Nello scorso episodio abbiamo osservato il complesso, mortale gioco multidimensionale di scacchi a cui giocarono gli uomini potenti delle corti di Milano e Costantinopoli. Alla stabilità dell’occidente sotto la capace guida di Stilicone si è contrapposto il caos della corte orientale che – nella serafica indifferenza del suo imperatore – ha visto un andirivieni di personaggi alla sua guida. Alla fine il balletto è arrivato ad una tragica giunzione: i grandi capi gotici sono stati uccisi, i loro uomini massacrati e chi si è salvato si è rifugiato presso Alaric in Macedonia. L’accordo di Costantinopoli con quest’ultimo è diventato chiaramente carta straccia e Alaric ha deciso di tentare la sua fortuna con la corte occidentale invadendo l’Italia: quale sarà il destino dell’’Italia, riuscirà Stilicone a fermare Alaric ed evitare il disastro della guerra gotica su territorio italiano? Scopriamolo assieme.

La morte di un vescovo
Prima di iniziare un paio di dettagli importanti da riportare sugli anni passati. Nel 398 Stilicone era riuscito a far sposare ad Onorio sua figlia Maria, unendo ancora una volta la sua famiglia a quella di Teodosio: Il Magister Militum Utriusque Militiae era ora nipote di Teodosio tramite sua moglie Serena e suocero di suo figlio Onorio. Oramai la famiglia del generalissimo era saldamente installata nel cuore del governo imperiale. Serena – la moglie di Stilicone – nel ruolo informale di Augusta, la figlia di Stilicone era sposa del legittimo imperatore Onorio e con il tempo e la fortuna avrebbe prodotto un nipote a Stilicone, un legittimo imperatore di Roma: e probabilmente sarebbe andata così se Onorio non fosse stato incapace anche in questo campo oltre che tutti gli altri. Ma anche senza un nipote da Onorio Stilicone aveva un erede predesignato: suo figlio Eucherio che aveva allevato come un vero principe romano e che era quasi certamente da sempre il piano B o perfino il piano A di Stilicone per la successione all’inutile Onorio.
L’altro evento importante avvenne l’anno prima, nel 397: quell’anno era morto Ambrogio, il grande vescovo di Milano. Con lui la chiesa di Milano era giunta a dominare l’occidente religiosamente come Stilicone lo faceva militarmente. Spero di aver chiarito che Ambrogio è fondamentale nella storia occidentale, creando il paradigma di relazione tra chiesa e impero che si svilupperà nei prossimi decenni. Solo per questo, senza citare i suoi scritti e la sua influenza spirituale, merita di essere considerato uno delle più grandi figure della Chiesa e della storia mondiale. A Milano, nell’andirivieni degli imperatori, era stato lui a dare la continuità al governo della capitale dell’impero. Certo, era un uomo potente e controverso e spero di aver restituito l’intera dimensione a 360 gradi del grande vescovo e dottore della chiesa. Tanto grande che a Milano è ancora celebrato, ogni anno, il 7 dicembre, in particolare con la prima della Scala: e oramai sapete che mi piace l’opera.
La minaccia fantasma
Ma torniamo all’azione: Il 401 iniziò per Stilicone con una crisi militare ai confini, tanto per cambiare. I Vandali avevano invaso la Raetia, ovvero la moderna Svizzera. Immagino che i più attenti tra di voi si stupiranno di questa cosa: i Vandali? Finora abbiamo sempre parlato di Alemanni, Franchi, Goti e un po’ dei Burgundi, da dove diavolo sono saltati fuori questi famosi devastatori del bene pubblico?
I Vandali si portano dietro una certa reputazione che però al 401 non era ancora giustificata: erano vissuti per decenni ai margini della sfera d’influenza di Roma, in quella che oggi è la Polonia. La loro origine era probabilmente scandinava, come quella dei Goti, e come i Goti erano migrati in tempi antichi in Europa centrale, probabilmente assoggettando e assorbendo delle popolazioni locali di lingua baltica. Per decenni erano vissuti in quelle terre, che ci facevano all’improvviso in Svizzera? Cosa stava accadendo oltre confine? Dovremo aspettare il prossimo episodio per saperlo.
La notizia dell’invasione raggiunse il quartier generale di Stilicone a Milano e questi si comportò come gli dettava il manuale del perfetto stratega del tardo impero: raccolse l’armata d’Italia, attraversò i valichi alpini e si recò in Svizzera per far fronte all’invasione. La minaccia era abbastanza seria dal costringerlo a portare a nord delle alpi l’intero esercito comitatense d’Italia, il più importante dell’Impero d’occidente. Con questa azione aveva lasciato la pianura padana sguarnita, proprio nell’anno in cui Alaric rimuginava sul da farsi dopo la catastrofe che si era abbattuta sul partito dei Goti, e sui Goti stessi, a Costantinopoli: il 401 è infatti l’anno della morte di Gainas e di Fravitta.
Le decisioni di messer Alaric il goto

Siamo arrivati ad una giunzione fondamentale della nostra storia: l’impero d’occidente è stato infatti finora risparmiato dalle procelle gotiche. C’è da notare infatti che ancora nel 401 Alaric e i suoi Goti sono stati un problema solamente della corte orientale: in occidente i Goti erano venuti solo al seguito di Teodosio, i Goti e le loro guerre avevano coinvolto finora solamente i Balcani. C’è di più, ancora nel 401 l’impero d’occidente non è stato invaso seriamente da un popolo germanico da moltissimi anni: gli ultimi problemi seri c’erano stati ai tempi di Costanzo II in Gallia, per avere serie invasioni dell’Italia dobbiamo tornare ai cupi anni della crisi del terzo secolo, ai tempi di Claudio il Gotico e Aureliano, 150 anni prima, vale a dire il tempo che ci separa dalla morte del conte di Cavour. Ancora all’inizio del quinto secolo credo che nessun osservatore romano avrebbe potuto pensare che di lì a tre quarti di secolo non ci sarebbe stato più nessun impero in occidente, mentre l’oriente dei governi ballerini, l’oriente delle invasioni gotiche, sarebbe sopravvissuto.
Credo sia ora evidente il processo decisionale di Alaric: la caduta di Gainas era stato un disastro per il re dei Goti, visto che aveva perso l’appoggio politico a Costantinopoli e il nuovo regime, insanguinato dal pogrom che aveva massacrato i Goti di Costantinopoli, non poteva essere un partner negoziale per Alaric. È probabile inoltre che Costantinopoli stessa aveva deciso anche di stracciare il trattato del 397, che garantiva ai Goti di Alaric l’inquadramento nell’esercito orientale, pagamenti in oro e naturo e lo stanziamento in Illirico. Per Alaric rimaneva solo l’occidente e la fortuna aveva voluto che il suo guardiano, il sempre formidabile Stilicone, fosse impegnato al nord delle alpi. Alcuni storici hanno perfino avanzato l’ipotesi che ci fosse un coordinamento tra le due invasioni, ma questa versione non è provata. Come è oramai screditata la tesi che fosse stato il governo orientale a spingere Alaric a invadere l’occidente.
Alla fine Alaric, nel novembre del 401, aveva deciso di gettare i dadi e come il suo illustre predecessore aveva varcato il Rubicone e invaso l’Italia, il Rubicone in questo caso essendo il confine orientale dell’Italia sulle Alpi Giulie. Determinato a non ritornare in Illiria, ma ad ottenere un insediamento per il suo popolo sul suolo italico, portò con sé tutto il suo popolo e le spoglie ottenute dai saccheggi in Oriente. L’esercito di Stilicone era rimasto bloccato sul lato sbagliato delle alpi: non c’era alcun modo di tornare in Italia fino a primavera. Secondo Claudiano, una battaglia tra Romani e Goti ebbe luogo nei pressi di Aquileia, nella quale Alarico riuscì a conseguire un successo contro truppe probabilmente di qualità inferiore al Comitatus. Alaric cercò anche di prendere Aquileia, la principale fortezza a difesa di quel tratto vulnerabile di limes alpino, ma non riuscì ad espugnare la città: sembra che i Goti, nonostante il quarto di secolo trascorso al servizio di Roma non fossero migliorati di molto negli assedi.
Superata Aquileia Alaric dilagò, in quell’autunno del 401, nella pianura padana saccheggiando ogni ricchezza mobile di quella ricca regione dell’Impero, regione che non vedeva una seria invasione da oramai più di un secolo. Occupata la provincia di Venetia et Histria, Alaric diresse il suo esercito in direzione di Milano, capitale dell’Impero Romano d’Occidente, con l’intento di espugnarla o perlomeno costringere l’Imperatore ad accettare la pace alle sue condizioni. Quando la notizia dell’invasione e del pericoloso avvicinarsi dell’esercito goto alla Capitale raggiunse la corte imperiale a Milano, l’Imperatore e i cortigiani, colti dal panico, presero in seria considerazione la possibilità di fuggire in Corsica o Sardegna, o, in alternativa, in Gallia, dove avrebbero potuto fondare una nuova Roma sulle rive della Senna o del Rodano: per fortuna a Milano era tornato di corsa, lasciando le sue truppe in Rezia, il generalissimo dell’occidente, Stilicone.
Non per questo tutte le speranze sono perdute

Il nostro generale era di nuovo alle strette, con due terribili crisi militari ai confini e una minaccia pendente contro il cuore dell’Impero e la sua capitale: eppure come ai tempi della guerra Gildonica Stilicone non era un codardo o un rinunciatario. l’Italia – disse – aveva sopportato in passato sventure peggiori di questa, e non bisognava perdere la speranza e abbandonare la madrepatria al suo destino, fuggendo in Gallia, ma combattere fino all’ultimo per difenderla. Stilicone assicurò inoltre che si sarebbe diretto verso nord per ricongiungersi con il suo esercito e raccogliere nuove truppe: in primavera le nevi si sarebbero sciolte e allora avrebbe ricondotto l’esercito in Italia «per vendicare la maestà insultata di Roma». fino ad allora Onorio avrebbe dovuto cavarsela da solo. Stilicone tornò dunque in Rezia, raggiungendola dopo aver attraversato il Lago di Como: era l’inverno del 401-2. Ecco un passo di Claudiano che credo evochi la tensione di quell’inverno: “Ancorché i Goti abbiano colto il tempo opportuno per fare irruzione con l’inganno, mentre la Rezia tiene occupati i nostri uomini e le coorti stanno compiendo un grande sforzo in un’altra guerra, non per questo tutte le nostre speranze sono perdute.». Quell’inverno però le truppe del re dei Goti arrivarono di fronte alle possenti mura della capitale imperiale e cinsero la capitale e l’imperatore di un assedio teso a costringerli al tavolo negoziale.
Ma Milano tenne e a nord delle Alpi, in Rezia, nel giro di breve tempo Stilicone riuscì a respingere le incursioni dei Barbari, barbari che erano condotti forse dal capo Gotico Radogast. Non dimenticatevi di questo Radogast, è piuttosto importante, e non perchè nel signore degli Anelli finirà per essere uno stregone di dubbia utilità.
Non abbiamo dettagli sulla campagna ma sembra che Stilicone in Raetia utilizzò il suo tipico misto di forza militare e abilità diplomatica nel frantumare la coalizione nemica: il grosso dei nemici furono respinti oltre il Danubio, ma molti di loro furono reclutati nell’esercito romano, a Stilicone servivano per regolare i conti con un certo Re dei Goti. Una volta messa al sicuro la Rezia dalle incursioni nemiche, Stilicone partì con le legioni della Rezia alla difesa dell’Italia, rinforzato anche da alcuni reparti sottratti alla frontiera del Reno, mentre altri reparti venivano ritirati perfino dalla lontana Britannia e Gallia settentrionale: Stilicone gli ordinò di marciare attraverso la Gallia per entrare in Italia dai passi del Piemonte.
Onorio si prende un bello spavento

Nel frattempo Alaric teneva sempre sotto assedio Milano: quando Alaric fu informato dell’avvicinarsi del Magister Militum Utriusque Militiae, alla testa di un grande esercito rinforzato da truppe Galliche e dal reclutamento di mercenari Vandali e Alani, inviò i suoi a presidiare i ponti sull’Adda per impedire ai Romani di passare. Stilicone si fece beffe del Goto e riuscì ad impadronirsi dei ponti e attraversare il fiume, raggiungendo Milano. Alaric non era rimasto però ad attendere la sua nemesi e aveva raccolto i suoi guerrieri, le famiglie e i suoi beni nel consueto corteo di carri e si era diretto verso occidente, verso il moderno Piemonte. L’Imperatore Onorio, talmente terrorizzato dall’invasione barbarica da aver preso in considerazione la possibilità di fuggire nelle Gallie, fu così salvato dall’intervento tempestivo di Stilicone, in un momento di indubbio giubilo che però espose a tutti un fatto innegabile: la capitale imperiale era diventata oramai vulnerabile.
Nel marzo del 402 Alaric seguì il corso del Po sulla sponda settentrionale ma, impossibilitato a tornare sui suoi passi e probabilmente informato che un altro esercito stava approcciando l’Italia da occidente attraversò il Po e pose l’assedio alla città di Asti: alcuni storici pensano che Onorio non fosse a Milano e si fosse rifugiato proprio ad Asti, visto che non si spiegano la decisione di assediare questa città. È più probabile però che Onorio fosse rimasto a Milano, visto che Claudiano dà molta importanza alla liberazione di questa città e molto meno a quella di Asti. Comunque sia neanche questo assedio andò a buon fine e, all’approcciarsi di Stilicone, Alaric abbandonò Asti e si diresse ancora verso occidente. Il suo obiettivo era di uscire dalla trappola di quella terra – il nord Italia – circondata da montagne invalicabili, percorsa da fiumi difficili da traversare e facili da difendere nonché di innumerevoli città-fortezza che i Goti non potevano espugnare: Alaric aveva sottovalutato la difficoltà di conquistare questa terra cocciutamente difesa dai Romani.
Pasqua a Pollenzo

Stilicone non aveva nessuna intenzione di permettere ad Alaric di sfuggire: aveva preparato con cura la sua trappola, seguendo attentamente il percorso dei Goti. I Goti stabilirono il loro accampamento a circa due chilometri dall’estuario della Stura di Demonte, nei pressi dell’antica città di Pollentia, oggi Pollenzo, nei pressi di Bra. Era il giorno di Pasqua, il 6 aprile del 402, e Alaric lì aveva un appuntamento con il destino. I Goti si erano fermati per celebrare la Pasqua: eh sì, spero che non vi aspettaste dei rozzi Goti con gli elmi cornuti. I nostri Goti di Romania, come ho spiegato più volte, erano oramai cristianizzati e per molti versi anche romanizzati. L’accampamento fu vestito a festa e i Goti si accinsero a celebrare la messa.
Stilicone era anche lui un cristiano, ma il suo primo dovere era verso l’impero: era finito il tempo delle mezze misure, occorreva battere i Goti una volta per tutte e solo una battaglia campale avrebbe risolto la questione. Stilicone voleva però evitare una nuova Adrianopoli e cercò di sfruttare ogni possibile vantaggio datogli dalla fortuna: lui non poteva combattere in questo giorno sacro, ma alcuni dei suoi sottoposti pagani non avevano di questi problemi. Stilicone affidò il comando del primo attacco a Saul, un feroce Alano: schierò ai lati della fanteria la cavalleria degli alani e li mandò a combattere il Goto. Era iniziata la battaglia di Pollenzo.
La battaglia

Come tutti gli scontri tra Goti e Romani – Adrianopoli a parte – non fu affatto una passeggiata per entrambi: i Goti erano diventati dei combattenti formidabili ed erano oramai equipaggiati alla romana, d’altronde erano stati per anni dei soldati al servizio dell’esercito orientale e avevano avuto accesso alle fabbriche imperiali e al loro impeccabile acciaio. L’esercito occidentale non era forse quello che aveva combattuto al frigido ma era reduce da diverse vittorie nei confronti dei barbari ed era decisamente più stagionato.
La prima fase della battaglia fu combattuta dalla cavalleria al comando di Saul, ma pare che le nuove reclute Alane e germaniche non furono all’altezza e furono respinte dai disciplinati Goti. Il loro comandante fu ucciso e le truppe messe in fuga: a questo punto, quando i peggiori incubi di Stilicone sembravano avverarsi, la battaglia si concentrò sullo scontro diretto della fanteria Romana contro quella Gotica, la prima vera battaglia di questo tipo dai tempi di Adrianopoli. L’esercito del quinto secolo è spesso accusato di essere totalmente inefficace, d’altronde come può essere diversamente visto che l’impero d’occidente è destinato a crollare da qui a pochi decenni? eppure vedremo che perfino in questi tardi anni l’esercito romano non sarà mai un osso facile, per nessuno.
Disertati dalla cavalleria come ad Adrianopoli la dura fanteria pesante dei Romani si scontrò con i Goti di Alaric, veterani di decenni di guerra: i Romani non solo mantennero l’ordine e non si fecero mettere in fuga ma iniziarono a spingere contro i Goti fino al punto che furono questi ultimi a temere per la propria vita: Stilicho aveva puntato tutto sulla cavalleria Alana di Saul e fu invece salvato dalla sua fanteria che, a forza di spingere, riuscì a mettere in fuga i Goti. Questi non si ritirarono in una completa rotta, d’altronde i Romani senza cavalleria non avrebbero potuto distruggerli, ma i Romani poterono fregiarsi di un premio perfino migliore: ovvero di conquistare l’accampamento gotico che ospitava tutte le immense ricchezze che la tribù aveva saccheggiato in Grecia, oltre ad un tesoro ancora maggiore: ovvero la famiglia di Alaric.
Ricomincia la danza tra il generale e il Re
Alaric si era rifugiato nelle alture con i suoi: immagino maledisse la sua sfortuna e l’infidia dei Romani che avevano attaccato l’esercito nel giorno più sacro a tutti i cristiani. La giornata da una grande vittoria si era trasformata in una mezza sconfitta ma Alaric non era finito: il grosso dell’esercito era ancora con lui. L’unica possibilità che restava ai Goti era di rimanere uniti: dovevano rimanere forti, se volevano avere salva la vita. Stilicho non era nelle condizioni di attaccare battaglia per una seconda volta. Nonostante che Claudiano come è ovvio celebrasse Pollenzo come una delle più grandi vittorie di sempre delle armi romane Stilicone sapeva la verità: Pollenzo, nonostante la conquista degli accampamenti gotici, era stato soprattutto un pareggio. Rischiare una nuova battaglia era fuori questione. Stilicone e Alaric iniziarono a trattare.
Stilicone riuscì a convincere Alaric ad abbandonare la penisola: in cambio del ritiro dei Goti dall’Italia Stilicho gli garantiva un salvacondotto per uscire indisturbati fuori dall’Italia, a patto che i Goti si astenessero da qualunque violenza e saccheggio. Una volta fuori dall’Italia Stilicho avrebbe rilasciato i suoi ostaggi, compresa la famiglia di Alaric.
Questo accordo non fu per nulla popolare in Italia e nella corte di Milano: tutti si aspettavano che Stilicone desse il colpo di grazia ai Goti, ma credo che il generalissimo fosse consapevole che una nuova battaglia fosse un rischio ai dadi. Inoltre l’invasione in Raetia lo aveva preoccupato: popoli che mai prima di allora si erano avvicinati alla frontiera danubiana avevano invaso l’impero. Nessuno sapeva cosa stesse succedendo davvero oltre frontiera ma distruggere i Goti voleva dire rinunciare ad un potenziale importante serbatoio di reclute per affrontare i nemici.
Orosio, lo scrittore cristiano del quinto secolo che scrisse la historia adversos paganos, critica molto la decisione di Stilicone: attaccare i Goti il giorno di Pasqua portò l’ira divina e “nonostante fossimo dei conquistatori in battaglia, noi siamo stati alla fine conquistati”. Orosio non ha dubbi: affidarsi ad un comandante pagano, combattere durante la Pasqua: questi erano peccati e i Romani avrebbero li avrebbero pagati caramente.
Secondo round
Alaric, nell’autunno del 402, dopo aver accettato i termini offertigli da Stilicone iniziò a ritirarsi ma poi all’improvviso qualcosa andò storto. Forse fu il suo risentimento e il desiderio di dimostrare ai suoi che aveva ancora il controllo della situazione e un piano per portare il popolo gotico in sicurezza, forse i Goti non si comportarono in modo specchiato nella loro ritirata. Forse di converso fu lo stesso Stilicone a riiniziare le ostilità, visto che il generalissimo era stato molto criticato, nonostante i panegirici di Claudiano, per non aver finito il nemico. Sta di fatto che Alaric, dopo aver attraversato l’Emilia, non si ritirò pacificamente dall’Italia ma pose l’assedio a Verona, probabilmente non contento di aver fallito tre assedi e desideroso di fallirne un quarto. Cosa che puntualmente avvenne.
Nell’agosto del 402 si combatté quindi sotto le mura di Verona la seconda grande battaglia dell’anno: non sappiamo esattamente cosa avvenne ma a quanto pare di nuovo la cavalleria Alana non fu completamente all’altezza eppure la fanteria romana ebbe la meglio dei Goti che dovettero lasciare il campo di battaglia in quella che fu, per una volta, una inequivocabile sconfitta, la peggiore della lunga carriera di Alaric. I goti riuscirono ad estrarsi dalla battaglia e rifugiarsi a nord, verso il passo del Brennero, dove furono posti sotto assedio dai romani: l’esercito goto, decimato dalla fame, dalle malattie e dalla defezione di interi reggimenti in favore dei Romani, sembrerebbe essere stato interamente alla mercé del generale romano. Finalmente, al segnale di Stilicone, i Romani attaccarono quello che restava dell’esercito di Alaric: i goti furono massacrati e il loro comandante catturato e portato in trionfo a Milano, per essere decapitato. The end.
Non c’è tre senza quattro
Ah! So bene che di nuovo voi sapete che non è così che andò, e qui siamo davvero a quasi il ridicolo: è la quarta volta che Stilicho ha in mano il suo migliore nemico. La prima volta fu nel 392, in Macedonia, poi nel 395 in Tessaglia, poi nel 397 nel Peloponneso. Ancora una volta, e nonostante che a questo punto Alaric fosse davvero indebolito, Stilicho, il generalissimo, intavolò trattative e alla fine lasciò andare il Goto. L’invasione dell’Italia da parte di Alaric era stata un abbietto fallimento: Alaric aveva perso tutte le sue ricchezze, una buona parte del suo seguito, alcuni dei suoi comandanti ed era decisamente al punto più basso della sua illustre carriera ma nonostante tutto visse per vedere un altro giorno e di qui a otto anni, spoiler alert, i suoi uomini saccheggeranno Roma. Perché Stilicone lo lasciò andare via?
Il tradimento è stato a lungo una tesi molto seguita: questa fu anche la tesi degli storici romani che scrissero dopo la caduta di Stilicone, come Orosio. Anche molti studiosi moderni hanno sposato questa tesi, scrive ad esempio Bury, uno storico dell’inizio del ventesimo secolo: «se un’altra persona al posto di questo generale germanico fosse stato alla testa dello stato, se la difesa delle province fosse stata affidata a un comandante romano con l’abilità e il carattere di Teodosio o Valentiniano I, i Visigoti e il loro re sarebbero stati definitivamente annientati, e sarebbero state evitate molte calamità dovute alla politica indulgente del Vandalo a cui Teodosio aveva in modo poco saggio affidato le sorti di Roma». Altri studiosi, invece, difendono Stilicone sostenendo che le battaglie di Verona e di Pollenzo non furono decisive e che Stilicone non avrebbe mai avuto la concreta possibilità di annientare Alarico, né ne avrebbe avuto il desiderio per le ragioni che ho spesso riferito: i Goti di Alaric erano i barbari meno barbari di tutti e una fonte preziosissima di reclute agguerrite per l’esercito Romano. Altri ancora sostengono che Stilicone salvò Alaric perché i due strinsero un accordo: Stilicone aveva bisogno di un alleato con il quale raggiungere il suo scopo di sempre, ovvero soggiogare la corte di Costantinopoli al suo volere. Un accordo con Alaric è documentato di certo dal 404 in poi, vale a dire poco più di un anno dopo la battaglia di Verona, non mi pare inconcepibile che questo stesso accordo venisse stretto direttamente al Brennero.
Al sicuro dai barbari, se non dalle zanzare

L’invasione di Alaric, nonostante il totale fallimento, ebbe una conseguenza importantissima: Onorio aveva preso un bello spavento a Milano e si era reso conto che la sua sicurezza – sempre il suo unico e principale cruccio – non era garantita in quella città, nonostante le sue possenti mura. Anche Stilicone concordò che occorreva garantire all’impero una capitale che fosse imprendibile, una capitale dove l’amministrazione e il governo potessero continuare a funzionare anche quando inevitabilmente altri nemici avessero bussato alla porta dell’Italia, come sembrava oramai possibile se non probabile. L’impero d’oriente aveva la sua impregnabile Costantinopoli, una città che aveva già ampiamente dimostrato la sua capacità difensiva di fronte alle avversità della guerra gotica, l’occidente aveva bisogno della sua Costantinopoli.
Per un po’ si pensò perfino di tornare a Roma ma Stilicone sapeva che Roma era indifendibile. Decise quindi di trasferire la capitale dell’Italia e di tutto l’occidente a Ravenna. Ora questa scelta può sembrare assurda a chi conosce la Ravenna moderna: è una città come Milano, nel mezzo della pianura padana anche se con un migliore accesso al mare. Ma la Ravenna del quinto secolo era molto più simile alla moderna Venezia: una città lagunare, irraggiungibile o quasi da parte di un attaccante che venisse dalla terraferma e che non disponesse di una flotta, flotta che i Romani avevano convenientemente basato in un sobborgo di Ravenna, Classe. Riparata dietro le paludi della Romagna e il legno della flotta Romana il governo dell’occidente sarebbe potuto sopravvivere anche a invasioni e tempi ben peggiori della prima avventura italiana di Alaric. E gli avvenimenti futuri dimostrarono ampiamente che così fu, anche se non si può non sottolineare la differenza di attitudine tra gli antichi romani, che non avevano sentito neanche il bisogno di difendere Roma con delle mura fino alla crisi del terzo secolo, e i Romani del quinto secolo, oramai rassegnatisi a difendere la loro capitale grazie a paludi, zanzare e una flotta di navi. Inoltre il trasferimento della capitale a Ravenna fu un disastro per un’altra città italiana, ovvero Milano: il suo secolo di gloria era terminato e non sarebbe stata mai più la capitale dell’Italia nei seguenti mille e seicento anni.
La sabbia del Colosseo

Nel 403, scampato il pericolo, l’Imperatore Onorio decise di festeggiare la vittoria sui Goti con un’entrata trionfale a Roma, era da oltre un secolo che la Città Eterna non assisteva a un trionfo. Onorio tornò a Roma all’inizio del 404 per inaugurarvi il suo sesto consolato: l’Imperatore, nel corso della sua breve permanenza nell’Urbe, risiedette nell’antico Palazzo dei Cesari sul Colle Palatino. Tutto sembrava tornato in ordine, il futuro per un po’ parve radioso. La visita dell’Imperatore a Roma venne accolta con entusiasmo anche dal poeta Claudiano, che visse per un po’ a Roma. Anche il poeta cristiano Prudenzio colse l’occasione della visita dell’Imperatore per comporre un poema nel quale affiorano riferimenti alle vittorie riportate da Stilicone su Alarico. Prudenzio nel poema si scaglia contro il persistere del Paganesimo nell’Urbe, e prega l’Imperatore di abolire definitivamente i giochi gladiatorii, richiesta poi accolta l’anno stesso. Dal 404, con l’editto di Onorio, le grandi arene dell’impero d’occidente vengono abbandonate e iniziano ad essere usate come cave per costruire chiese e altri monumenti.
Stilicone non riesce a togliersi Costantinopoli dalla testa

Nel frattempo Stilicone si era rassegnato a governare solo l’occidente, visto che Arcadio aveva oramai 27 anni e quindi era alquanto ridicolo da parte sua di richiedere di essere il suo guardiano. Inoltre pare che i rapporti tra Stilicone ed Eudoxia – la vera potenza di Costantinopoli – fossero buoni. L’imperatrice nel frattempo aveva raggiunto la sommità del suo potere: una statu a – di cui è sopravvissuta la base – fu eretta in suo nome dal prefetto del pretorio di Costantinopoli. Eudoxia fece coniare perfino delle monete con il suo volto. Giovanni Crisostomo, il potente patriarca di Costantinopoli, non vedeva bene il ruolo prominente che Eudoxia aveva raggiunto nel misogino mondo romano. Eudoxia, nonostante il supporto che il vescovo aveva in città presso il popolo, lo fece comunque bandire, nel furore della cittadinanza. Insomma, a Costantinopoli era lei la vera imperatrice, con Arcadio a fare da controfigura: purtroppo per lei cadde vittima di quello che era la vera disgrazia delle donne dell’antichità: il parto. Morì infatti nel 404 dando la vita al suo settimo figlio: la sua morte ripiombò le relazioni tra occidente e oriente verso l’ostilità, visto che ci fu un ennesimo cambio di regime a Costantinopoli: il nuovo potere dietro al trono divenne Antemio, un avversario di Eudoxia e di Stilicone e di opinioni fortemente anti-gotiche.
Stilicone non la prese bene e preparò immediatamente le contromisure contro il nuovo dominatore dell’oriente: le ambizioni di Stilicone si erano oramai ridotte a richiedere di riportare sotto il governo dell’Occidente la prefettura dell’Illirico orientale, vale a dire le province della Moesia II, della Macedonia e della Grecia: queste province erano state cedute all’oriente in seguito al disastro di Adrianopoli, per permettere di coordinare meglio la guerra gotica nel quadrante balcanico. Sembra che il piano di Stilicone fosse di annettere quelle terre e poi di stabilirvi i Goti come foederati, proprio quello che la corte orientale era decisa a non fare: in questo modo il potere della corte occidentale sarebbe stato accresciuto dalle entrate dell’Illirico, oltre che dall’acquisto di una delle fonti principali di reclute romane. Allo stesso tempo Stilicone avrebbe definitivamente legato a sé i Goti e si sarebbe trovato probabilmente nella posizione di forza nel mondo romano che aveva avuto Teodosio una volta stretto il suo accordo con i Goti nel 382. Faccio un po’ di psicologia ma credo che Il sogno di tutta una vita per Stilicone fu di governare il mondo Romano dalla grande capitale di Teodosio e Costantino, la capitale dove lui aveva mosso i primi passi della sua illustrissima carriera, la capitale nella quale era stato al servizio di Teodosio, la stessa città che era divenuta la più splendida capitale dell’Impero Romano: ovvero Costantinopoli. Annettere l’illirico e legare a sé definitivamente Alaric era il primo passo per fare un giorno il suo ingresso trionfale nella città sul Bosforo.
Alaric e Stilicone si alleano
Sappiamo quindi che Stilicone e Alaric strinsero un accordo nel 404 – o forse avevano avuto un accordo dai tempi del Brennero? Alaric, dopo il disastro di Verona, era tornato ad insediarsi in Pannonia, nella zona grigia tra i due imperi e lì era rimasto, senza titoli e senza autorizzazione legale da parte delle due corti, in una precaria situazione legale per sé e quello che restava del suo seguito.
A fornire a Stilicone il pretesto per riprendere le ostilità contro il governo di Costantinopoli fu il trattamento riservato dalla corte orientale ad alcuni ambasciatori di Ravenna: essi, recatisi presso la corte di Arcadio per protestare contro il trattamento riservato all’esiliato patriarca di Costantinopoli Giovanni Crisostomo, furono arrestati e imprigionati, il che costituì un grave affronto alla corte di Ravenna. Dopo aver tentato inutilmente la via diplomatica, Stilicone rifiutò di riconoscere il console romano-orientale per l’anno 405 e vietò alle navi orientali l’accesso ai porti occidentale; al contempo, si mise in contatto con Alaric, ordinandogli di invadere l’Epiro e attendere in quella provincia l’arrivo delle truppe di Ravenna. La vittoria, per Stilicone, pareva a portata di mano: e non finirò mai di sottolineare come ancora nel 404 il supposto imbelle impero occidentale fosse ancora nelle condizioni di poter muovere guerra all’oriente nella ragionevole certezza di poterlo battere: sarà l’ultima volta che un signore dell’occidente potrà anche minimamente sognare una cosa del genere
Tuoni e fulmini

Eh si, perché proprio mentre il generalissimo si accingeva alla sua missione le forze messe in moto a nord del Danubio dagli Unni scelsero proprio questo momento per scatenare tutta la loro devastante potenza contro l’impero d’occidente.
Nel prossimo episodio cercheremo di capire cosa era accaduto di così importante a nord del Danubio e la natura della tempesta che, dopo tanto tuonare, finalmente si rovescerà sull’impero occidentale. Contro immense difficoltà Stilicone riuscirà a mietere il suo ultimo grande successo prima di dover soccombere di fronte a forze superiori perfino alle sue indubbie capacità.
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