Nello scorso episodio abbiamo visto la meteora Gioviano passare nel firmamento romano: la sua è la storia triste di un imperatore di risulta, costretto dalle condizioni ad una pace che indebolirà in modo fondamentale la posizione strategica dell’impero Romano in oriente. Sarà anche l’imperatore della restaurazione del cristianesimo ma morirà prima di poter imporre davvero la sua impronta sull’Impero.
Il suo successore è Valentiniano che finisce per associare suo fratello Valente alla guida dell’impero: i due imperatori si dividono l’impero, con Valentiniano che prende l’occidente e Valente l’oriente: doveva essere una divisione temporanea e pratica, finirà per diventare definitiva.
Quella di oggi è una puntata particolare: parleremo prima di tutto della ribellione di Procopio in oriente, poi passeremo all’occidente e narreremo cosa accadrà nell’impero occidentale fino al 370 circa, poi torneremo in oriente e faremo lo stesso percorso, a concludere la decade: non è un decennio tranquillo, vi preannuncio, tra ribellioni, invasioni, maremoti e una grande cospirazione contro i Romani.

Uno tsunami travolge il mondo tardoantico
Prima di parlare dell’ultimo parente di Giuliano vorrei leggervi un passo di Ammiano Marcellino che per una volta non parla delle vicende degli uomini, ma della natura. Si tratta di un evento del 365 dopo cristo. Leggerlo mi ha fatto accapponare la pelle
“Il 21 Luglio improvvisamente orrendi fenomeni si verificarono in tutto il mondo, quali non sono descritte né nelle leggende né nelle opere degli storici degni di fede. Poco dopo il sorgere del giorno un terremoto scosse tutta la stabilità della terra, il mare si disperse lontano e si ritirò volgendo indietro le onde in modo che, scoperte le profondità del mare, apparvero alla vista vari tipi di animali conficcati nel fango ed estese valli e montagne che erano state relegate sotto immensi flutti dalla natura primigenia e che vedevano per la prima volta i raggi del sole. Molte navi si conficcarono sull’arida terra e moltissime persone si aggiravano liberamente tra quel che rimaneva delle onde del mare per catturare pesci ed altri animali simili. Ma in quel momento i flutti mugghianti del mare si sollevarono e scagliandosi violentemente su isole e tratti di terraferma spianarono numerosi edifici nelle città e ovunque si trovassero. La massa delle acque causò la morte di migliaia di uomini che rimasero sommersi. Alcune navi furono trovate circondate dal cadavere dei naufraghi. Altre navi, scagliate fuori dal mare, finirono sulla sommità dei tetti, come ad Alessandria. Altre furono scagliate fino a 2 miglia dentro la terra. Io stesso di passaggio in Messenia vidi una nave spartana in disfacimento per la lunga putrefazione”
L’intero racconto mette i brividi ed è la testimonianza del più terrificante Tsunami del periodo storico nel mediterraneo durante l’evo storico: negli ultimi 1700 anni non abbiamo avuto nulla di simile, lo Tsunami di Messina essendo uno scherzo in confronto. Ho letto un paper universitario che, utilizzando moderne tecniche scientifiche, ha ricostruito il terremoto. Il movimento tellurico sarebbe avvenuto a Creta e avrebbe avuto una magnitudine di circa 8.5 sulla scala Richter, che è una scala logaritmica: quindi 8,5 è 10 volte più potente di 8,4 e una differenza di due punti corrisponde a un fattore di circa 1000. Il terremoto dell’Aquila, per esempio, ha avuto una potenza di 6,4 Richter. Il propagarsi dell’onda di maremoto giunse fino a Malta, in Egitto, nella Grecia e pressoché in tutto il mediterraneo. La violenza e altezza delle onde è stata stimata simile a quella dell’”immane catastrofe, lo Tsunami dell’oceano Indiano nel 2004: per molti versi superiore visto che alcune città finirono permanentemente sott’acqua e la forma della costa fu modificata per sempre. Ancora secoli dopo, il 21 Luglio ad Alessandria veniva commemorato il giorno dell’orrore, nel quale il mare era entrato nella terra devastando tutto e tutti. Il pensiero che qualcosa di simile possa accadere ancora oggi mi fa venire i brividi.
L’ultimo parente di Giuliano l’Apostata
Ma ora lasciamo i fatti della natura per tornare agli uomini e cerchiamo di conoscere meglio il nostro Procopio: Procopio era un cugino di terzo grado di Giuliano: suo nonno era infatti il nonno materno di Giuliano, ovvero il padre della colta Basilina che fu madre di Giuliano. Come raccontato negli scorsi episodi Giuliano lo mise a capo dell’esercito del nord della Mesopotamia anche se gli affiancò un militare esperto di pari grado.
Procopio era la cosa più simile ad un potenziale erede che avesse Giuliano, che non aveva mai avuto figli e il cui parentado era stato falcidiato dalle purghe di Costanzo II. Procopio ne era consapevole e come abbiamo narrato quando apprese che l’esercito aveva nominato Gioviano imperatore fece perdere le sue tracce, anche perché il suo nome era stato fatto tra i possibili candidati al trono. Si nascose probabilmente in aree remote dell’Anatolia, vivendo in modo misero e senza contatti con il mondo esterno: l’impero era un posto enorme e anche se popolato per gli standard antichi dava decisamente molte occasioni per nascondersi a chi volesse far perdere le proprie tracce.
Una improbabile acclamazione
Stancatosi di vivere come una belva, lui che era abituato a tutti i comfort, Procopio si rifugiò da un amico a Calcedonia, giusto di fronte a Costantinopoli. Di nascosto si recò spesso nella capitale dove raccolse molte voci di malumore rispetto al nuovo regime, quello di Valente che era succeduto in oriente a Gioviano. In assenza dell’imperatore, che si era recato ad Antiochia per controllare i movimenti di Shapur, Il suocero di Valente era stato messo a capo della città. Pare che questi stesse spremendo in modo inusitato i cittadini della capitale che erano infelici di farsi tosare regolarmente dal nuovo regime. Sta di fatto che Procopio annusò l’opportunità e la fortuna gli donò anche un’occasione: Valente, che era in viaggio per la Siria e la guerra con i Persiani era venuto a sapere dal controspionaggio Romano che i Goti, legati ad un trattato con Roma, si stavano mettendo in moto per invadere l’impero. Mandò quindi due reggimenti e altri rinforzi verso la frontiera Danubiana, in modo da non avere rogne mentre regolava i conti con i Persiani. Queste unità si fermarono per qualche giorno a Costantinopoli e Procopio si mostrò ad alcuni ufficiali di cui aveva fiducia, chiedendogli di cercare di ottenere l’appoggio di tutte le truppe. Il giorno dopo si recò all’assemblea delle legioni che lo acclamarono imperatore: la memoria della dinastia Costantiniana era ancora viva negli uomini dell’esercito. Procopio fu vestito frettolosamente con le insegne imperiali e presentato al popolo nel grande circo di Costantinopoli, luogo che sarà per centinaia di anni il cardine di innumerevoli sconvolgimenti politici. Vorrei leggervi il passaggio di Ammiano, perché mi pare simbolico di come avveniva l’acclamazione popolare di un imperatore. “Procopio, salito sulla tribuna e temendo il triste silenzio dei presenti, visto che tutti erano inchiodati dallo stupore, riteneva di essersi messo su una via che a precipizio conduceva verso la morte. Un tremito gli si diffuse per le membra e, non riuscendo a proferire parola, stette a lungo in silenzio. Tuttavia quando cominciò a dire poche parole con voce rotta per dimostrare la sua parentela con la famiglia imperiale fu dapprima approvato da un mormorio dei più vicini a lui poi fu proclamato imperatore dal rumoroso tumulto dell’intera plebe”. la città, più in odio di Valente e di suo suocere che in favore di Procopio, si unì all’usurpatore. In questa procedura vediamo uno degli elementi fondamentali delle legittimità di un governo imperiale: l’approvazione e acclamazione del popolo della capitale imperiale. I tre elementi principali erano infatti l’esercito – che acclamava l’imperatore – il senato dei grandi possidenti dell’impero che erano i principali contribuenti al regime imperiale e il popolo della capitale.
Procopio, dopo l’acclamazione, si mosse accortamente per consolidare il suo potere: ottenne con la diplomazia che l’intera Tracia e Bitinia passassero sotto il suo controllo. Inoltre riuscì a portare dalla sua con le parole e la propaganda altre unità militari inviate contro di lui. Procopio non deve essere stato un grande leader militare, ma non gli mancava una certa predisposizione per la propaganda. Innanzitutto mise in giro la voce che Valentiniano, in occidente, fosse morto, in modo da minare la legittimità anche di Valente. Procopio portava sempre con sé la vedova e la piccola figlioletta di Costanzo II, Faustina, in modo da rafforzare il legame con l’estinta dinastia imperiale. Infine Procopio fece mettere in giro la voce che Giuliano, prima di partire verso il cuore della Persia, avesse comandato a lui di prendere il potere nel caso in cui la missione in Mesopotamia si fosse tramutata in un disastro. Ovviamente, del tutto casualmente, Procopio fu l’unico testimone di questo prodigioso evento.
La risposta di Valente e la fine di Procopio
Valente sembra che fu molto colpito dalle notizie che venivano dalla capitale e dalle regioni circostanti: per un po’ pensò perfino di rinunciare alla carica imperiale e magari fuggire dal fratello. I suoi generali lo convinsero però a resistere. Le cose però non migliorarono molto per Valente, che rischiò perfino di essere catturato in una sortita dei procopiani sotto assedio a Nicea. Questo a posteriori sarà però lo zenith delle fortune di Procopio: dopo tanti successi nel campo delle PR fece un grosso errore. Aveva infatti chiamato a corte il vecchio Arbizione, comandante dell’esercito ai tempi di Costantino e senza dubbio il più decorato e famoso militare ancora in vita. Questi aveva trovato una scusa o un’altra per non presentarsi a corte e per tutta risposta Procopio aveva ordinato di far saccheggiare la sua casa. Arbizione decise quindi di rifugiarsi di nascosto da Valente. La primavera successiva Procopio e Valente mossero incontro i loro eserciti ma Arbizione, solo con la sua gravitas e carisma, riuscì a convincere diversi reparti a passare di nuovo dalla parte di Valente. La rivolta a questo punto era segnata e lo stato maggiore di Procopio si fece due conti e decise di consegnarlo a Valente, indubbiamente con la speranza di aver salva la vita. Valente però fece decapitare Procopio e anche i generali che lo avevano tradito: si sa, traditori una volta traditori per sempre. Era il 366 e Valente era tornato padrone dell’oriente Romano.

Il sangue scorre sull’elezione del Papa
È ora di tornare in Occidente, prima di parlare di Valentiniano e delle sue tribolazioni vorrei andare nella città eterna, che sta per vivere una drammatica contesa in seno alla Chiesa che sarà carica di conseguenze per l’intero occidente.
A Roma finalmente Papa Liberio morì nel 366. Ricordate Liberio? Fu il Papa che era stato esiliato da Costanzo II e che aveva ceduto all’arianesimo pur di tornare a casa. Il prestigio del soglio di Pietro ne era uscito fortemente ridimensionato. Alla sua morte si aprirono le porte all’elezione di un nuovo Papa, che a quei tempi avveniva per acclamazione dei fedeli riuniti in una chiesa o luogo pubblico: il collegio dei cardinali non esisteva ancora e il Vescovo di Roma era ancora una carica semi-democratica. Questa pratica era comune a tutto l’impero ma diventava complessa in una città delle dimensioni di Roma, nonostante che i cristiani fossero ancora una minoranza nella città eterna. Il clero romano si divise in due fazioni: una del tutto contraria ad ogni accordo con i sostenitori delle teorie ariane e l’altra, maggioritaria, più conciliante e favorevole ad accordi e compromessi. E qui fa l’ingresso nella nostra storia Damaso, il leader degli oltranzisti Niceni. Sull’altro lato del ring Ursino, sostenuto dai più tra religiosi e fedeli, che intendeva trovare un accordo con gli ariani. Ricorderete che gli Ariani credevano nella subordinazione di Gesù e dello spirito santo a Dio padre, che esisteva in principio e li aveva generati. Agli ariani si opponevano i Niceni, dal concilio di Nicea, che aveva sancito la trinità del Padre, figlio e Spirito santo, generati e non creati e della stessa sostanza. Gli ariani dominavano in oriente – anche Valente era ariano – e avevano il controllo della principale diocesi occidentale dopo quella di Roma, vale a dire Milano, la capitale.
Dice Marcellino che “L’ardore di Damaso e Ursino per occupare la sede vescovile superava qualsiasi ambizione umana. Finirono per affrontarsi come due partiti politici, arrivando allo scontro armato. Non c’è da stupirsi che un premio tanto ambito accendesse l’ambizione di uomini maliziosi, se si considera lo splendore della città di Roma. Infatti, una volta eletti a quella carica, si gode in santa pace una fortuna garantita dalle donazioni delle matrone, si va in giro su di un cocchio elegantemente vestiti e si partecipa a banchetti con un lusso superiore a quello imperiale. Ma costoro potrebbero essere sicuramente felici se vivessero imitando alcuni vescovi provinciali che la moderazione nei cibi e nel bere, la semplicità negli abiti e gli sguardi rivolti a terra rimandano all’eterna divinità». Questo è uno dei celebri passi di Ammiano in cui egli dimostra di apprezzare il messaggio originale del credo cristiano, trovandone anche punti in comune con il suo credo Neoplatonico. Invece Ammiano non aveva alcuna tolleranza degli altri gradi del clero cristiano e dei continui litigi teologici, dietro i quali vedeva solo ambizione e ingordigia.
Lo scontro scoppiò durante l’elezione di entrambi, che avvenne in contemporanea in due chiese diverse della città: S. Maria in Trastevere per Ursino e S. Lorenzo in Lucina per Damaso. Damaso, dopo l’elezione, fu incoronato vescovo per primo, in un blitz a S. Giovanni in Laterano. I sostenitori di Ursino non si diedero per vinti e si asserragliarono a S. Maria Maggiore. Ma Damaso non aveva nessuna intenzione di cedere il potere che gli spettava a suo dire di diritto e assoldò un gruppo di ruffiani, picchiatori e galeotti e li mandò contro gli Ursiniani. A S. Maria maggiore fu una strage: 137 tra i sostenitori di Ursino furono uccisi nel nome della santa elezione di un pontefice attraverso il desiderio dello spirito santo.
Damaso trionfò e Ursino fu costretto a lasciare Roma. Durante il regno di Valentiniano tentò più volte di disarcionare Damaso, sia con metodi violenti che per vie legali. Valentiniano però aveva un atteggiamento molto imparziale sulle dispute religiose: sostanzialmente lo stesso di Ammiano, un altro militare amante delle cose pratiche. Valentiniano non le tollerava e durante tutto il suo regno in occidente ci fu una sostanziale tolleranza religiosa ai limite dell’indifferenza, sia verso i pagani che nell’eterna disputa tra ariani e niceni. Quanto a lui, Damaso rimarrà al suo posto, roccia incrollabile dell’ortodossia. Ricordatevi di Damaso, è uno dei personaggi principali della reazione dei trinitari ai quasi-trionfanti Ariani. Ci torneremo.
Gli Alemanni rialzano la testa
Valentiniano nel frattempo dovette affrontare problemi più terreni: come detto sul finire del 365 gli Alemanni avevano invaso di nuovo la Gallia, con la solita teoria di saccheggi, violenze e devastazioni. Valentiniano gli aveva mandato contro due generali non molto capaci e gli Alemanni avevano avuto facilmente la meglio e i due comandanti erano stati uccisi. Valentiniano nominò un nuovo generale – Giovino – che era di tutt’altra pasta. Giovino riuscì nel corso dell’anno a sconfiggere la principale incursione alemannica e ricacciarli oltre il Reno: come ricompensa ottenne il consolato per l’anno successivo. Qui vorrei aprire una parentesi sul consolato nel tardo impero: ovviamente in questo periodo il consolato da tempo non comportava alcun reale potere politico, essendo un lascito del passato repubblicano di Roma. Il consolato rimaneva però ancora il più alto onore che lo stato poteva conferire ad un cittadino. Solo i cittadini più illustri e meritevoli venivano nominati consoli, spesso come colleghi dell’imperatore: inoltre ancora in questa epoca gli anni venivano computati in base ai consolati. Quindi il 367 sarebbe stato l’anno del consolato di Lupicino e Giovino, rispettivamente il principale generale che aveva aiutato a sconfiggere Procopio in oriente e il generale che aveva ricacciato indietro gli Alemanni in occidente: il consolato era diventato un meccanismo meritocratico nelle mani dell’imperatore.
Valentiniano, da determinato e vendicativo imperatore quale era, decise che gli Alemanni si meritavano una lezione e che avrebbero pagato caro il loro tradimento. Iniziò a preparare una missione militare contro i Germani, pianificata per l’anno successivo, il 367. La spedizione non era però destinata a partire perché terribili notizie arrivarono dalla Britannia.

La grande cospirazione dei barbari
La Britannia Romana era il posto più noioso dell’impero dove essere un soldato: non c’erano grandi generali con prospettive imperiali, i barbari da affrontare erano gente da scorrerie, non da grandi invasioni, i reparti locali erano probabilmente i meno motivati e i peggio armati dell’Impero. L’Impero aveva avuto rogne in Britannia durante il terzo secolo e aveva costruito delle difese per proteggere la provincia contro le incursioni dei pirati Sassoni, oltre al grande vallo del nord che divideva la provincia dalle terre dei Pitti, nella moderna Scozia. Oltre uno stretto mare, nella selvaggia Ibernia, vivevano gli Scotii: ci si può confondere, gli Scotii vivevano in Irlanda. Le difese provinciali erano perfettamente in grado di rispondere ad ognuna di queste minacce, prese singolarmente. Ma i tempi stavano cambiando e presto l’isola sarebbe stata colpita dalla grande cospirazione.
Infatti nella primavere del 367, pirati Sassoni attaccarono le coste e le fortezze che i Romani vi avevano costruito, a quanto pare uccidendo nel processo anche i leader militari della provincia Romana. Razziatori scotii vennero dall’Irlanda e sbarcarono in Britannia. I Pitti attaccarono le difese del Vallo di Adriano: difese alla cui guardia c’erano ovviamente diversi reparti di soldati romani, che lasciarono però passare i Pitti, non si sa perché già d’accordo o perché scoraggiati di fronte alle innumerevoli invasioni. Una volta che il caos iniziò a regnare nella provincia i soldati disertarono le loro unità e molti di loro si unirono agli invasori. Ci fu un totale collasso dell’ordine pubblico mentre i civili venivano schiavizzati e derubati sia dagli invasori che dai loro antichi protettori. La Britannia era sul punto di essere perduta al mondo romano.
Mi chiamo il conte Teodosio, e risolvo problemi
Valentiniano era in viaggio verso Trier e la sua campagna punitiva contro gli Alemanni quando venne a sapere che qualcosa di terribile stava accadendo in Britannia. La cronologia non è chiara, visto che le fonti che abbiamo a disposizione (su tutte Ammiano) non erano sul posto. Però è chiaro che Valentiniano non stette a guardare e inviò degli emissari per valutare la situazione: all’inizio pensò di cavarsela con poco, senza impattare la sua missione in Germania. Fu presto chiaro però che la situazione in Britannia richiedeva misure pesanti e Valentiniano nominò a capo della spedizione in Britannia il comandante – o Comes – Teodosio. Non quel Teodosio, suo padre: allo storia è passato come il Conte Teodosio, Conte essendo la traduzione italiana di Comes.
Subito dopo, a seguito di una malattia che lo aveva quasi portato alla tomba, Valentiniano elevò all’onore di Augusto suo figlio Graziano, in modo da consolidare la sua dinastia: a malincuore Valentiniano dovette arrendersi all’inevitabile e rinunciare alla sua spedizione in Germania per quell’anno.
Nella primavera dell’anno seguente, il 368, il conte Teodosio sbarcò in Britannia e fece base a Londra: al seguito aveva probabilmente suo figlio Teodosio, si quel Teodosio, Teodosio il grande. In Britannia il Conte Teodosio scoprì che le truppe britanniche erano state sopraffatte, rifiutavano di combattere o erano state abbandonate. Teodosio riuscì rapidamente a riportare l’ordine almeno nelle zone circostanti; al che promise una amnistia a tutti quei soldati e disertori che fossero tornati in armi: era una politica intelligente e flessibile e fece miracoli, visto che una buona parte degli uomini che tormentavano i britanni erano ex soldati e questi, con la paura di essere giustiziati in quanto disertori, si comportavano come uomini che non avevano nulla da perdere. Alla fine dell’anno, i barbari erano stati respinti nelle loro terre d’origine; i capi degli ammutinati erano stati giustiziati; Il Vallo di Adriano riconquistato e l’ordine riportato nella diocesi della Britannia. Nel 370 Teodosio tornò da eroe in Gallia e fu promosso a Magister Militum Praesentalis, ovvero il più alto grado militare dell’Impero sotto l’Imperatore. Avrà ancora da fare negli anni successivi.
Valentiniano insegna ai Germani la buona educazione
Mentre Teodosio riportava l’ordine in Britannia, Valentiniano attraversò il Reno a capo del suo esercito, potenziato da anni di reclutamenti ed esercitazioni militari da parte dell’inflessibile Augusto. Valentiniano invase il territorio degli Alemanni che fuggirono in una località chiamata Solicinium, dove si asserragliarono su posizioni ben difese in cima ad una collina: ma fu tutto inutile, come vedremo. Valentiniano e il suo stato maggiore prepararono perfino un’imboscata nel punto in cui probabilmente gli Alemanni sarebbero fuggiti, tanto erano sicuri del successo. Poi diedero ordine di attaccare. Dice Ammiano: “con grande ardore delle due parti si ingaggiò uno scontro con le lance in resta: vennero a combattimento, corpo a corpo, da un lato i nostri soldati più ammaestrati nell’arte della guerra, dall’altro i barbari feroci, ma incauti. Essendo incerta per un breve tempo la sorta della battaglia la lotta si svolgeva con reciproca strage. Infine, sbaragliati dall’impeto dei Romani e sconvolti dalla paura, gli Alemanni si volsero in fuga mentre venivano colpiti dalle spade e dai giavellotti nemici”. A questo punto scattò la trappola e le forze nascoste per l’imboscata caddero sui nemici in fuga. Fu una strage.
Si parla spesso della decadenza dell’Impero Romano, ma eccoci al 368 dopo cristo e i Romani sono ancora in grado di attraversare il Reno, portare la guerra al nemico e distruggere l’esercito della principale confederazione Germanica senza neanche sudare troppo: i problemi c’erano, basti vedere il caso della Britannia o i problemi di ordine pubblico, di successione imperiale, di corruzione. D’altronde, non mi pare che nessuno stato precedente o successivo sia scevro di questioni importanti, di debolezze a cui far fronte. Ma l’Impero era ancora, sotto Valentiniano, l’impero di sempre: il colosso geopolitico con cui ogni nazione Germanica doveva fare i conti consapevole della sua ultima debolezza.
Athanaric, il primo Goto a fare politica con i Romani
Certo Valentiniano era un comandante accorto, per quanto facile alla collera, ma come se la cavò Valente in questo ultimo scorcio degli anni 60’ in oriente? È arrivato il momento di introdurre alcuni degli attori principali del dramma che esploderà di qui a pochi anni, ovvero i Goti Tervingi e il loro capo Athanaric. Parleremo altrove più a lungo dei Goti e della loro storia, per ora è sufficiente dire che i Tervingi – una dei due gruppi principali del popolo Gotico – vivevano pressappoco nell’ex provincia romana della Dacia ed erano stati nell’orbita di Roma fin dal 332, quando Costantino gli aveva imposto un foedus, un accordo asimmetrico di associazione all’impero. Nel caos degli ultimi anni i Goti Tervingi avevano eletto un capo, Athanaric: questi decise di dare il suo supporto a Procopio nella sua candidatura al trono imperiale. Avremo modo di parlare di Athanaric nei prossimi episodi, ma basti dire che questa fu la prima volta nella quale un capo dei Goti ebbe l’ardire di intervenire nella politica interna dell’Impero: vedremo come non sarà certamente l’ultima volta. Athanaric inviò 3000 dei suoi migliori guerrieri a combattere al fianco degli ultimi Costantiniani: purtroppo per Athanaric i suoi 3000 guerrieri arrivarono quando la rivolta di Procopio era già stata sconfitta e furono facilmente dispersi e catturati dalle vittoriose forze di Valente.
Valente chiese a questo punto conto alla leadership dei Goti delle loro azioni: i Goti Tervingi erano federati dell’impero, avevano perfino servito fedelmente nella campagna di Giuliano contro i Persiani: si chiedeva Valente come mai avessero sostenuto un usurpatore. Athanaric rispose che lui aveva creduto che Procopio fosse il legittimo imperatore, inoltre i Tervingi avevano stretto alleanza con Costantino e i suoi eredi: i Goti non percepivano probabilmente i rapporti tra stati ma li consideravano un’alleanza o clientela personale con il capo dei romani e i suoi discendenti.
Athanaric e Valente: preludio di una tragedia
Sta di fatto che Valente – anche su incitazione di Valentiniano – non fu per niente convinto dalle scuse di Athanaric. Nella primavera del 367 Valente decise di muovere guerra ai Tervingi e attraversò il Danubio senza incontrare opposizione: Athanaric era un capo accorto: sapeva di non poter tenere testa al Comitatus dell’Impero d’oriente e diede ordine ai suoi di ritirarsi nelle montagne. Valente quell’anno non fece altro che bruciare villaggi abbandonati salvo poi tornare in territorio Romano.
Qui ricevette pessime notizie: nel bel mezzo della campagna di Valente in Gothia sulla frontiera con la Persia si era scatenato l’inferno. Shapur era stato tranquillo per un po’ dopo gli ingenti guadagni territoriali in Mesopotamia grazie al trattato con Gioviano. Ora che era sicuro che Valente fosse occupato altrove decise di intervenire nel Caucaso e depose il re dell’Armenia Arshak – che come ricorderete probabilmente fu una delle cause dell’insuccesso di Giuliano. Arshak non aveva voluto che i Romani distruggessero i Persiani e ora era stato esautorato proprio dagli Iraniani trionfanti: poco dopo morirà suicida in cattività.
Per Valente ovviamente i Persiani erano una priorità molto maggiore rispetto ai Goti ma, avendo iniziato la guerra, non poteva interromperla senza un successo: l’ideologia imperiale romana richiedeva la vittoria. L’anno seguente, mentre Valentiniano coglieva il suo successo con gli Alemanni, Valente non riuscì a passare il Danubio a causa delle esondazioni del fiume ma ci riprovò nel 369. Quell’anno riuscì a far uscire dai suoi nascondigli Athanaric, visto che i Romani si stavano avvicinando troppo alle aree fortificate dai Goti, e a batterlo almeno parzialmente. I Goti erano affamati e volevano la pace ma anche Valente aveva fretta di tornare in oriente per affrontare i Persiani.
La pace al centro del fiume
Si giunse quindi ad una delle mie scene preferite di questo quarto secolo: a quanto pare il padre di Athanaric aveva fatto giurato al figlio di non mettere mai piede nell’Impero Romano, in una scena che ricorda il terribile giuramento di Annibale al padre Asdrubale. Athanaric chiese dunque – e apparentemente miracolosamente ottenne – che l’imperatore e il capo dei Goti Tervingi si incontrassero al centro del Danubio, su due barche accostate. Lì fu siglata la pace, a prima vista molto favorevole per l’Impero: i Romani cancellavano i tributi in grano e vettovaglie che avevano versato da anni ai Goti. Questi perdevano anche i diritti di commerciare in modo privilegiato con i Romani. Abbiamo un testimone diretto, no non Ammiano ma il retore Temistio che ci narra la scena:
“Valente era tanto più intelligente dell’uomo che parlava per conto dei barbari da minare la fiducia che essi avevano in lui. Eppure Valente, dopo aver schiacciato l’avversario con le armi, lo risollevò, tese la mano a quell’uomo confuso e se lo fece amico davanti a molti testimoni”
Non bisogna però dare troppo retta a Temistio, che fu per certi versi il ministro della propaganda imperiale sotto innumerevoli imperatori. Temistio ha ricostruito la solita scena dell’ideologia imperiale romana: gli stupidi barbari sono stati sconfitti dal grande Imperatore dei Romani che, magnanimo e mosso a compassione, decide di risparmiarli.
La realtà stava in modo probabilmente molto diverso, come si può intuire dalla stessa location del meeting: al centro del fiume: i barbari non erano venuti dall’Imperatore per implorare perdono e non avevano fatto atto di sottomissione. Athanaric stava trattando con Valente da pari a pari.
La ricostruzione di Peter Heather – l’autore del magnifico libro “la caduta dell’Impero Romano – è che Athanaric ottenne quello che più gli stava a cuore: ovvero la cancellazione del trattato di foedus imposto da Costantino ai Goti Tervingi, trattato che in cambio di sovvenzioni di grano imponeva ai Goti di fornire supporto militare a Roma e li trattava come un popolo nell’orbita politica Romana. Athanaric aveva concepito chiaramente il progetto di svincolare i Goti Tervingi dalla dominazione romana. Nel 364, quando venne a sapere della sconfitta e morte di Giuliano, aveva chiamato i suoi alle armi per muovere direttamente guerra a Roma, imponendo a Valente di inviare due legioni verso nord per difendere la capitale e le province balcaniche. Queste legioni erano state “dirottate” da Procopio per il suo tentativo di ribellione. Poi i piani di usurpazione di Procopio avevano suggerito ad Athanaric la possibilità di immischiarsi negli affari interni di Roma: se Procopio avesse vinto gli avrebbe probabilmente dato di buon grado quello che aveva dovuto invece strappare a Valente. Valente aveva cercato di punire lui e il suo popolo per l’appoggio a Procopio ma alla fine aveva dovuto concedere quello che voleva il “barbaro che non sa parlare”, nell’immagine-macchietta di Temistio. Quella che esce quindi da questa storia è la figura di un astuto politico e leader militare, molto molto diversa dalla solita immagine di guerrieri urlanti con la barba lunga che ancora spesso ci immaginiamo quando pensiamo ai Germani: insomma credo che molti di voi abbiano in testa il capo barbaro urlante della battaglia iniziale del Gladiatore, con in mano la testa del messaggero Romano. Tra un paio di episodi torneremo su questo punto, ma basti dire che nel quarto secolo questa immagine era decisamente desueta se mai era stata di attualità.
Le nubi della tempesta si addensano
Ciò non toglie che i Goti Tervingi erano riusciti a sopravvivere ai Romani per il rotto della cuffia, anzi solo a metà dei due imperi romani. Cosa pensereste se vi dicessi che questi stessi Goti Tervingi, tra appena 41 anni saccheggeranno Roma? Nei prossimi 41 anni c’è una grande storia da raccontare, una storia avvincente e tragica per entrambi i popoli i cui capi si incontrarono nel 369 in mezzo al blu Danubio.
Dobbiamo ora lasciare Athanaric e i suoi Goti, è il caso di dire che non è l’ultima volta che sentiremo parlare di loro?
Nel prossimo episodio ci concentreremo ad occidente e vedremo come se la caverà Valentiniano nel resto del suo regno, faremo conoscenza del suo successore e porteremo l’orologio dell’Impero occidentale alla fatidica data del 376 dopo cristo. Perché ad un secolo esatto della caduta dell’Impero una enorme tempesta si addenserà ai confini romani, una tempesta che trasformerà il destino dell’Italia e di tutto il mondo Romano.