th. XVI.I:1 Chiunque, sia giudice sia ufficiale, abbia posto dei cristiani a custodire i templi, sappia che non sarà risparmiato né nella sua salvezza né nei suoi beni.

Con la prima norma gli imperatori puntano ad annullare espressamente i provvedimenti filopagani emanati da Giuliano in ambito di organizzazione ecclesiastica, facendo rivivere quelli di Costanzo II. Quello che colpisce maggiormente, sono le parole di dura condanna morale nei confronti dei pagani, ancorché il loro culto fosse pienamente autorizzato. La seconda costituzione punisce con la morte e la confisca dei beni i funzionari dell’impero che, sfruttando la propria posizione e la libertà religiosa, abbiano obbligato i cristiani a “contaminarsi” ponendoli a guardia dei templi pagani.

Conclusione

Infine, è bene ricordare, che gli imperatori non disdegnarono di rinnovare alcuni privilegi ai sacerdoti dei culti tradizionali (C.Th. XII.I.60, XII.I.75), mantennero il titolo di Pontifex maximus e rimossero alcuni privilegi nei confronti dei chierici e della Chiesa cristiana (ad esempio limitando i lasciti ereditari nei loro confronti). La loro politica religiosa, in sostanza, può essere interpretata come un tentativo di bilanciare la crescita del cristianesimo con la necessità di mantenere il controllo politico e sociale dell’impero: dopo Giuliano gli attriti pagani/cristiani erano vivi e avrebbero potuto portare ad insurrezioni se dominati con la forza. Valentiniano e Valente agirono da leader pragmatici: tollerarono i pagani, condannando sporadicamente qualche loro pratica (forse per soli motivi politici), impedirono che la Chiesa accumulasse troppo potere e, soprattutto, evitarono che le loro fedi cristiane discordanti li portassero allo sconto politico l’uno contro l’altro. Fu proprio in tale contesto di apertura e tolleranza che le controversie tra credo niceno e ariano tra i cristiani trovarono terreno fertile e portarono alla nascita di altri scismi legati alle questioni cristologiche. I prossimi imperatori sono avvertiti!

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