Semper Augustus (498-506), ep. 53, testo completo

Nello scorso episodio abbiamo visto come Teodorico ha fondato il suo regno duale, armi gotiche e amministrazione romana. Oggi vedremo Teodorico alle prese con la gestione del suo nuovo regno: l’economia e la chiesa su tutto. Per rilassarsi da tanto impegno, Teodorico si concederà una bella vacanza romana durante la quale sarà evidente a tutti gli italiana che non hanno di fronte un semplice Re dei Goti: sulle strade di Roma marcia oramai un degno discendente di Cesare e Augusto.

L’episodio in podcast! Ma in basso c’è il test

Festus contro Faustus

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Siamo lungo la strada che porta a Roma, un politico di lungo corso assapora il suo trionfo: si tratta di Festus, uno dei protagonisti del dramma che si sta per aprire nell’antica capitale. Il ritorno delle insegne imperiali in Italia era stato un trionfo per Festus, uno dei grandi senatori di Roma e uno degli uomini più in vista in Italia: Festus era stato fatto console nel 472 da Antemio ed era stato l’ultimo console nominato da un imperatore occidentale, ora serviva come Caput Senatus, il leader del Senato. Nel 498 era stato lui a negoziare con l’imperatore Anastasio il riconoscimento di Teodorico e il ritorno delle insegne. In cambio ovviamente aveva dovuto dare qualcosa, il più importante elemento di negoziazione era stato il riconoscimento da parte del Papa dell’Henotikon, promesso da Festus con l’autorizzazione del Papa a Roma, che si chiamava anche lui Anastasio.

Il riconoscimento era stato promesso, ma non ancora effettuato: immaginatevi la sorpresa di Festus all’arrivo a Roma quando venne a sapere che Papa Anastasio era appena morto, forse il giorno prima. L’intera negoziazione rischiava di saltare se al soglio di Pietro fosse tornata al potere la fazione calcedoniana oltranzista che vedeva l’Henotikon come il fumo negli occhi. Va da sé che una morte tanto tempestiva è alquanto sospetta: il sospetto di voler approvare l’Henotikon sarà comunque quanto basta per Dante per inviare il Papa appena morto direttamente all’inferno, nel sesto canto.

Il grande rivale di Festus a Roma era un certo Faustus, senatore anche lui, console per la prima volta sotto Odoacre e chiaramente intenzionato a succedergli, forse intendeva sfruttare l’assonanza dei nomi. Attorno a lui si consolidò la fazione che invece intendeva mantenere aperto lo scisma acaciano, probabilmente unendo sia considerazioni religiose che il desiderio di mantenere l’occidente ben separato dall’Impero orientale. Nella controversia che scoppierà presto si uniscono quindi rivalità personali, fedeltà politiche verso Ravenna o Costantinopoli e questioni religiose, come era di solito il caso in questi tempi.

Festus aveva la necessità di mantenere il suo accordo con Costantinopoli: ne andava della pace nell’impero e anche della sua posizione vis a vis con la corte di Ravenna e quella di Nuova Roma. Dunque mobilizzò le sue risorse, i suoi contatti e i suoi sostenitori nella chiesa per far eleggere un Papa in continuità con il precedente, ovvero disposto a sostenere l’Henotikon. Faustus non fu da meno. Entrambi raccolsero i loro sostenitori e il 22 novembre del 498 furono eletti due Papi: la fazione calcedoniana elesse Simmaco, un sardo, mentre i sostenitori dell’Henotikon elessero Papa Lorenzo, arciprete di Santa Prassede. Roma aveva di nuovo due papi in guerra tra loro, per la prima volta dai tempi di Damaso e Ursino, durante le controversie tra ariani e ortodossi. Allora era scorso sangue nelle strade di Roma, centinaia erano stati uccisi da entrambe le fazioni. Roma si svegliò il giorno dopo temendo il peggio.

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Forse memori di quell’infausto precedente le due fazioni decisero che c’era un’autorità superiore che avrebbe potuto dirimere la questione: ma ovviamente il Re dei Goti e degli Italiani, Teodorico. E fu così che il Re di fede dichiaratamente e fieramente ariana fu chiamato a decidere chi sarebbe stato il Papa dei cattolici. Ci tengo a sottolineare come sembrò naturale per tutti di fare riferimento alla suprema autorità civile per decidere una faccenda chiaramente ecclesiastica: i futuri Papi pretenderanno spesso che dai tempi di Costantino la chiesa avesse avuto una autorità diversa, distinta e perfino superiore al governo civile. Il caso di questo scisma, detto Laurenziano, dimostra chiaramente il contrario.

Quando Teodorico scelse il Papa

Papa Simmaco, mosaico nell’abbazia di Sant’Agnese, a Roma

Teodorico ricevette a Ravenna entrambe le delegazioni e decise che avrebbe aggiudicato il papato a colui che era stato eletto per primo e che aveva avuto il maggior supporto tra i senatori e il clero romano. Ne risultò che il suo giudizio fu che era Simmaco ad essere nella ragione. Non dubito l’indipendenza di giudizio di Teodorico, ma è utile sottolineare il fatto che Simmaco era della fazione antibizantina e volta a rigettare l’Henotikon: ora che Teodorico aveva ricevuto il riconoscimento imperiale, lo scisma acaciano era tornato piuttosto utile, perché la fazione calcedoniana e antibizantina vedeva paradossalmente nell’ariano Teodorico un utile baluardo alle pretese di Costantinopoli. Ora Teodorico aveva un Papa sul quale scaricare la responsabilità del fallimento della trattativa sull’Henotikon.

Sta di fatto che Simmaco tornò a Roma e indisse un Sinodo della chiesa romana nel 499, presente anche il suo rivale Lorenzo. Simmaco offrì a Lorenzo un vescovado in Campania, un’offerta che fu spontanea e generosa per il liber pontificalis, la biografia ufficiale dei Papi, mentre in un frammento di una biografia alternativa, di cui ci è giunta solo una parte relativa a Lorenzo, si fa intendere che Lorenzo ricevette pesanti minacce: restare a Roma avrebbe nociuto gravemente ad una vita, la sua.

Faustus, i calcedoniani e gli antimperiali avevano vinto. Ma era solo il primo round. Nel 500 tutti si calmarono perché Teodorico era a Roma, come vedremo, ma nel 501 la fazione laurenziana e pro-imperiale riuscì a creare un dossier di accuse su Simmaco: si era macchiato di appropriazione indebita dei beni della chiesa, aveva un affaire con una giovane ragazza di bella presenza e soprattutto, peccato imperdonabile, aveva celebrato la Pasqua con una settimana di anticipo. Teodorico convocò a Ravenna il nostro Simmaco che però decise di darsi alla macchia, temendo il giudizio del sovrano e dimostrando a tutti, almeno apparentemente, di essere colpevole.

Teodorico non lo rimosse però: era consapevole che occorreva coinvolgere tutto il clero italiano nella decisione. Il Re indisse quindi un concilio dei vescovi italiani a Roma per giudicarlo, inviando allo stesso tempo nella capitale il vescovo di Altino, la città che è un po’ la mamma di Venezia. Al vescovo di Altino fu dato da Teodorico il potere di una sorta di “Papa facente funzioni”, con il compito di celebrare i riti della Pasqua del 502 e allo stesso tempo gestire il processo a Simmaco.

Processo che si svolse nella più totale confusione: la fazione pro-Simmaco includeva alcuni dei vescovi più importanti dell’Italia, tra i quali il nostro Ennodio, una delle fonti per questo periodo. I calcedoniani erano chiaramente la maggioranza nel clero, ma a Roma l’aristocrazia e buona parte del popolo sembra che fosse dalla parte di Lorenzo, ovviamente con i nostri Festus e Faustus a fare da burattinai di tutta questa vicenda, potremmo chiamarli Varys e Ditocorto. La fazione calcedoniana aveva però un problema: avevano la maggioranza del sinodo ma evidentemente le accuse a Simmaco avevano una certa sostanza, difficile da ignorare.

Per evitare la condanna a Simmaco la fazione calcedoniana decise allora di provare una linea di difesa nuova: i Papi, sostennero, non possono essere giudicati dagli altri vescovi. A tal fine cercheranno anche di falsificare alcuni atti di concili passati, in modo da giustificare la loro posizione. Festus deve avere annusato il ratto: un giorno di autunno del 502 Simmaco si recava ad una sessione del sinodo quando lui e i suoi sostenitori furono attaccati da una folla che fu sul punto di linciarli, due preti persero la vita. A questo punto i sostenitori di Simmaco fuggirono da Roma e si riunirono fuori città. I calcedoniani dichiararono ufficialmente che il Papa non poteva essere giudicato dai vescovi. Simmaco fu quindi assolto e allo stesso tempo fu creato un precedente che futuri Papi utilizzeranno per giustificare la loro intoccabilità.

Quando Teodorico venne a sapere di tutto questo rimase molto perplesso: il Papa era un vescovo del suo regno, stabilire che non fosse giudicabile era un attacco anche alla sua sovranità, cosa che lo fece passare seduta stante nel campo dei Laurenziani. Lorenzo fu riammesso al suo ruolo papale e dal 502 al 506 regnò dal palazzo del Laterano, ma con continue controversie e scontri in città: se la storia si fosse chiusa qui oggi forse sarebbe considerato un Papa e non un anti-Papa, ma la storia non era finita. Nel 506 il partito calcedoniano riuscì infine a convincere Teodorico a riammettere Simmaco a Roma, Lorenzo a questo punto si rifugiò in un monastero dove morì poco dopo, Simmaco rimase il Papa fino alla sua morte, nel 514.

Cosa dobbiamo farne di questa storia intricata? Io ci vedo la tensione politica tra due fazioni a Roma, quella pro-imperiale e quella che definirei “pro-occidentale” o nazionalista italica: queste erano le stesse fazioni che si combattevano da decenni in seno al senato romano. Le fazioni avevano preso una declinazione religiosa in seguito allo scisma acaciano, che aveva separato la chiesa imperiale orientale dalla chiesa imperiale italiana. L’inevitabile corollario di questo conflitto fu che si rifletté sul papato, il principale vescovado occidentale. Detto questo è interessante notare il ruolo di arbitro supremo che Teodorico ebbe in tutta la vicenda: sono le sue decisioni che alla fine contano, e pesano.  

L’economia di Teodorico

Il porto di Classe in primo piano e Ravenna sullo sfondo

Abbiamo parlato dell’economia e della finanza ai tempi dell’antica Roma, ma come se la cavò Teodorico in questo ambito fondamentale? In generale i suoi contemporanei dipingono un quadro disperato all’inizio del suo regno: Ennodio, nel suo panegirico del clementissimo Re Teodorico, sostiene che le finanze fossero in uno stato pietoso alla fine della guerra, mentre l’anonimo valesiano sostiene che Odoacre aveva lasciato nei forzieri imperiali solamente della paglia. Si tratta certamente di iperbole, ma la guerra deve avere causato danni ingenti.

Lo stesso inserimento di centinaia di migliaia di nuovi cittadini gotici, agricoltori e produttori, servì inizialmente a rivitalizzare le campagne del nord Italia, devastate dalla guerra. Teodorico riscattò molti cittadini catturati dai Burgundi e Il prefetto del pretorio scelto da Teodorico, il senatore Liberio, sembra essere stato un competente amministratore che tagliò la corruzione e non si fece problemi a resistere alle pretese del Re, cercando di mantenere la tassazione bassa nei primi anni del regime, per stimolare la ripresa. Le zone più colpite dalla guerra furono parzialmente esentate dalle tasse.

Anche l’amministrazione della giustizia migliorò nella sua qualità, permettendo una migliore applicazione dei contratti: i contemporanei riferiscono aneddoti che chiaramente dimostrano che c’era una diffusa ammirazione dell’efficacia, efficienza ed equità dei tribunali dell’Italia di Teodorico. Questo obiettivo fu raggiunto anche grazie all’editto teodoriciano, che qualcuno ha attribuito al Re Teodorico dei Visigoti ma che è assai più probabile che sia del nostro Teodorico. L’editto riorganizzò l’applicazione della legge in Italia e mise ordine al codice teodosiano, senza toccare la prerogativa legislativa imperiale: parte degli accordi con Anastasio era infatti che questa restava una competenza solo dell’imperatore, Teodorico poteva emettere solo editti, non leggi.

Il governo inoltre prese una serie di decisioni per agevolare la pesca e l’artigianato. Le tariffe di importazione furono abbassate e soprattutto fu data indicazione di applicarle in modo leggero: la penisola era ancora un paese relativamente ricco e ci sono indicazioni che il traffico commerciale mediterraneo incrementò tra fine quinto e inizio sesto secolo, in particolare nei porti di Roma e Ravenna. Le tasse tornarono a fluire nel fisco, segno di ritrovata prosperità. Come tutti i governi di ogni luogo ed ogni epoca, ovviamente Teodorico si prese il merito della ripresa e gli autori a lui vicini lo ricoprirono di lodi sperticate. Ennodio, ad esempio, sostiene “in ogni città crescono i profitti dei privati cittadini, ovunque c’è una diffusione della ricchezza”, Cassiodoro e l’anonimo valesiano non furono da meno nel lodare la politica economica del Re. Quest’ultimo, per esempio, disse “ognuno poteva portare avanti i suoi affari a qualunque ora, come se fosse alla luce del giorno. Ai suoi tempi fu possibile acquistare sessanta moggi di grano e trenta anfore di vino per un solo solidus”. La produzione di cereali e l’import dall’africa avevano abbattuto il costo dell’acquisto dei beni di prima necessità.

Ritrovamenti di materiale gotico in Italia: mostra la distribuzione degli insediamenti gotici

Teodorico aveva certamente dimostrato che la sua amministrazione poteva operare un buongoverno dell’economia ma non va esagerata la sua influenza sulla ripresa, come d’altronde è di solito il caso. La maggior parte delle volte i governanti si intitolano una ripresa che non è dovuta che in minima parte alle loro azioni. Mi ricordano spesso la favola della mosca che si posa su una mucca che traina l’aratro, dichiarando “sto arando”. Teodorico aveva fatto più della maggior parte dei regnanti, ma la ripresa era già iniziata con Odoacre ed era stata interrotta proprio dalla guerra che lui aveva portato in Italia. La ritrovata pace aveva permesso di riprendere la tendenza degli ultimi anni, trend che è comune in generale al mondo mediterraneo: anche l’Impero orientale di Anastasio vide un periodo di forte crescita economica e di miglioramento delle finanze, permettendo di riempire i forzieri di Costantinopoli in preparazione di un certo imperatore che arriverà tra qualche anno, una personalità con maggiori ambizioni di espansione territoriale.

Io credo che il maggiore contributo di Anastasio e Teodorico a questa ripresa fu il generale mantenimento della pace nel mediterraneo, salvo brevi e rari casi, e questo per quasi trent’anni di governo condiviso della Respublica romana. Entrambi lasceranno ai loro successori un lascito di finanze in perfetto ordine. Sappiamo che alla sua morte i forzieri di Teodorico contenevano 40.000 libbre d’oro, che secondo le stime degli storici equivalevano a circa due anni del budget imperiale occidentale ai tempi di Ezio. Anastasio fece anche meglio, grazie soprattutto alla maggiore scala dell’impero orientale: alla sua morte le casse orientali erano ricolme di 300.000 libbre d’oro, vale a dire più di 100 tonnellate d’oro. I successori di Anastasio e Teodorico spenderanno questo tesoretto facendosi guerra l’un l’altro.

Le leggi dei miei predecessori

La celebre moneta d’oro di Teodorico, del valore di tre solidi, coniata per i suoi tricennalia: Re Teodorico, pio principe

Risolto apparentemente il problema dello scisma laurenziano e con una economia in crescita, Teodorico pensò che fosse arrivato il tempo di celebrare i suoi trenta anni di regno con una festa speciale. Trent’anni da Re degli Ostrogoti, si intende: la celebrazione cadde nell’anno 500 e no, grazie all’episodio 51 sappiamo che ancora nessuno sapeva di vivere nell’anno 500.

Teodorico celebrò l’occasione con una visita in grande stile alla grande, antica capitale del mondo romano: Roma stessa. Nonostante la conquista dell’Italia quasi una decade prima, Teodorico non aveva mai messo piede nella città eterna. Per prima cosa la carovana reale si fermò a San Pietro, qui l’anonimo valesiano sostiene che l’ariano Teodorico venerò il primo apostolo come avrebbe fatto un cattolico. In segno di rispetto per il Re Papa Simmaco, l’intero Senato e una folla di cittadini vennero incontro a Teodorico fuori città, nell’antica cerimonia dell’adventus che un tempo era stata riservata agli imperatori. La processione reale entrò in città e giunse fino al Foro, qui Teodorico parlò in Senato, poi uscì e fece un discorso ai cittadini di Roma, assiepati nel foro e su tutte le colline intorno, eccone una versione che ho estrapolato dalle lettere di Cassiodoro: “sono estremamente grato dell’accoglienza che mi avete riservato. La mia missione è quella di garantire la protezione della città, permettendo la conservazione delle leggi e dei costumi che hanno fatto grande Roma e l’intero impero. A tal fine manterrò inviolate le leggi decise dai miei predecessori”. I predecessori erano imperatori romani, e Teodorico chiaramente si riteneva un loro successore legale e, cosa fondamentale, è evidente che lo stesso credevano i Romani. Per Teodorico Roma era chiaramente il centro ideale del suo mondo: nelle sue lettere ufficiali, tempo dopo, Teodorico disse che Roma era una città verso la quale nessuno può rimanere indifferente, perché in essa nessuno è straniero. Nel Foro i Romani erano in visibilio, soprattutto quando Teodorico annunciò che sarebbe restato per almeno sei mesi. L’intera cerimonia ricorda l’arrivo di Costanzo II a Roma che ho letto in Ammiano Marcellino, 150 anni fa. Ah, i bei tempi andati.

Circenses

Il Palatino e il Circo Massimo: ai tempi di Teodorico queste strutture erano ancora in larga parte intatte, il palazzo sul Palatino era ancora funzionante e la città era ancora una metropoli di 150-400 mila abitanti (più probabilmente la stima alta)

Per l’occasione, uno dei senatori della città, un letterato di cui parleremo a lungo, declamò un panegirico in onore di Teodorico. L’autore del panegirico era un membro del potente clan degli anici, gli stessi dell’imperatore Olibrio, ed era stato adottato nella illustre famiglia dei Simmachi, la stessa famiglia da cui proveniva il Simmaco che tanto aveva difeso la presenza dell’altare della vittoria a Roma, ai tempi di S. Ambrogio. Il nome di questo oratore è famoso: Boezio, considerato l’ultimo, grande filosofo dell’antichità in occidente. Le strade di Boezio e Teodorico sono destinate ad incrociarsi spesso, non sempre in modo così cordiale.

Teodorico a questo punto si recò sul palatino e prese residenza nel palazzo imperiale che era stato dei Cesari e degli Augusti. Da qui assistette, dal balcone imperiale, alle gare del circo indette in onore dei suoi tricennalia, i trent’anni da Re. Ho già detto ah i bei tempi andati? A quanto pare Teodorico non amava i giochi del circo o le venationes, i combattimenti con bestie selvagge negli anfiteatri, ma continuò a pagare dalle casse imperiali il costo esorbitante di questi spettacoli. In una delle tante lettere di Cassiodoro c’è quello che pensava a riguardo: “Seguo questi spettacoli come una obbligazione nei confronti del popolo, che li adora. Sono una fonte di felicità e rilassamento per la popolazione di Roma” in un altro caso disse “a volte occorre comportarsi in modo folle per il benessere del popolo”. Insomma, Teodorico era uno snob radical chic, ma sapeva che doveva continuare a sponsorizzare lo sport nazional-popolare romano. D’altronde l’antica politica romana per il controllo del rumoroso populus rimaneva valida: panem et circenses, pane e giochi del circo.

Panem

Coperta la voce “circenses” Teodorico si dedicò infatti al “panem”: durante la sua permanenza a Roma ordinò di ricostituire l’annona, le sovvenzioni di grano gratuito per i più indigenti della città, interrotte fin dai tempi del secondo sacco di Roma. Come Maggiorano, Antemio e Odoacre Teodorico però non possedeva il Nordafrica e pertanto l’ammontare dell’annona era davvero misera rispetto al passato: l’annona ai tempi di Augusto era di 20 milioni di moggi all’anno, Teodorico poté permettersi appena 120 mila moggi, provenienti dalla Calabria e dalla Sicilia. Gli storici hanno calcolato che questa quantità sarebbe stata sufficiente per sfamare 25 mila persone per un anno: questa non era la popolazione totale della città, si trattava solo degli indigenti, ma questo dato ha fatto supporre che la popolazione cittadina si fosse ridotta dal milione di abitanti di augusto a circa 100-150 mila. Io ritengo che fossero un po’ di più, visto che quella che era andato perduto nella seconda metà del quinto secolo era la popolazione che dipendeva dall’annona ma probabilmente il grosso degli altri era rimasto. Ho visto stime che parlano di 300-400 mila persone. In entrambi i casi, Roma restava una grande città ma certamente una sorta di ombra del suo passato imperiale.

Sovrintendenza alle belle arti

Passato imperiale che richiedeva manutenzione: Roma poteva avere oramai poche centinaia di migliaia di abitanti, ma i monumenti erano ancora in gran parte quelli della sua epoca d’oro, anche se diversi erano caduti in rovina o erano stati utilizzati per costruire nuove chiese. Teodorico ordinò di mettere da parte ogni anno una quota dei proventi delle tasse sul vino da destinare alla manutenzione della città e delle sue mura. Le magnifiche cloache romane furono ripulite e riparate, fu istituito un ufficio preposto al mantenimento degli acquedotti cittadini. Tegole con il marchio “Nostro signore Teodorico, per la felicità di Roma” sono state trovate ovunque in città, tra i monumenti del foro e nelle mura aureliane. L’azione restauratrice di Teodorico non fu assolutamente limitata a Roma. Ennodio, nel suo panegirico, scrive “Dalle ceneri delle città vediamo i tetti di tutte le case rossi di nuove tegole, grazie all’abbondanza del nostro regno”, anche Cassiodoro sostiene che “molte città furono rinnovate sotto Teodorico, un grande amante degli edifici e un restauratore di Città. A Ravenna restaurò l’acquedotto che aveva fatto Traiano, completò il nuovo palazzo imperiale e costruì portici. A Verona face costruire dei bagni e un palazzo, restaurò l’acquedotto e fece costruire nuove mura. A Pavia costruì un altro palazzo, dei bagni, un anfiteatro e nuove mura”. Notare l’attenzione che Teodorico donò alle sue tre sedi reali: Ravenna, Verona e Pavia, ma sappiamo che l’azione restauratrice e costruttiva di Teodorico non si fermò a queste città. Inoltre Teodorico dimostrò attenzione anche al bello: furono promulgati editti per la preservazione delle antiche statue e delle decorazioni delle città, un architetto ufficiale fu assunto alle dipendenze del prefetto di Roma, con il compito di studiare gli antichi libri di architettura e insegnarli a nuove generazioni, nelle parole di Teodorico “in modo da preservare la sapienza degli antichi e adornare con nuove strutture la gloria dell’antichità”.

Semper Augustus

Le mattonelle di Teodorico, presenti in innumerevoli edifici restaurati a Roma dal grande Re

Da questa carrellata di attività credo emerga con forza come Teodorico si proponesse alla popolazione come un imperatore dell’occidente: vestito di porpora, patrono del circo, protettore e sfamatore del popolo, comandante dell’esercito d’Italia, sovrano illuminato e pio, restauratore della grandezza di Roma. I suoi contemporanei presero a compararlo con Traiano, l’optimum princeps, o con Valentiniano, l’ultimo forte imperatore dell’occidente. In una iscrizione ritrovata a Terracina e dedicata al restauro della via Appia, finanziata da un potente romano locale, Teodorico è acclamato con il titolo più imperiale che ci sia: “Rex Theodericus, semper augustus”. Thiudereiks, il capo barbaro nato in Pannonia, aveva completato la sua trasformazione in Teodorico l’Augusto.

Amali: una casata imperiale

Gli Amali e i loro matrimoni con tutte le case reali germaniche

La politica estera di Teodorico assomiglia alla sua fusione di tradizione imperiale romana e regno personale gotico. Da un lato Teodorico si atteggiò a potere imperiale in occidente e garante della pace universale, a protettore e superiore di ogni Re barbarico: questo nella completa tradizione romana. Dall’altra cercò di forgiare rapporti di parentela personali con tutti i principali regni romano-barbarici, soprattutto attraverso un’attenta politica matrimoniale che un tempo sarebbe stata un anatema.

Innanzitutto Teodorico praticò una détente con l’altra grande potenza dell’occidente latino, i Franchi di Clovis. Come accennato, all’inizio del suo regno sposò la sorella di Clovis e da lei ebbe la principessa degli Amali, Amalasuintha o in italiano Amalasunta.

La Gallia nel 481: al 500, tutta l’area in blu, rosso e viola rispondeva a Clovis, Re dei Franchi. La parte più ricca era però ancora controllata dai Visigoti di Tolosa (giallo) e dai Burgundi (verde)

Nel 500, mentre era a Roma, Teodorico negoziò un accordo con il Re dei Vandali, Thrasamund. La sorella di Teodorico, Amalafrida, fu inviata a Cartagine per sposare Thrasamund. Non si trattò di un semplice matrimonio ma di un vero trattato di alleanza: con Amalafrida vennero mille cavalieri gotici e cinquemila soldati appiedati, un piccolo esercito che avrebbe fatto della nuova regina dei Vandali una potenza politica del regno. Ovviamente si trattava anche di un piccolo esercito volto a controllare il Re. Il Regno dei Vandali dominava ancora il mare mediterraneo occidentale ma dalla morte di Genseric i suoi successori non erano riusciti a mantenere il suo ruolo di spaventapasseri dei Romani. Il regno di Cartagine era costantemente sotto attacco dei Berberi dell’entroterra e una breve guerra con l’Italia di Teodorico, mentre era ancora in corso l’assedio di Ravenna, li aveva convinti che non erano davvero in grado di opporsi al potere in Italia.

Quanto ai cugini Visigoti, Re Alaric II era venuto in soccorso di Teodorico quando era assediato a Pavia da Odoacre, una volta diventato Re Teodorico decise di legare le due dinastie dei Goti – i Balti dei Visigoti e gli Amali degli Ostrogoti. Il Re inviò a Tolosa sua figlia Thiudigotho come sposa di Alaric. Dal matrimonio nacque Amalaric. Si lo so, hanno tutti nomi simili, non è colpa mia. Basti ricordarsi che l’erede al trono dei Visigoti era anche il nipote di Teodorico, perché sarà presto importante.

La seconda figlia di Teodorico, Ostrogotho, fu invece inviata presso l’altro importante vicino di Teodorico, i Burgundi di Gundobad. Ostrogotho sposò Sigismund, il figlio di Gundobad ed erede al trono dei Burgundi. Burgundi, Vandali, Franchi, Visigoti: entro l’anno 500 tutti i poteri occidentali avevano un legame personale con la famiglia degli Amali che dominava l’Italia. Ad inizio sesto secolo ai contemporanei parve che una nuova dinastia imperiale stesse crescendo nel cuore dell’occidente. Il futuro sarà però molto inclemente con la politica matrimoniale di Teodorico e la famiglia allargata finirà presto per divorarsi.

Qualcosa si muove ad est

In oriente, nel frattempo, stava per risorgere la minaccia con la M maiuscola, la minaccia persiana. Come notato nell’episodio delle domande, la frontiera Romano-Persiana era rimasta incredibilmente tranquilla per tutto il quinto secolo in seguito alla sconfitta di Giuliano e al trattato di Teodosio con i persiani che aveva spartito l’Armenia tra i due imperi. Due brevi guerre avevano punteggiato il secolo, ma nel complesso i Romani e i Persiani avevano avuto altro a cui pensare che riscaldare la frontiera orientale, nella fattispecie la minaccia degli Unni per i Romani e un nuovo potere in oriente per i Persiani. Infatti l’origine della guerra che sta per scoppiare va vista nella debolezza dei Persiani: l’Iran aveva infatti subito la sua Adrianopoli nel 484. Il Re Peroz aveva deciso di marciare il suo esercito contro gli Eftaliti, i nuovi vicini orientali dell’Impero Persiano. Ad Herat, nel moderno Afghanistan, gli Eftaliti avevano annientato l’enorme esercito persiano di invasione, allo stesso tempo uccidendo il Re dei Re Peroz, proprio come Valente 100 anni prima. Erano seguiti anni di caos, alla fine il figlio di Peroz, Kavad I, aveva riconquistato il regno con l’aiuto di un forte esercito eftalita. Ovviamente Kavad doveva pagare un tributo agli Eftaliti per il sostegno ricevuto, inoltre diventare Re dei Re quello con l’aiuto di un esercito di nemici non è mai una buona pubblicità. Kavad aveva bisogno di denaro e di qualche vittoria con un nemico esterno per ripulire la sua immagine. Affrontare gli Eftaliti era fuori questione quindi Kavad decise tentare la fortuna contro il grande nemico e rivale, Roma. Era il 502 dopo cristo.

La guerra inizialmente andò disastrosamente per i Romani, che furono presi completamente alla sprovvista: la perdita di Nisibis nel 364, dopo la morte di Giuliano, aveva privato le province orientali del loro principale baluardo. Kavad conquistò Teodosiopoli, la capitale dell’Armenia romana, e poi Martiropoli in Mesopotamia. Durante l’inverno del 502-503 Kavad mise sotto assedio Amida, proprio come ai bei tempi di Ammiano Marcellino. Dopo un lungo e prolungato assedio la città cadde in primavera e la popolazione fu deportata in Persia. Il Re dei Re mosse allora contro Edessa, non distante. Anastasio passò tutto il 503 a radunare un’immensa armata capace di sconfiggere l’esercito del Re dei Re. Con uno sforzo che mise alla prova la logistica e la finanza dell’impero fu allestito un esercito di 50 mila uomini, al comando di quattro generali: tra questi ce ne era uno che farà carriera, ovvero Giustino, oggi comes domesticorum.

L’esercito scese dall’Armenia e mise sotto assedio Nisibis, senza però riuscire a prendere questa impregnabile fortezza che chiudeva l’accesso alla Mesopotamia per i Romani. Amida fu però riconquistata pagando una notevole somma alla guarnigione persiana, che si ritirò. La guerra finì in stallo, anche perché gli Eftaliti ne approfittarono per attaccare Kavad sulla sua frontiera orientale. Si giunse quindi a fine 504 all’apertura di negoziati per chiudere la guerra, che al solito sarebbe terminata senza modifiche territoriali alla frontiera orientale ma solo danni e spese esorbitanti per entrambi gli sfidanti.

Vi racconto questa storia lontana dal centro delle nostre operazioni per due motivi principali: la prima è che i Romani compresero che avevano bisogno di una fortezza del calibro di Nisibis per proteggere la frontiera nello stretto territorio siriano che era facilmente passabile tra i monti e il deserto. Questa fortezza sarebbe stata anche una base avanzata per operazioni in territorio persiano. Il trattato sottoscritto nel 422 vietava espressamente la costruzione di nuove fortificazioni ma Anastasio valutò fosse più importante evitare ulteriori e facili invasioni. A tal fine fu costruita una impressionante fortezza a Dara, giusto di fronte a Nisibis, in territorio romano. Dara sarà una ragione di contesa tra persiani e romani per tutto il prossimo secolo.

Resti della grande fortezza di Dara, oggi in Turchia meridionale

La seconda ragione per la quale la guerra tra Anastasio e Kavad è importante per noi è che bloccò le forze militari imperiali sulla frontiera orientale, fornendo un’ottima occasione a Teodorico per allargare il proprio dominio, inaugurando una nuova fase espansiva per la sua Italia. Cerchiamo di capire come mai.

Teodorico conquista i Balcani

Ricorderete che nel suo viaggio verso l’Italia Teodorico era incappato nei Gepidi, il popolo che oramai dominava la Pannonia romana e quella extra danubiana. Teodorico li aveva sconfitti, ma la Pannonia era rimasta nelle mani dei Gepidi che nel frattempo erano diventati alleati di Anastasio e dei Romani. Teodorico non aveva dimenticato i suoi nemici ed era intenzionato a vendicarsi, in più l’area della Pannonia era tradizionalmente contesa tra l’impero orientale e quello occidentale, in quanto de facto imperatore dell’occidente Teodorico sentiva che fosse un suo compito recuperarla alla Respublica occidentale. Teodorico aveva mantenuto il controllo della Dalmazia riconquistata da Odoacre ma il suo dominio nei Balcani finiva lì, mentre a difesa dell’Italia Teodorico manteneva forti guarnigioni a Cividale e Aquileia. Dopo l’ordine di evacuazione di Odoacre, la Pannonia romana era oramai diventata un deserto dal punto di vista della civiltà: non sopravviveva nessuna città importante se non qualche piccolo borgo fortificato sulla grande strada militare che ancora in teoria collegava Costantinopoli all’Italia, ma che era resa impraticabile dai Gepidi. La principale città-fortezza della regione restava Sirmio, oramai la capitale di un piccolo regno di Gepidi alleati dei Romani. Sirmio un tempo era stata esattamente al confine tra i due imperi romani, oggi è in Serbia.

Quando vide che Costantinopoli era impegnata in oriente con i Persiani, Teodorico decise di passare all’attacco: un esercito comandato dal Comes gotico Pizia mosse lungo la valle della Sava e fino a Sirmio, occupandola per conto di Ravenna.

MERIDIONE D'ITALIA - DALLA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO ALLE DOMINAZIONI  STRANIERE
Teodorico riconquistò l’area in verde (popolata fino al 480 circa dagli Ostrogoti, ma poi finita in mano ai Gepidi)

L’Impero Romano è ritornato ai propri confini

Dal punto di vista di Teodorico il regno di Ravenna stava semplicemente ristabilendo l’autorità dell’Impero Romano sui suoi antichi confini ma a Costantinopoli Anastasio prese la cosa molto diversamente: i Gepidi erano un vicino debole e controllabile, l’Italia di Teodorico molto meno. Per fortuna di Anastasio si era giunti ad un cessate il fuoco con i Persiani e nel 505 Anastasio fu in grado di inviare un Carneade suo generale contro Pizia e con l’obiettivo di riprendere Sirmio. Qui entra però in gioco una personalità che incontreremo ancora in futuro, il capobanda di probabili origini unniche Mundo. Mundo era al servizio dei Gepidi ma dopo la loro sconfitta decise di prendere la sua banda e stabilirsi in Dacia Ripense e Moesia II, sottraendo queste province danubiane a qualunque flebile controllo che Costantinopoli ancora reclamava su questa regione di confine.

Il carneade Romano riuscì a battere Mundo ma questi e il Goto Pizia si allearono e affrontarono in battaglia gli imperiali. Pizia e Mundo ebbero la meglio e il nostro Carneade fu costretto a ritirarsi dal quadrante balcanico. Teodorico aveva vinto, aveva riconquistato la regione all’impero occidentale, o almeno questa fu la propaganda che Teodorico commissionò in Italia, evocata dai versi di Ennodio nel suo panegirico al clementissimo re Teodorico, ahimè l’unica fonte che abbiamo per questa guerra: “frattanto l’impero Romano è ritornato ai propri confini: secondo il costume degli antichi, tu mio Re impartisci comandi ai Sirmiensi e quelli che finora hanno posseduto i nostri possedimenti, nutrono timori a causa della nostra vicinanza”.

Trovo questo passo illuminante: per i senatori italiani a cui era rivolto il panegirico, l’espansione di Teodorico non era l’espansione del regno degli Ostrogoti, ma il ritorno dell’Impero Romano ai suoi confini antichi. Non solo: i vicini che ora nutrono timori non sono altro che i Romani orientali, la potenza con la quale gli occidentali hanno lottato più volte proprio per il controllo di Sirmio e dell’illirico. Il regno di Teodorico, agli occhi di Ennodio, altro non è che l’Impero Romano d’occidente redivivo.

Sirmio fu reinquadrata nella struttura organizzativa dell’Italia e una zecca fu riattivata in questa lontana città di frontiera. Pizia si stabilì permanentemente nella città mentre la popolazione romana autoctona di Sirmio ottenne la reintegrazione nell’impero e la conferma dei propri privilegi di cittadini romani. Il territorio a valle del Danubio rispetto a Sirmio fu posto sotto il controllo di Mundo e per la prima volta portato nella sfera di influenza dell’Italia, visto che questi territori avevano sempre fatto parte dell’Impero orientale. Anastasio però non poteva accettare questo status quo: il Re dei Goti aveva fatto il passo più lungo della gamba. Teodorico aveva si trionfato sui Gepidi e su una piccola frazione della potenza di Costantinopoli, ma ora poteva considerarsi in guerra aperta contro l’unico vero imperatore dei Romani.

Nel prossimo episodio vedremo come la guerra di Sirmio scatenerà una serie di effetti a catena: in poco tempo l’intero mondo post-romano si ritroverà coinvolto in una serie di conflitti. Teodorico, Anastasio e il franco Clovis dovranno però trovare un modus vivendi, se vogliono mantenere la pace che tanto ha giovato ultimamente al mondo mediterraneo.

Il prossimo episodio in podcast!

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