Guida concisa alla normativa romana anti-pagana
Alla morte di Costantino nel 337 d.C. l’impero poteva vantare già ben 24 anni continui di politiche religiose in favore del cristianesimo, che in un modo o nell’altro avevano cambiato profondamente la faccia e le istituzioni dell’impero. Tuttavia, come abbiamo messo in luce nell’articolo precedente di questa serie, Costantino non si era mai mostrato totalmente repressivo nei confronti dei culti pagani e la sua politica di compromesso e di pseudo-tolleranza religiosa aveva fatto sì che gran parte di tali culti sopravvivessero intatti. I successori di Costantino, invece, cavalcando la posizione di forza che aveva assunto il cristianesimo, inaspriranno la normativa di condanna al paganesimo con l’obiettivo di eradicare completamente tutte le idolatrie dall’impero. Tuttavia, nell’arco di tempo che andremo ad analizzare in questo e nel prossimo articolo si registreranno anche vari interventi legislativi di diversi imperatori in direzione diametralmente opposta. Concentriamoci in questo secondo articolo sugli interventi legislativi relativi ai culti pagani emanati nel periodo di Costanzo II e scopriamo insieme cosa prevedevano, leggendo le norme stesse a mo’ di veri storici del diritto!

Le prime condanne
Dopo complotti, tradimenti, fratricidii e guerre civili nell’anno 340 d.C. due dei figli di Costantino si dividevano il vasto impero: Costante regnava sulla parte occidentale e Costanzo II su quella orientale. Fu proprio la politica religiosa uno dei loro attriti principali, essendo Costante un seguace del credo niceno e Costanzo II di quello ariano. Tuttavia, anche in tale ambito trovarono un punto di incontro proprio sulla condanna dei culti pagani. Costanzo II non perse tempo e già nel 341 d.C. emanò la sua prima costituzione anti-pagana (che non risulta firmata anche dal collega Costante, ma alcuni storici ne presumono l’applicazione anche nella sua parte dell’impero). Apriamo il nostro Codex Theodosianus dove le norme in questione sono contenute:
C.Th. XVI.X.2 Cessi la superstizione, sia abolita la follia dei sacrifici. Infatti, chiunque avrà osato celebrare sacrifici contro la legge del divino principe, nostro padre, e contro questo ordine della nostra clemenza, subirà la giusta punizione e sarà immediatamente condannato.
Questa norma non introduce nulla di nuovo rispetto alla normativa di Costantino di condanna ai sacrifici (che già non prevedeva una pena espressa), ma è significativa per diversi aspetti. Innanzitutto, emerge chiaramente la volontà di Costanzo II di accostare il suo nome a quello del suo illustro predecessore, esaltandone il filo di parentela nonché l’unità di intenti e dunque ponendosi idealmente come il sacro continuatore (ricordiamo che Costantino sul finire della sua vita sembra si fosse avvicinato all’arianesimo, nonostante l’avesse inizialmente condannato duramente in conseguenza del Concilio di Nicea). In secondo luogo, è sicuramente significativa perché, per lo stesso fatto che Costanzo II abbia sentito la necessità di ribadirle, testimonia come probabilmente le norme costantiniane fossero in pratica disattese, come testimoniano anche alcuni passi di Ammiano Marcellino e Firmico Materno.
Le successive costituzioni anti-pagane contenute nel Codex Theodosianus ancora una volta portano la firma del solo Costanzo II. Questa volta nel mirino ci sono i templi pagani:
C.Th. XVI.X.4 Si è stabilito che in tutti i luoghi e in tutte le città i templi siano immediatamente chiusi e che, vietandone l’accesso a chiunque, sia negata ai malvagi ogni possibilità di delinquere. Vogliamo inoltre che tutti si astengano dai sacrifici. Se qualcuno dovesse commettere un atto di questo genere, sia abbattuto dalla spada vendicatrice. Decretiamo inoltre che i beni del condannato siano confiscati a favore del fisco e che subiscano la stessa sorte i governatori delle province, qualora trascurino di punire tali crimini.
In modo interessante la norma definisce la pratica dei culti pagani come “delinquere”. La chiusura dei templi sembra essere proprio funzionale ad evitare che tali “crimini” di culto siano perpetrati. Inoltre, si introduce la massima pena a carico di chi commette sacrifici: la pena capitale e il trasferimento delle ricchezze familiari al fisco.
Tuttavia, riguardo ai templi è doverosa una precisazione: l’imperatore ne menziona solo la chiusura e non la distruzione. Sarà un caso? Non lo è, questo risulta evidente leggendo altre due costituzioni sul tema che recitano:
C.Th. XVI.X.3 Sebbene ogni forma di superstizione debba essere completamente estirpata, vogliamo comunque che i templi situati fuori dalle mura rimangano intatti e inviolati. Infatti, poiché da alcuni di essi ha avuto origine l’usanza dei giochi, dei ludi circensi o delle competizioni, non è opportuno distruggere quei luoghi da cui il popolo romano trae il piacere delle antiche festività.
C.Th. IX.XVII.2 (…) Pertanto, tutti coloro che hanno asportato colonne o marmi da monumenti funerari, o che hanno fatto cadere pietre per produrre calce, a partire dal consolato di Dalmazio e Zenofilo, dovranno versare una libbra d’oro per ogni sepolcro danneggiato alle casse dello Stato, secondo il giudizio della tua competenza. La stessa pena sarà applicata anche a coloro che hanno danneggiato o deturpato i monumenti, o che li hanno venduti ai produttori di calce dopo averli collocati nei loro campi, insieme a coloro che hanno osato acquistarli – perché tutto ciò che non deve essere toccato è considerato impuro anche solo ad acquistarlo – ma in modo che da entrambi sia richiesta una sola libbra d’oro.(…)
Ecco qui che anche nel cristianissimo figlio di Costantino e nipote di S. Elena emerge un barlume di rispetto per le tradizioni romane classiche, tra cui anche i culti. Dunque i templi da chiudere (o magari trasformare in chiese) sono solo quelli all’interno delle città. Quelli fuori le mura dovranno rimanere intatti per rispetto alla tradizione. La distruzione di tombe e templi, la rimozione di colonne o marmi, la vendita di essi e la ricettazione sono puniti con una pena pecuniaria importante di una libbra d’oro, che corrispondono a circa 327 grammi d’oro oggi. Questo testimonia come gli attacchi ai templi in quel periodo fossero frequenti e l’imperatore voleva porre un argine a tale fenomeno.

Le condanne si inaspriscono
Mentre Costanzo II è impegnato in oriente a combattere i sasanidi, il generale di origine barbara Magnenzio si ribella e usurpa il trono d’occidente, mettendo a morte Costante. Questi regna per soli tre anni dal 350 d.C. sino al 353 d.C. quando è sconfitto e sostituito da Costanzo II. Nel suo breve regno si fa promotore di una politica tollerante nei confronti di tutte le religioni, essendo probabilmente lui stesso un pagano, e abolisce sulla sua pars imperii tutta la normativa anti-pagana. Non ci è pervenuto il testo delle norme da lui promulgate, ma nel solito Codex Theodosianus ci è pervenuta la costituzione successiva di Costanzo II (emanata quando era ormai padrone dell’intero impero) con la quale abroga le norme filo-pagane precedenti, in particolare la concessione dei sacrifici:
C.Th. XVI.X.5 Siano aboliti i sacrifici notturni concessi per ordine di Magnenzio e sia respinta d’ora in avanti ogni empia licenza. E così via.
A questo punto della storia Costanzo II è impegnato su tutti i fronti: sul lato della politica interna da congiure, usurpazioni e invasioni barbariche che sono all’ordine del giorno e sul lato della politica esterna da guerre. Eppure è proprio in questo periodo, forse incattivito dalla situazione generale, forse al fine di imbonirsi il proprio Dio o forse convinto dal potentissimo clero cristiano, che emana le sue norme più dure di condanna al paganesimo:
C.Th. XVI.X.6 Ordiniamo che siano condannati alla pena capitale coloro che risulterà abbiano praticato sacrifici o venerato simulacri.
E poi:
C.Th. IX.XVI.4 Nessuno consulti un aruspice o un astrologo, nessuno un indovino. (…) Infatti, chiunque non obbedirà a questi ordini sarà colpito dalla spada vendicatrice e subirà la pena capitale.
Sino a quel momento la pena di morte era riservata a chi commetteva atti pagani “attivi” ovvero agli indovini ai maghi e a chi commetteva sacrifici. Da questo momento la pena capitale sembrerebbe estesa (oltre agli astrologi) anche a chi commette atti pagani “passivi”, ovvero chi consulta l’indovino (che già era punito con pene minori, seppur importanti) e addirittura a chi semplicemente venera simulacri (identificabili in primis con statue/idoli, ma anche con elementi naturali come alberi o fonti). Questa norma, di cui non si conosce l’effettiva applicazione, mostra tutto lo sdegno di Costanzo II nei confronti delle pratiche pagane che dovevano ancora trovare frequente applicazione. L’indignazione cresce in una norma successiva dedicata ai maghi che di giuridico ha ben poco, nella quale Costanzo II tragicomicamente si augura che “poiché costoro sono estranei alla natura, li annienti una funesta peste”.

La tortura per i pagani
Infine, l’imperatore si preoccupa di estirpare ogni condotta pagana “attiva” all’interno della sua corte con una norma ad hoc:
C.Th. IX.XVI.6 Sebbene i corpi di coloro che sono insigniti di onori siano esenti dalla tortura, (…) se qualcuno, che sia mago o avvezzo a pratiche magiche e dunque chiamato “malefico” secondo l’uso del popolo, oppure aruspice, indovino, àugure, astrologo, o ancora interprete di sogni che nasconde sotto questa attività un’arte divinatoria, o chiunque eserciti qualcosa di simile, sarà scoperto nel mio seguito o in quello del Cesare, non potrà sottrarsi alla tortura grazie alla sua dignità. Se, una volta riconosciuto colpevole, cercherà di opporsi negando il proprio crimine nonostante le prove, sia sottoposto al cavalletto e subisca, con gli artigli di ferro che gli lacerano i fianchi, le pene adeguate al suo misfatto.
Questa norma interessantissima ci ricorda che la tortura a quei tempi fosse una tecnica di uso comune nei confronti dei sospettati di crimini, alla quale i membri della corte dell’imperatore erano esenti (salvo specifici crimini). Da questo momento in poi tale privilegio viene meno in caso di “crimini di paganesimo”. Da questa norma è interessante notare alcuni aspetti. In primo luogo se ne deduce che i pagani fossero normalmente trattati con la tortura una volta arrestati. In secondo luogo che nel giro di una ventina d’anni il paradigma è mutato completamente: mentre la corte di Costantino era composta da molti pagani, quella di Costanzo II subisce una stretta importante a tal riguardo. Il senso della disposizione potrebbe essere forse proprio quello di poter procedere alla condanna a morte di un membro della corte che si fosse macchiato di tali crimini ottenendo con la tortura la sua completa confessione, posta la difficoltà di provare diversamente le sue colpe. In terzo luogo, è da notare che Costanzo II non si spinge al punto da esigere che tutti i membri della corte fossero palesemente cristiani (infatti diversi non lo erano). In quarto luogo, per membri della corte si intende sia quelli al suo seguito, sia quelli a seguito del suo Cesare. Paradossalmente, il suo Cesare in quel momento altri non è che il futuro imperatore Giuliano detto l’Apostata, il principale antagonista del cristianesimo dell’epoca, che vedremo all’azione nel prossimo articolo della serie.

Costanzo II a Roma
Tuttavia, è bene ricordare che, come ci attestano le fonti (Ammiano Marcellino nelle sue Res Gestae e Quinto Aurelio Simmaco nella sua Relatio III), Costanzo II nel 357 d.C. nell’occasione dei suoi vincennalia (venti anni di regno) visitò Roma ove rimase impressionato dai vecchi costumi della tradizione romana (la maggioranza dei romani era sicuramente ancora pagana), officiò ai culti tradizionali in veste di Pontifex Maximus, carica che anche lui mantenne e rinnovò i privilegi economici alle Vestali (dettaglio che emerge indirettamente da varie fonti, tra cui la lettera di Simmaco a Valentiniano II). Tuttavia, fu probabilmente in quella occasione che rimosse l’antica statua della Vittoria dalla curia romana davanti alla quale erano soliti celebrarsi sacrifici e il giuramento dei membri del Senato romano. State tranquilli, presto quella statua tornerà al suo posto!
Conclusione
In sintesi possiamo affermare che Costanzo II fu un vero e proprio miles Christi che portò avanti la sua missione di combattere i pagani e proseguì fermamente la transizione cominciata da Costantino verso un impero confessionale cristiano non diviso da vari credi (durante il suo regno tentò e per certi versi riuscì a fondere il credo niceno con l’arianesimo). Nel suo regno estese ulteriormente i privilegi concessi al clero da Costantino e contribuì all’istituzionalizzazione della Chiesa. Tuttavia, è chiaro che la storia non è ancora matura per un abbandono totale delle tradizioni pagane sulle quali si è fondato un millennio di storia romana e l’imperatore non può che sottostare al rispetto della tradizione. Come si comporteranno i futuri imperatori? Lo scopriremo nel prossimo articolo.

4 pensieri riguardo “Come i romani condannarono a morte i pagani – parte II – Costanzo II (337-361 d.C.)”